Ritenuto in fatto:
1. - Con atto di citazione del 2 febbraio 1961 la Cassa edile
spezzina di mutualità ed assistenza conveniva in giudizio davanti al
Tribunale di La Spezia l'Impresa edile "Società a r. l. Cerretti e
Colombo" lamentando l'inadempimento degli obblighi sulla medesima
gravanti di denuncia dei lavoratori occupati e del versamento dei
contributi paritetici nonché dell'indennità al fondo ferie,
festività e gratifica natalizia, imposti dal regolamento della Cassa
medesima. Contro la sentenza del Tribunale che accoglieva, salvo
liquidazione, l'istanza attrice, veniva proposto appello alla Corte di
Genova la quale, con sua ordinanza del 18 luglio 1962, sollevava due
questioni di costituzionalità ritenute non manifestamente infondate e
rilevanti al fine della risoluzione della controversia. La prima,
relativa agli artt. da 1 a 7 della legge 14 luglio 1959, n. 741, per
violazione dell'autonomia sindacale garantita dall'ultimo comma
dell'art. 39 della Costituzione; la seconda riguardante l'articolo
unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, in quanto norma di recezione
degli artt. 34 e 62 del contratto nazionale del lavoro per gli operai
addetti alle industrie edilizie ed affini 24 luglio 1959, ed altresì
l'articolo unico del D.P.R. 9 maggio 1961, n. 715 (in quanto recepente
l'art. 11 del contratto collettivo integrativo per la Provincia di La
Spezia 2 ottobre 1959, oltre che l'intero contenuto dell'accordo
collettivo 30 settembre 1959 per la costituzione della Cassa edile
spezzina di mutualità ed assistenza e dell'accordo collettivo 2
ottobre 1959, diretto anche questo alla costituzione di tale cassa
edile ed alla redazione dello statuto e del regolamento della
medesima); ciò nella considerazione che le disposizioni denunciate
possono apparire in contrasto con gli artt. 70 e 77, primo comma, della
Costituzione, per eccesso dei poteri conferiti al Governo con la legge
delegante. Mentre, infatti, l'oggetto della delega conferita con la
legge n. 741 si identifica e si esaurisce nella emanazione di norme
atte ad assicurare ai lavoratori minimi di trattamento economico e
normativo, ossia di un trattamento suscettibile di valutazione
quantitativa, viceversa i decreti delegati, recependo con forza di
legge tutte le clausole dei contratti ed accordi collettivi, si
sarebbero spinti oltre l'ambito prestabilito, perché hanno
disciplinato sia le modalità di esazione di contributi e di
corresponsione del trattamento economico per ferie, gratifica e
festività, sia l'istituzione di un ente apposito, la Cassa edile, per
le relative operazioni, attribuendo a tale ente un'attività
previdenziale ed assistenziale, sancendo ancora l'automatica iscrizione
allo stesso di tutti gli operai del settore entro l'ambito della
Provincia, e l'imposizione obbligatoria di oneri contributivi a favore
dell'ente ed a carico (in misura paritetica) dei datori di lavoro e dei
lavoratori interessati, anche se non appartenenti alle associazioni che
hanno stipulato i singoli accordi provinciali. Conseguentemente,
sospeso il giudizio, disponeva il rinvio degli atti alla Corte
costituzionale.
L'ordinanza, debitamente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 3 novembre 1962, n. 279.
Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale si sono costituiti
il 17 settembre 1962 l'appellante S. r. l. "Impresa A. Cerretti e Geom.
Colombo" con l'assistenza e difesa dell'avv. Quinto Molignani, ed il
22 novembre 1962 l'appellata "Cassa edile spezzina di mutualità e di
assistenza", rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Santoro
Passarelli. È altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
con atto depositato in cancelleria il 9 ottobre 1962.
La difesa dell'appellante "Società Cerretti e Colombo", in ordine
al secondo motivo, riafferma l'impossibilità di comprendere nella
delega conferita al solo scopo di assicurare minimi salariali, le
disposizioni dei decreti presidenziali relativi alla facoltà conferita
alle associazioni stipulanti di imporre, per il tramite delle Casse
dalle medesime istituite nell'esercizio di una loro attività di
diritto privato, obblighi ed oneri anche nei confronti di quanti, pur
rientrando nella categoria degli edili, non fanno parte delle
associazioni predette. Conclude chiedendo, in via principale, che
venga dichiarata l'incostituzionalità della legge delegante n. 741, e
subordinatamente quella dei due decreti presidenziali denunciati.
La difesa della Cassa edile fa osservare, in ordine alla seconda
questione, come sia errato il presupposto da cui muove l'ordinanza
secondo cui il trattamento minimo voluto assicurare dalla legge
delegante sia esclusivamente quello suscettibile di una valutazione
quantitativa, poiché è vero, al contrario, che essa ha avuto ad
oggetto di garantire ai lavoratori anche un minimo normativo
comprendente tutto quanto attiene alla loro protezione, qual'è
conseguibile mediante l'integrale reazione dell'intera disciplina
collettiva, con il solo limite della conformità a norme imperative di
legge. Tuttavia - anche ad accettare la tesi contraria - non si può
contestare che rientri nel concetto di valutazione quantitativa una
disciplina che, adeguandosi agli speciali caratteri di mobilità nella
occupazione dei lavoratori edili nelle varie stagioni ed imprese, si
propone di assicurare loro il compenso dovuto per le ferie, la
gratifica e le festività. Alla luce di queste considerazioni non può
apparire incostituzionale né quella che impropriamente è stata
chiamata nell'ordinanza iscrizione automatica e coatta alla Cassa di
tutti gli operai del settore, ed è invece solo individuazione di
coloro a favore dei quali essa deve effettuare le sue prestazioni, e
neppure la imposizione di un contributo che si adegui al costo dei
servizi resi dalla Cassa stessa a favore di tutti gli operai
amministrati. Quanto poi alle prestazioni di carattere assistenziale e
previdenziale, di cui all'art. 4 dello statuto della Cassa spezzina, fa
rilevare come esse siano previste solo in via eventuale, senza
imposizione di obblighi, e che comunque, se altrimenti fosse, tali
prestazioni sarebbero da considerare integrative della retribuzione
(assumendo carattere di salario differito previdenziale) e fanno quindi
parte dello status, che la legge-delega ha voluto rendere uniforme per
tutti i lavoratori: mentre le prestazioni non obbligatorie della Cassa
sono consentite da proventi vari diversi dai contributi e quindi non
possono far sorgere alcuna questione di costituzionalità. Conclude
chiedendo che la questione proposta sia dichiarata infondata.
L'Avvocatura generale dello Stato ha svolto argomentazioni analoghe
a quelle prospettate dalla difesa della Cassa, trovando conforto per
esse anche nell'art. 2114 del Cod. civile che, prevedendo espressamente
la possibilità per i contratti collettivi di determinare i casi e le
forme di previdenza, comprova come la disciplina di tale materia non
sia estranea al contenuto proprio dei medesimi. In particolare fa
osservare come nel caso delle Casse edili la forma previdenziale, per
quanto riguarda i compensi per festività, ha chiaro carattere
sostitutivo del diritto spettante al lavoratore, salvo che si pone come
erogatore, in luogo dei singoli soggetti datori di lavoro, un soggetto
unico che provvede a mezzo dei contributi via via versati.
In data 18 maggio c. a. l'Impresa appellante ha depositato una
memoria, nella quale vengono riaffermate le argomentazione già svolte
nelle deduzioni, ed è messo in rilievo in primo luogo come, se pure è
vero che la percentuale ex art. 34 del contratto collettivo (e
solamente essa) sia elemento integrativo del trattamento economico, è
altrettanto vero che, costituendo esso una componente del salario, non
può venire gravata delle spese inerenti al funzionamento della Cassa,
tanto più quando la mercede conseguita di fatto si adegui al minimo
contrattuale, perché in tal caso la falcidia costituita dal concorso
alle spese predette viene a decurtare tale minimo, ed a porsi perciò
in contrasto con l'art. 36 della Costituzione. Si rileva inoltre come
dalla legge delegante non possa dedursi il conferimento, che è stato
effettuato a favore delle Casse (estranee al rapporto di lavoro), di un
potere di rappresentanza di tutti gli appartenenti alla categoria,
anche se non iscritti (in violazione dell'art. 39 della Costituzione),
considerandolo strumento necessario (mentre tale non è) per la
riscossione e l'accantonamento di una parte del salario. Aggiunge che
eccesso di delega vi sarebbe anche pel fatto della rimessione alla
discrezionalità delle associazioni stipulanti del potere di
determinare l'ammontare del contributo. Conclude chiedendo in via
principale che i decreti impugnati vengano dichiarati incostituzionali
o in subordine, che, in conformità al principio affermato con la
sentenza n. 107 del 1962, sia dichiarata la improponibilità della
questione, competendo al giudice di merito l'accertamento del contrasto
con norme imperative.
Anche l'Avvocatura generale dello Stato ha, in data 16 maggio 1963,
depositato una memoria, con la quale si fa rilevare come la sola
questione da esaminare in questa sede sia quella dell'eccesso di
delega, per la presunta recezione di materia che sarebbe estranea al
trattamento minimo (questione che trova la sua risoluzione nello stesso
testo dell'art. 1 della legge n. 741 che, nel fare riferimento al
trattamento economico e normativo, comprende ovviamente tutta la
disciplina contrattuale) mentre tutte le altre questioni attinenti al
contenuto dei contratti collettivi (come quelle relative ai compiti
delle Casse, alla posizione in esse dei non soci, alla natura giuridica
dei contributi) rientrano, a tenore della giurisprudenza di questa
Corte, nella competenza del giudice ordinario, e comunque esse si
palesano infondate.
2. - Nel corso di due procedimenti penali avanti al Pretore di
Eboli contro Santese Francesco e Cauceglia Giovanni la difesa degli
imputati sollevava eccezione di incostituzionalità dell'articolo unico
del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032 (e quindi degli artt. 34 e 62 del
contratto collettivo con esso recepito) nonché dell'articolo unico
dell'altro D.P.R. 9 maggio 1961, n. 865 (e quindi dell'art. 6 del
contratto integrativo, reso obbligatorio dal medesimo).
Con due ordinanze di identico contenuto in data 4 agosto 1962 il
Pretore ha ritenuto le questioni stesse rilevanti e non manifestamente
infondate, e ciò perché, in primo luogo, il decreto n. 1032 viola
l'art. 76 della Costituzione in quanto non solo non ha dato vita a
norme proprie, sia pure su materia fornita dai contratti collettivi, ma
ha recepito tutte le loro clausole, anche se, come quella di cui
all'art. 62, nessuna relazione hanno con i minimi di trattamento, cui
esclusivamente si riferiva la delega. Inoltre l'art. 62 medesimo,
elevando le Casse edili a rappresentanti necessarie di interessi di
categoria anche per i non iscritti, viola la libertà sindacale sancita
dall'art. 39 della Costituzione, sia perché importa subordinazione
delle associazioni non partecipi dell'accordo istitutivo delle Casse
mutue all'ordinamento interno di queste ultime, e sia perché obbliga i
non iscritti ad un'imposizione contributiva, non prevista dalla legge
delegante, ed altresì non determinata direttamente dalla norma
delegata bensì rimessa alla determinazione delle associazioni,
incorrendo così anche nella violazione dell'art. 23 della
Costituzione. Infine la stessa norma sulle Casse edili appare
contrastante altresì sia con l'art. 36 (in quanto obbliga il
prestatore d'opera a cedere una parte del proprio salario, pur se
questo non risulti superiore al minimo) e sia con l'art. 3 perché
stabilisce una sanzione solo per i datori di lavoro e non già per i
lavoratori che si rifiutino di versare il contributo.
Le ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono state
pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale 17 novembre 1962, n. 293.
Nel giudizio dinanzi alla Corte costituzionale è intervenuto il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato in
cancelleria il 7 dicembre 1962.
Nelle sue deduzioni l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che
non sussiste l'allegata violazione dell'articolo 76 della Costituzione
perché il sistema adottato dal legislatore delegato risponde al
comando della legge delegante che stabilisce la recezione di "tutte" le
clausole dei singoli contratti collettivi; né può validamente
sostenersi che le norme sulle Casse edili non attengano al trattamento
minimo "economico e normativo". Ugualmente infondata è la eccepita
violazione dell'art. 39 (poiché le Casse predette, rivestendo natura
di enti assistenziali, non rappresentano le categorie), nonché la
violazione dell'art. 23 della Costituzione in quanto i contributi
previsti non hanno natura tributaria: comunque, essendo gli stessi
imposti mediante decreti delegati, anche volendo attribuire loro una
tale natura, sarebbero sempre determinati in conformità al principio
costituzionale. Inesistente altresì l'allegato contrasto con l'art.
36 della Costituzione, perché questo non fissa alcuna modalità per il
pagamento della retribuzione e consente tutte le forme di
corresponsione per equivalente, ivi comprese le previdenze sostitutive.
Infine privo di base si palesa il riferimento al principio di
eguaglianza in ordine alla sanzione per l'inosservanza di un obbligo,
quale quello concernente il versamento dei contributi, che
istituzionalmente grava soltanto sui datori di lavoro e non può
perciò applicarsi ai lavoratori, essendo costoro i soggetti a favore
dei quali il trattamento minimo è disposto. Conclude chiedendo che le
questioni sollevate siano dichiarate infondate.
3. - Nel corso di un procedimento civile promosso avanti al Pretore
di Roma da Abbafati Sandro contro l'impresa edilizia "Antonelli e
Bonetti", il giudice con ordinanza 13 marzo 1962 ha sollevato d'ufficio
(disponendo il rinvio degli atti alla Corte costituzionale) questione
di legittimità costituzionale dell'art. 55 del contratto collettivo
nazionale di lavoro 24 luglio 1959 per gli operai addetti alle
industrie edilizie ed affini, recepito nell'articolo unico del D.P.R.
14 luglio 1960, n. 1032, emanato in virtù della delega contenuta nella
legge 14 luglio 1959, n. 741, articolo che stabilisce
l'improcedibilità della domanda giudiziale concernente controversie
che dovessero sorgere nell'applicazione dei contratti collettivi,
qualora, precedentemente, la controversia non sia stata sottoposta
all'esame delle competenti associazioni professionali degli industriali
e degli operai per sperimentare il tentativo di conciliazione delle
parti.
L'incostituzionalità è fatta valere sia nei confronti della legge
delegante che delle delegate. I vizi della prima deriverebbero, oltre
che dalla violazione dell'autonomia sindacale garantita dall'art. 39 e
dalla mancata determinazione dei criteri direttivi di cui all'art. 76
della Costituzione, dal fatto che l'emanazione della legge delegata
sarebbe subordinata all'arbitrio delle associazioni stipulanti, per cui
nella specie l'iniziativa legislativa apparterrebbe in realtà non al
Governo, come sancisce l'art. 71 della Costituzione, ma alle
associazioni sindacali di diritto privato; ed inoltre dalla violazione
dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, che assicura a tutti i
lavoratori, iscritti o non iscritti ai sindacati postcorporativi, una
retribuzione sufficiente. lnvero, poiché il comma terzo dell'art. 7
della legge n. 741 dispone che "alle norme che stabiliscono il
trattamento di cui sopra si può derogare, sia con accordi o contratti
collettivi che con contratti individuali soltanto a favore dei
lavoratori", qualora, dopo l'emanazione di un decreto delegato che
avesse stabilito la retribuzione minima per una certa categoria, le
associazioni sindacali di categoria venissero a determinare un salario
minimo più alto. Tale nuova retribuzione non potrebbe essere invocata
dai lavoratori non iscritti a quella associazione, né il giudice
potrebbe tener conto della stessa nei loro confronti per accertare la
retribuzione, dovendo invece, in relazione ai medesimi, essere
riconosciuta come retribuzione sufficiente quella fissata, anche se
molto tempo prima, dal decreto delegato emanato, in virtù della legge
14 luglio 1959, n. 741; il che, se pure sembra trovare giustificazione,
in riferimento al principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della
Costituzione, potendosi forse ravvisare una diversità di situazioni
soggettive fra lavoratori iscritti e non iscritti all'associazione
sindacale di diritto privato, sicuramente pone la legge n. 741 in
evidente contrasto con il dettato costituzionale in tema di
retribuzione.
L'ordinanza, regolarmente notificata e comunicata, è stata
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 19 gennaio 1963, n. 17. Nel
giudizio dinanzi alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, con deduzioni depositate il 10 aprile 1962.
L'Avvocatura generale dello Stato fa riferimento, rispetto alle
denunciate violazioni degli artt. 39, 71, 76 della Costituzione, alle
tesi difensive già svolte in relazione ai giudizi di legittimità
costituzionale che hanno dato luogo alle sentenze della Corte
costituzionale n. 106 e n. 107 del 1962, e si sofferma soltanto sul
nuovo profilo sollevato dal Pretore di Roma, che investe il contrasto
con l'art. 36 della Costituzione, osservando che la questione appare
infondata in quanto la legge n. 741 del 1959 non stabilisce che un
minimo, modificabile pertanto da qualsiasi fonte, se a favore del
lavoratore, e pertanto detto limite può ben essere superato dal potere
di equità che la norma costituzionale riconosce al giudice, ove la
retribuzione sufficiente si riveli più favorevole delle condizioni
minime determinate dai contratti recepiti in virtù della legge.
Conclude chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
4. - Nella discussione orale le parti rappresentate hanno svolto le
argomentazioni di cui alle difese scritte e insistito nelle
conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - L'identità delle questioni sottoposte dalle varie ordinanze
rende opportuno che esse vengano decise con unica sentenza.
2. - L'ordinanza della Corte di appello di Genova solleva in via
principale la questione della incostituzionalità degli articoli da 1 a
7 della legge delegante n. 741 del 1959 per violazione dell'art. 39,
quarto comma, della Costituzione, che ha voluto garantire l'autonomia
sindacale per l'emanazione di norme nella materia del lavoro fornite di
efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle varie categorie
di lavoratori. Il Pretore di Roma solleva la medesima questione, ed
inoltre prospetta altre due ragioni di incostituzionalità: la prima di
violazione dell'art. 76 per la mancata predeterminazione dei principi e
criteri direttivi dal medesimo richiesti, l'altra per contrasto con
l'art. 71 della Costituzione, in quanto, subordinando l'esercizio dei
poteri delegati al deposito dei contratti collettivi da parte delle
associazioni interessate, sottrae al Governo l'iniziativa di cui esso
avrebbe dovuto invece liberamente disporre. Tutte le questioni così
prospettate sono state già esaminate dalla Corte, la quale ne ha
ritenuto l'infondatezza con la sentenza n. 106 del 1962. E poiché non
sono stati addotti motivi nuovi a loro sostegno, e neppure esse sono
proposte in termini o sotto aspetti diversi da quelli già esaminati,
la precedente pronuncia deve essere confermata.
3. - Una questione nuova, invece, solleva l'ordinanza del Pretore
di Roma in ordine alla costituzionalità dell'art. 7 della predetta
legge n. 741, nella considerazione del suo contrasto con l'art. 36
della Costituzione. Tale questione sarebbe da ritenere fondata se
fossero esatti i motivi addotti a suo sostegno, se cioè fosse vero che
nell'ipotesi prospettata di un aumento dei minimi salariali resi
obbligatori dalla legge di delegazione, che sia stato disposto
successivamente alla emanazione di questa, mediante nuovi contratti
collettivi di diritto privato e perciò valevoli per i soli iscritti
alle associazioni stipulanti, rimanga precluso ai lavoratori a queste
estranei il ricorso all'autorità giudiziaria onde ottenere
l'adeguazione dei minimi predetti alla nuova situazione sopravvenuta.
Una tale interpretazione non è però da accogliere poiché, se l'art.
7 nell'ultimo comma ha esplicitamente ammesso la derogabilità a favore
dei lavoratori delle norme recepite dalla legge delegante per effetto
di nuove più favorevoli pattuizioni contenute in contratti collettivi
o individuali, non ha con ciò inteso escludere l'intervento del
giudice. Né l'avrebbe potuto, trovando questo un suo preciso e
diretto fondamento nell'art. 36 della Costituzione. Sicché, nel caso
ipotizzato dal Pretore nessun dubbio sorge circa la legittimazione dei
lavoratori non associati ai sindacati che ebbero a dar vita ai
contratti collettivi recepiti nella legge di chiedere ed ottenere la
rivalutazione del trattamento economico nei contratti medesimi.
Rivalutazione che dovrebbe rinvenire proprio nei nuovi accordi
stipulati dai sindacati medesimi uno degli indici rivelatori del
mutamento verificatosi e della non corrispondenza ad essa del
precedente trattamento.
4. - Le altre censure mosse dalla Corte di Genova, e tutte quelle
sollevate nell'ordinanza del Pretore di Eboli si appuntano, le prime,
al D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032 (per la recezione effettuata degli
artt. 34 e 62 del contratto collettivo nazionale di lavoro in data 24
luglio 1959 per gli operai dell'industria edilizia e affini), nonché
al successivo decreto presidenziale 9 maggio 1961, n. 715 (recepente
l'art. 11 del contratto collettivo integrativo 2 ottobre 1959 per la
Provincia di La Spezia, nonché l'intero contenuto dell'accordo
collettivo 30 settembre e 2 ottobre 1959 per la costituzione della
Cassa edile spezzina), e le seconde, allo stesso decreto n. 1032 (per
la recezione dell'art. 62), nonché all'altro decreto presidenziale 9
maggio 1961, n. 865 (con riferimento all'art. 6 del contratto
collettivo integrativo recepito il 30 settembre 1959 da valere per gli
operai addetti alle industrie edilizia ed affini della Provincia di
Salerno), sempre sotto l'aspetto della violazione dell'art. 76 della
Costituzione, per eccesso dalla delega da parte dei decreti menzionati,
essendosi ritenuto che essi, in violazione dell'art. 1 della legge n.
741, hanno reso obbligatorio per tutti disposizioni, come quelle
denunciate, estranee alla materia da disciplinare.
La risoluzione della questione, prospettata nei termini riferiti,
compete alla Corte poiché essa esige l'interpretazione della legge di
delegazione onde accertare l'ambito del potere normativo conferito e
l'eventuale esorbitanza incorsa nell'esercizio del potere medesimo. Al
riguardo è da osservare che gli artt. 1 e 4 della legge n. 741, nel
prescrivere al Governo di uniformarsi nell'emanazione delle norme di
sua competenza a "tutte" le clausole dei singoli accordi economici e
contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali, nonché
del contratti integrativi provinciali cui abbiano fatto rinvio
contratti collettivi nazionali, oppure dei contratti collettivi
stipulati in sede provinciale da associazioni affiliate ad altre aventi
carattere nazionale, hanno imposto a tale attività un duplice limite:
e cioè, uno, più particolare e di carattere negativo, sancito
nell'art. 5, costituito dal divieto di accogliere disposizioni
contrattuali contrastanti con norme imperative di legge (ed operante,
come la Corte ha ritenuto con la sentenza n. 106 del 1962, direttamente
sui contratti collettivi, così da precludere l'assunzione delle
medesime nei decreti delegati); l'altro, più generale, della
corrispondenza delle disposizioni predette al fine specifico voluto
perseguire dalla legge stessa (fine che assume nella specie la stessa
funzione di predeterminazione dei principi e criteri direttivi
richiesta dall'art. 76 onde conferire validità alla delegazione
legislativa) di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico
e normativo nei confronti di tutti gli appartenenti alla stessa
categoria.
La tesi enunciata dalla difesa della Cassa edile spezzina e
dall'Avvocatura dello Stato, secondo cui l'uniformità del trattamento
minimo che il legislatore ha voluto assicurare è realizzabile sola a
patto di una integrale recezione di tutta la disciplina collettiva,
quale che sia il contenuto delle singole norme, purché non derogative
di disposizioni imperative di legge, trascura di considerare la
generale finalità cui la reazione stessa è indirizzata e nel cui
conseguimento deve trovare il suo limite non valicabile.
Si tratta, pertanto, di accertare se le disposizioni denunciate
degli accordi o contratti collettivi e di quelli integrativi, le quali
tutte si riferiscono agli obblighi derivanti per gli addetti alle
industrie edilizie ed affini dalla costituzione di Casse edili,
corrispondano alla finalità predetta e pertanto siano suscettibili di
farsi valere obbligatoriamente anche in confronto ai non iscritti alle
associazioni che li hanno stipulati. Non è sufficiente a contestare
tale obbligatorietà la considerazione fatta valere dalla Corte di
appello di Genova secondo cui i minimi cui la legge ha riguardo sono
solo quelli valutabili quantitativamente, poiché è invece da ritenere
che la formula adoperata consenta di includervi ogni specie di
pattuizioni necessarie ad assicurare al lavoratore un'esistenza
corrispondente alla dignità della persona umana, a tenore del
principio generale sanzionato nell'art. 36 della Costituzione. La
difesa della Cassa edile spezzina sostiene che le clausole relative
alle Casse edili corrispondano a tali requisiti, nella considerazione
che le peculiarità delle prestazioni lavorative da parte dei
prestatori di opera nell'industria edilizia rendono impossibile
l'applicazione della disciplina normale in ordine alle ferie, alla
gratifica ed alle festività; e quindi costringono ad attribuire ad
appositi enti il compito di riscuotere ed accantonare in conti
intestati al nome dei singoli operai una percentuale della paga, da cui
sono poi da trarre i compensi di loro spettanza. Senonché l'esistenza
di tale asserita inscindibile correlazione fra il fine da conseguire ed
il mezzo prescelto risulta smentita sia dallo stesso art. 34 del
contratto collettivo 24 luglio 1959, richiamato dal D.P.R. n. 1032 del
1960, il quale dispone che il trattamento economico dovuto per le voci
che si sono indicate, e che indubbiamente costituiscono parte
integrante del salario, viene assolto dalle imprese mediante la
corresponsione di una percentuale complessiva determinabile sulla base
di molteplici elementi, percentuale che va accantonata a cura delle
imprese stesse presso un istituto bancario (o solo eventualmente presso
la Cassa edile, ove esista), e sia dall'art. 5 del citato contratto
collettivo integrativo 30 settembre 1959 per gli operai edili della
Provincia di Salerno che prevede l'accantonamento mensile presso un
istituto bancario delle percentuali relative al trattamento per ferie,
gratifica e festività.
Ora, mentre quest'ultima predisposizione rivolta all'assolvimento
dell'obbligo imposto dall'art. 34, soddisfa pienamente le esigenze
proprie del particolare contratto di lavoro edile, senza far venire
meno la immediatezza del rapporto fra datori di lavoro e lavoratori (la
cui disciplina costituisce l'oggetto proprio dei contratti collettivi),
e non produce alcun aggravio di spese, né decurtazione di salario a
danno del lavoratore, sicché la sua estensione a tutti gli
appartenenti alla categoria, anche se non iscritti, vale a soddisfare i
fini della legge delegante, viceversa la istituzione di Casse edili è
effettuabile in conseguenza della assunzione di obblighi corrispettivi
da parte delle associazioni che la deliberano, attiene cioè ad una
materia estranea alla diretta disciplina dei rapporti di lavoro, cui
solamente ha riguardo l'art. 1 della legge delegante, ed ha per effetto
di interporre fra i soggetti individuali di tali rapporti un ente
estraneo ad essi, con gli oneri conseguenti alla sua istituzione e al
suo funzionamento.
Se non è dubbio che la predisposizione di misure di questo ultimo
tipo rientra nell'autonomia delle associazioni sindacali ed ha per
effetto di vincolare ad esse tutti i loro iscritti, viceversa è da
escludere che di esse si possa richiedere il rispetto da parte dei non
associati, come invece pretendono di fare tanto il D.P.R. n. 1032 che
ha recepito l'art. 62 del citato contratto collettivo (il quale prevede
l'istituzione della Cassa e l'art. 11 dell'accordo per la Provincia di
La Spezia 2 ottobre 1959 che addossa gli oneri da essa derivanti a
tutte le imprese, indipendentemente dalla loro appartenenza alle
organizzazioni stipulanti, secondo è ulteriormente specificato
dall'art. 5 dello statuto della Cassa, a tenore del quale sono
automaticamente iscritti a questa tutti gli operai edili prestanti
servizio nella Provincia stessa), quanto il D.P.R. n. 865 (che ha
recepito l'art. 6 del contratto collettivo 30 settembre 1959, di
analogo contenuto, per la Provincia di Salerno).
Dovendosi ritenere estranei agli interessi voluti tutelare dalla
legge delegante i compiti affidati alle Casse, che vengono prospettati
come meramente strumentali allo scopo della corresponsione del
trattamento retributivo, in quanto non solo non necessari a garantire i
minimi ed anzi suscettibili di incidere dannosamente su di essi, a
maggior ragione deve ritenersi eccedente dai limiti posti dalla legge
l'estensione ai non iscritti delle attività di carattere assistenziale
e previdenziale, pure previste dagli statuti e regolamenti delle Casse
predette, alle quali rinviano le disposizioni dei contratti collettivi.
Anche a volere ammettere, in ipotesi, che sia consentito a questi di
disporre speciali forme di assistenza, affidandole ad istituti diversi
da quelli considerati dall'art. 38 della Costituzione, non potrebbe mai
consentirsi che oneri e prestazioni a tale titolo (proprio perché
assicurati attraverso l'opera degli organi e enti di cui alla
disposizione ora ricordata) siano da includere dei minimi normativi
obbligatori cui ha avuto riguardo il legislatore delegante.
L'accertamento dell'evidente eccesso di delega in cui sono incorse
le norme denunciate assorbe ogni indagine circa la violazione di altre
norme costituzionali, diverse da quelle dell'art. 76.