Titolo
SENT. 16/61 A. BILANCIO - LEGGI CHE IMPORTINO NUOVE O MAGGIORI SPESE - COPERTURA DELLE SPESE CON L'ISCRIZIONE IN BILANCIO DI ENTRATE CHE SI RIFERISCONO A ESERCIZI FUTURI - INAMMISSIBILITA'.
Testo
L'obbligo del legislatore di indicare i mezzi di copertura di una nuova o maggiore spesa non puo' ritenersi assolto mediante l'autorizzazione a iscrivere nel bilancio entrate che devono essere contemplate negli stati di previsione relativi ad esercizi futuri e percio', nel momento nel quale la iscrizione si verifichera', incerte ed eventuali, anzi affatto inesistenti.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 81
Riferimenti normativi
legge della Regione siciliana
04/08/1960
n. 30
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 16/61 B. BILANCIO - GIACENZE DI CASSA - NATURA DI RESIDUI PASSIVI - DESTINAZIONE ALLA COPERTURA DI NUOVE SPESE - INAMMISSIBILITA'.
Testo
Le giacenze (riserva) di cassa, costituite da somme destinate a spese impegnate e non effettivamente erogate nel corso di un esercizio finanziario, non possono essere destinate alla copertura di nuove o maggiori spese, in quanto non costituiscono "i mezzi per far fronte alla spesa" indicati nell'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione, avendo la natura dei "residui passivi", le cui norme vanno ad esse applicate.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 81
Riferimenti normativi
legge della Regione siciliana
04/08/1960
n. 30
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 16/61 C. BILANCIO - PARTITE DI GIRO - MOTIVI PER CUI SE NE EFFETTUA L'ISCRIZIONE.
Testo
Le partite di giro, sorte originariamente per l'iscrizione nei bilanci di entrate o di spese previste per conto di terzi, rappresentano ora genericamente entrate e spese che si pareggiano puntualmente, e nei confronti delle quali l'ente a cui il bilancio si riferisce si pone insieme come debitore e creditore. Tali partite non danno luogo a movimento materiale di fondi e riguardano in ogni caso la competenza dell'esercizio nel quale figurano iscritte.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 81
Riferimenti normativi
legge della Regione siciliana
04/08/1960
n. 30
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 16/61 D. REGIONE - LEGGI REGIONALI CHE IMPORTINO NUOVE SPESE - MEZZI DI COPERTURA - INDICAZIONE OBBLIGATORIA. REGIONE SICILIANA - LEGGE REGIONALE 4 AGOSTO 1960, N. 30 (PROVVIDENZE PER LE CITTA' CON OLTRE 150.000 ABITANTI) - ART. 1, ULTIMO COMMA: AUTORIZZAZIONE DI SPESE PER LE CITTA' DI PALERMO, MESSINA E CATANIA - OMESSA INDICAZIONE DEI MEZZI DI COPERTURA - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
Le leggi regionali che importino nuove e maggiori spese, rispetto a quelle autorizzate dalla legge di approvazione del bilancio, devono indicare i mezzi che ne assicurino la copertura, in conformita' al precetto contenuto nell'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione. La norma contenuta nell'art. 1, ultimo comma, della legge regionale siciliana 4 agosto 1960, n. 30, recante "Provvidenze in favore delle citta' della Regione con popolazione superiore ai 150.000 abitanti" e' costituzionalmente illegittima perche' autorizza una spesa complessiva di sei miliardi per le citta' di Palermo, Messina e Catania, ma non indica i mezzi per far fronte alla spesa, non essendo idonea a soddisfare il precetto dell'art. 81 della Costituzione l'autorizzazione conferita all'assessore regionale di anticipare gli stanziamenti necessari a norma del D. Pres. Reg. 9 maggio 1950 n. 17, (ratificato con legge regionale 14 dicembre 1950 n. 96) che istituisce, nella parte straordinaria del bilancio della Regione, la categoria III, riguardante le entrate e le spese per partite di giro.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 81
Riferimenti normativi
legge della Regione siciliana
04/08/1960
n. 30
art. 1
co. 0
decreto del Presidente della Regione siciliana
09/05/1950
n. 17
art. 0
co. 0
legge della Regione siciliana
14/12/1950
n. 96
art. 0
co. 0
Titolo
SENT. 16/61 E. REGIONE SICILIANA - ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI - COMPETENZA LEGISLATIVA ESCLUSIVA DELLA REGIONE - LIMITI - LEGGE REGIONALE 4 AGOSTO 1960, N. 30 ("PROVVIDENZE IN FAVORE DELLE CITTA' DELLA REGIONE CON POPOLAZIONE SUPERIORE AI 150.000 ABITANTI") - ART. 2, SECONDO COMMA: ISTITUZIONE DI COMMISSIONE CONSULTIVA PER ALCUNE DELIBERAZIONI DELLE GIUNTE COMUNALI - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
L'ordinamento degli Enti locali deve avere nel vigente sistema costituzionale carattere di generalita' e di uniformita'. A tali criteri deve anche ispirarsi la potesta' legislativa esclusiva spettante alla Regione siciliana in materia di ordinamento e controllo degli Enti locali. Una legge della Regione siciliana che intenda apportare modifiche al funzionamento degli organi degli Enti locali deve prendere in considerazione ipotesi generali ed astratte e non gia' casi singoli, anche se debba regolare situazioni speciali. Viola il principio dell'autonomia degli enti locali, sancito nell'art. 15, secondo comma, dello Statuto della Regione, la norma contenuta nell'art. 2, secondo comma, della legge siciliana 4 agosto 1960, n. 30, recante "Provvidenze in favore delle citta' della Regione con popolazione superiore ai 150.000 abitanti": norma con cui si stabilisce che le determinazioni delle giunte comunali relative alla progettazione di spese o all'appalto con pubblica gara o alla gestione tecnico-amministrativa dei lavori, devono essere adottate sentito il parere di una speciale commissione eletta dal consiglio comunale con un sistema di votazione diretto ad assicurare la rappresentanza della minoranza.
Parametri costituzionali
statuto regione Sicilia
art. 15
co. 2
Riferimenti normativi
legge della Regione siciliana
04/08/1960
n. 30
art. 2
co. 2
N. 16
SENTENZA 23 MARZO 1961
Deposito in cancelleria: 31 marzo 1961.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 83 del 1 aprile 1961
e in "Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana" n. 15
del 10 aprile 1961.
Pres. CAPPI - Rel. CASSANDRO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Avv. GlUSEPPE CAPPI, Presidente - Prof.
GASPARE AMBROSINI - Dott. MARIO COSATTI - Prof. FRANCESCO PANTALEO
GABRIELI - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO -
Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO
PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof.
GIUSEPPE BRANCA - Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI -
Prof. GIUSEPPE CHIARELLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata
dall'Assemblea regionale siciliana nella seduta del 15 giugno 1960
recante: "Provvidenze in favore delle città della Regione con
popolazione superiore a 150.000 abitanti", promosso con ricorso del
Commissario dello Stato per la Regione siciliana, notificato il 23
giugno 1960, depositato nella cancelleria della Corte costituzionale
il 2 luglio 1960 ed iscritto al n. 13 del Registro ricorsi 1960.
Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione
siciliana;
udita nell'udienza pubblica del 1 marzo 1961 la relazione del
Giudice Giovanni Cassandro;
uditi il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il
ricorrente, e gli avvocati Pietro Virga e Vincenzo Gueli, per il
Presidente della Regione siciliana.
Ritenuto in fatto:
1. - Nella seduta del 15 giugno 1960 l'Assemblea regionale
siciliana ha approvato la legge recante "Provvidenze in favore delle
città della Regione con Popolazione superiore a 150.000 abitanti".
Questa legge, che nelle more del giudizio è stata promulgata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana del 10
agosto 1960, n. 33, diventando la legge regionale 4 agosto 1960, n.
30, integra la legge regionale 4 dicembre 1954, n. 43, che detta norme
per favorire la esecuzione di opere relative alle condutture nel
sottosuolo delle città siciliane con popolazione superiore a 150.000
abitanti, autorizzando con l'art. 1 una spesa complessiva di 6
miliardi, ripartita variamente tra le città di Palermo, Messina e
Catania e da iscrivere nei bilanci di previsione della Regione per gli
anni dal 1960-61 al 1965-66 col seguente criterio: mezzo miliardo nei
primi due; un miliardo nei due successivi, e un miliardo e mezzo negli
ultimi due degli esercizi considerati. L'ultimo comma di questo
articolo autorizza l'Assessore regionale per il bilancio ad anticipare,
se occorra, le somme stanziate nei vari esercizi a norma del D.L.P.R. 9
maggio 1950, n. 17, ratificato con legge 14 dicembre 1950, n. 96, col
quale è stata istituita nel bilancio regionale la categoria terza,
riguardante le entrate e le spese per partite di giro. In relazione
con questo articolo, l'art. 4 ha autorizzato l'Assessore del bilancio
ad apportare con decreto le eventuali variazioni di bilancio occorrenti
per l'attuazione della legge.
L'art. 2, secondo comma, stabilisce, poi, che le determinazioni che
le Giunte comunali o l'Assessore del ramo competente di ciascun Comune
devono adottare per provvedere alla progettazione delle opere e
all'appalto con pubblica gara e alla gestione tecnica amministrativa
dei lavori (art. 2, primo comma) devono essere adottate "sentito il
parere di una commissione con poteri consultivi, composta da nove
consiglieri comunali, eletta dal Consiglio comunale con una votazione
nella quale ogni consigliere abbia voto limitato a sei nomi al fine di
assicurare la rappresentanza della minoranza".
2. - Il Commissario dello Stato per la Regione siciliana ha
ritenuto costituzionalmente illegittime le norme contenute negli artt.
1, secondo comma, 4 e 2, secondo comma, della legge e
dell'illegittimità ha chiesto alla Corte la dichiarazione con
deduzioni depositate il 2 luglio 1960.
Sostiene, infatti, il Commissario dello Stato che l'autorizzazione
prevista dall'art. 1 concreta una manifesta violazione dell'art. 81
della Costituzione; qui si tratterebbe non già di una partita di giro,
ma di una spesa effettiva che può essere fatta per intero e in un solo
esercizio, senza che ci sia la relativa copertura, dato che questa non
può essere costituita col rimedio, puramente contabile e figurativo,
dell'anticipazione a carico di esercizi futuri. L'illegittimità
costituzionale della norma contenuta nell'art. 4 sarebbe conseguenza
necessaria dell'illegittimità di questa contenuta nell'art. 1, ultimo
comma.
Viceversa, l'illegittimità della norma dell'art. 2, secondo comma,
risulterebbe dalla violazione che essa commette del principio
dell'autonomia comunale sancito nell'art. 15 dello Statuto speciale per
la Regione siciliana, in quanto essa crea un organo atipico senza
riscontro nell'ordinamento degli enti locali della Regione siciliana e
del quale sono preventivamente determinati il numero dei membri, la
composizione e le modalità di elezione. Tutto ciò rappresenterebbe
"una arbitraria ingerenza del potere legislativo regionale nel libero
apprezzamento delle Amministrazioni comunali", le quali, se
ritenessero necessaria e opportuna la creazione di un apposito organo
per l'esecuzione della legge impugnata, dovrebbero poterlo fare "con
autonoma determinazione, nel rispetto delle competenze dei vari organi
ed uffici comunali... già ben definite dalle disposizioni vigenti".
3. - Resiste al ricorso la Regione siciliana, che si è costituita
in giudizio, depositando le sue deduzioni il 12 luglio 1960. La difesa
regionale, ricordato preliminarmente che il procedimento contabile
della cui legittimità costituzionale si discute, è stato stabilito da
una legge regionale 4 dicembre 1950, n. 96, non impugnata davanti
all'Alta Corte per la Regione siciliana, ed è stata, anzi, da questa
medesima Corte in più occasioni considerato legittimo, afferma che
l'asserito contrasto con l'art. 81 della Costituzione non sussiste.
Questo articolo, infatti, stabilisce che ogni legge deliberativa di
una nuova spesa indichi i relativi mezzi di copertura e afferma il
carattere formale della legge di bilancio escludendo che questa possa
introdurre nuove spese o nuove entrate non previste da una precedente
legge materiale. Un procedimento contabile come quello in esame, col
quale si consente il recupero di uno o più degli stanziamenti
pluriennali, mediante trasferimento da un esercizio successivo ad un
esercizio precedente, per la sua stessa natura, non urta nei precetti
dell'art. 81, ora richiamato, e non può perciò essere considerato
illegittimo. Nel punto in cui, viceversa, un contrasto potrebbe
sorgere, la legge in esame è in perfetta aderenza al disposto
costituzionale, in quanto stabilisce una spesa e indica
contemporaneamente negli stanziamenti di bilancio la necessaria
copertura.
Quanto alle commissioni consultive previste dall'art. 2 della
legge, la Regione sostiene che esse erano già esistenti per i tre
Comuni interessati "in virtù di interne norme regolamentari" e non si
è fatto se non estenderne la competenza, prevista per le deliberazioni
del Consiglio, anche alle determinazioni dell'Assessore e della Giunta;
da codesta estensione l'autonomia comunale non sarebbe scalfita, semmai
ne risulterebbe rafforzata, preordinandosi con essa una più ampia e
intensa partecipazione del Consiglio all'attività comunale in materia
di lavori pubblici.
D'altra parte, poiché l'autonomia comunale sarebbe una "direttiva
che la legge costituzionale impone alla potestà legislativa regionale
in materia di enti locali", nulla vieterebbe alla Regione di dettare
anche norme speciali, sempre che si tenga nello spirito dell'autonomia
e sufficienti ragioni lo consiglino. E, nel caso, codeste ragioni
sarebbero nel fatto che si tratta di un'attività della Regione a
carattere decentrato, di un affidamento ai Comuni della esecuzione di
opere pubbliche mediante il sistema della "concessione".
4. - In una memoria depositata il 23 dicembre 1960 l'Avvocatura
dello Stato chiarisce, in primo luogo, due punti: che essa non intende
impugnare la costituzionalità del procedimento contabile della legge
regionale sopra ricordato, ma l'uso che se ne vuol fare per eludere
il precetto dell'art. 81 della Costituzione; e che nemmeno in
discussione è la regolarità costituzionale della ripartizione in sei
esercizi della spesa deliberata dalla Regione con copertura nei
rispettivi esercizi, ma "l'alternativa" - scrive testualmente -
"rimessa alla discrezione dell'Assessore del bilancio di effettuare la
spesa complessiva con entrate puramente e sicuramente figurative e,
quindi, in deroga inammissibile del predetto art. 81". In secondo
luogo, per quel che attiene al secondo comma dell'art. 2 della legge
impugnata, riafferma che il legislatore regionale non potrebbe né
creare un organo atipico qual è quello previsto dalla legge, sia pure
con funzioni consultive, né tanto meno imporre al Comune il modo col
quale debbono venire nominati i componenti del collegio e il modo col
quale il collegio deve funzionare. Né sarebbe sostenibile la tesi
della difesa regionale che l'organo consultivo sarebbe previsto come
contropartita dell'affidamento fatto dalla Regione ai Comuni
dell'esecuzione delle opere pubbliche in questione, mediante il
sistema della concessione, perché gli stessi argomenti addotti dalla
difesa regionale starebbero in definitiva a dimostrare che qui non si
tratta se non di un rigido controllo imposto agli organi comunali e di
una grave limitazione apportata alle competenze degli uffici comunali:
l'una e l'altra in contrasto col principio costituzionale
dell'autonomia degli enti locali.
5. - In una memoria depositata il 5 gennaio scorso la difesa della
Regione ripropone e illustra le sue tesi insistendo per il rigetto del
ricorso dello Stato. In particolare, quanto al primo motivo di ricorso
si osserva:
1) che il procedimento contabile di cui la Regione si avvale fu
riconosciuto perfettamente legittimo da una sentenza dell'Alta Corte
per la Sicilia del 21 dicembre 1954 - 6 maggio 1955;
2) la categoria III del bilancio regionale, pur essendo inserita in
un bilancio di competenza, costituirebbe una riserva di cassa;
l'operazione finanziaria che mediante essa si realizza e che consiste
nell'iscrizione all'entrata di stanziamenti disposti per più esercizi
e all'uscita di spese che saranno sostenute, invece, nell'esercizio
considerato, non avrebbe attinenza all'impiego della spesa, bensì al
pagamento di essa e per tale sua natura sfuggirebbe all'efficacia
dell'art. 81 della Costituzione. Se mai, aggiunge la difesa regionale,
dovrebbe essere la Corte dei conti, in sede di riscontro della
regolarità dei singoli mandati, ad accertare l'esistenza della
disponibilità di cassa;
3) la possibilità di recupero da un esercizio all'altro di
stanziamenti pluriennali sarebbe ammessa in maniera analoga dalla legge
statale 27 febbraio 1955, n. 64.
Quanto al secondo motivo del ricorso, ribadito che il parere di una
commissione consiliare sarebbe spiegato dal fatto che qui si
tratterebbe dell'attuazione di opere pubbliche mediante il sistema
della concessione dalla Regione ai Comuni, la difesa regionale nega che
la istituzione di questa commissione e il parere che obbligatoriamente
essa deve dare, violi l'autonomia comunale perché: 1) non si
sottopongono gli atti del Comune a un controllo esterno; 2) si tratta
di semplici pareri non vincolanti; 3) la legge non ha istituito alcun
organo nuovo, dato che la commissione consiliare esisterebbe e
funzionerebbe in tutti e tre i grandi Comuni della Sicilia.
6. - Nell'udienza del 1 marzo 1961 le difese delle parti hanno
illustrato le tesi già proposte negli scritti difensivi e insistito
nelle già prese conclusioni.
Considerato in diritto:
1. - La difesa del Commissario dello Stato ha riconosciuto che non
rientra nei limiti del presente giudizio la questione della
legittimità costituzionale della norma contenuta nel secondo comma
dell'art. 1 della legge impugnata, la quale provvede alla copertura
della prevista spesa complessiva di sei miliardi, mediante
l'iscrizione, secondo una certa ripartizione, nei bilanci di previsione
dei futuri esercizi finanziari regionali dal 1960-61 al 1965-66.
La Corte è chiamata, pertanto, a risolvere soltanto la questione
di costituzionalità della norma dell'ultimo comma dell'art. 1 della
legge, che autorizza l'Assessore del bilancio ad "anticipare" gli
stanziamenti la cui iscrizione è prevista negli eserczi ora indicati,
1960-61 a 1965-66, mediante iscrizione nella categoria III, lett. a
(partite di giro vere e proprie). Non è contestabile, e non è
contestato dalla difesa regionale, che tale iscrizione è rimessa
dalla legge alla valutazione discrezionale dell'Assessore per il
bilancio, il quale perciò può effettuarla in parte o per intero, in
uno o in più di uno degli esercizi considerati.
La tesi del Commissario dello Stato che questa norma violi il
precetto costituzionale dell'art. 81, ultimo comma, della Costituzione
è fondata. L'obbligo del legislatore regionale di indicare i mezzi di
copertura di una nuova o maggiore spesa non può ritenersi assolto
mediante l'autorizzazione a iscrivere nel bilancio entrate che devono
essere contemplate negli stati di previsione relativi ad esercizi
futuri e perciò, nel momento nel quale l'iscrizione si verificherà,
incerte ed eventuali, anzi affatto inesistenti. Un procedimento di
questo genere si risolve in una mera finzione contabile, elusiva del
rigoroso precetto costituzionale, e in virtù sua i bilanci di
previsione della Regione finiscono con l'apparire in rapporti reciproci
di credito e di debito, come è rivelato dalla terminologia adoperata
nelle leggi di bilancio che codesto procedimento hanno attuato:
"anticipazione a carico dell'esercizio in corso" e "recuperi nei
confronti degli esercizi futuri".
L'affermazione della difesa regionale che qui non sorgerebbe alcun
contrasto con la norma dell'art. 81 della Costituzione perché la
categoria III del bilancio regionale costituisce una specie di riserva
di cassa, pur essendo iscritta in un bilancio di competenza, è
affermazione tale che è persino difficile dimostrarne l'infondatezza.
Nessuna dimostrazione, infatti, la difesa regionale ha tentato di dare
non soltanto della trasformazione di una categoria di spese in una
"riserva di cassa" ignota, del resto, al bilancio regionale, come a
quello statale, ma anche della trasformazione di voci che chiaramente
attengono alla competenza, iscritte in un bilancio di competenza, in
voci attinenti alla "cassa".
Del resto, quest'affermazione della difesa regionale è conseguenza
dell'equivoco nel quale essa è incorsa, confondendo il modo concreto
col quale la Regione si propone di fare fronte alla spesa, mediante il
ricorso, cioè, alle cosiddette giacenze, con la questione, che sola
viene in considerazione e tutt'affatto diversa, del legittimo modo di
assicurare la copertura di una spesa.
La Corte non deve rispondere al quesito che, specialmente nella
discussione orale, ha proposto la difesa regionale intorno
all'utilizzazione delle cosiddette giacenze, che sarebbero cospicue e
cagionerebbero serie preoccupazioni agli amministratori regionali. È
ovvio che un problema siffatto, originato, a quel che la Regione dice,
dal divario di tempo che necessariamente intercorre tra l'impegno della
spesa e l'effettiva sua erogazione, non è un problema di
costituzionalità. Si può soltanto dire che codeste giacenze,
risultando, come pare, da somme destinate a spese impegnate e non
effettivamente erogate nel corso di un esercizio, dovrebbero avere la
natura e osservare il regolamento dettato per i "residui passivi". Con
che, per altro, è anche confermato come non possa essere considerato
conforme alle norme dell'art. 81 della Costituzione destinarle a
copertura di nuove o maggiori spese.
2. - Contro queste conclusioni non vale richiamarsi, come la
Regione si richiama, al decreto legislativo del Presidente della
Regione siciliana 9 maggio 1950, n. 17, ratificato con legge 14
dicembre 1950, n. 96. Questo decreto non autorizza punto il
procedimento di "anticipazione" e "recupero" nei termini nei quali la
Regione intende applicano, ma si limita a istituire, nel titolo II
della parte straordinaria del bilancio, la categoria III, "entrate per
partite di giro" e "spese per partite di giro", rispettivamente nella
previsione dell'entrata e della spesa (art. 1), e a specificare che
codesta cat. III comprende, insieme con altre voci, questa
contraddistinta con la lettera a: "le partite di giro vere e proprie,
cioè le entrate e le spese che nel bilancio hanno effetto puramente
figurativo, essendone la Regione ad un tempo creditrice e debitrice"
(art. 2).
Si sa che le partite di giro sorsero per l'iscrizione nei bilanci
di entrate o di spese previste per conto di terzi, e finirono, poi, col
rappresentare genericamente entrate e spese che si pareggiano
puntualmente, e nei confronti delle quali l'ente al quale il bilancio
si riferisce, si pone insieme come debitore e creditore; si sa anche
che di regola non danno luogo a un movimento materiale di fondi e si
sa, infine, che riguardano in ogni caso la competenza dell'esercizio
nel quale figurano iscritte.
A questi concetti, del resto, si è ispirato il legislatore
regionale quando, come si è ricordato, ha definito come partite di
giro le entrate e le spese meramente figurative, rispetto alle quali la
Regione compare a un tempo creditrice e debitrice. Se così è, il
richiamo della legge impugnata al citato decreto del Presidente della
Regione, è fatto a una norma che regola una diversa ipotesi, che non
autorizza, cioè, il sistema delle "anticipazioni e recuperi", il quale
comporta non già la previsione di entrate e spese meramente
figurative, ma quanto meno di spese effettive, rispetto alle quali la
Regione non è certo soltanto creditrice e debitrice di se stessa.
Nemmeno pertinente è il richiamo alla legge 27 febbraio 1955, n.
64, una legge statale sulla cui legittimità costituzionale è stata
manifestata qualche perplessità -, la quale contempla e regola il caso
opposto, che fu definito dell'"ultrattività della copertura", cioè
dell'utilizzo di disponibilità di esercizi scaduti, destinate a
finanziamenti di oneri derivanti da provvedimenti di carattere
particolare, intesi per tali i provvedimenti legislativi non
perfezionati nel corso dell'esercizio.
Nemmeno, infine, vale il ricorso alla giurisprudenza dell'Alta
Corte per la Sicilia. È vero che ben tre sentenze di pari data di
quella Corte (21 dicembre 1954 - 6 maggio 1955) si sono occupate di
questa medesima questione di legittimità, ma sotto un profilo in parte
diverso da quello dal quale deve essere esaminata nel presente
giudizio. L'Alta Corte, infatti, pur non nascondendo le sue
perplessità sulla perfetta regolarità contabile del procedimento
delle "anticipazioni e recuperi", ritenne che il problema posto da una
legge materiale che istituiva una nuova spesa e provvedeva col
procedimento in questione alla copertura, fosse da considerare superato
dalla sopravvenuta legge di bilancio che alla norma della legge
sostanziale aveva dato esecuzione, dato che, a suo avviso, le
iscrizioni fatte nella cat. III del bilancio, delle quali si parla, non
erano in contrasto col precetto dell'art. 81, ultimo comma, della
Costituzione. Molte riserve si potrebbero fare di fronte
all'affermazione che si legge in quelle sentenze, della legittimità
costituzionale della iscrizione in bilancio di spese ed entrate
previste da una legge regionale, della quale sia contestata la
costituzionalità, e di fronte all'altra connessa affermazione della
idoneità della sopravvenuta legge di bilancio a superare una siffatta
questione di legittimità, segnatamente quando si ricordi il principio
affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale la
previsione in bilancio dei fondi destinati a una spesa contemplata da
una legge sostanziale non assolve, di per sé sola, al precetto
dell'art. 81, ultimo comma, della Costituzione (sent. n. 66 del 16
dicembre 1959).
Ma non occorre discuterne in questa sede, dove quel presupposto
della iscrizione nel bilancio di previsione della Regione (che nel caso
avrebbe dovuto essere quello dell'esercizio 1960-61, approvato con
legge 3 gennaio 1961, n. 6) manca del tutto, e la Corte perciò non
avrebbe potuto, anche al lume di quella giurisprudenza, non esaminare
e risolvere la questione.
3. - Il Commissario dello Stato ha chiesto anche la dichiarazione
di illegittimità costituzionale dell'art. 4 della legge che autorizza
l'Assessore regionale per il bilancio ad apportare con proprio decreto
le eventuali variazioni di bilancio occorrenti per l'attuazione della
legge, ma l'Avvocatura dello Stato non vi ha insistito né nella
memoria scritta, né nella discussione orale.
In realtà la norma dell'art. 4 contiene una clausola di stile, e
si risolve in una generica ed ampia autorizzazione, che può valere
anche per altre previsioni della legge e non soltanto per quella che la
Corte ritiene costituzionalmente illegittima. Questa dichiarazione
d'illegittimità costituzionale rende inapplicabile, per questa parte,
la norma dell'art. 4, ma non importa che debba dichiararsene
l'illegittimità.
4. - Fondata è anche la seconda questione. La Corte in due sue
decisioni (nn. 61 del 1958 e 9 del 1961) ha già segnato i limiti che
incontra la potestà legislativa regionale in materia di enti locali
(art. 14, lett. o, artt. 15 e 16 dello Statuto), ed ha affermato che la
Regione non può esercitare tale sua potestà se non in maniera
organica e uniforme: il che non esclude, in ipotesi, che essa possa
dettare norme speciali per situazioni speciali, ma a condizione, anche
in questo caso, che siano assunte a base della normativa, ipotesi
generali ed astratte, non già, com'è della norma in questione, casi
singoli. Il fatto affermato, ma non dimostrato, dalla difesa regionale,
che commissioni del tipo e con funzioni analoghe o identiche a quelle
previste dall'art. 2, secondo comma, della legge sarebbero già state
istituite presso i tre Comuni indicati, non elimina il fatto che ora
queste commissioni vengano istituite ex novo, per un caso singolo e
diverso, e a un fine determinato, dalla legge regionale, in violazione
dell'autonomia degli enti locali, quale è riconosciuta e garantita
dallo Statuto.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l'illegittimità costituzionale:
a) della norma contenuta nell'art. 1, ultimo comma, della della
legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 15 giugno 1960,
promulgata il 4 agosto 1960 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Regione siciliana del 10 agosto 1960, n. 33, in riferimento alla norma
dell'art. 81, ultimo comma, della Costituzione;
b) della norma contenuta nell'art. 2, secondo comma, della legge,
in riferimento alla norma dell'art. 15 dello Statuto per la Regione
Siciliana.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 marzo 1961.
GIUSEPPE CAPPI - GASPARE AMBROSINI -
MARIO COSATTI - FRANCESCO PANTALEO
GABRIELI - GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO -
ANTONINO PAPALDO - NICOLA JAEGER -
GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO
PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE
FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI.