Ritenuto in fatto:
1. - Nel corso di un procedimento civile promosso da Frontini
Franco e dalla s.r.l. Commercio Prodotti Alimentari contro il Ministero
delle finanze nonché contro Duplicato Vincenzo, Tommasoni Guido e
Manganello Angelo, avente ad oggetto la misura, fissata in alcuni
regolamenti della Comunità economica europea, dei prelievi agricoli
relativi a determinate operazioni di importazione, il tribunale di
Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.
2 della legge 14 ottobre 1957, n. 1203, che ha reso esecutivo in Italia
l'articolo 189 del Trattato istitutivo della Comunità economica
europea concluso a Roma il 25 marzo 1957, in riferimento agli artt. 70,
71, 72, 73, 74, 75 e 23 della Costituzione.
Si premette nell'ordinanza di rimessione che i regolamenti C.E.E.
pur avendo efficacia normativa diretta interna in Italia, in forza
della norma che ha reso esecutivo il Trattato di Roma, non possono
essere sottoposti al controllo di legittimità della Corte
costituzionale, previsto dall'art. 134 Cost. solo per le leggi e gli
atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni. Tuttavia, è
legge dello Stato Italiano, come tale suscettibile di giudizio di
legittimità costituzionale, l'art. 2 della legge 14 ottobre 1957, n.
1203, che nel dare esecuzione al Trattato di Roma ne ha reso operante
anche l'art. 189, in forza del quale il regolamento comunitario "ha
portata generale" ed "è obbligatorio in tutti i suoi elementi e
direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri".
Osserva, quindi, il tribunale di Torino che la disciplina dei
prelievi, introdotta dai regolamenti comunitari, dando luogo a
"prestazioni patrimoniali imposte", potrebbe ritenersi in contrasto col
principio della riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali
e personali, di cui all'art. 23 della Costituzione, attesa la
sostanziale estraneità della legge italiana al concreto esercizio
della potestà di imposizione da parte dell'organo legislativo della
Comunità economica europea. Né, d'altra parte, sarebbe utile in
argomento distinguere tra diritti e doveri del cittadino come soggetto
dell'ordinamento comunitario, dato che i prelievi vengono riscossi
dall'Amministrazione finanziaria italiana a proprio vantaggio, con la
stessa identica procedura dei dazi doganali, e sono pacificamentc
sottoposti al controllo giurisdizionale del giudice italiano.
Osserva inoltre il tribunale che la stessa previsione di
un'attività normativa comunitaria, di contenuto così ampio, quale
quella contemplata dall'art. 189 del Trattato di Roma, introdurrebbe
una amplissima deroga alla disciplina dettata dagli artt. 70 e segg.
della Costituzione in tema di formazione delle leggi, riconoscendo alla
Comunità il potere di legiferare praticamente su qualsiasi materia
essa ritenga utile per l'assolvimento dei suoi compiti, senza che nei
confronti dei regolamenti sussistano le guarentigie che la Costituzione
italiana dà nei confronti delle leggi ordinarie dello Stato: il
rispetto delle forme di promulgazione e di pubblicazione, la
possibilità di promuovere il referendum abrogativo la possibilità di
sollecitare il controllo della Corte costituzionale. Appare pertanto
non infondato il dubbio se siffatta limitazione della sovranità
nazionale, che introduce uno strumento di produzione normativa
sopranazionale. idoneo ad incidere direttamente in ogni campo e senza
precisi limiti sui diritti dei cittadini, intaccando eventualmente
anche i diritti fondamentali dei cittadini e i principi fondamentali di
struttura dello Stato, possa ritenersi consentita dall'art. 11 della
Costituzione.
Il tribunale di Genova, in tre procedimenti civili rispettivamente
promossi dalla ditta Fratelli Pozzani, Rusconi e C., da Liguori
Costantino e dalla ditta Divella Vincenzo contro l'Amministrazione
delle finanze dello Stato, ha sollevato d'ufficio, con tre ordinanze di
identico contenuto, la questione di legittimità costituzionale della
legge 14 ottobre 1957, n. 1203, nella parte in cui ha reso esecutivo in
Italia l'art. 189 del Trattato di Roma, in riferimento agli artt. 70,
76 e 77 della Costituzione.
Nelle ordinanze, premesso che i regolamenti comunitari hanno
portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi e
direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri, si osserva che
l'introduzione nel nostro ordinamento di una nuova fonte di normazione
primaria, estranea al meccanismo di produzione legislativa previsto
dagli artt. 70, 76, 77 della Costituzione, attuata con legge ordinaria
anziché con legge costituzionale, potrebbe implicare una non
consentita sottrazione di competenza legislativa ai normali organi
costituzionali dello Stato.
Né il dubbio di legittimità costituzionale sarebbe escluso dalla
disposizione dell'art. 11 Cost., sia perché detta norma, a parte il
suo valore programmatico, non escluderebbe la necessità di una legge
costituzionale per le limitazioni alla sovranità nazionale, sia
perché sembrerebbe rivolta a finalità diverse da quelle, tipicamente
economiche, perseguite con l'istituzione della Comunità economica
europea.
2. - Nei giudizi promossi dalle tre ordinanze del tribunale di
Genova si sono costituite le parti private, tutte deducendo la
infondatezza della questione di legittimità costituzionale.
Nei rispettivi atti di Costituzione e nelle successive memorie dopo
aver aderito alla impostazione del tribunale di Genova sulla diretta e
immediata applicabilità ed efficacia dei regolamenti comunitari,
emanati dagli organi della C.E.E. in base al potere normativo autonomo
loro conferito dall'art. 189 del Trattato istitutivo della Comunità,
giusta la costante interpretazione datane dalla Corte di giustizia
della Comunità, ed avere illustrato le ragioni che hanno portato
all'attribuzione di un potere normativo agli organi comunitari, si
afferma che l'art. 11 Cost., nella sua indubbia portata permissiva,
prevedendo espressamente "limitazioni di sovranità", consentirebbe il
trasferimento di poteri anche normativi, nei limiti delle competenze
oggetto dell'integrazione realizzata, con la conseguente sottrazione
degli stessi poteri agli organi normativi nazionali. Dette limitazioni
di sovranità potrebbero essere disposte con legge ordinaria, appunto
in virtù della portata permissiva dello stesso art. 11, che sarebbe
privo di contenuto giuridico se postulasse l'adozione di leggi
costituzionali, dato che con legge costituzionale può essere disposta
qualsiasi revisione, anche non prevista, della Costituzione, ad
eccezione solo della forma repubblicana dello Stato.
Nelle memorie è infine sottolineato il contrasto tra la
interpretazione restrittiva dell'art. 189 del Trattato C.E.E.,
sostenuta dall'Avvocatura dello Stato, anche in riferimento
all'articolo 81 della Costituzione, e la giurisprudenza della Corte di
giustizia della Comunità, rilevandosi come il contenuto
intersoggettivo dei regolamenti comunitari sia immediatamente
applicabile anche in presenza di un parallelo contenuto organizzativo
la cui realizzazione renda necessaria l'emanazione di norme interne di
esecuzione.
3. - In tutti e quattro i giudizi di legittimità costituzionale è
intervenuto, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, il
Presidente del Consiglio dei ministri, sostenendo, nell'atto di
intervento e nelle successive memorie, l'infondatezza delle prospettate
questioni di legittimità costituzionale.
In particolare, dopo aver ricordato le conseguenze sul piano
interno e su quello internazionale di un eventuale accoglimento delle
dedotte questioni, l'Avvocatura dello Stato afferma che non contrasta
con i principi della Carta costituzionale la istituzione, o il
riconoscimento, con legge ordinaria di una nuova fonte di produzione
giuridica, potendo il fenomeno rientrare tra le limitazioni della
sovranità nazionale previste e consentite, a determinate condizioni,
dall'art. 11 della Costituzione, significativamente collocato nella
sezione della Carta costituzionale nella quale sono enunciati i
principi fondamentali, a conferma della importanza capitale della
disposizione, posta su un piano diverso rispetto alle disposizioni che
concretamente disciplinano i poteri degli organi dello Stato.
La reale portata di tale disposizione, dovrebbe inoltre essere
individuata in relazione all'art. 138 Costituzione. Considerato che il
potere di revisione costituzionale è un potere di carattere generale
riconosciuto al Parlamento dall'art. 138 Cost., l'art. 11, nel
consentire limitazioni alla sovranità nazionale (che necessariamente
comportano una modificazione dell'assetto costituzionale del Paese) per
l'attuazione del principio di cooperazione tra i popoli, non potrebbe
esaurire la sua portata nell'autorizzare tali modificazioni, già
permesse dall'art. 138, ma comporta necessariamente anche la esenzione
dell'obbligo di seguire il procedimento di revisione costituzionale.
Una volta ammessa la legittimità, alla stregua dell'art. 11 Cost.,
della normativa impugnata, ne conseguirebbe anche la mancanza di
contrasto con la Costituzione e con i suoi principi fondamentali, per
il fatto che il sistema di garanzie giuridiche possa risultare
formalmente diverso da quello previsto nel nostro ordinamento per la
funzione legislativa degli organi nazionali. A questo riguardo, sarebbe
rilevante la conformità del sistema comunitario ad alcune esigenze
fondamentali, corrispondenti ai principi supremi dell'ordinamento
costituzionale italiano, quali la democraticità dello Stato e il
rispetto dei principi dello Stato di diritto.
Relativamente al denunziato contrasto tra la normativa impugnata e
l'art. 23 della Costituzione, osserva l'Avvocatura generale dello Stato
che esso resta assorbito dal profilo di illegittimità considerato in
precedenza, nel senso che, ove si ritenga che l'art. 11 della
Costituzione consenta alle limitazioni della sovranità determinate
dalla ratifica del Trattato di Roma, alla stregua della stessa
disposizione si deve ritenere legittimo il consenso dell'Italia a porre
deroghe anche al principio della riserva di legge.
Nei tre giudizi instaurati a seguito delle ordinanze del tribunale
di Genova l'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito la non
rilevanza della questione di legittimità costituzionale, sotto un
duplice profilo: anzitutto per la non diretta applicabilità
nell'ordinamento italiano dei regolamenti C.E.E., della cui portata si
discuteva nella causa di merito (Reg. 4 aprile 1962, n. 19; Reg. 13
giugno 1967, n. 120), trattandosi di norme non complete, inidonee come
tali ad una immediata applicazione negli ordinamenti interni degli
Stati membri, e ciò sul presupposto che i regolamenti comunitari i
quali comportino l'istituzione di uffici pubblici, l'attribuzione di
nuove competenze ad organi interni, o l'assunzione di oneri a carico
del bilancio dello Stato, senza indicare la fonte finanziaria interna,
richiedano per la concretezza della fattispecie precettiva l'emanazione
di norme interne di esecuzione; in secondo luogo per essere intervenute
nella materia le leggi dello Stato (d.l. 30 luglio 1962, n. 955 e d.l.
20 febbraio 1968, n. 59, rispettivamente convertiti nelle leggi n. 1453
del 1962 e n. 244 del 1968), che dovrebbero ritenersi prevalenti sui
regolamenti comunitari, per il principio della successione delle norme
nel tempo.
Considerato in diritto:
1. - Con l'ordinanza di rimessione del tribunale di Torino viene
sollevata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 della
legge 14 ottobre 1957, n. 1203, che ha reso esecutivo in Italia l'art.
189 del Trattato istitutivo della Comunità economica europea,
stipulato a Roma il 25 marzo 1957, in riferimento agli artt. 70, 71,
72, 73, 74, 75 e 23 della Costituzione; con le tre ordinanze, di
identico contenuto, del tribunale di Genova, viene sollevata la stessa
questione, in riferimento agli artt. 70, 76 e 77 della Costituzione.
Le ordinanze contengono esauriente motivazione circa la rilevanza
della questione di costituzionalità ai fini della decisione delle
cause di merito.
I giudizi possono essere riuniti e definiti con unica sentenza.
2. - L'ammissibilità della denuncia di illegittimità
costituzionale della legge ordinaria di ratifica ed esecuzione di un
trattato internazionale, con riguardo a specifiche disposizioni del
trattato stesso, è già stata riconosciuta da questa Corte con la
sentenza n. 98 del 1965.
3. - Il Trattato istitutivo della C.E.E. dispone all'art. 189,
primo comma, che "per l'assolvimento dei loro compiti e alle condizioni
contemplate dal Trattato, il Consiglio e la Commissione della Comunità
stabiliscono regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano
raccomandazioni e pareri". Viene conseguentemente disciplinata
l'efficacia di questi diversi atti, e il secondo comma dell'art. 189
stabilisce testualmente: "Il regolamento ha portata generale. Esso è
obbligatorio in tutti i suoi elementi, e direttamente applicabile in
ciascuno degli Stati membri".
Di questa disposizione del Trattato, mediante denuncia della legge
di esecuzione che ad essa ha adattato il nostro ordinamento interno,
viene posta in dubbio la legittimità costituzionale sotto diversi
profili. Si osserva nelle ordinanze di rinvio che a norma dell'art. 189
è stata riconosciuta la efficacia obbligatoria ed immediata
applicabilità nei confronti dello Stato e dei cittadini italiani di
atti aventi forza e valore di legge ordinaria, emanati da organi
diversi da quelli a cui la Costituzione attribuisce l'esercizio della
funzione legislativa; che con ciò è stata introdotta nel nostro
ordinamento una nuova fonte di normazione primaria, con la conseguente
sottrazione di competenza legislativa ai normali organi costituzionali
dello Stato, in materie di contenuto ampio e genericamente individuato;
che nei confronti dei regolamenti comunitari mancano le guarentigie
stabilite dalla Costituzione per le leggi ordinarie dello Stato (forme
di promulgazione e pubblicazione; possibilità di promuovere il
referendum abrogativo; ammissibilità del controllo di questa Corte, a
tutela dei diritti fondamentali dei cittadini); che, infine, mediante
questi regolamenti possono essere imposte ai cittadini italiani
prestazioni patrimoniali, in contrasto con la riserva di legge
stabilita dall'art. 23 della Costituzione. L'art. 189 del Trattato di
Roma comporterebbe non tanto limitazioni di sovranità quanto "una
inammissibile rinuncia alla sovranità, ovvero una modifica della
stessa struttura costituzionale fondamentale del nostro Stato"; e
l'art. 11 della Costituzione non eliminerebbe il prospettato dubbio di
incostituzionalità, "sia perché, a parte la sua natura programmatica,
non esclude che le limitazioni alla sovranità nazionale debbano essere
disposte con legge costituzionale, sia perché sembra implicare
finalità diverse da quelle, tipicamente economiche, perseguite con
l'istituzione della C.E.E.".
4. - La questione non è fondata. La legge 14 ottobre 1957, n.
1203, con cui il Parlamento italiano ha dato piena ed intera esecuzione
al Trattato istitutivo della C.E.E., trova sicuro fondamento di
legittimità nella disposizione dell'art. 11 della Costituzione, in
base alla quale "l'Italia consente, in condizioni di parità con gli
altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni", e
quindi "promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a
tale scopo". Questa disposizione, che non a caso venne collocata tra i
"principi fondamentali" della Costituzione, segna un chiaro e preciso
indirizzo politico: il costituente si riferiva, nel porla, all'adesione
dell'Italia alla Organizzazione delle Nazioni Unite, ma si ispirava a
principi programmatici di valore generale, di cui la Comunità
economica e le altre Organizzazioni regionali europee costituiscono
concreta attuazione. È sufficiente considerare le solenni enunciative
contenute nel preambolo del Trattato, e le norme concernenti i principi
(artt. 1 e seguenti), i fondamenti (artt. 9 e seguenti), e la politica
della Comunità (artt. 85 e seguenti), per constatare come la
istituzione della C.E.E. sia stata determinata dalla comune volontà
degli Stati membri di "porre le fondamenta di una unione sempre più
stretta tra i popoli europei", diretta "ad assicurare mediante
un'azione comune il progresso economico e sociale dei loro paesi,
eliminando le barriere che dividono l'Europa", e ciò nel preciso
intento di "rafforzare le difese della pace e della libertà, facendo
appello agli altri popoli d'Europa, animati dallo stesso ideale,
perché si associno al loro sforzo", nonché di "confermare la
solidarietà che lega l'Europa ai paesi d'oltremare, desiderando
assicurare lo sviluppo della loro prosperità conformemente ai principi
dello Statuto delle Nazioni Unite". Non è dunque possibile dubbio
sulla piena rispondenza del Trattato di Roma alle finalità indicate
dall'art. 11 della Costituzione.
5. - Il costituente, dopo aver stabilito all'art. 10 che
l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto
internazionale generale, ha inteso con l'art. 11 definire l'apertura
dell'Italia alle più impegnative forme di collaborazione e
organizzazione internazionale: ed a tale scopo ha formalmente
autorizzato l'accettazione, in via convenzionale, a condizioni di
parità con gli altri Stati e per le finalità ivi precisate, delle
necessarie "limitazioni di sovranità". Questa formula legittima le
limitazioni dei poteri dello Stato in ordine all'esercizio delle
funzioni legislativa, esecutiva e giurisdizionale, quali si rendevano
necessarie per la istituzione di una Comunità tra gli Stati europei,
ossia di una nuova organizzazione interstatuale, di tipo
sovranazionale, a carattere permanente, con personalità giuridica e
capacità di rappresentanza internazionale. Alla Comunità economica,
aperta a tutti gli altri Stati europei (art. 237 del Trattato), e
concepita come strumento di integrazione tra gli Stati partecipanti,
per fini comuni di sviluppo economico e sociale, e quindi anche per
fini di difesa della pace e della libertà, l'Italia e gli altri Stati
promotori hanno conferito e riconosciuto determinati poteri sovrani,
costituendola come istituzione caratterizzata da ordinamento giuridico
autonomo e indipendente. In particolare, con l'art. 189 del Trattato
istitutivo, è stato attribuito al Consiglio e alla Commissione della
Comunità il potere di emanare regolamenti con portata generale, ossia,
- secondo l'interpretazione data dalla giurisprudenza comunitaria e da
quella ormai concorde dei diversi Stati membri, nonché dalla dominante
dottrina -, atti aventi contenuto normativo generale al pari delle
leggi statuali, forniti di efficacia obbligatoria in tutti i loro
elementi, e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri,
cioè immediatamente vincolanti per gli Stati e per i loro cittadini,
senza la necessità di norme interne di adattamento o recezione.
Questo potere normativo compete agli organi della Comunità "per
l'assolvimento dei loro compiti e alle condizioni contemplate dal
Trattato"; è stato così attuato da ciascuno degli Stati membri un
parziale trasferimento agli organi comunitari dell'esercizio della
funzione legislativa, in base ad un preciso criterio di ripartizione di
competenze per le materie analiticamente indicate nelle parti seconda e
terza del Trattato, in correlazione necessaria con le finalità di
interesse generale stabilite dal Trattato stesso per la politica
economica e sociale della Comunità.
Questa attribuzione di potestà normativa agli organi della C.E.E.,
con la corrispondente limitazione di quella propria degli organi
costituzionali dei singoli Stati membri, non è stata consentita
unilateralmente né senza che l'Italia abbia acquistato poteri
nell'ambito della nuova istituzione. Stipulando il Trattato di Roma
l'Italia ha liberamente compiuto una scelta politica di importanza
storica, ed ha acquistato, con la partecipazione alla Comunità
economica europea, il diritto di nominare propri rappresentanti nelle
istituzioni della Comunità, Assemblea e Consiglio, e di concorrere
alla formazione della Commissione e della Corte di giustizia. Le
consentite limitazioni di sovranità trovano quindi il loro
corrispettivo nei poteri acquisiti in seno alla più vasta Comunità di
cui l'Italia è parte, e con la quale è stato concretamente iniziato
il processo di integrazione degli Stati d'Europa.
6. - Il dubbio che le limitazioni di sovranità conseguenti alla
stipulazione del Trattato di Roma e all'ingresso dell'Italia nella
C.E.E. potessero richiedere il ricorso al procedimento di revisione
costituzionale per l'approvazione della legge di ratifica e di
esecuzione, trova puntuale riscontro nell'analogo dubbio già
prospettato nel 1951, in occasione dell'approvazione del Trattato
istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio: dubbio
correttamente risolto dal Parlamento italiano, decidendo che la
ratifica ed esecuzione di quel Trattato potesse essere effettuata
mediante legge ordinaria. Per vero, come questa Corte ha già
dichiarato nella sentenza n. 14 del 1964 , la disposizione dell'art. 11
della Costituzione significa che, quando ne ricorrano i presupposti, è
possibile stipulare trattati i quali comportino limitazione della
sovranità, ed è consentito darvi esecuzione con legge ordinaria. La
disposizione risulterebbe svuotata del suo specifico contenuto
normativo, se si ritenesse che per ogni limitazione di sovranità
prevista dall'art. 11 dovesse farsi luogo ad una legge costituzionale.
È invece evicente che essa ha un valore non soltanto sostanziale ma
anche procedimentale, nel senso che permette quelle limitazioni di
sovranità, alle condizioni e per le finalità ivi stabilite,
esonerando il Parlamento dalla necessità di ricorrere all'esercizio
del potere di revisione costituzionale.
7. - Con riferimento al Trattato istitutivo della C.E.C.A., questa
Corte ha già avuto occasione di dichiarare l'autonomia
dell'ordinamento comunitario rispetto a quello interno (sentenza n. 98
del 1965). I regolamenti emanati dagli organi della C.E.E. ai sensi
dell'art. 189 del Trattato di Roma appartengono all'ordinamento proprio
della Comunità: il diritto di questa e il diritto interno dei singoli
Stati membri possono configurarsi come sistemi giuridici autonomi e
distinti, ancorché coordinati secondo la ripartizione di competenze
stabilita e garantita dal Trattato. Esigenze fondamentali di
eguaglianza e di certezza giuridica postulano che le norme comunitarie,
- non qualificabili come fonte di diritto internazionale, né di
diritto straniero, né di diritto interno dei singoli Stati -, debbano
avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli
Stati membri, senza la necessità di leggi di recezione e adattamento,
come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità,
sì da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire
applicazione uguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari.
Risponde altresì alla logica del sistema comunitario che i regolamenti
della C.E.E., - sempreché abbiano compietezza di contenuto
dispositivo, quale caratterizza di regola le norme intersoggettive -,
come fonte immediata di diritti ed obblighi sia per gli Stati sia per i
loro cittadini in quanto soggetti della Comunità, non debbano essere
oggetto di provvedimenti statali a carattere riproduttivo, integrativo
o esecutivo, che possano comunque differirne o condizionarne l'entrata
in vigore, e tanto meno sostituirsi ad essi, derogarvi o abrogarli,
anche parzialmente. E qualora uno di questi regolamenti comportasse per
lo Stato la necessità di emanare norme esecutive di organizzazione
dirette alla ristrutturazione o nuova Costituzione di uffici o servizi
amministrativi, ovvero di provvedere a nuove o maggiori spese, prive
della copertura finanziaria richiesta dall'art. 81 della Costituzione,
mediante le opportune variazioni di bilancio, è ovvio che
l'adempimento di questi obblighi da parte dello Stato non potrebbe
costituire condizione o motivo di sospensione dell'applicabilità della
normativa cornunitaria, la quale, quanto meno nel suo contenuto
intersoggettivo, entra immediatamente in vigore.
8. - Il regime dei rapporti tra ordinamento comunitario e
ordinamento interno, quale è stato dianzi delineato, fornisce la
sicura soluzione dei dubbi prospettati nelle ordinanze di rimessione,
circa la mancanza, nei confronti dei regolamenti della C.E.E., delle
guarentigie offerte dalla nostra Costituzione rispetto alla
legislazione dello Stato, concernenti la formazione e pubblicazione
delle leggi, l'ammissibilità del referendum abrogativo e del controllo
di legittimità costituzionale. Le disposizioni costituzionali
disciplinano unicamente l'attività normativa degli organi dello Stato
italiano, e per la loro natura non sono riferibili o applicabili
all'attività degli organi comunitari, regolata dal Trattato di Roma,
che della Comunità costituisce lo statuto fondamentale.
A questo riguardo si impongono alcune ulteriori considerazioni.
Occorre anzitutto tener presente che il Trattato istitutivo contiene
nella Parte quinta - Istituzioni della Comunità - (artt. 137-209), una
organica normativa sulla composizione, sui poteri, sull'esercizio delle
funzioni dei diversi organi, per cui l'ordinamento comunitario risulta
caratterizzato da un complesso di garanzie statutarie, e da un proprio
sistema di tutela giuridica. Per quanto concerne in specie i
regolamenti previsti dall'art. 189, oltre ai già precisati limiti di
competenza settoriale ratione materiae posti alla potestà normativa
del Consiglio e della Commissione dalle disposizioni del Trattato, deve
ricordarsi che l'operato di questi organi è soggetto al controllo
dell'Assemblea, composta di rappresentanti delegati dagli Stati membri,
e destinata, nell'auspicabile ulteriore sviluppo del processo di
integrazione, ad assumere una più diretta rappresentatività politica
e più ampi poteri; e che, d'altra parte, la loro azione si svolge con
la costante e diretta partecipazione del nostro Governo, e quindi anche
sotto il controllo, indiretto ma non perciò meno vigile ed attento,
del Parlamento italiano.
Secondo il Trattato, i regolamenti, così come le direttive e le
decisioni del Consiglio e della Commissione, debbono essere motivati, e
fare riferimento alle proposte o ai pareri obbligatoriamente richiesti
in esecuzione del Trattato (art. 190); e sono oggetto di regolare
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Comunità, dopo la quale
soltanto entrano in vigore, alla data da essi stabilita, o in mancanza,
nel ventesimo giorno successivo (art. 191).
A prescindere dalla inammissibilità del riferimento all'articolo
75 della Costituzione, risponde alle già illustrate caratteristiche
del sistema che i regolamenti comunitari, i quali debbono conseguire
applicazione diretta, simultanea ed uniforme in tutti gli Stati membri
e per tutti i soggetti appartenenti alla Comunità, non possano essere
oggetto di referendum popolare abrogativo nei diversi Stati.
Nella medesima prospettiva si deve valutare anche la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 189 del Trattato C.E.E., in
quanto permette l'emanazione di regolamenti contenenti imposizione di
prestazioni patrimoniali. Ciò non importa deroga alla riserva di legge
sancita dall'art. 23 della Costituzione, poiché questa disposizione
non è formalmente applicabile alle norme comunitarie, emanazione di
una fonte di produzione autonoma, propria di un ordinamento distinto da
quello interno. D'altra parte, anche sotto un profilo sostanziale,
sembra ovvio osservare che quella storica garanzia non potrebbe dirsi
violata, dal momento che i regolamenti comunitari debbono
statutariamente corrispondere ai principi e criteri direttivi stabiliti
dal Trattato istitutivo della Comunità.
9. - Appaiono egualmente infondati i dubbi relativi alla carenza di
controllo giurisdizionale da parte di questa Corte, a salvaguardia dei
diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione ai cittadini.
Si deve anzitutto considerare che l'ordinamento della Comunità
economica europea contiene uno speciale sistema di tutela
giurisdizionale, caratterizzato dalla pienezza delle funzioni
attribuite alla Corte di giustizia dagli artt. 164 e seguenti del
Trattato. La Corte di giustizia della Comunità, oltre ad assicurare
"il rispetto del diritto nella interpretazione e nella applicazione del
trattato" (art. 164), esercita il controllo di legittimità sugli atti
normativi del Consiglio e della Commissione, con competenza a conoscere
dei ricorsi "per incompetenza, violazione delle forme sostanziali,
violazione del trattato o di qualsiasi norma giuridica relativa alla
sua applicazione, ovvero per sviamento di potere", proposti da uno
Stato membro o da qualsiasi persona fisica o giuridica (art. 173, primo
e secondo comma); ed ha potere di annullamento degli atti impugnati
riconosciuti illegittimi, salva la facoltà di stabilire gli effetti
dei regolamenti annullati che debbano essere considerati come
definitivi (art. 174). La Corte di giustizia è altresì competente a
pronunciarsi in via pregiudiziale, alle condizioni stabilite dall'art.
177, sull'interpretazione del Trattato, sulla validità ed
interpretazione degli atti emanati dalle istituzioni della Comunità, e
sull'interpretazione degli statuti degli organismi creati con atto del
Consiglio, quando questioni del genere siano sollevate "davanti a una
giurisdizione di uno degli Stati membri".
L'ampiezza della tutela giurisdizionale che l'ordinamento
comunitario assicura contro gli atti dei suoi organi eventualmente
lesivi di diritti o interessi dei singoli soggetti è già stata
riconosciuta da questa Corte con la sentenza n. 98 del 1965, (che ha
dichiarato non fondata la questione di legittimità sollevata in
riferimento agli artt. 102 e 113 della Costituzione, con riguardo alla
pretesa specialità della Corte di giustizia come organo di
giurisdizione e al contenuto della tutela giurisdizionale dalla
medesima garantita).
Occorre, d'altro canto, ricordare che la competenza normativa degli
organi della C.E.E. è prevista dall'art. 189 del Trattato di Roma
limitatamente a materie concernenti i rapporti economici, ossia a
materie in ordine alle quali la nostra Costituzione stabilisce bensì
la riserva di legge o il rinvio alla legge, ma le precise e puntuali
disposizioni del Trattato forniscono sicura garanzia, talché appare
difficile configurare anche in astratto l'ipotesi che un regolamento
comunitario possa incidere in materia di rapporti civili,
etico-sociali, politici, con disposizioni contrastanti con la
Costituzione italiana. È appena il caso di aggiungere che in base
all'art. 11 della Costituzione sono state consentite limitazioni di
sovranità unicamente per il conseguimento delle finalità ivi
indicate; e deve quindi escludersi che siffatte limitazioni,
concretamente puntualizzate nel Trattato di Roma - sottoscritto da
Paesi i cui ordinamenti si ispirano ai principi dello Stato di diritto
e garantiscono le libertà essenziali dei cittadini -, possano comunque
comportare per gli organi della C.E.E. un inammissibile potere di
violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale,
o i diritti inalienabili della persona umana. Ed è ovvio che qualora
dovesse mai darsi all'art. 189 una sì aberrante interpretazione, in
tale ipotesi sarebbe sempre assicurata la garanzia del sindacato
giurisdizionale di questa Corte sulla perdurante compatibilità del
Trattato con i predetti principi fondamentali. Deve invece escludersi
che questa Corte possa sindacare singoli regolamenti, atteso che l'art.
134 della Costituzione riguarda soltanto il controllo di
costituzionalità nei confronti delle leggi e degli atti aventi forza
di legge dello Stato e delle Regioni, e tali, per quanto si è detto,
non sono i regolamenti comunitari.