Presidente Silvana Sciarra

Decisioni

La giudice Sciarra ha redatto 159 decisioni dal suo ingresso alla Corte costituzionale l’11 novembre 2014.
Di seguito alcune delle più significative:

La Corte costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale del blocco pluriennale della perequazione automatica di cui al decreto-legge Salva Italia, in quanto lesivo dell’interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite. L’azzeramento del meccanismo perequativo determina un irragionevole sacrificio del diritto a una prestazione previdenziale adeguata, espressione del principio di solidarietà e di eguaglianza sostanziale, in nome di esigenze finanziarie “neppure illustrate” (sentenza n.70 del 2015).

Il d.l. n. 65 del 2015 (successivo al d.l. Salva Italia) ha introdotto una disciplina «nuova» e «diversa», ancorché temporanea, della rivalutazione automatica delle pensioni per gli anni 2012 e 2013, coerente con le indicazioni contenute nella sent. n. 70 del 2015. Le norme del citato decreto esprimono, infatti, la scelta «non irragionevole» di riconoscere la perequazione in misure percentuali decrescenti all’aumentare dell’importo complessivo del trattamento pensionistico, sino ad escluderla per quelli superiori a sei volte il minimo Inps, nel rispetto dei principi costituzionali di adeguatezza e proporzionalità dei trattamenti pensionistici (sentenza n.250 del 2017).

È illegittima la proroga del blocco della contrattazione economica collettiva, strumento di garanzia della parità di trattamento dei lavoratori e fattore propulsivo della produttività e del merito. Tale proroga sconfina in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziari. Spetta al legislatore dare nuovo impulso all’ordinaria dialettica contrattuale, nel rispetto dei vincoli di spesa (sentenza n.178 del 2015).

La previsione di un’indennità ancorata solo all’anzianità di servizio vìola il diritto fondamentale dei lavoratori, licenziati in assenza di giusta causa o di giustificato motivo, a un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione, tutelato in specie dagli artt. 4 e 35 della Costituzione e dall’art. 24 della Carta sociale europea. La determinazione rigida e uniforme dell’indennità non consente al giudice di tener conto di una serie di altri fattori (numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’impresa, comportamento delle parti), la cui valutazione è necessaria a soddisfare l’esigenza di personalizzazione del danno subito dal lavoratore, imposta dal principio di eguaglianza (sentenza n.194 del 2018). Sulla base di analoghi argomenti, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione dell’indennità ancorata alla sola anzianità di servizio in caso di licenziamento illegittimo perché affetto da vizi formali o procedurali (sentenza n.150 del 2020).

È illegittimo l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – nel testo modificato dalla “riforma Fornero”- là dove prescrive che la reintegrazione, in caso di licenziamenti economici, è facoltativa – mentre è obbligatoria nei licenziamenti per giusta causa e giustificato motivo soggettivo – quando il fatto che li ha determinati è manifestamente insussistente. Nella specie, la scelta tra due forme di tutela profondamente diverse – quella reintegratoria, pur nella forma attenuata, e quella meramente indennitaria – è rimessa a una valutazione del giudice, disancorata da precisi punti di riferimento (sentenza n.59 del 2021). La Corte ha, poi, dichiarato l’illegittimità costituzionale anche della previsione – ai fini della reintegrazione – della dimostrazione della “manifesta” insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La previsione del carattere manifesto di una insussistenza del fatto, già delimitata e coerente con un sistema che preclude al giudice il sindacato delle scelte imprenditoriali, presenta i profili di irragionevolezza intrinseca già posti in risalto nella sentenza n. 59 del 2021, che ha preso in esame il carattere meramente facoltativo della reintegrazione (sentenza n.125 del 2022).

La Corte ha affermato che il divieto di discriminazioni arbitrarie e la tutela della maternità e dell’infanzia, salvaguardati dalla Costituzione italiana (artt. 3, primo comma, e 31 Cost.), devono essere interpretati anche alla luce delle indicazioni vincolanti offerte dal diritto dell’Unione europea. Pertanto, nell’ambito di una ormai sperimentata tradizione di leale collaborazione fra Corti, la Corte costituzionale ha rivolto alla Corte di giustizia Ue un quesito sulla compatibilità della norma che subordina alla titolarità del permesso per soggiornanti UE di lungo periodo la concessione agli stranieri degli assegni di natalità e di maternità con l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che prevede il diritto alle prestazioni di sicurezza sociale, e con l’articolo 12, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE, sulla parità di trattamento tra cittadini di Paesi terzi e cittadini degli Stati membri (ordinanza n.182 del 2020). A seguito della sentenza della Corte di giustizia del 2 settembre 2021 (C-350/20), che ha affermato l’incompatibilità della normativa italiana con il diritto europeo, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa nazionale, lesiva del diritto alla parità di trattamento nell’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale (sentenza n.54 del 2022).

La Corte ha affermato che i cittadini non europei, soggiornanti di lungo periodo e con permesso unico di lavoro, non possono essere trattati in modo diverso dai cittadini italiani nell’accedere al beneficio dell’assegno per il nucleo familiare (ANF), anche se alcuni componenti della famiglia risiedono temporaneamente nel paese di origine. La parità di trattamento fra i destinatari di questa provvidenza – che ha natura sia previdenziale sia di sostegno a situazioni di bisogno – è garantita dai giudici, tenuti ad applicare il diritto europeo e a non applicare il diritto interno confliggente, nel rispetto del principio del primato del diritto dell’Unione(sentenza n.67 del 2022).

Con riferimento al caso di minore, nato da fecondazione eterologa praticata all’estero da due donne il cui rapporto, dopo anni, è diventato conflittuale, la Corte ha affermato che spetta prioritariamente al legislatore individuare il “ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana”, per fornire, in maniera organica, adeguata tutela ai diritti del minore “alla cura, all’educazione, all’istruzione, al mantenimento, alla successione e, più in generale, alla continuità e al conforto di abitudini condivise”, evitando di generare disarmonie nel sistema, Tuttavia, il grave vuoto di tutela non sarà più tollerabile se si protrarrà l’inerzia del legislatore (sentenza n.32 del 2021).

La legge n. 124 del 2015 – che conferisce al Governo più deleghe per la riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche – rientra nel novero degli interventi volti a disciplinare, in maniera unitaria, fenomeni sociali complessi, rispetto ai quali si delinea una fitta trama di relazioni ed emergono interessi distinti che ben possono ripartirsi diversamente lungo l’asse delle competenze normative di Stato e Regioni, corrispondenti alle diverse materie coinvolte. Nell’evenienza di uno stretto intreccio fra materie e competenze dello Stato e delle Regioni, la leale collaborazione costituisce principio guida e l’intesa la soluzione che meglio incarna la collaborazione (sentenza n.251 del 2016).

Nell’esercizio della funzione giurisdizionale di parificazione dei rendiconti regionali, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti sono legittimate a sollevare questione di legittimità costituzionale nei confronti di tutte le disposizioni di legge che determinano, nell’articolazione e nella gestione del bilancio stesso, effetti non consentiti dai principi posti a tutela degli equilibri economico-finanziari e da tutti gli altri precetti costituzionali, che custodiscono la sana gestione finanziaria (sentenza n.196 del 2018).