Roma

Festa del cinema di Roma
Rebibbia festival Carcere di Rebibbia

Giorgio Lattanzi
27 ottobre 2019

Diario di Viaggio

di Donatella Stasio

"Senza un diritto alla speranza non c'è prospettiva di risocializzazione, perchè la risocializzazione si basa proprio sulla speranza". Dice così il presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi, sollecitato da una domanda del professor Marco Ruotolo. Il diritto alla speranza è stato un po' il leit motiv del Viaggio della Corte costituzionale nelle carceri, come ben racconta il film di Fabio Cavalli, dall'omonimo titolo, proiettato il 27 ottobre nel carcere romano di Rebibbia, da dove il Viaggio partì il 4 ottobre 2018. Oggi come allora il teatro è stracolmo: detenuti e detenute, studenti, operatori, giuristi, autorità. Quando, tra gli applausi commossi del pubblico le luci si riaccendono sui titoli di coda del film, l'argomento che durante il Viaggio ha punteggiato l'interlocuzione tra giudici e detenuti viene rilanciato da Ruotolo: "Non è il caso di dare concretezza al diritto alla speranza come ha fatto l'Europa con la Corte di Strasburgo?". Lattanzi chiosa: "Se manca la speranza, la vita di un detenuto è senza senso". Siamo a pochi giorni dalla decisione della Corte costituzionale sulla concessione di permessi premio in caso di ergastolo ostativo, anche se il detenuto non ha collaborato con la giustizia. Una decisione affermativa (molto articolata) anticipata con un comunicato stampa. Per la motivazione bisognerà attendere il deposito della sentenza e il presidente non aggiunge nulla. Dichiara solo, in estrema sintesi, quello che per lui è un principio giuridico cruciale: "Personalmente credo che se esiste il diritto al silenzio (ed esiste in tutti gli Stati civili), poi non si può far discendere dal silenzio un aggravio del trattamento. La collaborazione merita un premio ma la mancata collaborazione non può determinare una sanzione. È una cosa in cui credo profondamente". Al dibattito

partecipano in molti, dall'agente di polizia penitenziaria Sandro Pepe, il "Caronte" che nel film accompagna i giudici ai vari incontri con i detenuti, al Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà Mauro Palma. Il quale pone l'accento sul peso che, nella comunicazione, ha avuto il linguaggio elementare usato nel Viaggio e nel film. Ed esprime l'auspicio che il Viaggio sia anche l'inizio di una maggiore attenzione al linguaggio, a qualunque livello istituzionale. "Bisogna recuperare - osserva Palma - parole diverse e costruttrici, capaci di creare relazioni con gli altri". Questo è quello che è riuscito a fare il Viaggio. E il film lo racconta. Concorda Lattanzi. "Se posso usare un'espressione un po' romana, direi che "ci siamo capiti"". Il Presidente ricorda che l'esigenza di "conoscere e farsi conoscere", da cui è partito il Viaggio, ha significato anche "capire e farsi capire". "La forza educativa del film è proprio quella di far capire. Purtroppo - conclude Lattanzi - mancano forme di comunicazione che consentono non solo la conoscenza ma anche la comprensione". Il dibattito si chiude con le voci dei detenuti che avevano partecipato al Viaggio. "Anche grazie a persone coraggiose come voi, molto è cambiato. Il film è uno spaccato assolutamente veritiero del carcere, che la società civile non conosce, e dà conto al mondo della nostra volontà di cambiamento" dice uno. E quello che un anno fa aveva chiesto ai giudici "Come si concilia il diritto alla speranza con l'ergastolo ostativo?", racconta di essersi laureato con 110 e lode con una tesi proprio sul diritto alla speranza e di essersi detto, rientrando in cella a fine giornata e avendo appreso della decisione della Consulta: "Oggi, quel diritto fondamentale ce l'ho anch'io".



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