Titolo
SENT. 30/59 A. REGIONI - COMPETENZA LEGISLATIVA - CRITERI DI DETERMINAZIONE. REGIONI - COMPETENZA LEGISLATIVA - VIOLAZIONE DI LIMITI PREVISTI NELLE NORME ATTRIBUTIVE - VIZIO DI INCOMPETENZA. REGIONI - COMPETENZA LEGISLATIVA - VIOLAZIONE DEL LIMITE DEL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE - COINCIDENZA DEL VIZIO DI INCOMPETENZA CON QUELLO DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
La sfera della competenza legislativa regionale va determinata in base non soltanto alla materia, ma anche ai limiti previsti dalle norme che attribuiscono la potesta' legislativa. La violazione di questi limiti concreta un vizio di incompetenza. Ove sia violato il limite del rispetto della Costituzione, il vizio di incompetenza coincide con quello di illegittimita' costituzionale. Cfr.: 38/51957 A.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 117
Titolo
SENT. 30/59 B. REGIONE SARDEGNA - COMPETENZA LEGISLATIVA - LIMITE DEL RISPETTO DELLA COSTITUZIONE - VIOLAZIONE - COINCIDENZA DEL VIZIO DI INCOMPETENZA E DEL VIZIO DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE - POTERI DEL GOVERNO DELLA REPUBBLICA DI RINVIO AL CONSIGLIO REGIONALE E DI IMPUGNATIVA DELLE LEGGI - ESTENSIONE EGUALE.
Testo
La Regione sardegna, nell'esercizio della propria competenza legislativa, e' tenuta, per l'art. 3 dello Statuto, a rispettare la Costituzione. Essa, percio', eccede dalla propria competenza legislativa non soltanto se legifera in materia non compresa nella specifica elencazione della suddetta norma statutaria, ma anche quando emana disposizioni legislative in contrasto con la Costituzione. In tal caso vizio di incompetenza e vizio di illegittimita' costituzionale coincidono. Consegue che il potere del Governo della Repubblica - stabilito dal primo comma dell'art. 33 dello Statuto - di rinviare al Consiglio della Regione le leggi regionali eccedenti la competenza di quest'ultima, e il correlativo potere dello stesso Governo, ai sensi del secondo comma dell'art. 33, di impugnare per illegittimita' costituzionale quelle leggi, se riapprovato, hanno pari e non limitata estensione.
Parametri costituzionali
statuto regione Sardegna
art. 3
statuto regione Sardegna
art. 33
Titolo
SENT. 30/59 C. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE - PRINCIPI RELATIVI ALL'ACQUIESCENZA E AL CARATTERE CONFERMATIVO DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO - INAPPLICABILITA'.
Testo
Nei giudizi di legittimita' costituzionale, anche se proposti in via principale, non possono avere rilievo istituti, come quelli dell'inammissibilita' del ricorso per acquiescenza o per il carattere confermativo del provvedimento impugnato, quali sono stati specialmente elaborati nella giurisprudenza amministrativa. Cfr.: 44/57 C.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 127
Costituzione
art. 134
Altri parametri e norme interposte
legge
11/03/1953
n. false
art. 31
Titolo
SENT. 30/59 D. GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE - IMPUGNAZIONE DI LEGGE REGIONALE ABROGATRICE O MODIFICATRICE DI LEGGI PRECEDENTI - AMMISSIBILITA'.
Testo
Vedi: Sent. 54/1958 B.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 127
Titolo
SENT. 30/59 E. REGIONI - FORMAZIONE DEGLI UFFICI REGIONALI - OBBLIGO DI TRARRE IL PERSONALE DA QUELLO DELLO STATO E DEGLI ENTI LOCALI - SI RIFERISCE SIA ALLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO CHE A QUELLE A STATUTO SPECIALE.
Testo
La disposizione VIII, comma ultimo, parte ultima delle norme transitorie e finali della Costituzione - dove si stabilisce che per la formazione dei loro uffici le Regioni devono, tranne che in casi di necessita', trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali - ha portata generale senza potersi distinguere tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale.
Parametri costituzionali
Costituzione
disposizioni transitorie e finali, VIII ult. parte
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
19/05/1950
n. 327
art. 21
co. 0
Titolo
SENT. 30/59 F. LEGGI - NORME DI ATTUAZIONE - REGOLAMENTI - DIFFERENZE. REGIONE A STATUTO SPECIALE - NORME DI ATTUAZIONE DELLO STATUTO - FINALITA' - CARATTERE LEGISLATIVO.
Testo
Vedi: Sent. 20/1956 D.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 116
Titolo
SENT. 30/59 G. REGIONI - NORME DI ATTUAZIONE DEGLI STATUTI - NON SONO LEGGI COSTITUZIONALI.
Testo
Le norme di attuazione degli Statuti regionali, sia per ragioni di forma che di sostanza, sono su un piano diverso e superiore rispetto alle leggi da emanare nelle materie da esse regolate; ma non per questo si puo' ad esse attribuire il carattere di leggi costituzionali. Cfr.: 20/1956 B.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 116
Titolo
SENT. 30/59 H. NORMA GIURIDICA - CARATTERE DI NORMA TRANSITORIA - CRITERI DI DETERMINAZIONE.
Testo
Il carattere di una norma transitoria (nella specie, la VIII delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione) si deduce non tanto e soltanto dalla sua denominazione quanto dal suo contenuto e dalla sua finalita'.
Parametri costituzionali
Costituzione
disposizioni transitorie e finali, VIII
Titolo
SENT. 30/59 I. REGIONI - DISPOSIZIONE VIII, ULTIMO COMMA, ULTIMA PARTE DELLA COSTITUZIONE - CARATTERE TRANSITORIO. REGIONE SARDEGNA - ART. 21 NORME DI ATTUAZIONE DELLO STATUTO, APPROVATE CON D.P.R. 19 MAGGIO 1950, N. 327 - CARATTERE TRANSITORIO. REGIONE SARDEGNA - OBBLIGO DI RISPETTARE LA DISPOSIZIONE VIII DELLA COSTITUZIONE E L'ART. 21 DELLE NORME DI ATTUAZIONE DELLO STATUTO, APPROVATE CON D.P.R. 19 MAGGIO 1950, N. 327 - LIMITE.
Testo
La Disposizione VIII^ della Costituzione, che stabilisce, tra l'altro, che per la formazione dei loro uffici le Regioni devono, tranne che in casi di necessita', trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali, ha natura ed efficacia di norma transitoria. La stessa natura ed efficacia di norma transitoria e' da attribuirsi all'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo, approvato con D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327, che contiene una norma analoga specificamente riguardante la Regione sardegna. Pertanto la Regione sardegna era obbligata a rispettare le due suddette norme soltanto al momento della sua costituzione e dell'inizio del suo funzionamento; successivamente poteva ad esse derogare.
Parametri costituzionali
Costituzione
disposizioni transitorie e finali, VIII
Riferimenti normativi
decreto del Presidente della Repubblica
19/05/1950
n. 327
art. 21
co. 0
Titolo
SENT. 30/59 L. LEGGI - LEGGI CHE IMPORTANO NUOVI O MAGGIORI ONERI DI BILANCIO - CRITERI PER LA QUALIFICAZIONE. LEGGI - LEGGI CHE IMPORTANO NUOVI O MAGGIORI ONERI DI BILANCIO - COPERTURA CON CAPITOLI AVENTI CAPIENZA PER L'AUMENTO DI SPESA O CON STORNO DA ALTRI CAPITOLI - NECESSITA' DI INDICAZIONE SPECIFICA.
Testo
Per negare od ammettere che una legge implichi un onere nuovo o maggiore, ai sensi dell'art. 81 ultimo comma della Costituzione, occorre aver riguardo all'oggetto ed al contenuto della legge stessa. La mancanza nella legge di ogni indicazione della cosiddetta "copertura" non puo' far presumere l'esclusione dell'onere nuovo o maggiore. L'indicazione della copertura, ai sensi della citata norma costituzionale, e' richiesta anche quando alle nuove o maggiori spese possa farsi fronte con somme gia' iscritte nel bilancio, o perche' rientrino in un capitolo che abbia capienza per l'aumento di spesa, o perche' possano essere fronteggiate con lo "storno" di fondi risultanti dalle eccedenze degli stanziamenti previsti per altri capitoli. In quest'ultimo caso e' necessario che sia data autorizzazione al Ministero del tesoro di apportare al bilancio le debite variazioni, le quali dovranno essere inserite in apposita legge.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 81
Titolo
SENT. 30/59 M. REGIONE SARDEGNA - LEGGE REGIONALE 17 MAGGIO 1957 - NUOVI E MAGGIORI ONERI DI BILANCIO - OMESSA INDICAZIONE DELLA COPERTURA - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
La legge regionale sarda 17 maggio 1957, contenente "Norme sullo stato giuridico, trattamento economico e ordinamento gerarchico del personale dipendente dell'Amministrazione regionale", prevedendo un notevole aumento del personale, e quindi una maggiore spesa, senza l'indicazione della "copertura", viola l'art. 81, ultimo comma della Costituzione, in virtu' del quale ogni legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. Pertanto la predetta legge regionale e' costituzionalmente illegittima.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 81
Riferimenti normativi
legge della Regione autonoma Sardegna
17/05/1957
n. 0
art. 0
co. 0
N. 30
SENTENZA 30 APRILE 1959
Deposito in cancelleria: 18 maggio 1959.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 123 del 23 maggio 1959
e in "Bollettino Ufficiale della Regione sarda" n. 23
del 25 maggio 1959.
Pres. AZZARITI - Rel. CASTELLI AVOLIO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Dott. GAETANO AZZARITI, Presidente - Avv.
GIUSEPPE CAPPI - Prof. TOMASO PERASSI - Prof. GASPARE AMBROSINI - Prof.
ERNESTO BATTAGLINI - Dott. MARIO COSATTI - Prof. FRANCESCO PANTALEO
GABRIELI - Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - Prof. ANTONINO PAPALDO -
Prof. NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO
PETROCELLI - Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale della legge approvata
dal Consiglio regionale sardo in data 17 maggio 1957, concernente
"Norme sullo stato giuridico, trattamento economico e ordinamento
gerarchico del personale dipendente dall'Amministrazione regionale",
promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri
notificato il 19 luglio 1958, depositato nella cancelleria della Corte
costituzionale il 29 luglio 1958 ed iscritto al n. 22 del Registro
ricorsi del 1958.
Vista la costituzione in giudizio del Presidente della Regione
autonoma della Sardegna;
udita nell'udienza pubblica del 4 marzo 1959 la relazione del
Giudice Giuseppe Castelli Avolio;
uditi il vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias per il
Presidente del Consiglio dei Ministri, e gli avvocati Egidio Tosato e
Pietro Gasparri per la Regione sarda.
Ritenuto in fatto:
1. - Il Consiglio regionale della Sardegna nella adunanza del 17
maggio 1957 approvò una legge concernente lo stato giuridico, il
trattamento economico e l'ordinamento gerarchico del personale
dipendente dall'Amministrazione regionale.
Con tale legge, e le allegate tabelle, si intendeva dare una
organica e definitiva disciplina alla materia, stabilendo la
classificazione del personale, i ruoli organici delle carriere e le
relative qualifiche, il sistema di assunzione ed il passaggio del
personale di ruolo e non di ruolo dello Stato e degli enti locali nei
ruoli regionali, il trattamento economico e la progressione in
carriera, il collocamento a riposo ed il trattamento di quiescenza nel
personale dipendente dalla Regione.
Il Governo della Repubblica, avuta la comunicazione di questa
legge, in data 8 luglio 1957 la rinviava ad un nuovo esame da parte del
Consiglio regionale sardo ai sensi dell'art. 33 dello Statuto speciale
per la Sardegna, per motivi di ordine generale e particolare. I primi
si sostanziavano - secondo l'asserto del Governo - nella violazione sia
dell'art. 81 della Costituzione, avendo la legge omesso la previsione
dei maggiori oneri derivanti dall'aumento degli organici del personale
con l'indicazione dei mezzi per farvi fronte, sia della VIII
disposizione transitoria della Costituzione, avendo le norme, contenute
nel capo primo della legge stessa, statuito come regola generale
l'assunzione di personale estraneo alle pubbliche Amministrazioni e
come norma eccezionale l'utilizzazione di personale comandato dello
Stato e degli enti locali, invertendo il principio stabilito dalla
detta norma transitoria della Costituzione. I secondi motivi, quelli di
ordine particolare, si sostanziavano - sempre secondo l'asserto del
Governo - nella illegittimità degli artt. 5, 17, 20, 37 e 41 della
legge regionale suddetta, perché in contrasto con i principi
dell'ordinamento giuridico dello Stato; degli artt. 8, 28, 29, 30 e 31,
perché in contrasto con i principi della legislazione statale;
dell'art. 10, perché concernente materia di competenza dello Stato.
Ciò, oltre ad altri rilievi di carattere particolare e tecnico non
aventi rilevanza costituzionale.
Il Consiglio regionale, a norma del citato art. 33 dello Statuto
regionale sardo, riprendeva in esame la legge nella adunanza del 4
luglio 1958 e, a maggioranza assoluta, la riapprovava nel testo
originario.
Della nuova approvazione veniva data comunicazione al Governo della
Repubblica il 5 luglio 1958.
2. - A seguito di ciò, il Presidente del Consiglio dei Ministri,
debitamente autorizzato dal Consiglio stesso con delibera del 18 luglio
1958, ha, col patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, prodotto
ricorso a questa Corte avverso la detta legge regionale.
Il ricorso fu notificato al Presidente della Regione sarda il 19
luglio 1958, e di esso, per disposizione del Presidente della Corte, fu
data notizia nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 6 settembre
1958, n. 216, e nel Bollettino Ufficiale della Regione autonoma della
Sardegna del 20 settembre 1958, n. 38.
A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi di
illegittimità costituzionale:
1) La legge impugnata, nel suo complesso, e con essa le allegate
tabelle degli organici, sarebbe illegittima perché prevede un organico
complessivo di 991 unità rispetto alle 415 contemplate dalle
precedenti disposizioni in materia, con un aumento quindi di oltre 500
unità, che logicamente comporta nuovi oneri di natura finanziaria
ignorati dalla legge stessa sia riguardo all'entità, sia ai mezzi per
farvi fronte, in aperta violazione dell'art. 81 della Costituzione.
2) Gli artt. 7, 8 e 9 della legge impugnata sarebbero illegittimi
per violazione della VIII disposizione transitoria della Costituzione,
nonché dell'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo
approvate con D.P.R. 19 maggio 1950. Ciò in quanto con i detti
articoli della legge regionale si sancisce il principio dell'assunzione
in via normale del personale dell'Amministrazione regionale mediante
pubblici concorsi aperti a tutti, anziché procedere all'utilizzazione
del personale in servizio presso l'Amministrazione dello Stato o gli
enti locali in conformità di quanto stabilito dalla suddetta
disposizione transitoria, secondo cui le Regioni "per la formazione dei
loro uffici devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio
personale da quello dello Stato e degli enti locali", nonché dell'art.
21 delle norme di attuazione sopracitate, che tale principio ribadisce.
A quest'ultimo proposito l'Avvocatura dello Stato sostiene che le norme
di attuazione dello Statuto sardo hanno carattere di regolamento
costituzionale, e pertanto il precetto contenuto nell'art. 21 citato
non avrebbe potuto essere modificato con legge regionale ma, "semmai,
con altre norme di attuazione da emanarsi con altro decreto legislativo
in base alla speciale procedura prevista dall'art. 56 dello Statuto
sardo".
3) L'art. 8, primo comma, della legge impugnata sarebbe illegittimo
anche sotto diverso profilo, perché, disponendo che "i posti vacanti
di qualifica non inferiore a direttore di sezione" possono essere
ricoperti con personale di ruolo dello Stato o degli enti locali
"comandato per un periodo di tempo determinato, non superiore a due
anni", violerebbe l'art. 21 delle citate norme di attuazione, che non
pone limiti di sorta per il comando presso l'Amministrazione regionale
del personale dello Stato e degli enti locali.
Altro aspetto di illegittimità sarebbe pure da ravvisare nella
disposizione contenuta nel secondo comma dello stesso art. 8, secondo
cui "tutti i posti vacanti debbono comunque essere messi a concorso
entro due anni dalla vacanza". Per la sua collocazione, che la pone in
diretta relazione con la disposizione del primo comma dello stesso art.
8, tale norma, a dire dell'Avvocatura, farebbe presumere che sia
consentito il concorso pubblico anche per posti non iniziali di
carriera ("non inferiori a direttori di sezione"), in contrasto con le
disposizioni di leggi statali espressamente recepite dalla legge
impugnata, secondo le quali l'assunzione nei ruoli avviene per le sole
qualifiche iniziali di carriera, mentre, per i posti di qualifica
superiore, si provvede con il sistema delle promozioni, e di
conseguenza, in violazione dell'art. 3 dello Statuto sardo, che esige
la conformità della legislazione regionale in materia di stato
giuridico del personale con i principi dell'ordinamento dello Stato.
4) L'art. 10 della legge impugnata sarebbe illegittimo per
violazione degli artt. 100, 103, 104 e 108 della Costituzione e 3 dello
Statuto sardo, in quanto prevede che, a far parte delle commissioni
giudicatrici dei concorsi per l'ammissione a posti di ruolo
dell'Amministrazione regionale, vengano chiamati magistrati di
Cassazione, del Consiglio di Stato e della Corte dei conti. Si sostiene
che la Regione, con la detta norma, verrebbe ad imporre degli obblighi
nei confronti di funzionari dello Stato, e verrebbe quindi ad invadere
la sfera di competenza di quest'ultimo, esorbitando dai limiti della
potestà legislativa regionale fissati nello art. 3 dello Statuto
sardo, che attribuisce alla Regione esclusivamente la materia
concernente l'ordinamento dei propri uffici e lo stato giuridico ed
economico del proprio personale. A questi rilievi si aggiunge poi
quello più specifico, secondo cui, per quanto riguarda i magistrati di
Cassazione, e quindi appartenenti all'ordine giudiziario, la norma
impugnata sarebbe anche in contrasto con il principio dell'ordinamento
giudiziario secondo cui i magistrati non possono essere neppure
temporaneamente distolti dalle loro funzioni. Né varrebbe obbiettare
che molte leggi conferiscono, invece, ai magistrati funzioni non
giurisdizionali, poiché si tratta sempre di leggi statali che
avrebbero, quindi come tali, la forza di derogare al richiamato
principio dell'ordinamento giudiziario.
5) Sarebbe altresì illegittimo l'art. 17 della legge impugnata, in
relazione all'art. 67 della legge statale 10 febbraio 1953, n. 62, per
violazione dell'art. 3 dello Statuto sardo. Il detto art. 17,
istituendo una speciale indennità di servizio' regionale nella misura
del 40% dello stipendio o della retribuzione a favore del personale
regionale, sostitutiva di quella (detta di "primo impianto") già
concessa a titolo provvisorio allo stesso personale con la legge
regionale 7 dicembre 1949, n. 6, violerebbe l'art. 67 della legge
statale n. 62 del 1953 sopra citata, col quale si stabilisce che i
dipendenti delle Regioni non possono godere di un trattamento economico
più favorevole di quello goduto dal personale statale. Questo
principio sarebbe operante anche nei confronti della Regione sarda,
benché retta da Statuto speciale, giacché la potestà legislativa
attribuita alla Regione stessa deve esercitarsi, a norma dell'art. 3
dello Statuto, in conformità dei principi cui si informa l'ordinamento
giuridico dello Stato, tra i quali dovrebbe annoverarsi quello
contenuto nell'art. 67 sopra richiamato.
Nel ricorso si accenna inoltre, "incidentalmente", alle possibili
agitazioni e rivendicazioni che la disparità di trattamento potrebbe
provocare, il che concreterebbe un vero e proprio contrasto di
interessi tra Stato è Regione, in ordine al quale, peraltro,
sarebbero competenti a giudicare le Camere, ai sensi dell'art. 127,
ultimo comma, della Costituzione.
Dalle riferite considerazioni deriverebbe anche l'illegittimità
dell'art. 5 della legge impugnata, che dispone la corresponsione di
un'indennità giornaliera aggiuntiva a favore del personale salariato
permanente, e dell'art. 37, che attribuisce, a titolo di assegno ad
personam, l'eventuale differenza fra il trattamento economico
risultante dall'inquadramento nei ruoli regionali ed il trattamento
attuale.
L'art. 41, che estende l'indennità di servizio regionale al
personale della delegazione della Corte dei conti, oltre che
illegittimo per gli stessi motivi innanzi esposti, sarebbe contrario
all'art. 100 della Costituzione, "mal conciliandosi" la concessione di
una indennità, da corrispondersi dall'Ente controllato al personale
dell'organo controllante, con il principio dell'assoluta indipendenza
della Corte dei conti sancito dalla citata disposizione costituzionale.
Anche sotto altro riflesso l'art. 41 sarebbe illegittimo, perché
in contrasto con l'art. 3 dello Statuto sardo, dato che il trattamento
economico della magistratura esorbitata dalla competenza legislativa
regionale, essendo riservato alla potestà legislativa dello Stato.
6) L'art. 20, comma primo, della legge impugnata, in relazione
all'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo di cui al
decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1949, n. 250, e alle
norme contenute nella legge 11 aprile 1955, n. 379, sarebbe illegittimo
per violazione dell'art. 3 dello Statuto sardo. Il detto art. 20
dispone:
"Il collocamento a riposo, il diritto a pensione e previdenza, la
misura della pensione, degli assegni e delle indennità, la loro
riversibilità alle vedove e famiglie del personale dipendente
dall'Amministrazione regionale, e quanto altro concerne la materia,
sono regolati secondo le norme vigenti per il personale civile
dipendente dallo Stato.
"A tale fine il personale dipendente dall'Amministrazione regionale
è iscritto agli Istituti di previdenza amministrati dalla Direzione
generale della Cassa depositi e prestiti, ai sensi dell'art. 21 del
decreto del Presidente della Repubblica 19 maggio 1949, n. 250".
Si sostiene nel ricorso che il primo comma; innanzi riferito,
contrasterebbe con l'art. 21 del citato decreto presidenziale n. 250,
in forza del quale il personale della Regione è iscritto agli Istituti
di previdenza amministrati dalla Direzione generale della Cassa
depositi e prestiti, ed è quindi soggetto alla legislazione speciale
per gli iscritti ai predetti Istituti, in base alle norme contenute
nella legge 11 aprile 1955, n. 379; e non alle disposizioni vigenti per
il personale civile dello Stato. Con ciò l'art. 20 citato sarebbe
anche in contrasto con i principi dell'ordinamento giuridico dello
Stato, ed esorbiterebbe quindi dai limiti stabiliti dall'art. 3 dello
Statuto sardo per l'esercizio della potestà legislativa della Regione.
7) Si deduce, infine, nel ricorso, l'illegittimità degli artt. 28,
29 e 30 della legge impugnata, in relazione agli artt. 31 e 43 della
stessa legge, che regolano, rispettivamente, l'assunzione nei ruoli
regionali del personale dello Stato e degli enti locali comandato
presso la Regione, e del personale non di ruolo già in servizio presso
la Regione.
Negli artt. 28, 29 e 30 si regola l'assunzione nei ruoli regionali
dei dipendenti dello Stato e degli enti locali comandati presso la
Regione; nell'art. 31 si stabilisce che il personale non di ruolo,
comunque assunto o denominato, della Regione è ammesso a sostenere un
concorso interno per la sistemazione nel ruolo regionale "con la
qualifica non superiore di direttore di sezione, o di primo segretario,
o di archivista, rispettivamente per la carriera direttiva, di concetto
ed esecutiva, alla quale può accedere in corrispondenza delle funzioni
di fatto esercitate con carattere continuativo o in forza del titolo
di studio posseduto"; e con l'art. 43 si dispone, infine, che tali
concorsi interni "devono essere banditi prima degli inquadramenti, di
cui agli artt. 28, 29 e 30, e comunque non oltre quattro mesi dalla
promulgazione della presente legge".
Con ciò si violerebbero i principi della legislazione statale,
secondo cui l'inquadramento degli avventizi deve essere limitato alle
qualifiche iniziali o, se mai, alle due prime qualifiche, così come si
evince dagli artt. 3, 161, 173, 182 e 190 del testo unico delle
disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati dello Stato
approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. La Regione, quindi,
avrebbe anche qui ecceduto dai limiti segnati alla propria attività
legislativa in materia dall'art. 3 dello Statuto.
Nel ricorso pertanto si conclude, chiedendo: "In accoglimento del
presente ricorso (e con particolare riferimento al primo mezzo):
dichiarare la illegittimità costituzionale della legge regionale sarda
17 maggio 1957 (concernente lo stato giuridico, il trattamento
economico e l'ordinamento gerarchico del personale dipendente
dall'Amministrazione regionale).
"In particolare: dichiarare, quanto meno, la illegittimità
costituzionale: degli artt. 2, 3, 4, 5, 8 (escluso l'ultimo comma), 9,
13, 14, 17, 18, 19, 20, 24 (secondo comma), 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31,
32, 33, 34, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44 e 45 della predetta
legge impugnata, nonché delle tabelle degli organici, ad essa
allegate.
"Subordinatamente (con riferimento ai mezzi successivi del ricorso
medesimo): dichiarare la illegittimità costituzionale delle
disposizioni contenute negli artt. 5, 7, 8, 10, 17, 20, 28, 29, 30, 31,
37 e 43 della stessa legge regionale, 17 maggio 1957 (come sopra
impugnata), nonché delle tabelle degli organici della Amministrazione
regionale sarda nelle parti riferibili a tali disposizioni di legge.
"Con tutte le altre consequenziali pronunce di legge".
3. - La Giunta regionale sarda in data 25 luglio 1958 deliberò di
resistere al ricorso, e la difesa della Regione, rappresentata dagli
avvocati Egidio Tosato e Pietro Gasparri, ha depositato le proprie
deduzioni, nella cancelleria della Corte, il 5 agosto 1958.
In relazione al primo motivo, concernente la questione di
legittimità costituzionale della legge impugnata per violazione
dell'art. 81 della Costituzione, la Regione osserva che, "facendo ogni
debita riserva riguardo alla questione se il motivo ex art 81 possa
essere fatto valere ai sensi dell'art. 33 dello Statuto sardo", è
innanzi tutto da escludere che la legge impugnata importi "nuove"
spese, perché si tratterebbe solo di una sistemazione e riordinamento
dello stato giuridico ed economico dei dipendenti, che non aggiunge un
nuovo titolo di spese a quelli già previsti in bilancio al riguardo.
L'autorità ricorrente avrebbe poi comunque omesso di dare la
necessaria dimostrazione che la legge stessa comporti maggiori spese
rispetto a quelle iscritte in bilancio. Aggiunge, in ogni caso, che
l'art. 81 si riferisce soltanto a quelle leggi che comportano maggiori
oneri rispetto a quelli previsti dal bilancio in corso di esercizio, e
richiedono quindi una modifica dello stesso, mentre invece, nel caso di
leggi destinate ad avere vigore nel futuro, come quella in esame, "si
provvede con le relative leggi approvative dei bilanci annuali".
Quanto al secondo motivo concernente la lamentata violazione della
VIII disposizione transitoria della Costituzione e dell'art. 21 delle
norme di attuazione dello Statuto sardo di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 19 maggio 1950, n. 327, per effetto degli
artt. 7, 8 e 9 della legge impugnata, la difesa della Regione formula
due eccezioni pregiudiziali. Con la prima rileva che tale violazione
"difficilmente potrebbe inquadrarsi tra quei motivi di incompetenza che
soli possono farsi valere dal Governo ai sensi dell'art. 33 dello
Statuto", per cui il motivo di impugnazione sarebbe inammissibile. Con
la seconda rileva che l'art. 21 sopracitato non ha natura di norma
costituzionale, per cui la Corte costituzionale non potrebbe prendere
in esame la questione, che sulla violazione dell'articolo stesso è
fondata.
Contesta inoltre l'applicabilità nella specie della VIII
disposizione transitoria della Costituzione perché per l'attuazione
dello Statuto sardo è stato emanato un apposito gruppo di norme che
dovrebbe costituire la regolamentazione della materia; e sostiene
comunque che le norme transitorie della Costituzione, per la loro
natura, fanno riferimento solo al momento iniziale "di primo impianto"
dell'organizzazione regionale, per cui al momento attuale, dopo vari
anni di esistenza della Regione, dovrebbero ritenersi superate. E
d'altra parte, poiché la stessa disposizione transitoria invocata non
esclude che "in caso di necessità" la Regione possa avvalersi di
personale assunto direttamente, il decidere se sussista o meno tale
stato di necessità costituirebbe un giudizio discrezionale della
Regione su cui la Corte costituzionale non potrebbe pronunziarsi.
Quanto al terzo motivo del ricorso, concernente in particolare
l'art. 8 della legge impugnata, la Regione ripropone, in relazione al
contrasto fra il primo comma dell'articolo stesso e l'art. 21 delle
norme di attuazione dello Statuto sardo, l'eccezione pregiudiziale
concernente la natura non costituzionale delle norme stesse, osservando
altresì, che tratterebbesi anche qui di apprezzamento discrezionale
della Regione, almeno per quanto riguarda il limite di tempo che la
norma impugnata pone alla durata del comando. In relazione poi
all'assunto contrasto tra il secondo comma dell'art. 8 e le
disposizioni di leggi statali concernenti le assunzioni in carriera dei
pubblici dipendenti, osserva, pregiudizialmente, che le disposizioni
stesse né hanno natura costituzionale, né hanno la portata di
principi di ordinamento giuridico dello Stato. Comunque, a parte la
considerazione che il principio dell'assunzione nei gradi iniziali non
ha carattere assoluto (come si desumerebbe dall'art. 3 T.U. 10 gennaio
1957, n. 3, sulle disposizioni riguardanti i dipendenti dello Stato),
rileva che l'art. 34 della stessa legge chiarisce la portata
assolutamente eccezionale della disposizione impugnata, in quanto
stabilisce che "i posti di qualifica superiore a quella iniziale
rimasti vacanti dopo gli inquadramenti di cui agli articoli precedenti
sono coperti mediante promozione...", il che significa che saranno
messi a concorso ai sensi dell'art. 8, secondo comma, solo quei posti
che, dopo un biennio di vacanza, non risultassero eventualmente coperti
mediante promozione.
Sul quarto motivo concernente la incostituzionalità dell'art. 10
della legge impugnata, la Regione, pregiudizialmente, osserva che, per
quanto riguarda la pretesa violazione delle norme dell'ordinamento
giudiziario, deve eccepirsi la natura non costituzionale delle stesse.
Sostiene inoltre che, specie in considerazione delle molte eccezioni
che soffre il principio secondo cui i magistrati non possono essere
distolti dalle loro funzioni, lo stesso non potrebbe ritenersi un
principio dell'ordinamento giuridico dello Stato, per cui, anche sotto
questo profilo, il motivo sarebbe inammissibile.
Nel merito osserva poi che la norma impugnata, la quale riflette
una consuetudine legislativa largamente diffusa, richiede solo
prestazioni saltuarie o di breve durata, tali da non concretare un
ostacolo alla attività normale dei magistrati, e non impone, comunque,
nessun obbligo agli stessi, che vengono inclusi nelle commissioni solo
in vista della loro specifica competenza tecnica, limitandosi così a
fissare soltanto un vincolo per le autorità amministrative regionali,
alle quali compete di procedere alla formazione delle commissioni.
In relazione al quinto motivo, concernente la lamentata violazione
dell'art. 67 della legge 10 febbraio 1953, n. 62, per effetto dell'art.
17 della legge impugnata, e del conseguente contrasto di quest'ultima
norma con l'art. 3 dello Statuto sardo, la Regione, pregiudizialmente,
eccepisce l'inammissibilità del motivo, non essendo la citata legge n.
62 una norma' costituzionale, e non essendo comunque la stessa
riferibile alle Regioni a statuto speciale. Esclude poi che il
principio secondo cui i dipendenti delle Regioni non possono godere di
un trattamento economico maggiore di quello spettante ai dipendenti
dello Stato (sancito nell'art. 67 sopra ricordato) possa rivestire la
portata di principio dell'ordinamento giuridico dello Stato, che il
legislatore regionale sia tenuto a rispettare ai sensi dell'art. 3
dello Statuto sardo, in quanto limitazioni del genere non sono previste
per tutti i pubblici dipendenti, alcune categorie dei quali, anzi,
(impiegati degli enti pubblici non territoriali e particolarmente degli
enti economici), sono retribuiti in misura maggiore dei dipendenti
dello Stato. E ciò anche prescindendo dalla considerazione che la
Regione sarda, a norma dell'art. 3 dello Statuto, ha una potestà
legislativa "pienamente autonoma" in materia di stato economico dei
dipendenti, che non avrebbe senso ove non ricomprendesse la facoltà di
stabilire discrezionalmente l'ammontare delle retribuzioni. Osserva
poi ad abundantiam che la maggiorazione concessa sarebbe pienamente
giustificata dalle particolari condizioni di depressione economica ed
eccentricità geografica della Regione, che spiegano l'opportunità di
annettere ai posti di lavoro nell'isola particolari vantaggi economici,
in conformità del resto alla concessione delle indennità di disagiata
residenza "non ignote alla nostra tradizione legislativa".
Le suddette argomentazioni la Regione estende anche in relazione
all'impugnazione diretta contro l'art. 5 della legge, mentre per
l'analoga doglianza mossa in relazione all'art. 37 osserva che tale
disposizione riproduce il principio pacifico nella legislazione
statale, secondo cui le vicissitudini di carriera degli impiegati non
devono in nessun caso portare un peggioramento rispetto alle situazioni
economiche acquisite.
Circa l'illegittimità dell'art. 41 della legge impugnata, la
Regione rileva, innanzi tutto, che compito della delegazione della
Corte dei conti in Sardegna non è di sostenere gli interessi dello
Stato contro la Regione, ma soltanto di garante il retto uso delle
disponibilità finanziarie della Regione, nell'interesse della stessa,
per cui l'indennità concessa al personale della delegazione non può
costituire motivo di minaccia all'onestà del controllo, ma, se mai, un
incentivo al miglior funzionamento, compensando il disagio del distacco
da Roma, sede naturale del personale stesso.
In relazione al sesto motivo, concernente l'illegittimità
dell'articolo 20 della legge impugnata, la Regione sostiene, in linea
pregiudiziale, che la disposizione dell'art. 21 delle norme di
attuazione dello Statuto regionale sardo, di cui al decreto
presidenziale 19 maggio 1949, n. 250, col quale l'art. 20 predetto
sarebbe in contrasto, non ha carattere di norma costituzionale, per cui
il motivo, sotto tale profilo, sarebbe inammissibile.
Aggiunge comunque che l'autonomia riconosciuta alla Sardegna
dall'art. 3 dello Statuto, per quanto riguarda la legislazione in
materia di stato giuridico ed economico dei suoi dipendenti,
ricomprende indubbiamente la materia del trattamento pensionistico e
previdenziale, e che tale autonomia non potrebbe in nessun caso essere
limitata senza violare lo Statuto.
Sostiene poi che l'invocato art. 21 del decreto presidenziale 19
maggio 1949, n. 250, disponendo la iscrizione dei dipendenti regionali
ai noti istituti di previdenza, ha solamente inteso disciplinare la
gestione delle pensioni spettanti a questo personale, senza con ciò
limitare l'autonomia della Regione in relazione all'ammontare delle
prestazioni dovute.
Sul settimo motivo di ricorso, infine, la Regione obietta che i
principi violati, secondo l'autorità ricorrente, dalle norme impugnate
non assurgono alla dignità di principi generali dell'ordinamento, e
che comunque la Regione, nel predisporre la suddetta disciplina, si è
giustamente preoccupata di sistemare innanzi tutto gli impiegati
avventizi, assunti fin dai primi anni di funzionamento dell'Ente, ed ha
così usato solo della "innegabile" facoltà di "disporre come meglio
crede per quanto concerne il reclutamento del suo personale".
La difesa della Regione ha quindi concluso chiedendo che la Corte
costituzionale, "previo, ove occorra, giudizio incidentale sulla
validità costituzionale delle norme di attuazione dello Statuto sardo
che si assumono violate, dichiari la inammissibilità dei motivi di
impugnativa addotti nel ricorso o, comunque, li riconosca infondati".
4. - Sia l'Avvocatura generale dello Stato che la difesa della
Regione hanno depositato, rispettivamente il 16 e il 18 febbraio
scorso, nella cancelleria della Corte due ampie memorie, nelle quali
vengono ripresi in esame ed illustrati i vari punti della causa.
In particolare, la difesa della Regione, con riferimento ad alcuni
motivi del ricorso, propone la questione della loro inammissibilità
sotto il profilo della mancata impugnativa, da parte del Governo,
delle analoghe leggi in precedenza emanate in materia dalla Regione.
Considerato in diritto:
1. - Ha rilevato la Corte che i primi due motivi del ricorso hanno
importanza fondamentale e portata generale: epperò spiegando i loro
effetti, qualora si riconoscessero fondati, su tutto il ricorso, sono
assorbenti.
Infatti, ove si riconoscesse fondata la violazione dell'ultimo
comma dell'art. 81 della Costituzione, denunciata col primo motivo per
non essersi indicati, nella legge regionale impugnata, i mezzi per far
fronte alle nuove e maggiori spese che la legge stessa comporta,
venendo meno le basi finanziarie, essa sarebbe colpita in tutte le sue
disposizioni, che hanno per sostrato il trattamento economico,
l'inquadramento e lo svolgimento di carriera del personale della
Regione. Ove, poi, si riconoscesse fondato il secondo motivo, col quale
è stata denunciata la violazione della disposizione VIII delle norme
transitorie della Costituzione e dell'art. 21 delle norme di attuazione
dello Statuto sardo, di cui al D.P.R. 19 maggio 1950, n. 327,
sostenendosi che, salvo casi di necessità, la Regione doveva trarre il
proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali, è chiaro
che cadrebbe ugualmente tutta la legge, non ispirata ad attuare i
criteri stabiliti nelle richiamate disposizioni, assorbendo nella sua
quasi totalità il personale distaccato o comandato presso la Regione
ma tuttora dipendente dalle amministrazioni dello Stato o degli enti
locali. A ben considerare, anzi, questo secondo motivo, investendo il
criterio fondamentale seguito per la formazione della legge, è
preminente rispetto al primo, che ha riguardo alle basi finanziarie
dell'ordinamento del personale, che riflette cioè un problema,
anch'esso di fondamentale importanza, ma che, tuttavia, va preso in
esame dopo la determinazione dei criteri per la formazione
dell'organico e la sua attuazione. Questo secondo motivo va quindi per
primo esaminato.
2. - Ma, per procedere all'esame dei detti due primi motivi del
ricorso, bisogna innanzi tutto esaminare due eccezioni pregiudiziali
sollevate dalla difesa della Regione, riflettenti l'una entrambi i
motivi, l'altra soltanto il secondo motivo.
La prima eccezione riguarda i limiti entro i quali il Governo della
Repubblica è abilitato ad impugnare le leggi regionali sarde, a norma
dell'art. 33 dello Statuto speciale.
Stabilisce l'art. 33, in modo analogo a quanto è stabilito
nell'art. 127 della Costituzione: "Ogni legge approvata dal Consiglio
regionale è comunicata al Governo della Repubblica e promulgata trenta
giorni dopo la comunicazione, salvo che il Governo non la rinvii al
Consiglio regionale col rilievo che eccede la competenza della Regione
o contrasta con gli interessi nazionali". E il secondo comma soggiunge:
"Ove il Consiglio regionale l'approvi di nuovo a maggioranza assoluta
dei suoi componenti, è promulgata se, entro quindici giorni dalla
nuova comunicazione, il Governo della Repubblica non promuove la
questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale o quella di
merito per contrasto di interessi davanti alle Camere". La difesa della
Regione fa leva sul concetto di "incompetenza" espresso nel primo comma
dell'articolo, a proposito del rinvio della legge per nuovo esame al
Consiglio regionale da parte del Rappresentante del Governo, per
restringere entro i limiti di tal concetto sia la potestà del
Rappresentante del Governo, che quella di impugnativa per
illegittimità costituzionale dinanzi a questa Corte. In particolare
afferma che, tanto la violazione dell'art. 81, quanto quella della VIII
disposizione transitoria della Costituzione, non potrebbero
configurarsi come casi di eccesso da parte della Regione dai limiti
della potestà legislativa che ad essa compete in materia di
ordinamento degli uffici e stato giuridico ed economico del personale
(art. 3, lett. a, dello Statuto speciale), per cui dovendosi la
facoltà di impugnativa spettante al Governo ritenere limitata ai soli
motivi d'"incompetenza", il ricorso sarebbe, sotto i cennati profili,
inammissibile. Ma devesi rilevare che tale argomentazione è priva di
giuridico fondamento, e che la potestà di rinvio data al
Rappresentante del Governo e la correlativa potestà di impugnativa per
illegittimità costituzionale spettante al Governo hanno pari e non
limitata estensione.
Giova notare che per "competenza" legislativa attribuita alla
Regione deve intendersi la sfera entro la quale la stessa può
legiferare, sfera che trova i suoi limiti nelle stesse norme
costituzionali attributive della potestà. Nel caso quindi della
Regione sarda tali limiti vanno ricercati nell'art. 3 dello Statuto
che, in relazione al disposto dell'art. 116 della Costituzione,
attribuisce forme e condizioni particolari di autonomia alla Regione
medesima, disponendo: "In armonia con la Costituzione e i principi
dell'ordinamento giuridico dello Stato e col rispetto degli obblighi
internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme
fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica, la
Regione ha potestà legislativa nelle seguenti materie...". È pertanto
da ritenere che la Regione ecceda dalla propria competenza non solo
ogni qualvolta legiferi in materie non comprese nella specifica
elencazione contenuta nell'art. 3, ma altresì ogni volta che,
nell'esercizio della propria funzione legislativa, superi i limiti di
carattere generale stabiliti nell'art. 3 citato, e detti, quindi, norme
contrastanti o con la Costituzione, o con i principi dell'ordinamento
giuridico dello Stato. E ciò, in forza di un principio generale e
comune, vale tanto rispetto alla potestà di rinvio del Rappresentante
del Governo al Consiglio regionale, quanto per l'impugnativa di
legittimità costituzionale promossa dal Governo dinanzi alla Corte
costituzionale.
Del resto, per quanto attiene a questa impugnativa, il carattere
generale di essa è già stato affermato con la sentenza di questa
Corte del 27 febbraio 1957, n. 38, riconducendosi tal carattere alla
norma fondamentale dell'art. 134 della Costituzione, anche rispetto
all'esame della questione di legittimità costituzionale di leggi
regionali e con riferimento all'art. 127 della Costituzione. Osservò,
infatti, la Corte che non "può ritenersi che la formula adoperata nel
ricordato art. 134 sia tale da lasciar fuori qualche parte della
materia, e che, per esempio, la competenza della Corte costituzionale a
conoscere della questione di legittimità delle leggi regionali, di cui
è parola nell'ultimo comma dell'art. 127, debba intendersi come una
competenza particolare, aggiunta a quella generale e comprensiva
dell'art. 134, e non già specificazione di questa" (v., da ultimo,
sentenza n. 11 del 9 marzo 1959, che a quella citata n. 38 del 1957 si
riporta).
L'eccezione pregiudiziale sopra accennata deve quindi ritenersi
infondata.
3. - La seconda eccezione pregiudiziale sollevata dalla difesa
della Regione riguarda invece, come si è detto, il secondo motivo del
ricorso, pure essendo stata riproposta anche rispetto ad altri
successivi motivi.
La difesa della Regione osserva che la legge impugnata non è la
prima con la quale la Regione sarda abbia previsto l'assunzione di
personale per via diversa da quella del "comando". Già nella legge
regionale 5 maggio 1953, n. 19, si trova l'autorizzazione della Giunta
di assumere personale avventizio e di emanare "con apposita legge
regionale" delle "norme sullo stato giuridico e sul trattamento
economico del personale dell'Amministrazione regionale". Sostiene,
quindi, che era già chiara, in quella legge, la volontà della Regione
di avere personale proprio e di ruolo, non potendosi l'assunzione di
avventizi considerare che come una soluzione provvisoria, in attesa che
con la prevista legge fossero stabilite, fra l'altro, le modalità per
i concorsi per l'assunzione in ruolo. Ora la legge del 1953 non fu
impugnata dal Governo della Repubblica, mentre contro di essa si
sarebbero ben potute far valere le argomentazioni ora fatte valere
contro la legge 17 maggio 1957. Pertanto la mancata impugnazione della
legge del 1953, per il motivo in esame, potrebbe configurarsi come una
acquiescenza, preclusiva della ammissibilità di tale motivo nel
giudizio attuale.
Ma anche questa eccezione non ha giuridico fondamento. Già, con
sentenza del 7 marzo 1957; n. 44, questa Corte ha posto in luce come,
dato lo speciale carattere e lo scopo dei giudizi di legittimità
costituzionale, anche quando essi siano proposti in via principale, non
possano avere rilievo istituti, come quelli dell'inammissibilità del
ricorso per acquiescenza o per il carattere confermativo del
provvedimento impugnato, quali sono stati specialmente elaborati dalla
giurisprudenza amministrativa. E con la successiva sentenza 7 luglio
1958, n. 54, ha ritenuto che è ammissibile l'impugnazione di una
legge regionale che abroga o modifica leggi precedentemente emanate
dalla stessa Regione ma non impugnate dallo Stato, quando la nuova
legge si presenti formalmente autonoma rispetto alla precedente. Nel
caso in esame è agevole rilevare che la legge impugnata, se pure
sostanzialmente riguarda la stessa materia della legge regionale del
1953, ha però ben diversa estensione ed importanza e apporta alla
precedente legge non poche modifiche.
4. - Prendendo occasione dalle disposizioni degli articoli 7, 8 e 9
della impugnata legge regionale, che stabiliscono l'assunzione nei
posti attraverso concorsi esterni, si deduce nel ricorso, come si è
visto, col secondo motivo, la violazione della disposizione VIII delle
norme finali e transitorie della Costituzione e dell'art. 21 delle
norme di attuazione dello Statuto sardo approvato con D.P.R. del 19
maggio 1950, n. 327.
Nel ricorso si spiega che tal sistema di attuazione indica
l'intenzione del legislatore sardo di costituire, normalmente,
l'organico del proprio personale con l'assunzione di nuovi elementi,
anziché procedere alla utilizzazione, per assorbimento, del personale
in servizio presso l'Amministrazione dello Stato o presso gli enti
locali. Tale principio programmatico è in netto contrasto con la
disposizione VIII delle norme transitorie della Costituzione. Infatti,
la prima parte dell'ultimo comma di quella disposizione stabilisce che
le leggi della Repubblica debbono regolare il passaggio alla Regione di
funzionari e dipendenti dello Stato, come conseguenza necessaria
dell'attuazione del nuovo ordinamento, vale a dire del passaggio di
determinati servizi statali alla Regione. Soggiunge, poi, la seconda
parte della disposizione medesima: "Per la formazione dei loro uffici
le Regioni devono, tranne che in caso di necessità, trarre il proprio
personale da quello dello Stato o degli enti locali". E l'art. 21 delle
ricordate norme di attuazione, riproducendo la disposizione, ribadisce:
"Per la formazione dei propri uffici e per il funzionamento di quelli
che vengono trasferiti dallo Stato alla Regione, quest'ultima si
avvarrà, tranne che nei casi di necessità, del personale di ruolo
dell'Amministrazione dello Stato e degli enti locali". Si osserva nel
ricorso che queste disposizioni sarebbero state determinate da due
esigenze, apparentemente diverse, ma aventi identica finalità, qual'è
la utilizzazione del personale già in servizio. Il trasferimento alla
Regione di servizi statali postula, innanzi tutto, il correlativo
passaggio dei dipendenti statali addetti ai servizi medesimi, così
come avviene, nell'ambito delle stesse amministrazioni statali, nel
caso del passaggio di un determinato ufficio o servizio da un Ministero
all'altro. In secondo luogo, trattandosi di nuove amministrazioni, le
Regioni hanno bisogno, nei limiti della loro struttura, di personale
idoneo, e perciò tratto da quello dello Stato e degli enti locali,
anche al fine di evitare che si formino i quadri con personale
improvvisato o inesperto.
Secondo quanto è affermato nel ricorso, nella legge in esame si
sarebbe capovolto il precetto contenuto nella disposizione VIII della
Costituzione e nella ricordata norma di attuazione dello Statuto,
stabilendosi in via normale, anziché solo in caso di necessità,
l'assunzione di personale estraneo alle pubbliche amministrazioni, e in
via eccezionale la utilizzazione del personale comandato dello Stato e
degli enti pubblici.
Si afferma poi, nel ricorso stesso, che le norme di attuazione
hanno efficacia di "regolamento costituzionale", e pertanto il
precetto contenuto nell'art. 21 delle medesime non avrebbe potuto
essere violato o disatteso con disposizioni unilaterali di legge
regionale, ma, se mai, per eventuali deroghe si sarebbe dovuto
provvedere con altre norme di attuazione, da emanarsi con decreto
legislativo in base alla speciale procedura prevista dall'art. 56 dello
Statuto sardo.
5. - Per quanto concerne la disposizione VIII della Costituzione,
la difesa della Regione rileva, peraltro, che si tratta di norma la cui
applicabilità alla Regione sarda sarebbe contestabile. In via più
generale, osserva che si tratterebbe di norma dettata solo in
considerazione delle istituende Regioni ad autonomia ordinaria, quale
non può essere invocata in confronto ad una Regione ad autonomia
speciale, tanto più che la materia è stata regolata, rispetto a
quella, con apposita norma di attuazione. La norma di attuazione
avrebbe, poi, valore di legge ordinaria e non costituzionale, sicché
la sua violazione non potrebbe dar luogo a questione di legittimità
costituzionale.
L'assunto circa il carattere particolare e la portata ristretta
della disposizione VIII si appalesa privo di giuridico fondamento ove
si rifletta al contenuto sostanziale della disposizione e al suo
collocamento nella Carta costituzionale.
È del tutto logico e risponde ad una pratica necessità senza
potersi distinguere fra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto
ordinario - che nella prima loro costituzione le Regioni tutte debbano
servirsi, in massima parte, di personale già esperto, epperò già
appartenente o alle amministrazioni dello Stato o a quelle degli enti
locali. La disposizione in parola ha quindi portata generale, senza
potersi distinguere fra le une o le altre Regioni. Se il legislatore
costituente avesse voluto dettare una norma valevole solo per le
Regioni a statuto ordinario, in modo diretto o indiretto lo avrebbe
detto, così come ha fatto nel corpo della Costituzione, distinguendo
le norme relative alle Regioni a statuto speciale da quelle relative
alle altre Regioni.
6. - Circa la natura delle norme di attuazione degli statuti
regionali, è da ricordare che questa Corte già ebbe ad esaminare la
questione con la sentenza del 29 giugno 1956, n. 20. La Corte escluse
che si trattasse di semplici regolamenti, nel senso proprio dei
regolamenti amministrativi, e ciò sia per la loro sostanza, sia,
conseguentemente, per la forma da esse rivestita. Rilevò la Corte che
non sono norme di mera esecuzione degli statuti, giacché se tali
avessero dovuto essere, sarebbe forse bastata, per molte di esse, la
forma del regolamento esecutivo; ma esse si differenziano dal
regolamento che contenga disposizioni di mera esecuzione di una legge
per la finalità che è facilmente in esse riscontrabile. Se la loro
finalità - notò la Corte - è quella non già di stabilire
semplicemente, come in un regolamento, quelle disposizioni più
dettagliate che occorrono per la esecuzione della legge, ma di porre,
ove necessario, disposizioni di carattere sostanziale, anche per le
relazioni fra lo Stato e la Regione, per l'"attuazione" dello Statuto
di questa, si spiega il carattere e la veste legislativa che esse hanno
e non il carattere e la forma del semplice decreto regolamentare.
Hanno dunque valore di legge, e per alcuni statuti, come per quello
sardo, è prevista la loro compilazione da parte di una commissione
paritetica e occorre sentire il parere di alcuni organi regionali. Sia
per ragioni formali che per ragioni sostanziali, esse si pongono dunque
su un piano diverso e superiore rispetto alle leggi da emanare nelle
materie da esse regolate; ma non per questo si può ad esse attribuire
il carattere di leggi costituzionali.
Nel caso in esame norma indubbiamente di carattere costituzionale
è la disposizione VIII della Costituzione. Peraltro l'aver riprodotto
nell'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo, di cui al
ricordato D.P.R. 19 maggio 1950, la disposizione VIII della
Costituzione non fa certamente perdere alla norma di questa il suo
carattere costituzionale, giacché la norma della Costituzione rimane
pur sempre in questa, così com'è, col suo carattere costituzionale e
con la efficacia ad essa insita.
7. - Altro problema - e ciò tocca il punto decisivo del motivo
dedotto col ricorso - è vedere se la disposizione della Costituzione e
la norma di attuazione abbiano natura ed efficacia di norma transitoria
o permanente; e se, nel caso che si riconosca alla disposizione della
Costituzione la natura di norma transitoria, abbia anche tale natura la
disposizione dell'art. 21 delle citate norme di attuazione, ovvero se
essa, riportandosi nel detto articolo alla disposizione VIII della
Costituzione, abbia, con ciò, acquistato carattere definitivo, e cioè
efficacia permanente.
La disposizione VIII della Costituzione è inserita fra le
disposizioni transitorie e finali: il collocamento suo, quindi, non è
indicativo, per se stesso, del carattere della norma, che avrebbe
potuto essere stata collocata alla fine della Carta costituzionale sia
quale norma finale, dato il suo contenuto, sia quale norma transitoria.
I lavori preparatori invece ci indicano - con estrema chiarezza - quale
è stata l'intenzione dei costituenti nel dettare la disposizione. Fu
infatti osservato, in seno all'Assemblea costituente, che il numero
degli impiegati dello Stato o degli enti locali era esuberante,
rispetto alla necessità dei servizi, e che quindi bisognava utilizzare
questi impiegati, già esperti di amministrazione, nella costituzione
delle amministrazioni regionali. La proposta, del tutto ragionevole,
ed anche indirizzata a portare un contributo al problema dello
sfollamento degli impiegati, fu accettata, ma nel senso che "il
precetto di ricorrere, tranne casi eccezionali, soltanto a chi è già
impiegato dello Stato e degli enti locali può valere per la prima
istituzione della Regione. Ma quando essa funzioni già da tempo, non
vi è più ragione di un precetto così assoluto". Si decise, quindi,
di inserire la norma fra le "disposizioni transitorie" (Resoconti
dell'Assemblea costituente, p. 5892).
Se bisogna, dunque, convenire che la disposizione VIII della
Costituzione ha carattere transitorio, non diverso carattere si deve
riconoscere all'art. 21 delle norme di attuazione dello Statuto sardo
19 maggio 1950, nonostante che tale articolo sia stato inserito non
nella parte finale di queste norme, ma nel corpo di esse. Il carattere,
infatti, di norma transitoria si deduce non tanto e soltanto dalla sua
derivazione - e cioè da una norma transitoria della Costituzione -
quanto dal suo contenuto. Stabilisce l'art. 21: "Per la formazione dei
propri uffici e per il funzionamento di quelli che vengono trasferiti
dallo Stato alla Regione, quest'ultima si avvarrà, tranne nei casi di
necessità, del personale di ruolo dell'Amministrazione dello Stato e
degli enti locali". Ora la "formazione" degli uffici è cosa che si
realizza con la costituzione di essi e al momento dell'inizio del loro
funzionamento; il "trasferimento" degli uffici dallo Stato alla
Regione, per effetto di trasferimento di attività in base ad
attribuzione di determinate competenze alla Regione, avviene nel
momento del passaggio degli uffici o servizi. Quindi il contenuto della
norma e la sua finalità convincono del carattere transitorio di essa.
D'altra parte, se il servirsi, per la costituzione e il primo
funzionamento dell'Ente Regione, di impiegati dello Stato e degli enti
locali, già esperti dei servizi, era una inderogabile necessità, pur
nominando la Regione alcuni impiegati suoi propri, cessa tale
necessità quando l'Amministrazione regionale è da tempo costituita.
Si spiega, dunque, il graduale passaggio di questi impiegati nei ruoli
organici regionali, pur rimanendo alcuni funzionari dello Stato nella
veste di comandati presso la Regione, e collocandosi accanto agli uni
ed agli altri funzionari presi all'esterno, propri dell'Ente Regione.
8. - La conclusione cui giunge la Corte, e che consiglia di
disattendere il secondo motivo del ricorso, al quale non si può
riconoscere pieno fondamento, è, d'altra parte, conforme al sistema
delle leggi stabilito per la Regione sarda. Rilevante, in proposito, è
il disposto dell'art. 20 delle altre norme di attuazione dello Statuto
speciale, di cui al D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, col quale
espressamente si stabilisce che è bensì obbligatorio il pubblico
concorso per l'assunzione in carriera degli impiegati amministrativi e
tecnici, ma sempre quando la Giunta regionale non ravvisi la
possibilità di provvedere con personale comandato appartenente ad
uffici statali o ad enti locali. Ed inoltre: per la concreta
organizzazione dei propri uffici, quindi in modo diretto ai fini della
formazione delle piante organiche del personale proprio, è da
considerare la previa applicazione del disposto dell'art. 42 dello
stesso Statuto speciale, che stabilisce che la Regione esercita
normalmente le sue funzioni amministrative delegandole agli enti locali
e valendosi dei loro uffici. È di tutta evidenza perciò che, in
applicazione di tale categorico precetto, il numero degli impiegati che
possono andare a formare gli organici propri dell'ente Regione deve
essere determinato tenuto conto del preventivo regolamento della
delegazione di funzioni agli enti locali e della utilizzazione degli
uffici di questi ultimi.
9. - Se, per le esposte ragioni, non può essere accolto il secondo
motivo del ricorso - che, come innanzi si è accennato, era
preliminare, anche rispetto al primo, e sarebbe stato assorbente -
ritiene la Corte che fondato sia invece il motivo primo.
La difesa della Regione ammette che l'osservanza della norma
fondamentale dell'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione sia una
condizione di legittimità costituzionale anche per le leggi regionali;
e, del resto, ciò è stato riconosciuto da questa Corte (v. sentenze
25 febbraio 1958, n. 9; 14 luglio 1958, n. 54, e, da ultimo, 9 marzo
1959, n. 11); ma afferma anche - ed è innegabile - che la norma
dell'art. 81 non può avere per le Regioni una portata diversa e più
rigorosa di quella che essa ha nei confronti dello Stato. E in
particolare, richiamandosi appunto a questa riserva, osserva che la
legge regionale impugnata importa semplicemente una sistemazione e un
riordinamento dello stato giuridico ed economico dei dipendenti della
Regione; che non si tratta di un nuovo titolo di spesa; che per il suo
meccanismo e per le modalità della sua attuazione non determina nuove
e maggiori spese; che l'indicazione dei mezzi di copertura delle nuove
o maggiori spese, richiesta dall'art. 81, riguarda soltanto le nuove o
maggiori spese che incidano sul bilancio in corso; che, infine, "se poi
la legge stessa comporti delle spese maggiori, è cosa che rimane da
dimostrare e la cui dimostrazione incombe alla autorità ricorrente".
Quest'ultima affermazione non può essere accettata. L'ultimo comma
dell'art. 81 stabilisce che la legge stessa che comporta nuove o
maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte. L'obbligo di
soddisfare a questo precetto costituzionale ricade su chi propone la
legge, sia questa di iniziativa governativa, sia di iniziativa
parlamentare.
Né si può assumere che mancando nella legge ogni indicazione
della così detta "copertura", cioè dei mezzi per far fronte alla
nuova o maggiore spesa, si debba per questo solo fatto presumere che la
legge non implichi nessun onere o nessun maggiore onere. La mancanza o
la esistenza di un onere si desume dall'oggetto della legge e dal
contenuto di essa. Anche se per una maggiore spesa non occorra trovare
una nuova copertura, in quanto essa può rientrare nel capitolo normale
del bilancio in corso, nel senso che nel capitolo vi è capienza per
l'aumento di spesa, pure è necessario, per soddisfare al precetto
dell'art. 81, che la legge contenga la menzione che per la spesa si
farà fronte con la somma già iscritta in bilancio al capitolo
espressamente nominato; e se alla nuova o maggiore spesa non è
necessario trovare una copertura a parte, extrabilancio, ma vi sia, nel
bilancio, un capitolo o dei capitoli che offrano una eccedenza di
stanziamento che si possa destinare alla nuova o maggiore spesa, si
procederà ad una riduzione delle somme assegnate a quei capitoli, con
lo "storno", e all'assegnazione della differenza a nuovi capitoli o a
capitoli esistenti, ma occorre sempre nella legge, per soddisfare al
precetto dell'art. 81, che si faccia menzione dello storno e, ancora,
con apposita disposizione, nella legge stessa, che sia data
autorizzazione al Ministro del tesoro di apportare al bilancio le
debite variazioni, e queste poi debbono essere inserite in apposita
legge.
Non può, poi, seguirsi la difesa della Regione quando afferma che
la legge in esame non importa nuove o maggiori spese, ma semplicemente
una sistemazione e un riordinamento dello stato giuridico ed economico
degli impiegati della Regione. Che non si tratti di un nuovo "titolo"
di spesa, nel senso che si tratta pur sempre di spesa per i dipendenti
della Regione, si può ammettere; ma dall'esame delle disposizioni
della legge e delle numerose sue tabelle - che della legge fanno parte
integrante - apertamente appare che un aumento di spesa, e notevole,
vi è. Ciò è ammesso dalla stessa difesa della Regione. Nel ricorso
del Presidente del Consiglio si afferma, infatti, che la legge, con le
tabelle, prevede un organico complessivo di 991 unità rispetto alle
415 contemplate dalle precedenti disposizioni in materia. Se anche non
si vogliano ammettere tali cifre - e la conseguente differenza numerica
di aumento del personale con relativo nuovo o maggiore onere -, non si
può non ammettere quanto la difesa stessa della Regione dichiara: "In
realtà il personale attualmente in servizio presso la Regione è
costituito da 687 unità; e poiché l'organico completo approvato con
la legge impugnata prevede 921 unità, l'aumento è di solo 234 unità:
la metà dunque, o poco più, di quanto l'Avvocatura dello Stato
ritiene; e appena poco più di un terzo rispetto alla consistenza
attuale". Un notevole aumento numerico del personale vi è dunque, con
conseguente maggiore onere, del quale non è stata dimostrata la
copertura. Né vale opporre che non vi è nessun onere in quanto il
nuovo personale sarebbe assunto solo in avvenire. A parte che si tratta
di una affermazione, estranea al contesto della legge impugnata, priva
di qualsiasi dimostrazione, è da notare che tutte le leggi che
contemplano un riordinamento del personale o stabiliscono un nuovo
organico, regolano le carriere e fissano nuove tabelle, anche quando si
preveda che le disposizioni adottate vengano attuate in tempi
successivi, contengono sempre la indicazione delle basi finanziarie per
la loro esecuzione. Il Presidente della Regione nel riferire nella
riunione della Giunta regionale del 25 luglio 1958 (v. verbale in atti)
sulla proposta di resistere al ricorso prodotto a questa Corte dal
Presidente del Consiglio dei Ministri, ebbe ad affermare che "anche la
legge nazionale sull'ordinamento delle carriere del personale civile
dello Stato (D.P.R. 11 gennaio 1956, n. 16) non contiene, perché non
poteva, alcuna previsione di maggiori oneri conseguenti
all'applicazione della legge medesima". Ma l'affermazione non è
esatta: il D.P.R. 11 gennaio 1956 è una legge delegata; la legge 20
dicembre 1954, n. 1188, con la quale veniva concessa al Governo la
delega per l'emanazione delle norme relative al nuovo statuto degli
impiegati dello Stato, contiene l'art. 12, che reca un complesso di
disposizioni riguardanti la copertura della spesa della emananda legge
delegata. Le stesse leggi regionali sarde precedentemente emanate in
materia contengono - e non poteva essere altrimenti - la disposizione
riguardante la copertura, in ossequio al precetto dell'art. 81 della
Costituzione: basta citare, per tutte, l'art. 7 della già ricordata
legge regionale 5 maggio 1953, n. 19 - che è la più importante -,
contenente modifiche agli organici dell'Amministrazione regionale e
disciplina delle assunzioni del personale avventizio, ed alla quale,
come per la legge ora in esame, sono allegate le tabelle del personale
attribuito alla Presidenza della Giunta regionale ed ai vari
Assessorati.
10. - Maggiore attenzione meriterebbe la questione sollevata dalla
difesa della Regione - sempre a proposito dell'applicazione dell'ultimo
comma dell'art. 81 della Costituzione - se il precetto costituzionale
riguardante l'obbligo della indicazione della copertura riguardi
soltanto quella parte delle nuove o maggiori spese che incidono sul
bilancio in corso od anche, oltre questa parte, anche quella che va a
ricadere - naturalmente per effetto diretto della legge stessa - sul
bilancio successivo od anche, eventualmente, su quelli futuri. La
difesa della Regione abbraccia e difende la prima tesi e si riporta ad
una tendenza che ebbe, in tal senso, a manifestarsi, subito dopo
l'entrata in vigore della Costituzione, ad opera di alcuni
parlamentari, presso alcuni organi legislativi, per facilitare
l'iniziativa parlamentare nella proposizione dei progetti di legge, e
venne anche condivisa in qualche pronuncia dall'Alta Corte per la
Sicilia. Sulla fondatezza di questa tesi furono però subito sollevati
forti dubbi, di cui si fa eco, nella presente causa, l'Avvocatura
generale dello Stato, la quale osserva che "l'esigenza del rispetto del
precetto di cui all'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione sembra
che sia ancora maggior mente sentita quando si tratta di nuove o
maggiori spese sicure che impegneranno i bilanci dello Stato e delle
Regioni per un numero imprecisato ed imprecisabile di anni. Colui a cui
fa carico un onere continuativo devesi ritener certamente più
aggravato di colui che deve adempiere certe obbligazioni una tantum".
Queste ed altre più gravi ragioni potrebbero militare a favore della
tesi contraria a quella sostenuta dalla difesa della Regione; ma, ai
fini del presente ricorso, è frustrano soffermarsi sull'una o
sull'altra tesi, dato che, nella legge in esame, nemmeno per
l'esercizio in corso al tempo dell'emanazione della legge stessa sono
stati indicati i mezzi per far fronte alle nuove o maggiori spese da
essa derivanti.
Ciò è sufficiente per l'accoglimento del motivo, il quale
riguardando, come già innanzi si è notato, la base fondamentale della
legge, qual'è quella finanziaria, la investe tutta, e perciò non è
necessario scendere all'esame degli altri motivi proposti.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
respinge le eccezioni pregiudiziali sollevate dalla difesa della
Regione;
dichiara la illegittimità costituzionale della legge approvata dal
Consiglio regionale sardo in data 17 maggio 1957, concernente "Norme
sullo stato giuridico, trattamento economico e ordina mento gerarchico
del personale dipendente dall'Amministrazione regionale", in
riferimento all'ultimo comma dell'art. 81 della Costituzione.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 aprile 1959.
GAETANO AZZARITI - GIUSEPPE CAPPI -
TOMASO PERASSI - GASPARE AMBROSINI -
ERNESTO BATTAGLINI - MARIO COSATTI -
FRANCESCO PANTALEO GABRIELI -
GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO - ANTONINO
PAPALDO - NICOLA JAEGER - GIOVANNI
CASSANDRO - BIAGIO PETROCELLI -
ANTONIO MANCA - ALDO SANDULLI.