Milano

Bookcity, Fondazione Corriere della sera

Marta Cartabia - Adolfo Ceretti - Paolo Baratta
16 novembre 2019

Diario di Viaggio

di Donatella Stasio

"La Corte costituzionale, con il suo straordinario Viaggio, ha guardato in faccia tutti noi e questo film ci insegna a guardare in faccia le persone", dice Vinicio Nardo, presidente dell'Ordine degli avvocati di Milano prima della proiezione di "Viaggio in Italia, la Corte costituzionale nelle carceri". Siamo a Milano, nella Sala Buzzati della Fondazione Corriere della sera, dove Bookcity ha organizzato questo evento, sebbene "un film non sia un libro". Un evento talmente straordinario, però, che i 200 posti in sala e gli 80 del foyer non sono bastati a dare a tutti i milanesi che lo avevano chiesto la possibilità di vedere il film e, attraverso il film, "di guardare in faccia le persone". O, come ha detto il presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, "di far cadere la barriera di conoscenza tra noi e loro" e, in questo modo, di liberarci di tante paure. Perché in fondo è questa la cifra dell'opera di Fabio Cavalli, e, prima ancora, dell'iniziativa della Corte di incontrare il mondo del carcere e guardare in faccia le persone: un "forte desiderio di conoscenza, che attraverso la consapevolezza aiuta anche a liberarci delle paure" (Baratta). Conoscenza, consapevolezza, ma anche inclusività, spiega la vicepresidente della Consulta Marta Cartabia: "Il Viaggio è un forte segnale di inclusività. E in un momento in cui il clima generale sembra andare nella direzione opposta, questo è un gesto molto potente". Incredibile quante cose possa raccontare un film al di là della storia, o delle storie, che si dipanano sulla pellicola. Del resto, come ben spiega Adolfo Ceretti, criminologo e da sempre impegnato sul fronte della giustizia riparativa e di comunità, "quando le persone entrano in carcere, quasi sempre hanno una visione di sé legata in gran parte al reato commesso. La straordinaria occasione di incontrare interlocutori credibili fa rompere quella visione ed emergono però tutte le problematicità dei tanti sé dai quali siamo abitati, delinquenti e non. Se quell'occasione viene raccolta, inizia un cammino di cambiamento drammatico di sé e le misure alternative sono un'occasione fondamentale per vedersi "fuori", in un modo diverso da come si è abituati ad essere e a conoscersi". Ceretti, Baratta e Cartabia rispondono alle sollecitazioni di Luciano Fontana, il direttore del Corriere

della sera. "Il Viaggio della Corte è una di quelle occasioni in cui si costruisce una comunità", dice, e Baratta risponde: "E' la ragione per cui ci siamo tuffati sull'idea di proiettare il film a Venezia, sulla scorta di una tradizione che parte da Piovene, secondo cui dobbiamo conoscerci per rispettarci". Proprio alla Mostra internazionale del cinema, Baratta aveva parlato di Nation Building, concetto ripreso a Milano. "La visita nel carcere non è un'azione di misericordia. Il messaggio è chiaro: il detenuto non perde la dignità di persona. Tutto questo ha fatto bene anche a noi: il Viaggio, il film, è un Nation Building anche per noi", aggiunge, sottolineando che il film "parla alla nostra coscienza: non è tanto una rappresentazione del dolore quanto delle nostre insufficienze". Ed ha concluso osservando che "tutte le Istituzioni devono passare dalla fase della conoscenza a quella della consapevolezza, che va insieme al riconoscimento dell'interlocutore: chiunque tu sia, tu sei davanti a me come uomo, come persona. Se sapessimo di più, se avessimo più consapevolezza, forse avremmo meno paura, perché la non conoscenza fa aumentare le paure". Piovono appalusi, applausi caldi, come quelli che avvolgono le parole di Cartabia quando Fontana le chiede di rispondere agli "allarmismi di troppo" che hanno accompagnato la decisione della Consulta sui permessi premio e l'ergastolo ostativo. "Noi non ci siamo pronunciati sull'ergastolo ostativo": è diventato quasi un refrain, sia pure provvidenziale, durate gli incontri sul film. "La pronuncia riguarda i permessi a un condannato per associazione mafiosa", spiega Cartabia, riassumendo poi quanto già spiegato dalla Corte con il comunicato stampa, in attesa dell'ormai imminente deposito della sentenza. E ribadisce: "L'effetto non è: fuori tutti ma permettere al giudice di valutare caso per caso se concedere il permesso". Infine ricorda le parole di Papa Francesco sul carcere che non può essere senza finestre, senza, cioè, una prospettiva di reinserimento, altrimenti sarebbe un carcere disumano. "Ognuno, nel suo percorso, deve poter avere una finestra - conclude Cartabia -. Abbiamo chiesto un'enorme responsabilità ai magistrati ma questa è la grande scommessa di una Costituzione che parla sempre di ri-cominciare".

L’incontro


Il video