Sentenza 171/2024 (ECLI:IT:COST:2024:171)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: BARBERA - Redattore: ANTONINI
Udienza Pubblica del 24/09/2024;    Decisione  del 24/09/2024
Deposito del 29/10/2024;   Pubblicazione in G. U. 30/10/2024  n. 44
Norme impugnate: Art. 14, c. 1°, del decreto legislativo 14/03/2011, n. 23, come sostituito dall’art. 1, c. 715°, della legge 27/12/2013, n. 147, nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive» e art. 5, c. 3°, del decreto legislativo 15/12/1997, n. 446.
Massime: 
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Atti decisi: ordd. 24 e 140/2024


Pronuncia

SENTENZA N. 171

ANNO 2024


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da: Presidente: Augusto Antonio BARBERA; Giudici : Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive», e dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), promossi dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 2, e dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia, sezione 1, con ordinanze del 2 gennaio e del 9 maggio 2024, iscritte rispettivamente ai numeri 24 e 140 del registro ordinanze 2024 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 10 e 28, prima serie speciale, dell’anno 2024.

Visti l’atto di costituzione di Coop Alleanza 3.0 società cooperativa nonché gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 24 settembre 2024 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi gli avvocati Livia Salvini e Giovanni Panzera da Empoli per Coop Alleanza 3.0 società cooperativa, nonché l’avvocato dello Stato Alessandro Maddalo per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 24 settembre 2024.


Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 2 gennaio 2024 (iscritta al n. 24 reg. ord. 2024) la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 2, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 53 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive».

1.1.– Il rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio promosso dalla società Sanac spa, in amministrazione straordinaria, avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sull’istanza di rimborso della maggiore imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) versata per gli anni dal 2017 al 2019 in ragione della integrale indeducibilità dell’imposta municipale propria (IMU) per gli immobili strumentali dalla base imponibile IRAP prevista dalla disposizione censurata.

Precisa il giudice a quo che «[l]’istanza di rimborso si fonda sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 262 del 4 dicembre 2020» che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 nella parte in cui disponeva l’indeducibilità dall’imponibile dell’imposta sui redditi delle società (IRES) dell’IMU versata in relazione agli immobili strumentali e che la società aveva prospettato che «i medesimi profili di illegittimità evidenziati dalla Consulta nella Sentenza 262/20 sussistono anche con riferimento all’indeducibilità integrale dall’IRAP».

1.2.– Secondo il giudice rimettente, le questioni di legittimità costituzionale della disposizione censurata sarebbero rilevanti e non manifestamente infondate per contrasto con gli artt. 3, 41 e 53 Cost.

1.3.– In punto di rilevanza, evidenzia che sarebbe «incontestata [la] natura strumentale degli immobili per la cui indeducibilità IMU è stato richiesto il rimborso IRAP. La decisione sul punto non può prescindere dal vaglio di legittimità della sopramenzionata norma, atteso che il diritto al rimborso sarebbe riconosciuto ove la questione di legittimità costituzionale fosse accolta e sarebbe negato ove la stessa questione venisse respinta».

1.4.– In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente, dopo aver ricordato che secondo la società ricorrente i medesimi profili di illegittimità costituzionale esaminati dalla «[s]entenza 262/20 relativa all’indeducibilità IMU sugli immobili strumentali dalla base imponibile IRES riguardano anche l’IRAP», ritiene che la disposizione censurata contrasterebbe, in primo luogo, con l’art. 53 Cost. per violazione del principio di capacità contributiva, in quanto «[p]er effetto della norma impugnata l’IRAP non colpisce più il reddito netto prodotto dall’impresa, bensì una grandezza diversa – ossia il reddito al lordo delle imposte indeducibili – e non rappresentativa di una forza economica concreta», nonché per violazione del divieto di doppia imposizione fiscale, «poiché il presupposto della proprietà di un bene immobile, da un lato, determina l’obbligo di versare l’IMU e, dall’altro, determina l’impossibilità di dedurre tale costo».

Inoltre, vi sarebbe il contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost. sotto il profilo del rispetto dei principi di uguaglianza e di libertà di iniziativa economica privata, atteso che la mancata deducibilità comporterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento nei confronti di quelle società che hanno investito parte del proprio capitale o dei propri utili nell’acquisto di beni immobili strumentali, «rendendo ingiustificatamente più economiche – sotto il profilo tributario – altre scelte di investimento degli utili, senza che sia rinvenibile un motivo ragionevole». Infatti, non vi sarebbe «alcuna ragione per gravare le società che hanno investito negli immobili strumentali di un carico fiscale maggiore rispetto a quelle che hanno, invece, deciso di non dare agli utili la medesima destinazione».

2.– Con atto depositato il 26 marzo 2024 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare le questioni manifestamente infondate.

2.1.– La difesa statale osserva che di recente questa Corte, con la sentenza n. 21 del 2024, ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, sollevata in riferimento all’art. 53 Cost.

Con la citata pronuncia, infatti, sarebbe stato affermato che «l’indeducibilità dell’IMU ai fini dell’IRAP costituisce espressione di ragionevole discrezionalità legislativa», in quanto in questo caso mancano quelle «evidenze normative che hanno indotto la Corte, con la sentenza n. 262 del 2020, a riconoscere carattere strutturale alla deduzione dell’IMU sugli immobili strumentali con riguardo all’I[RES] e, di conseguenza, a ritenere vulnerata, in forza della prevista totale indeducibilità, la coerenza interna dell’imposta».

2.2.– Sarebbe poi erroneo ipotizzare la violazione dell’art. 3 Cost. per contrasto con il divieto di doppia imposizione, poiché questo divieto, positivizzato dall’art. 67 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e dall’art. 163 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), avrebbe riguardo unicamente al fenomeno della doppia (o plurima) imposizione giuridica, «essendo, viceversa, compatibile con il sistema la doppia (o plurima) imposizione, sul piano economico, dello stesso fatto economicamente valutabile».

3.– Con ordinanza del 9 maggio 2024 (iscritta al n. 140 reg. ord. 2024) la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia, sezione 1, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) e dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, «nella parte in cui sanciscono la totale indeducibilità dell’IMU dalla base imponibile dell’IRAP».

3.1.– Il rimettente riferisce che le questioni sono sorte nel corso di un giudizio, promosso da Coop Alleanza 3.0 società cooperativa, avverso il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sull’istanza di rimborso da essa presentata «dell’eccedenza di IRAP a credito, maturata in relazione ai periodi d’imposta 2017, 2018, 2019 e 2020 e dell’IRAP indebitamente versata nei medesimi periodi d’imposta, a causa della mancata deduzione dell’IMU versata nelle suddette annualità».

Precisa che la società aveva incorporato la Immobiliare-Nordest spa e che quest’ultima, fino alla data dell’incorporazione, era «attiva nel settore immobiliare che gestiva sia quale proprietaria che quale locataria tutti i fabbricati strumentali all’attività commerciale, supermercati, della capogruppo Alleanza versando la relativa IMU».

3.2.– Riproduce testualmente, quindi, alcuni dei passaggi contenuti nel ricorso e nella memoria della parte depositati nel giudizio a quo con i quali erano state esposte le ragioni del contrasto dell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997 e dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011 con gli artt. 3 e 53 Cost. e conclude precisando che «[l]e eccezioni sollevate dalla Ricorrente non appaiono a Questo Giudice palesemente infondate per cui gli corre l’obbligo di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale».

Nello specifico, riporta i passaggi in cui la parte aveva evidenziato che questa Corte, con la sentenza n. 21 del 2024, avrebbe dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale solo sul presupposto che il principio della necessaria deducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali, affermato in relazione all’IRES con la sentenza n. 262 del 2020, non poteva essere pedissequamente traslato, come invece richiesto dal rimettente di quel giudizio, ad una imposta differente qual è l’IRAP. Pertanto, sarebbe stato «del tutto lasciato impregiudicato l’aspetto sostanziale della effettiva contrarietà a Costituzione del denunciato divieto», sicché «sussist[erebbero] altri elementi che possono portare a dubitare della legittimità costituzionale della norma richiamata», per contrasto con la coerenza interna dell’IRAP, in violazione dell’art. 53 Cost.

Infatti, poiché l’IMU sarebbe un costo che l’impresa sostiene obbligatoriamente per svolgere la propria attività, negare che questa imposta possa concorrere alla determinazione del «valore della produzione netta» significherebbe applicare l’IRAP «in relazione ad un valore aggiunto, sotto forma di profitto (i.e. alla differenza tra i ricavi di cui alla voce A del conto economico e i costi di cui alla voce B), non realmente prodotto e che, dunque, non può essere distribuito all’imprenditore».

Verrebbe, quindi, lesa la coerenza interna della struttura dell’imposta con il suo presupposto economico, perché si determinerebbe «l’assoggettamento ad imposta di una componente economica che non esprime l’indice di capacità contributiva, sub specie di profitto dell’imprenditore, che l’IRAP intende colpire».

3.3.– Inoltre, il giudice a quo riporta i passaggi contenuti negli atti della difesa privata con i quali era stata prospettata anche la violazione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento tra situazioni uguali in mancanza di una ragionevole giustificazione.

Sia l’imprenditore proprietario degli immobili strumentali che quello che utilizza i medesimi immobili quale conduttore sarebbero infatti tenuti a sostenere il costo dell’IMU: il primo, in via diretta, in misura pari all’IMU dovuta su tali immobili; il secondo, in via indiretta, poiché sarebbe «ragionevole ritenere, secondo l’id quod plerumque accidit, che l’IMU dovuta dal locatore verrà traslata in capo al conduttore, concorrendo, dunque, alla determinazione del canone di locazione dovuto da quest’ultimo».

Tuttavia, ai fini della determinazione dell’IRAP, per l’imprenditore proprietario degli immobili strumentali quel costo non assumerebbe rilievo (quale componente negativo) ai fini della determinazione della base imponibile, stante il divieto di deduzione previsto dalle disposizioni indubbiate, sicché «verrà tassato (oltreché sulla componente “retribuzioni e interessi”) anche su una quota di “profitto” che non ha realizzato»; mentre, per l’imprenditore che utilizza beni immobili ricevuti in locazione, lo stesso costo assumerebbe rilievo (sempre come componente negativo), poiché costituirebbe un «“costo per godimento di beni di terzi” che confluisce nella voce B8 del conto economico, per la quale non è prevista (coerentemente con il presupposto dell’imposta) alcuna limitazione alla deducibilità».

Si verrebbe, quindi, a determinare «un regime impositivo in cui gli imprenditori che utilizzano nel proprio ciclo produttivo beni immobili strumentali di proprietà subiscono un trattamento deteriore rispetto agli imprenditori che, pur svolgendo la medesima attività, impiegano nel proprio ciclo produttivo immobili condotti in locazione. Il tutto in assenza di alcuna ragionevole giustificazione».

4.– Con atto depositato il 30 luglio 2024 si è costituita in giudizio Coop Alleanza 3.0 società cooperativa.

La società ribadisce che con la sentenza n. 21 del 2024 questa Corte, pur essendosi pronunciata nel senso della non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del d.lgs. n. 23 del 2011 con riferimento alla previsione di indeducibilità integrale dell’IMU dalla base imponibile IRAP, avrebbe lasciato «impregiudicato l’aspetto sostanziale dell’effettiva contrarietà a Costituzione del denunciato divieto».

In punto di rilevanza, in particolare, conferma la natura strumentale degli immobili posseduti dalla società Immobiliare-Nordest spa, poi incorporata nella Coop Alleanza 3.0 società cooperativa, evidenziando che gli stessi «rappresentano il mezzo necessario per l’esercizio dell’attività caratteristica in quanto indispensabili all’erogazione dei servizi di gestione forniti ai terzi locatari degli immobili». Inoltre, gli immobili in rilievo «sono accatastati nelle categorie da B ad E oltre che in A/10 e sono peraltro annoverabili tra quelli per cui la stessa Amministrazione finanziaria riconosce tout court il carattere di strumentalità in quanto non “suscettibili di altra destinazione senza radicali trasformazioni” (art. 43, comma 2, TUIR)».

A tal proposito, pone in evidenza come sarebbe palese il refuso contenuto nell’ordinanza di rimessione dove, nel descrivere l’attività concretamente svolta dalla Immobiliare-Nordest spa, utilizza la parola “locataria”, poiché questa «va intesa come “locatrice”».

Nel merito, la parte espone le ragioni per le quali le questioni di legittimità costituzionale sarebbero fondate.

L’argomento di fondo delle articolate deduzioni, che si confrontano analiticamente con le varie componenti che configurano la base imponibile dell’imposta, è che, essendo il presupposto dell’IRAP basato sulla determinazione di un valore aggiunto della produzione, la non deducibilità dell’IMU sui beni strumentali si porrebbe in contrasto con la struttura interna dell’imposta.

Sarebbero, infatti, coerenti con la sua struttura le disposizioni di non deducibilità delle spese per il personale dipendente e assimilato, nonché dei costi, dei compensi e degli utili di cui al comma 1, lettera b), numeri da 2) a 5), dell’art. 11 del d.lgs. n. 446 del 1997 e degli interessi passivi, in quanto in tal modo «il legislatore ha inteso intercettare le altre due componenti in cui si manifesta il “valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate” e cioè, per l’appunto, le “retribuzioni” e gli “interessi”», oltre che delle perdite e svalutazioni su crediti, degli accantonamenti per rischi e degli altri accantonamenti nonché delle svalutazioni delle immobilizzazioni.

Invece, non sarebbe coerente la non deducibilità dell’IMU sui beni strumentali, perché «l’IMU in questione è un costo che l’impresa (peraltro, obbligatoriamente) sostiene per svolgere la propria attività caratteristica in quanto dovuta in ragione del possesso dei beni necessari per l’esercizio dell’attività imprenditoriale. D’altronde, che il costo attenga alla gestione caratteristica dell’impresa è attestato dalla sua classificazione in bilancio tra gli “oneri diversi di gestione” (voce B14) ossia in una voce di conto economico che rientra nei “costi della produzione”». Pertanto, in definitiva, l’IRAP finirebbe per trovare «applicazione in relazione ad un valore aggiunto, sotto forma di profitto (i.e. alla differenza tra i ricavi di cui alla voce A del conto economico e i costi di cui alla voce B), non realmente prodotto e che, dunque, non può essere distribuito all’imprenditore».

La parte, infine, ribadisce le ragioni per cui le disposizioni censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza, dato il pregiudizio arrecato all’imprenditore proprietario degli immobili strumentali rispetto a quello che utilizza i medesimi immobili quale conduttore.

5.– Con atto depositato il 30 luglio 2024 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare le questioni inammissibili o, in subordine, manifestamente infondate.

Le questioni sarebbero, in primo luogo, manifestamente inammissibili per omessa o insufficiente motivazione sulla rilevanza, in quanto dall’ordinanza di rimessione «non emerge infatti il preventivo accertamento sulla natura strumentale dei beni immobili, per i quali era stata versata l’IMU, in relazione all’attività in concreto esercitata dalla società contribuente». L’ordinanza si sarebbe limitata «a riportare sommariamente, nel paragrafo 1, quanto asserito dalla società ricorrente, senza peraltro esplicitare se quanto da questa affermato fosse pacifico e incontroverso» e, a tal proposito, evidenzia che nel giudizio dinanzi al giudice rimettente l’Agenzia delle entrate aveva contestato espressamente la natura strumentale degli immobili.

Inoltre, le questioni sarebbero inammissibili anche per l’omessa o insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto il rimettente si sarebbe «limitato a una mera acritica riproposizione delle doglianze di COOP, senza alcuna valutazione della loro non manifesta infondatezza», tenuto altresì conto del fatto che, avendo questa Corte già affrontato con la sentenza n. 21 del 2024 il tema della coerenza interna all’imposizione IRAP dell’indeducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali, «il Giudice a quo avrebbe dovuto esplicitare puntualmente le ragioni per le quali le deduzioni dalla parte privata consentissero di vulnerare le argomentazioni poste alla base della citata sentenza».

In ogni caso, le questioni sarebbero manifestamente infondate.

Con riferimento, in particolare, alla questione della violazione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., evidenzia che «l’indeducibilità dell’IMU ai fini dell’IRAP costituisce espressione di ragionevole discrezionalità legislativa», in quanto questa Corte, con la sentenza n. 21 del 2024, ha già rilevato la mancanza «di quelle evidenze normative che hanno indotto la Corte, con la sentenza n. 262 del 2020, a riconoscere carattere strutturale alla deduzione dell’IMU sugli immobili strumentali con riguardo all’IRAP e, di conseguenza, a ritenere vulnerata, in forza della prevista totale indeducibilità, la coerenza interna dell’imposta».

Quanto, poi, alla questione della violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., deduce, in primo luogo, che solo in via del tutto astratta sarebbe possibile ipotizzare la traslazione dell’onere sostenuto per il pagamento dell’IMU sul canone di locazione, perché la definizione del predetto canone è da porre in relazione a diversi fattori, quali le caratteristiche del bene, la forza contrattuale delle parti e, più in generale, l’andamento dei prezzi di mercato delle locazioni; in secondo luogo, che, così come il conduttore deduce il canone di locazione, cioè l’onere sostenuto per l’uso del bene, allo stesso modo, il proprietario dell’immobile deduce il costo d’acquisto sotto forma di ammortamento; in terzo luogo, che sarebbe erroneo mettere a confronto l’imprenditore che sia proprietario di un immobile e l’imprenditore che lo riceve in locazione, poiché verrebbero in tal modo presi erroneamente in considerazioni non solo «presupposti ed effetti economici di due tributi diversi, che colpiscono due diverse manifestazioni di capacità economica: uno, il valore della produzione netta (l’IRAP), l’altro, la proprietà immobiliare (IMU)», ma anche due situazioni ben diverse tra loro, perché, nel caso di un’impresa che esercita l’attività di locazione immobiliare, questa versa l’IMU in quanto soggetto passivo, diversamente dall’impresa conduttrice di immobili di eguale natura, che non è soggetto passivo dell’IMU e deduce i canoni di locazione.

6.– In prossimità dell’udienza la parte costituita ha presentato memoria contenente repliche alle argomentazioni espresse dalla difesa statale nel suo atto di intervento.

In particolare, quanto all’eccezione di inammissibilità relativa al mancato accertamento della natura strumentale degli immobili, evidenzia che «[d]iversamente da quanto argomentato dalla parte pubblica, infatti, il giudice rimettente ha chiaramente accertato la strumentalità degli immobili in questione», perché «nel dare atto della destinazione degli immobili posseduti da INE ad uso supermercato per il loro utilizzo da parte della capogruppo locataria, ha evidentemente vagliato la loro natura di immobili strumentali per natura»; inoltre, ribadisce quanto già rilevato in sede di costituzione in giudizio, e cioè che «la definizione di INE quale “locataria”, anziché correttamente quale “locatrice”, è un mero lapsus calami».

Circa, poi, la seconda eccezione, relativa alla motivazione solo per relationem, la parte evidenza che il giudice rimettente «ha motivato il decisum facendo propri tutti gli argomenti prospettati dalla Società nel corso del giudizio a quo, riportandone ampiamente il contenuto in termini puntuali e dettagliati».

Nel merito, ribadisce gli argomenti già sostenuti nell’atto di costituzione a sostegno della prospettata violazione degli artt. 3 e 53 Cost. della disciplina della indeducibilità dell’IMU sui beni strumentali, in quanto sarebbe violata la coerenza interna dell’IRAP, determinando la tassazione di un valore aggiunto non realmente prodotto dal soggetto passivo, e, inoltre, sussisterebbe un’ingiustificata disparità di trattamento.


Considerato in diritto

1.– Con le ordinanze indicate in epigrafe (iscritte ai numeri 24 e 140 reg. ord. 2024) la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 2 (di seguito: CGT di Milano) e la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia (di seguito: CGT di Reggio Emilia) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive».

La CGT di Milano ha altresì sollevato questione di legittimità della medesima disposizione per violazione dell’art. 41 Cost. e la CGT di Reggio Emilia ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 53 Cost., anche dell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997, «nella parte in cui sancisc[e] la totale indeducibilità dell’IMU dalla base imponibile dell’IRAP».

1.1.– Le ordinanze di rimessione evidenziano che le questioni sono sorte nel corso dei rispettivi giudizi promossi dalle società ricorrenti in conseguenza del silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulle istanze di rimborso da esse presentate per diversi anni di imposta – rispettivamente: dal 2017 al 2019 nel giudizio di cui all’ordinanza iscritta al n. 24 reg. ord. 2024; dal 2017 al 2020 in quello di cui all’ordinanza iscritta al n. 140 reg. ord. 2024 – relative alla maggiore IRAP che sarebbe stata versata a causa della previsione di indeducibilità dell’IMU di cui alle disposizioni censurate.

2.– La CGT di Milano prospetta che tale regime si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 41 e 53 Cost.

2.1.– In punto di rilevanza, evidenzia che è incontestata la natura strumentale degli immobili e che la decisione sulla sussistenza del diritto al rimborso non potrebbe prescindere dall’applicazione della previsione normativa censurata.

2.2.– In punto di non manifesta infondatezza, prospetta in primo luogo il contrasto con l’art. 53 Cost., sia per violazione del principio di capacità contributiva, in quanto, per effetto del regime di indeducibilità dell’IMU dall’IRAP, quest’ultima non colpirebbe più il reddito netto prodotto dall’impresa, ma una grandezza diversa, cioè «il reddito al lordo delle imposte indeducibili», non rappresentativa della reale forza economica, sia per violazione del divieto di doppia imposizione, perché l’impresa titolare di un bene immobile è obbligata a versare l’IMU ma, al tempo stesso, non può dedurre tale costo.

Prospetta, inoltre, il contrasto con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza, e dell’art. 41 Cost., per violazione della libertà di iniziativa economica privata, in quanto verrebbero a essere trattate diversamente le società che hanno investito i propri utili nell’acquisto di immobili strumentali rispetto a quelle che hanno deciso di non dare ai propri utili la medesima destinazione.

3.– La CGT di Reggio Emilia si riporta ai passaggi contenuti negli atti della difesa privata nei quali si afferma che, con la sentenza n. 21 del 2024, questa Corte avrebbe lasciato impregiudicato l’aspetto sostanziale della contrarietà delle disposizioni censurate alla Costituzione, che si porrebbero quindi in contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost., in quanto, da un lato, il regime di indeducibilità dell’IMU dall’IRAP non sarebbe coerente con la struttura di questa imposta e, dall’altro, verrebbe ingiustamente discriminato l’imprenditore che sceglie di investire nell’acquisto di beni strumentali rispetto a quello che, invece, ha optato per l’acquisizione della disponibilità di questi beni mediante locazione.

4.– Le due ordinanze di rimessione censurano in parte la stessa disposizione, cioè l’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, e sono fondate su parametri sostanzialmente coincidenti. Deve pertanto essere disposta la riunione dei giudizi (ex plurimis, sentenze n. 220 e n.128 del 2023).

5.– La questione sollevata dalla CGT di Milano (con ordinanza iscritta al n. 24 reg. ord. 2024) in riferimento alla libertà di iniziativa economica privata di cui all’art. 41 Cost. è manifestamente inammissibile, in quanto la Corte rimettente si è limitata a evocare il suddetto parametro senza alcuna specifica e adeguata illustrazione dei motivi di censura in punto di non manifesta infondatezza (ex plurimis, sentenze n. 7 del 2024, n. 194 del 2023 e n. 118 del 2022).

6.– La questione sollevata dal medesimo giudice a quo per violazione dell’art. 53 Cost. in riferimento al principio di capacità contributiva è manifestamente infondata.

L’argomento di fondo addotto dal rimettente poggia sostanzialmente sull’applicabilità della sentenza n. 262 del 2020 di questa Corte, relativa all’indeducibilità dell’IMU sui beni strumentali dall’IRES, anche alla diversa ipotesi dell’indeducibilità dall’IRAP.

Della suddetta sentenza, invero, l’ordinanza fa specifica menzione e ne opera sostanzialmente l’applicazione anche alla materia dell’IRAP, laddove afferma che «[p]er effetto della norma impugnata l’IRAP non colpisce più il reddito netto prodotto dall’impresa, bensì una grandezza diversa – ossia il reddito al lordo delle imposte indeducibili – e non rappresentativa di una forza economica concreta».

Tuttavia, questa Corte, con la successiva sentenza n. 21 del 2024, ha già precisato che in riferimento all’IRAP mancano «quelle evidenze normative che hanno condotto questa Corte con la richiamata sentenza n. 262 del 2020 a riconoscere carattere strutturale alla deduzione dell’IMU sugli immobili strumentali con riguardo all’IRES e, di conseguenza, a ritenere vulnerata, in forza della prevista totale indeducibilità, la coerenza interna dell’imposta. La diversità della natura dei due tributi, dei loro presupposti, delle specifiche basi imponibili e delle precipue discipline evidenzia come le medesime argomentazioni della sentenza di questa Corte n. 262 del 2020 non possano essere estese all’IRAP».

7.– Manifestamente infondata è anche la questione del contrasto con l’art. 53 Cost. per violazione del divieto di doppia imposizione.

Questa Corte, con la citata sentenza n. 262 del 2020, ha già precisato che il mancato riconoscimento della deducibilità dell’IMU sui beni strumentali dall’IRES non dà «luogo a un fenomeno di doppia imposizione giuridica (perché i presupposti di IMU e IRES sono diversi)».

Il medesimo argomento vale, con tutta evidenza, anche in riferimento ai presupposti di IMU e IRAP di cui al presente giudizio.

8.– La questione, infine, sollevata dalla medesima CGT di Milano in riferimento al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. non è fondata.

Anche in questo caso le affermazioni contenute nella citata sentenza n. 262 del 2020, con la quale questa Corte ha sottolineato – ma nel contesto di una riscontrata rottura del principio di coerenza – «l’indebita penalizzazione, rilevata dal rimettente, di quelle imprese che abbiano scelto (opzione non certo biasimabile, perché funzionale alla solidità dell’azienda) di investire gli utili nell’acquisto della proprietà degli immobili strumentali rispetto a quelle che svolgono la propria attività utilizzando immobili in locazione», non si prestano a essere pedissequamente traslate in riferimento al regime dell’IRAP.

Per questa imposta, infatti, il legislatore «ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate» (da ultimo, sentenza n. 21 del 2024); ciò che differenzia le situazioni rispetto a quelle considerate nella predetta sentenza.

9.– Con riferimento alle questioni sollevate dalla CGT di Reggio Emilia (ordinanza iscritta al n. 140 reg. ord. 2024), va disattesa l’eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa erariale per insufficiente motivazione sulla rilevanza, in quanto il rimettente avrebbe omesso l’accertamento dell’effettiva strumentalità degli immobili «in relazione all’attività in concreto esercitata dalla società contribuente».

Come correttamente evidenziato dalla difesa di parte, una lettura complessiva dell’ordinanza mette in luce che il rimettente ha sufficientemente descritto la fattispecie da cui è originata la richiesta di rimborso, con conseguente plausibilità dell’accertamento della natura strumentale degli immobili.

10.– Inammissibile è invece la questione sollevata in riferimento al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost. per difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza.

Le ragioni di tale conclusione non risiedono, in realtà, nel fatto che l’ordinanza di rimessione sarebbe stata motivata per relationem, come invece eccepito dalla difesa erariale, in quanto il giudice rimettente, seppure in modo molto sintetico, nel riportare le argomentazioni contenute negli atti difensivi del giudizio a quo, ha comunque mostrato di renderle proprie, e ciò, come rilevato dalla difesa della società, secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, non determina l’inammissibilità della questione (ex plurimis, sentenze n. 111 del 2024 e n. 109 del 2022).

Esse si fondano, piuttosto, sulla constatazione che il rinvio alle argomentazioni difensive della parte è parziale e del tutto insufficiente: l’ordinanza, infatti, non svolge quella puntuale e doverosa analisi della struttura dell’imposta – che tenga conto della «particolarità della tecnica impositiva che contraddistingue l’IRAP» e della modalità di determinazione della base imponibile secondo il «criterio di “sottrazione”» (sentenza n. 21 del 2024) – che è logicamente necessaria al fine di motivare il pur dedotto vizio di manifesta rottura della coerenza interna della suddetta imposta; gli scarni passaggi tratti dall’atto difensivo della parte e riportati in motivazione dal giudice rimettente, infatti, non consentono di comprendere su quali ragioni si sostanzierebbe la citata rottura, con la conseguenza che risulta compromesso, sotto questo profilo, il requisito della necessaria autosufficienza dell’ordinanza di rimessione.

A questo va aggiunto che rimangono, in tal modo, del tutto oscure le motivazioni per cui la questione sollevata risulterebbe impregiudicata da quella decisa con la sentenza n. 21 del 2024, dove, invece, si è chiarita la «profonda differenza tra il criterio di calcolo del valore della produzione netta e quello del reddito netto, dal momento che alcuni costi necessariamente inerenti e deducibili per quest’ultima grandezza non sono considerati scorporabili o deducibili per la prima».

Peraltro, nell’ordinanza viene prospettata la questione di legittimità costituzionale non solo dell’art. 14 comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, ma anche dell’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997, che prevede, fra l’altro, la non deducibilità dell’imposta comunale sugli immobili (ICI) dalla base imponibile IRAP, senza, tuttavia, compiere alcuna precisazione in ordine alle ragioni per le quali si sia ritenuto di dovere fare richiamo anche a quest’ultima previsione normativa.

Tali omissioni comportano quindi l’inammissibilità della questione per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza (ex plurimis, sentenza n. 12 del 2024, n. 248 e n. 118 del 2022 e n. 123 del 2021).

11.– La questione sollevata dalla medesima CGT di Reggio Emilia in riferimento al principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost non è fondata.

Secondo il giudice rimettente, il costo dell’IMU graverebbe (direttamente) sia sulle imprese che acquistano i beni strumentali in proprietà, sia (indirettamente) su quelle che li assumono in locazione: il locatore, infatti, caricherebbe nel prezzo della locazione anche l’IMU che egli è tenuto a versare; tale costo, in base alla normativa dell’IRAP, risulterebbe però deducibile solo per le seconde.

Al riguardo valgono le considerazioni già svolte in riferimento all’analoga questione sollevata dalla CGT di Milano (supra, punto 8), cui va specificamente aggiunto che il rimettente, in ogni caso, mette a confronto situazioni non omogenee e quindi non assimilabili (ex plurimis, sentenze n. 85 del 2020 e n. 155 del 2014): da un lato, infatti, ad assumere rilievo è il fatto giuridico della non deducibilità dall’IRAP dell’IMU che grava sul proprietario di beni strumentali; dall’altro, viene in considerazione il fatto economico della eventuale – e meramente ipotetica – traslazione a carico del locatore del peso economico del pagamento dell’IMU, che dipende da molteplici fattori – quali le condizioni di mercato, i rapporti tra locatore e locatario – e non costituisce la conseguenza di una specifica disciplina.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive», sollevata, in riferimento all’art. 41 della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 2, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive», sollevata, in riferimento all’art. 53 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia, sezione 1, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), «nella parte in cui sancisc[e] la totale indeducibilità dell’IMU dalla base imponibile dell’IRAP», sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia, sezione 1, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive», sollevata, in riferimento all’art. 53 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 2, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall’art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta è indeducibile ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive», sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano, sezione 2, e dalla Corte di giustizia tributaria di primo grado di Reggio Emilia, sezione 1, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 settembre 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 29 ottobre 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA