Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso notificato in data 25 marzo 1995, il Presidente
del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 6, comma 2, ultimo
periodo, e comma 3, nonché l'art. 8, comma 2, della legge della
Regione Piemonte recante: "Programmi integrati di riqualificazione
urbanistica, edilizia ed ambientale in attuazione dell'art. 16 della
legge 17 febbraio 1992, n. 179" riapprovata - a seguito di rinvio da
parte del Governo - in data 8 marzo 1995.
Ritiene il ricorrente che le disposizioni censurate violino gli
artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.
In particolare, l'art. 6, comma 2, ultimo periodo - prevedendo che
il piano integrato si intende approvato dalla regione, decorso
inutilmente il termine di centoventi giorni dal suo invio al
Consiglio regionale - violerebbe l'autonomia comunale garantita dagli
artt. 5 e 128 della Costituzione e più specificamente "l'ordine
delle competenze tra regione e comune delineato dalla legislazione
statale in materia urbanistica e fatto salvo dall'art. 2 del d.P.R.
n. 616 del 1977".
Al riguardo, si richiama la giurisprudenza di questa Corte
(sentenza n. 393 del 1992) che ha dichiarato costituzionalmente
illegittima la previsione del silenzio-assenso in sede di
approvazione del programma integrato (art. 16, comma 4, della legge
n. 179 del 1992).
Lesiva dell'autonomia comunale, quale garantita dagli artt. 5 e 128
della Costituzione, nonché dell'art. 117 della Costituzione in
quanto estranea alle competenze regionali ivi previste, sarebbe la
disposizione contenuta nell'art. 6, comma 3, nella parte in cui
prevede che la regione possa introdurre di ufficio modifiche agli
strumenti urbanistici, nel caso sia inutilmente decorso il termine
per l'assunzione della deliberazione comunale.
Nel ricorso si sottolinea che le censure concernenti l'art. 6,
commi 2 e 3, sarebbero "intimamente connesse" e verrebbero ad
inscriversi nello spirito delle statuizioni contenute nella succitata
sentenza n. 393 del 1992.
Infine, si censura l'art. 8, comma 2, il quale, prevedendo che con
il piano integrato possa essere mantenuta la volumetria preesistente
anche in difformità dal piano regolatore generale, verrebbe a
concretare una fattispecie di sanatoria di opere abusive ed
esorbiterebbe dalle competenze regionali, con conseguente violazione
dell'art. 117 della Costituzione.
Né la modifica apportata in sede di riapprovazione sarebbe
sufficiente a far venir meno la predetta censura. Infatti, la
previsione aggiuntiva in virtù della quale "la disposizione non si
applica in presenza di opere edilizie abusive" - a parte "l'oscuro
significato" - convaliderebbe comunque situazioni di fatto difformi
dalle previsioni del piano regolatore generale.
2. - Si è costituita in giudizio la Regione Piemonte per chiedere
il rigetto del ricorso.
In particolare - quanto al censurato art. 6, comma 2, ultimo
capoverso - la regione sostiene che l'istituto del silenzio-assenso,
in esso previsto, risponde alla "fondamentale" esigenza di assicurare
il sollecito svolgimento del procedimento di approvazione del piano.
Si afferma, inoltre, che la disposizione censurata appare prevista
in analogia a numerose disposizioni della legge urbanistica regionale
5 dicembre 1977, n. 56 e successive modificazioni e integrazioni
nelle quali è, per l'appunto, previsto il silenzio-assenso in ordine
alla approvazione di strumenti urbanistici attuativi e di varianti ai
piani regolatori necessari per attuarli, qualora la regione non si
pronunci entro centoventi giorni dal ricevimento degli atti.
In nessun caso, comunque, potrebbe prospettarsi, al riguardo, una
violazione della "autonomia comunale" in considerazione che
l'approvazione del piano, decorso inutilmente il termine di
centoventi giorni, sarebbe caso mai una "conseguenza negativa" per la
regione che vedrebbe così sanzionato il proprio ritardo. Per contro,
verrebbe ad essere tutelato il diritto del comune ad ottenere un
esame del programma, da parte della regione, in tempi certi e brevi.
In ordine all'art. 6, comma 3, si sostiene che detta norma risponde
all'esigenza di assicurare la celerità del procedimento, il che
gioverebbe anche alla tutela degli investimenti pubblici la cui
erogazione sarebbe connessa con l'attuazione dell'intervento. Da
ultimo, e con riguardo all'art. 8, comma 2, si afferma che l'aggiunta
formulata in sede di riapprovazione è chiarissima nel senso di
rendere inapplicabile la previsione - in virtù della quale può
essere mantenuta la volumetria preesistente, anche in difformità dal
piano regolatore generale vigente o in salvaguardia - in presenza di
opere edilizie abusive. Con il che verrebbe meno qualsivoglia
sanatoria di opera abusiva.
Considerato in diritto
1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna la legge
della Regione Piemonte che - in attuazione dell'art. 16 della legge
17 febbraio 1992, n. 179 - disciplina il programma integrato di
riqualificazione urbanistica, edilizia e ambientale, lamentando la
violazione degli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.
In particolare si sostiene nel ricorso che l'art. 6, comma 2,
ultimo periodo - prevedendo che il programma integrato, nella ipotesi
che sia "in variante agli strumenti urbanistici ed edilizi comunali
approvati o in salvaguardia", si intende approvato dalla regione,
decorso inutilmente il termine di centoventi giorni dal suo invio al
Consiglio regionale - violerebbe l'autonomia comunale garantita dagli
artt. 5 e 128 della Costituzione.
Si afferma, altresì, che l'art. 6, comma 3 - stabilendo che le
modifiche agli strumenti urbanistici siano introdotte d'ufficio dalla
Giunta regionale qualora il termine per l'assunzione della
deliberazione comunale sia inutilmente decorso - violerebbe
l'autonomia comunale garantita dagli artt. 5, 117 e 128 della
Costituzione.
Infine si censura l'art. 8, comma 2, il quale, prevedendo che
"qualora il programma integrato interessi aree normate ai sensi
dell'art. 24 della legge regionale n. 56 del 1977 e successive
modifiche e integrazioni, per queste ultime può essere mantenuta la
volumetria preesistente anche in difformità da quella del piano
regolatore generale vigente o in salvaguardia", porrebbe in essere
una fattispecie di sanatoria di opere abusive, violando così l'art.
117 della Costituzione.
2. - La censura concernente l'art. 6, comma 2, ultimo periodo, è
fondata.
Questa Corte - con la sentenza n. 393 del 1992 e successivamente
con la sentenza n. 408 del 1995 - ha ritenuto, specificatamente in
materia di pianificazione e programmazione urbanistico-territoriale,
la illegittimità costituzionale della previsione del
silenzio-assenso, in sede di approvazione dei programmi integrati,
sottolineando che l'istituto del silenzio-assenso può ritenersi
ammissibile in riferimento ad attività amministrative nelle quali
sia pressoché assente il tasso di discrezionalità, mentre la
trasposizione di tale modello nei procedimenti ad elevata
discrezionalità, primi tra tutti quelli della pianificazione
territoriale, "finisce per incidere sull'essenza stessa della
competenza regionale" (sentenza n. 408 del 1995).
In quest'ultima ipotesi, infatti, verrebbe a mancare l'esame e la
valutazione regionale (avuto riguardo alla brevità dei tempi tecnici
assegnati alla regione per il riesame), nonché il contraddittorio
sulle osservazioni, ovvero il controllo della pubblica
amministrazione verrebbe ad acquistare un carattere meramente
eventuale precisamente in ordine a procedimenti amministrativi che
comportano un ventaglio di soluzioni non determinate, né
determinabili in via preventiva dalla legge. Tutto ciò è stato
ritenuto irrazionale e, pertanto, non coerente avuto riguardo al
principio per cui gli strumenti urbanistici generali (di ambito
comunale e sovracomunale) e anche le relative varianti danno luogo ad
un procedimento complesso cui devono partecipare e concorrere
necessariamente il comune e la regione sia pure in posizione ineguale
(cosiddetto principio dell'atto complesso).
D'altro canto la materia dei programmi integrati (come previsti
dalla legge regionale impugnata) ha una duplice valenza sia
urbanistica sia ambientale, anche in quanto l'approvazione regionale
ricomprende tutte le autorizzazioni di competenza regionale in tema
di vincoli idrogeologici, forestali ecc., nonché il parere ai sensi
della legge 29 giugno 1939, n. 1497 e della legge 8 agosto 1985, n.
431 (art. 6, comma 7 della legge impugnata). Pertanto, per
quest'ultimo profilo ambientale opera il principio fondamentale,
risultante da una serie di norme in materia ambientale, della
necessità di pronuncia esplicita mentre il silenzio
dell'amministrazione preposta a vincolo ambientale non può avere
valore di assenso (sentenza n. 302 del 1988).
Tanto si evince dagli artt. 14, comma 4, 16, comma 3, 17, comma 2,
della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché dall'art. 19, comma 1,
della stessa legge nel testo sostituito dall'art. 2, comma 10, della
legge 24 dicembre 1993, n. 537; dall'art. 32 della legge 28 febbraio
1985, n. 47, sia nel testo originario, sia in quello modificato
dall'art. 12, comma 2, del d.-l. 12 gennaio 1988, n. 2, come
sostituito dalla legge di conversione 13 marzo 1988, n. 68, nonché
nel testo vigente dell'art. 8, comma 12, del decreto-legge 24 gennaio
1996, n. 30; e infine dall'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616,
nel testo risultante a seguito delle aggiunte introdotte dall'art. 1
della legge 8 agosto 1985, n. 431.
La illegittimità della previsione del silenzio-assenso in materia
di pianificazione (non meramente attuativa e esecutiva)
urbanistico-territoriale ed il conseguente venir meno di detto
istituto nella normativa statale, per effetto della sentenza n. 393
del 1992, consente - come affermato nella sentenza n. 408 del 1995 -
di ritenere attualmente vigente nella legge statale in materia, un
principio fondamentale opposto, che considera indispensabile una
valutazione esplicita da parte degli organi regionali nei
procedimenti che necessitano del diversificato contributo degli
organi e uffici competenti coinvolti nella procedura.
Ne consegue che relativamente ai programmi integrati, valgono, in
sede di legislazione regionale, i principi fondamentali che sono
desumibili dalla sentenza n. 393 del 1992 e che risultano, altresì,
ribaditi ed esplicitati con la sentenza n. 408 del 1995.
Deriva, altresì, che la legge regionale impugnata, nella parte in
cui prevede l'istituto del silenzio-assenso ai fini dell'approvazione
regionale dei programmi integrati, difformi dagli strumenti
urbanistici, viola l'art. 117 della Costituzione per inosservanza
dell'anzidetto principio fondamentale facilmente ricavabile dalla
legislazione dello Stato specie dopo l'intervento della Corte.
Risultano assorbite - con riguardo a questa previsione - le
ulteriori censure concernenti gli artt. 5 e 128 della Costituzione.
3. - Non fondata è, invece, la censura proposta sotto il profilo
che l'art. 6, comma 3 (in base al quale qualora il termine per
l'assunzione della deliberazione comunale con le determinazioni sulla
richiesta regionale di modifiche al programma integrato in variante
agli strumenti urbanistici sia inutilmente decorso, le modifiche
stesse sono introdotte d'ufficio dalla Giunta regionale), violerebbe
gli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.
Preliminare - nell'esame di questa censura - è il riferimento ai
principi fondamentali della legislazione urbanistica in materia, in
particolare all'art. 10, secondo comma, della legge 17 agosto 1942,
n. 1150, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 3
della legge 6 agosto 1967, n. 765, il quale prevede diverse categorie
di modifiche d'ufficio (in sede di approvazione) al piano regolatore.
Esse, tuttavia, sono ammesse a condizione che rispettino un limite
ben preciso: si tratti cioè di modifiche che non comportino
sostanziali innovazioni, ovvero che non mutino le caratteristiche
essenziali del piano ed i criteri di impostazione dello stesso. A ben
vedere si tratta di un limite strutturale che è comune ad ogni tipo
di modifiche d'ufficio nell'ambito di atto complesso, soprattutto in
sede di pianificazione urbanistica caratterizzata dalla duplice
competenza comunale (di iniziativa e adozione) e regionale (di esame,
di valutazione e verifica della coerenza degli strumenti urbanistici
e l'assetto degli interessi coinvolti). In caso di mancanza delle
condizioni per le modifiche di ufficio la regione ha solo il potere
di non approvare il piano e di restituirlo al comune ovvero di
approvarlo in parte con stralcio e restituzione per le eventuali
iniziative del comune.
Di conseguenza la legge regionale censurata deve essere
interpretata e coordinata con i principi fondamentali della legge
statale vigente in materia di formazione e approvazione di strumenti
urbanistici (art. 10, comma secondo, della legge n. 1150 del 1942,
nel testo vigente citato).
Così precisati il senso e l'ambito di operatività della
disposizione denunciata, essa resiste alle censure di illegittimità
costituzionale, in particolare a quella - assorbente - relativa
all'art. 117 della Costituzione, qualificandosi all'opposto, nel
senso sopra specificato, in armonia con i principi posti dalla
legislazione statale in materia, nel rispetto altresì dell'autonomia
comunale.
4. - Non fondata è altresì la censura concernente l'art. 8, comma
2, della legge regionale impugnata, sotto il profilo di prevedere
"qualora il programma integrato interessi aree normate ai sensi
dell'art. 24 della legge regionale n. 56 del 1977 ..., per queste
ultime, la possibilità di mantenere la volumetria preesistente anche
in difformità da quella del piano regolatore generale vigente o in
salvaguardia", pur statuendo che "la disposizione non si applica in
presenza di opere edilizie abusive". Detta previsione, secondo il
ricorso, porrebbe in essere una fattispecie di sanatoria di opere
abusive, violando l'art. 117 della Costituzione.
Al riguardo, si precisa in via preliminare che "le aree normate ai
sensi dell'art. 24 della legge regionale n. 56 del 1977" cui fa
riferimento la disposizione censurata, riguardano i beni culturali
ambientali da salvaguardare, comprendenti anche insediamenti urbani o
meno, ovvero singoli edifici e manufatti aventi carattere
storico-artistico e/o ambientale.
Come ritenuto da questa Corte (sentenza n. 408 del 1995) il
programma integrato è strumento polifunzionale e tra le molteplici
funzioni ad esso assegnate vi è anche quella di provvedere al
recupero dei centri storici.
Pertanto non è irrazionale (proprio per garantire un adeguato
livello di servizi e attrezzature e il soddisfacimento di interessi
sociali e collettivi essenziali) che la legge regionale consenta
variazioni progettuali (in fase di attuazione del programma
integrato) con la possibilità di mantenimento della volumetria
complessiva preesistente, ponendo una destinazione vincolata ad usi
pubblici.
La norma regionale anzidetta (art. 8) contiene anzitutto nel comma
2, relativo alle "aree normate ai sensi dell'art. 24 della legge
regionale n. 56 del 1977", la conferma dell'obbligo di pieno rispetto
delle prescrizioni in materia di tutela ambientale, con la
conseguente soggezione di tutte le variazioni progettuali in sede di
attuazione del programma integrato che interessi dette aree alle
anzidette prescrizioni ambientali, i cui vincoli non possono essere
in nessun caso derogati.
L'unica derogabilità consentita è quella nei confronti del piano
regolatore vigente per quanto attiene alla volumetria ed altezza
massima consentita, nel senso che è ammesso il mantenimento di
quella "preesistente".
Naturalmente il riferimento alla volumetria ed alla altezza
preesistente può avere un ambito esclusivo limitato alle costruzioni
legittimamente esistenti, in modo che il mantenimento dell'eventuale
eccedenza di volumetria e di altezza (rispetto al piano regolatore
vigente) riguarda ciò che è stato costruito in base ed in modo
conforme a licenza o concessione edilizia valida ed operante
all'epoca della costruzione, e che non sia stato oggetto di
annullamento o di intervento sanzionatorio edilizio (ad esempio
perché non conforme alla concessione o perché in contrasto con gli
strumenti urbanistici allora vigenti). Resta comunque fuori dalla
previsione ciò che è opera edilizia abusiva.
In altri termini la norma deve essere inquadrata ed interpretata
alla luce del principio che la legittimità di una costruzione deve
essere riguardata con riferimento alle prescrizioni urbanistiche alla
data della concessione e, in taluni casi, del tempo di esecuzione dei
lavori, essendo irrilevanti le sopravvenute variazioni delle
previsioni dei piani urbanistici.
Tali variazioni possono condurre a decadenza della concessione ove
sussistano determinati presupposti, ma in nessun caso producono una
situazione di abusivismo rispetto a ciò che è stato già
legittimamente costruito. In sede di programmazione urbanistica si
possono introdurre discipline transitorie (variamente strutturate),
che possono concernere i nuovi interventi (innovativi o modificativi)
sulle volumetrie ed altezze esistenti, senza che possa configurarsi
una specie di sanatoria dell'esistente.
Ciò risulta del resto anche dalla norma censurata, nella parte in
cui statuisce che la "disposizione non si applica in presenza di
opere edilizie abusive".