Titolo
Contenzioso tributario - Giudizio innanzi alle commissioni tributarie - Divieto di prova testimoniale - Prospettata lesione del principio di eguaglianza, per irragionevole disparità di trattamento tra le parti, e anche tra sistemi processuali diversi, nonche' del diritto di difesa - Specificita' del processo tributario - Prospettata violazione del principio di capacità contributiva - Riferibilita' del principio non alla disciplina processuale, ma alla disciplina sostanziale dei tributi - Non irragionevole scelta e discrezionalità del legislatore con riguardo all'ammissibilita' dei singoli mezzi di prova - Non fondatezza.
Testo
Non sono fondate, con riferimento agli artt. 3, 24 e 53 Cost., le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 7, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della l. 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in cui esclude l'ammissibilita' della prova testimoniale nel processo tributario. Infatti, con riferimento all'art. 3 Cost., va anzitutto escluso che il divieto di prova testimoniale possa collidere con il principio di "parita' delle armi" - che rappresenta l'espressione, in campo processuale del principio di eguaglianza - in quanto esso e' formulato in termini generali ed astratti. Inoltre, sempre con riferimento all'art. 3 - e sotto il diverso profilo della comparazione con altri sistemi processuali, evocato in base alla considerazione che, mentre in altri procedimenti giurisdizionali (civile, penale) la parte puo' normalmente ricorrere a prove testimoniali, il divieto assoluto della prova testimoniale sarebbe lesivo del principio di eguaglianza e del generale canone di ragionevolezza, non essendo in alcun modo giustificabile tale previsione normativa a seconda del tipo di contenzioso instaurato - non esiste affatto un principio (costituzionalmente rilevante) di necessaria uniformita' di regole processuali tra i diversi tipi di processo, sicche' i diversi ordinamenti processuali ben possono differenziarsi sulla base di una scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di configurazione del processo e delle situazioni sostanziali dedotte in giudizio, anche in relazione all'epoca della disciplina e alle tradizioni storiche di ciascun procedimento. Ne consegue che il divieto della prova testimoniale nel processo tributario trova giustificazione, sia nella spiccata specificita' dello stesso rispetto a quello civile ed amministrativo, correlata alla configurazione dell'organo decidente e al rapporto sostanziale oggetto del giudizio; sia nella circostanza che esso e' ancora, specie sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale; sia, infine, nella stessa natura della pretesa fatta valere dall'amministrazione finanziaria attraverso un procedimento di accertamento dell'obbligo del contribuente che mal si concilia con la prova testimoniale. L'asserita violazione dell'art. 24 Cost. deve ritenersi, a sua volta, insussistente, sia perche' l'esclusione della prova testimoniale nel processo tributario non costituisce, di per se', violazione del diritto di difesa - potendo questo essere diversamente regolato dal legislatore, nella sua discrezionalita', in funzione delle peculiari caratteristiche dei singoli procedimenti; sia perche' l'asserita impossibilita' della parte di fornire 'aliunde' la prova di una specifica circostanza di fatto, quand'anche esistente, non potrebbe, di per se', ascriversi a vizio di legittimita' costituzionale della norma, essendo conseguenza necessitata della scelta, discrezionale, del legislatore riguardo all'ammissibilita' ed ai limiti dei singoli mezzi di prova (scelta, del resto, presente anche nel processo civile, in relazione a determinati fatti o rapporti la cui prova puo' essere fornita soltanto per iscritto). Con riferimento, infine, all'art. 53 Cost., tale disposizione riguarda la disciplina sostanziale dei tributi e non quella del processo. - S. nn. 128/1972, 120/1992, 253/1994, 82/1996, 53/1998 e 141/1998; O. nn. 506/1987, 76/1989, 108/1990, 6/1991, 322/1992, 114/1999. red.: S. Di Palma
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 24
Costituzione
art. 53
Riferimenti normativi
decreto legislativo
31/12/1992
n. 546
art. 7
co. 1
decreto legislativo
31/12/1992
n. 546
art. 7
co. 4
Titolo
Contenzioso tributario - Giudizio innanzi alle commissioni tributarie - Divieto di prova testimoniale - Ritenuta impossibilità di utilizzare in sede processuale le dichiarazioni di terzi raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale - Assunto contrasto con il principio di eguaglianza e con il diritto di difesa del contribuente - Non fondatezza.
Testo
Non e' fondata, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi 1 e 4, d.lgs. n. 546 del 1992, (che deve essere) interpretato nel senso di non ricomprendere, nella previsione del diritto di prova testimoniale, anche l'inammissibilita' delle dichiarazioni di terzi, eventualmente raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale, tenuto conto che le dichiarazioni in questione sono essenzialmente diverse dalla prova testimoniale, che e' necessariamente orale e di solito ad iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un particolare valore probatorio. Infatti, la possibilita' che le dichiarazioni rese da terzi agli organi dell'amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del contribuente, in un processo nel quale quest'ultimo non puo' avvalersi, per contestarne l'efficacia probatoria, della prova testimoniale non collide ne' con il principio di eguaglianza, ne' con il diritto di difesa del contribuente medesimo. Con il principio di eguaglianza, perche' il valore probatorio di dichiarazioni siffatte e' solamente quello proprio degli elementi indiziari, che, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione; sicche', trattandosi di un'efficacia ben diversa da quella che deve riconoscersi alla prova testimoniale, tale rilievo e' sufficiente ad escludere che l'ammissione di un mezzo di prova (le dichiarazioni dei terzi) e l'esclusione dell'altro (la prova testimoniale) possa comportare la violazione del principio di "parita' delle armi". Con il diritto di difesa del contribuente, perche' questi, nell'esercizio del proprio diritto di difesa, puo' contestare la veridicita' delle dichiarazioni di terzi, raccolte dall'amministrazione nella fase procedimentale; sicche', ove cio' avvenga, il giudice tributario - se non ritenga che l'accertamento sia adeguatamente sorretto da altri mezzi di prova, anche a prescindere dalle predette dichiarazioni - potra' e dovra' far uso degli ampi poteri inquisitori riconosciutigli dal comma 1 dell'art. 7, rinnovando e, eventualmente, integrando, secondo le indicazioni delle parti e con garanzia di imparzialita', l'attivita' istruttoria svolta dall'ufficio, tenuto soprattutto conto che, in presenza di una specifica richiesta di parte, le ragioni del mancato esercizio di tale potere-dovere sono soggette al generale sindacato di congruita' e sufficienza della motivazione, proprio delle decisioni giurisdizionali (cfr. Massima "A"). red.: S. Di Palma
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 24
Riferimenti normativi
decreto legislativo
31/12/1992
n. 546
art. 7
co. 1
decreto legislativo
31/12/1992
n. 546
art. 7
co. 4
Titolo
Contenzioso tributario - Concordato di massa (accertamento con adesione del contribuente) - Causa ostativa costituita dal procedimento penale a carico del contribuente - Mancata esclusione in caso di successiva archiviazione o definizione con sentenza di proscioglimento o di assoluzione - Prospettata lesione dei principi di eguaglianza e di presunzione di non colpevolezza sino alla condanna definitiva dell'imputato - Difetto di motivazione sulla rilevanza della questione - Inammissibilità.
Testo
E' inammissibile, per omessa motivazione sulla rilevanza, la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2-bis, comma 2, e 3 d.l. 30 settembre 1994, n. 564 (Disposizioni urgenti in materia fiscale), conv., con modif., nella l. 30 novembre 1994, n. 656 - sollevata con riferimento agli artt. 3 e 27 Cost. - nella parte in cui non prevede che la causa ostativa del concordato di massa, rappresentata dalla rilevanza penale, relativa a determinati reati, della condotta del contribuente, venga meno in caso di successiva archiviazione del procedimento penale, ovvero di definizione dello stesso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione. red.: S. Di Palma
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 27
Riferimenti normativi
decreto-legge
30/09/1994
n. 564
art. 2
-bis
co. 2
decreto-legge
30/09/1994
n. 564
art. 3
co. 0
legge
30/11/1994
n. 656
art. 0
co. 0
N. 18
SENTENZA 12-21 GENNAIO 2000
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Giuliano VASSALLI;
Giudici: prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
prof. Carlo MEZZANOTTE, avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI
MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI, prof. Annibale MARINI, dott.
Franco BILE;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 1 e 4,
del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), e degli artt.
2-bis comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 (Disposizioni
urgenti in materia fiscale), convertito, con modificazioni, nella
legge 30 novembre 1994, n. 656, promossi con ordinanze emesse il 17
aprile 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti, il 4
maggio 1998 dalla Commissione tributaria provinciale di Torino e il
22 gennaio 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti,
rispettivamente iscritte ai numeri 826 e 850 del registro ordinanze
1998 ed al n. 223 del registro ordinanze 1999 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45 e 47, prima serie speciale,
dell'anno 1998 e n. 16, prima serie speciale, dell'anno 1999.
Visto l'atto di costituzione della Emme Emme di De Francesco Maria
C. s.n.c., nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei Ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 23 novembre 1999 e nella camera di
consiglio del 24 novembre 1999 il giudice relatore Annibale Marini;
Uditi l'avvocato Lucio V. Moscarini per la Emme Emme di De
Francesco Maria C. s.n.c. e l'Avvocato Sergio Laporta per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto
1. - La Commissione tributaria provinciale di Chieti, con ordinanza
emessa il 17 aprile 1998, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,
24 e 53 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n.
413) e, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale degli artt. 2-bis, comma 2,
e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 (Disposizioni urgenti in
materia fiscale), convertito, con modificazioni, nella legge 30
novembre 1994, n. 656. 1.1. - Affermata pregiudizialmente la
giurisdizione del giudice tributario nella controversia de qua -
avente ad oggetto l'impugnativa proposta da un contribuente avverso
il provvedimento con il quale l'Ufficio distrettuale delle imposte
dirette di Vasto aveva annullato una propria precedente proposta di
accertamento con adesione per l'anno d'imposta 1991 e tutti gli atti
a questa conseguenti - la Commissione rimettente deduce, in ordine
alla rilevanza della prima questione, che ai fini della decisione è
necessario accertare in fatto se, alla data di perfezionamento
dell'accertamento con adesione, l'ufficio fosse o meno già a
conoscenza di quei fatti penalmente rilevanti - costituenti, ai sensi
degli artt. 2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564,
cause ostative dell'accertamento con adesione per gli anni pregressi
(c.d. concordato di massa) - in considerazione dei quali risulta
adottato il provvedimento di annullamento dell'accertamento stesso
impugnato dal contribuente. La prova testimoniale si renderebbe
indispensabile in quanto, pur essendovi prova documentale della data
di ricezione della nota da cui emergerebbe la notizia di reato,
sull'amministrazione finanziaria graverebbe l'onere di dimostrare
altresì la data in cui la nota stessa sarebbe stata esaminata e
valutata nella sua rilevanza penale da un proprio funzionario.
L'ammissione di tale mezzo istruttorio è peraltro preclusa dall'art.
7, comma 4, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, che
espressamente esclude l'ammissibilità della prova testimoniale nel
processo tributario. Della legittimità costituzionale di detta
norma il rimettente dubita, in riferimento, in primo luogo, ai
parametri di cui agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Il divieto di
prova testimoniale determinerebbe infatti, nel giudizio a quo una
ingiustificata disparità di trattamento tra le parti, "essendo
inibito all'intimato di addurre l'unico mezzo istruttorio con cui
provare la suindicata circostanza", e comprometterebbe quindi il
diritto di difesa dell'amministrazione finanziaria, "per essere la
stessa impossibilitata a dimostrare la causa ostativa del concordato
di massa". Sotto un diverso e consequenziale profilo risulterebbe
altresì violato il principio della capacità contributiva di cui
all'art. 53 Cost., in quanto dalla suddetta inibizione istruttoria
discenderebbe l'inevitabile soccombenza dell'amministrazione, con
conseguente diminuzione del gettito tributario. 1.2. - Gli artt.
2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, sarebbero
invece in contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione nella
parte in cui non prevedono "che le cause di inammissibilità del
concordato di massa ivi contemplate vengano meno quando il
procedimento penale a carico del contribuente interessato (per i
reati di cui agli artt. da 1 a 4 del d.l. 429/1982 conv. in legge n.
516/1982) - già pendente ovvero promosso a seguito (a) della
denunzia di cui al primo periodo del comma 2 cit. oppure (b) della
presentazione del rapporto da parte della Guardia di Finanza di cui
al secondo periodo, prima proposizione, della norma stessa - venga
archiviato oppure si definisca con sentenza di proscioglimento o di
assoluzione". Rileva a tale riguardo la Commissione rimettente che
il soggetto sottoposto a procedimento penale, in veste di indagato o
di imputato, gode, ex art. 27, secondo comma, della Costituzione
della presunzione di innocenza "sino alla condanna definitiva" e che
pertanto la mera assunzione della suddetta qualità di indagato o
imputato "non può definitivamente precludergli la fruizione della
definizione agevolata del rapporto d'imposta prevista dalla
suindicata normativa fiscale", qualora ad essa non consegua una
sentenza irrevocabile di condanna. Ne discenderebbe, diversamente,
una ingiustificata disparità di trattamento tra i contribuenti
ingiustamente assoggettati a procedimento penale e successivamente
assolti ed i contribuenti non sottoposti affatto a procedimento
penale.
2. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per la declaratoria di inammissibilità o comunque di non fondatezza
delle questioni. 2.1. - Circa la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 7, comma 4, del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546, la parte pubblica ne eccepisce preliminarmente
l'irrilevanza, in quanto nel giudizio a quo non vi sarebbe stata una
rituale richiesta di prova testimoniale, ex art. 244 del codice di
procedura civile, ma la mera sollecitazione all'"audizione" di
persona edotta dei fatti da dimostrare. La questione stessa, ad
avviso dell'Avvocatura, sarebbe comunque infondata nel merito, in
riferimento a tutti i parametri evocati. La norma denunciata,
infatti, non contrasterebbe con il principio di eguaglianza, non
alterando la "parità delle armi" tra le parti del processo; non
sarebbe lesiva del diritto di difesa, poiché - secondo
l'insegnamento della stessa Corte - "il solo fatto dell'esclusione di
un mezzo di prova come quello della testimonianza non costituisce di
per sé violazione del diritto di difesa"; non potrebbe ritenersi
infine in contrasto con il principio della capacità contributiva, di
cui all'art. 53 Cost., riguardando tale principio la disciplina
sostanziale del sistema tributario e non la disciplina del processo.
2.2. - Anche la questione di legittimità costituzionale degli artt.
2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564, sarebbe - ad
avviso dell'Avvocatura - priva di rilevanza nel giudizio a quo, non
essendovi traccia di una archiviazione del procedimento penale o di
una sua definizione con sentenza di proscioglimento o di
assoluzione. La questione stessa sarebbe, comunque, infondata nel
merito, in relazione ad entrambi i parametri evocati. Rileva,
infatti, l'Avvocatura che la presunzione di non colpevolezza di cui
all'art. 27 della Costituzione "è ordinata a subordinare
l'attuazione della pretesa punitiva statuale alla pronuncia della
condanna definitiva: ed in questo senso attiene allo svolgimento del
processo ed agli effetti della sentenza penale", cosicché non può
assumere alcun rilievo in riferimento ad una disciplina che preveda -
a tutt'altri fini - le condizioni per l'ammissione ad un determinato
regime di favore, accordato in deroga alla disciplina ordinaria.
Eventuali disparità di trattamento conseguenti "alla maggiore o
minore ponderatezza di valutazioni degli organi inquirenti" non
potrebbero d'altro canto in alcun caso ascriversi a vizio di
legittimità della norma, in relazione all'art. 3 Cost.
3. - Si è costituita in giudizio la Emme Emme di De Francesco
Maria C. s.n.c., ricorrente nel giudizio a quo, concludendo, in via
principale, per la declaratoria di inammissibilità di entrambe le
questioni; in via subordinata, per il rigetto della questione di
legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 4, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e l'accoglimento della
questione di legittimità costituzionale degli artt. 2-bis, comma 2,
e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564. 3.1. - Secondo la parte
privata, entrambe le questioni sono irrilevanti nel giudizio a quo:
la prima, in quanto già risulterebbe dagli atti che, alla data di
perfezionamento del concordato con adesione, l'ufficio non era a
conoscenza di alcun elemento di rilevanza penale e dunque non vi
sarebbe nessuna necessità di espletare una prova testimoniale sul
punto; la seconda, perché - in conseguenza della suddetta
circostanza - il ricorso da essa proposto non potrà che essere
accolto, restando perciò priva di rilievo ogni ulteriore
considerazione connessa all'esito del procedimento penale. 3.2. -
Nel merito, la parte privata ritiene che l'esclusione della prova
testimoniale nel processo tributario sia in linea con la natura del
processo stesso, in quanto processo sul rapporto tributario, ed
altresì in armonia con i principi costituzionali. Poiché, infatti,
"il rapporto tributario è cristallizzato nel provvedimento
conclusivo del procedimento che ha condotto a quel determinato
accertamento", ne discenderebbe "che non possono trovare ingresso nel
processo tributario fatti e circostanze che non siano quelli già
considerati nell'ambito del procedimento amministrativo e che siano
desumibili dai singoli atti amministrativi formativi di quel
determinato provvedimento impositivo". Il bisogno di acquisire una
prova testimoniale a sostegno dell'atto di accertamento starebbe
d'altro canto ad indicare, di per sé, che l'atto stesso è stato
emesso dall'amministrazione in difetto di prova certa dei fatti sui
quali esso si fonda. 3.3. - La medesima parte privata ritiene
invece, sia pure in via subordinata, che il dubbio di legittimità
costituzionale degli artt. 2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30
settembre 1994, n. 564, sia fondato, per le considerazioni tutte
esposte nell'ordinanza di rimessione.
4. - La Commissione tributaria provinciale di Torino, con ordinanza
emessa il 4 maggio 1998, ha a sua volta sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 4, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in riferimento agli artt. 3 e
24 Cost. 4.1. - La Commissione rimettente, circa la rilevanza della
questione, deduce che nel giudizio a quo - avente ad oggetto il
ricorso proposto da un contribuente avverso un avviso di accertamento
emesso dal comune di Torino per imposta di pubblicità relativa
all'anno 1995 - è controversa esclusivamente la circostanza di fatto
rappresentata dalla data di rimozione dell'insegna pubblicitaria cui
l'imposta si riferisce. Ai fini della decisione occorrerebbe pertanto
consentire, così come richiesto dal ricorrente, prove testimoniali
sul punto, che risultano tuttavia precluse dall'art. 7, comma 4, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546. Ritiene al riguardo il
rimettente che il divieto di prova testimoniale nel processo
tributario risulti, nel caso di specie, lesivo sia del principio di
uguaglianza sia del diritto di difesa, in quanto l'attività
difensiva del contribuente risulta limitata dall'impossibilità
giuridica di apportare elementi probatori su circostanze di fatto
rilevanti ai fini del decidere.
5. - Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per la declaratoria di manifesta infondatezza della questione sulla
scorta di considerazioni analoghe a quelle svolte nell'altro
giudizio.
6. - La Commissione tributaria provinciale di Chieti, con altra
ordinanza emessa il 22 gennaio 1999, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 7, commi 1 e 4, del decreto
legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, in riferimento,
alternativamente, agli artt. 24 e 53 Cost., ovvero agli artt. 3 e 24
Cost. 6.1. - La Commissione rimettente deduce che, nel giudizio
pendente dinanzi ad essa, avente ad oggetto l'impugnativa di un
avviso di accertamento emesso dall'Ufficio distrettuale delle imposte
dirette di Chieti, i ricorrenti contestano la legittimità
dell'accertamento stesso, in quanto fondato su dichiarazioni
provenienti da soggetti estranei alla lite tributaria. Il ricorso
sarebbe - ad avviso della Commissione - meritevole di accoglimento,
in quanto il divieto di prova testimoniale sancito dall'art. 7, comma
4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, dovrebbe necessariamente
precludere l'attribuzione di efficacia probatoria a dichiarazioni
comunque provenienti da terzi. Il medesimo rimettente rileva tuttavia
che la norma risulta in tal modo in contrasto con gli artt. 24 e 53
Cost., "in quanto l'Amministrazione finanziaria, istituzionalmente
deputata a salvaguardare il principio della capacità contributiva e
sulla quale grava l'onere probatorio di dimostrare i fatti
costitutivi della pretesa tributaria, non può avvalersi delle
dichiarazioni di terzi idonee a provare l'evasione fiscale". Se poi
si volesse interpretare la norma stessa nel senso della
utilizzabilità in giudizio delle suddette dichiarazioni di terzi,
essa contrasterebbe allora con gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto il
contribuente non potrebbe, dal canto suo, addurre prova contraria "a
mezzo di altre dichiarazioni scritte di soggetti estranei alla lite,
eventualmente asseverate" e quando - come nella specie hanno fatto i
ricorrenti - producesse in giudizio simili dichiarazioni, il
giudicante non potrebbe comunque tenerne alcun conto.
7. - È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
Ministri, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, concludendo
per la declaratoria di infondatezza della questione sotto entrambi i
profili ed in relazione a tutti i parametri evocati. In aggiunta
alle considerazioni già svolte negli atti di intervento relativi
agli altri due procedimenti, l'Avvocatura osserva che "le
dichiarazioni raccolte e verbalizzate nel corso della indagine
tributaria non hanno la valenza propria della prova testimoniale,
dovendo alle stesse riconoscersi piuttosto la rilevanza e l'efficacia
di "informazioni" destinate a costituire dimostrazione non già
immediata bensì, ed in concorso con altre risultanze ispettive,
indiretta e logica dei fatti fiscalmente notevoli, epperò da
apprezzarsi - secondo le regole proprie della prova presuntiva - con
prudente discernimento del giudice".
Considerato in diritto
1. - La Commissione tributaria provinciale di Chieti, con entrambe
le ordinanze, e la Commissione tributaria provinciale di Torino
sollevano in via esclusiva o concorrente - e sia pure sotto profili
diversi e con riferimento a parametri non del tutto coincidenti -
questione di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 4, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in
cui esclude l'ammissibilità della prova testimoniale nel processo
tributario.
In ragione della parziale identità dell'oggetto i tre giudizi
vanno dunque riuniti per essere decisi con unica sentenza.
2. - La questione sollevata, in termini sostanzialmente analoghi,
dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti, con l'ordinanza
del 17 aprile 1998, e dalla Commissione tributaria provinciale di
Torino fa riferimento ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 della
Costituzione. Ad avviso dei rimettenti, infatti, l'esclusione della
prova testimoniale nel processo tributario determinerebbe la lesione
del principio di eguaglianza, e la conseguente violazione del diritto
di difesa, in danno di quella tra le parti del processo che si venga
a trovare nella necessità di avvalersi della prova testimoniale per
dimostrare un fatto rilevante ai fini della decisione, non
suscettibile di essere diversamente provato.
La Commissione tributaria di Chieti, con l'ordinanza di cui sopra,
evoca altresì il parametro di cui all'art. 53 Cost., in quanto
l'impossibilità per l'amministrazione finanziaria di avvalersi anche
della prova testimoniale nel processo tributario, impedendo od
ostacolando la prova delle pretese dell'Amministrazione,
comporterebbe al tempo stesso una riduzione del gettito fiscale ed
una lesione del principio di capacità contributiva.
La medesima Commissione tributaria, con la successiva ordinanza del
22 gennaio 1999, ha inoltre sollevato questione di legittimità
costituzionale dei commi 1 e 4 del citato art. 7 del decreto
legislativo n. 546 del 1992, con riferimento ancora ai parametri di
cui agli artt. 24 e 53 della Costituzione ma sotto un profilo
diverso. Assume infatti la Commissione rimettente che la norma
denunciata, escludendo l'ammissibilità della prova testimoniale nel
processo tributario, precluderebbe di conseguenza l'utilizzazione nel
processo stesso - pena la violazione del principio di eguaglianza e
del diritto di difesa del contribuente - delle dichiarazioni di terzi
raccolte dalla amministrazione finanziaria nella fase procedimentale,
così violando ancora una volta il diritto di difesa della stessa
amministrazione nonché, per i riflessi sostanziali, il principio di
capacità contributiva.
3. - Con riferimento alla questione sollevata dalla Commissione
tributaria provinciale di Chieti con l'ordinanza del 17 aprile 1998
vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità
avanzate dall'Avvocatura generale dello Stato e dalla parte privata.
L'Avvocatura dello Stato deduce il difetto di rilevanza della
questione in quanto, nel giudizio a quo, non vi sarebbe stata una
rituale richiesta di prova testimoniale, ma una mera sollecitazione
all'"audizione", da parte della Commissione, di persona informata dei
fatti. La parte privata, dal canto suo, assume che la prova
testimoniale in questione sarebbe comunque inammissibile, essendovi
già in atti prova documentale della non veridicità del fatto che si
vorrebbe dimostrare.
Entrambe le eccezioni vanno disattese essendo basate su circostanze
di fatto - e precisamente sulla mancanza di una rituale richiesta di
prova testimoniale e sulla sufficienza della prova documentale in
atti - delle quali l'accertamento e la valutazione spettano al
giudice rimettente (ex plurimis, sentenze n. 28 del 1996 e n. 268 del
1994).
4. - Nel merito, le questioni non sono fondate.
In riferimento al parametro di cui all'art. 3 della Costituzione va
anzitutto escluso che il divieto di prova testimomiale, essendo
formulato in termini generali ed astratti, possa collidere con il
principio di "parità delle armi" che, secondo la costante
giurisprudenza di questa Corte, rappresenta l'espressione in campo
processuale del principio di eguaglianza evocato dal rimettente (ex
multis, sentenza n. 253 del 1994).
L'affermazione della incostituzionalità del divieto della prova
testimoniale risulta peraltro infondata anche sotto il diverso
profilo della comparazione con altri sistemi processuali evocato in
base alla considerazione che, mentre in altri procedimenti
giurisdizionali (civile, penale) la parte può normalmente ricorrere
a prove testimoniali, il divieto assoluto della prova testimoniale
sarebbe lesivo del principio di eguaglianza e del generale canone di
ragionevolezza non essendo in alcun modo giustificabile tale
previsione normativa a seconda del tipo di contenzioso instaurato.
In contrario, è possibile osservare che, come ricordato dalla
stessa Commissione tributaria provinciale di Torino, nella
giurisprudenza di questa Corte già si rinviene l'affermazione
secondo la quale "non esiste affatto un principio (costituzionalmente
rilevante) di necessaria uniformità di regole processuali tra i
diversi tipi di processo". Rilevandosi conseguentemente che i diversi
ordinamenti processuali ben possono differenziarsi "sulla base di una
scelta razionale del legislatore, derivante dal tipo di
configurazione del processo e dalle situazioni sostanziali dedotte in
giudizio (...), anche in relazione all'epoca della disciplina e alle
tradizioni storiche di ciascun procedimento ..." (sentenza n. 82 del
1996).
Ed è proprio muovendo da tale premessa che il divieto della prova
testimoniale trova, nella specie, una sua non irragionevole
giustificazione da un lato nella "spiccata specificità" del processo
tributario rispetto a quello civile ed amministrativo, "correlata sia
alla configurazione dell'organo decidente sia al rapporto sostanziale
oggetto del giudizio" (sentenza n. 53 del 1998), dall'altro nella
circostanza, pur essa sottolineata dalla giurisprudenza di questa
Corte e dalla dottrina, che il processo tributario è ancora, specie
sul piano istruttorio, in massima parte scritto e documentale
(sentenza n. 141 del 1998).
Sotto un diverso e concorrente aspetto, la stessa natura della
pretesa fatta valere dall'amministrazione finanziaria attraverso un
procedimento di accertamento dell'obbligo del contribuente mal si
concilia con la prova testimoniale. Considerazione questa che, mentre
vale a spiegare come, prima dell'introduzione del divieto di prova
testimoniale, l'utilizzo di tale mezzo di prova sia stato, nel
processo tributario, del tutto marginale, costituisce ulteriore
conferma della non irragionevolezza della scelta operata dal
legislatore con l'introduzione del divieto.
Sicché, e conclusivamente sul punto, va dichiarata l'infondatezza
della censura di violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto
entrambi i profili evocati.
Del pari insussistente è la asserita violazione del parametro di
cui all'art. 24 della Costituzione. Questa Corte ha infatti
ripetutamente affermato che l'esclusione della prova testimoniale nel
processo tributario non costituisce, di per sé, violazione del
diritto di difesa, potendo quest'ultimo, ai fini della formazione del
convincimento del giudice, essere diversamente regolato dal
legislatore, nella sua discrezionalità, in funzione delle peculiari
caratteristiche dei singoli procedimenti (sentenza n. 128 del 1972;
ordinanze n. 6 del 1991, n. 76 del 1989 e n. 506 del 1987).
Né le ordinanze di rimessione prospettano, in relazione al
suddetto parametro, argomenti che possano indurre a modificare il
citato indirizzo, limitandosi le stesse a motivare la denunciata
incostituzionalità del divieto di prova testimoniale attraverso una
asserita impossibilità della parte di fornire aliunde, nel giudizio
in corso, la prova di una specifica circostanza di fatto.
Impossibilità che, quand'anche esistente, non potrebbe di per sé
ascriversi a vizio di legittimità costituzionale della norma,
essendo conseguenza necessitata della scelta, come si è detto
discrezionale, del legislatore riguardo all'ammissibilità ed ai
limiti dei singoli mezzi di prova. Scelta del resto presente anche
nel processo civile, in relazione a determinati fatti o rapporti la
cui prova può essere fornita solamente per iscritto (si vedano ad
esempio, ex multis, gli artt. 1659, 1846, 1888, 1919 del codice
civile).
Deve, infine, escludersi la lesione nella specie del principio di
capacità contributiva di cui all'art. 53 della Costituzione (evocato
dalla sola Commissione tributaria provinciale di Chieti), riguardando
esso, come costantemente affermato da questa Corte, la disciplina
sostanziale dei tributi e non la disciplina del processo (sentenza n.
120 del 1992, ordinanze n. 114 del 1999, n. 322 del 1992, n. 108 del
1990).
5. - La limitazione probatoria stabilita dall'art. 7, comma 4, del
decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, non comporta poi -
diversamente da quanto la Commissione tributaria provinciale di
Chieti mostra di ritenere nell'ordinanza del 22 gennaio 1999 -
l'inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di
terzi eventualmente raccolte dall'amministrazione nella fase
procedimentale.
Va infatti considerato che le dichiarazioni di cui si tratta - rese
al di fuori e prima del processo - sono essenzialmente diverse dalla
prova testimoniale, che è necessariamente orale e di solito ad
iniziativa di parte, richiede la formulazione di specifici capitoli,
comporta il giuramento dei testi e riveste, conseguentemente, un
particolare valore probatorio. La norma denunciata non può perciò
essere interpretata nel senso di ricomprendere nella sua previsione
anche l'inammissibilità di tali dichiarazioni.
La possibilità che le dichiarazioni rese da terzi agli organi
dell'amministrazione finanziaria trovino ingresso, a carico del
contribuente, in un processo nel quale quest'ultimo non può
avvalersi, per contestarne l'efficacia probatoria, della prova
testimoniale, non è d'altro canto in contrasto né con il principio
di eguaglianza né con il diritto di difesa del contribuente
medesimo.
Il valore probatorio delle dichiarazioni raccolte
dall'amministrazione finanziaria nella fase dell'accertamento è,
infatti, solamente quello proprio degli elementi indiziari, i quali,
mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non
sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione. Si
tratta, dunque, di un'efficacia ben diversa da quella che deve
riconoscersi alla prova testimoniale e tale rilievo è sufficiente ad
escludere che l'ammissione di un mezzo di prova (le dichiarazioni di
terzi) e l'esclusione dell'altro (la prova testimoniale) possa
comportare la violazione del principio di "parità delle armi".
Ciò non vuol dire, peraltro, che il contribuente non possa,
nell'esercizio del proprio diritto di difesa, contestare la
veridicità delle dichiarazioni di terzi raccolte
dall'amministrazione nella fase procedimentale. Allorché ciò
avvenga, il giudice tributario - ove non ritenga che l'accertamento
sia adeguatamente sorretto da altri mezzi di prova, anche a
prescindere dunque dalle dichiarazioni di terzi - potrà e dovrà far
uso degli ampi poteri inquisitori riconosciutigli dal comma 1
dell'art. 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992, rinnovando e,
eventualmente, integrando - secondo le indicazioni delle parti e con
garanzia di imparzialità - l'attività istruttoria svolta
dall'ufficio. E non è dubbio che, in presenza di una specifica
richiesta di parte, le ragioni del mancato esercizio di tale
potere-dovere restino soggette al generale sindacato di congruità e
sufficienza della motivazione proprio delle decisioni
giurisdizionali.
6. - La questione di legittimità costituzionale degli artt. 2-bis,
comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre 1994, n. 564 (Disposizioni
urgenti in materia fiscale), convertito con modificazioni nella legge
30 novembre 1994, n. 656, sollevata dalla Commissione tributaria
provinciale di Chieti in riferimento agli artt. 3 e 27 della
Costituzione, è invece inammissibile.
La Commissione rimettente dubita infatti della legittimità
costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che la
causa ostativa del concordato di massa, rappresentata dalla rilevanza
penale, relativa a determinati reati, della condotta del
contribuente, venga meno in caso di successiva archiviazione del
procedimento penale ovvero di definizione dello stesso con sentenza
di proscioglimento o di assoluzione. Nell'ordinanza, tuttavia, non vi
è alcuna motivazione sulla rilevanza della questione nel giudizio a
quo ed anzi dalla comparsa di costituzione della parte privata è
agevole desumerne la sicura irrilevanza attuale, essendo ancora in
corso il procedimento penale a suo tempo promosso a carico
dell'amministratore della società.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Riuniti i giudizi:
a) dichiara inammissibile la questione di legittimità
costituzionale degli artt. 2-bis, comma 2, e 3 del d.-l. 30 settembre
1994, n. 564 (Disposizioni urgenti in materia fiscale), convertito,
con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656, sollevata,
in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dalla
Commissione tributaria provinciale di Chieti con l'ordinanza in
epigrafe;
b) dichiara non fondate le questioni di legittimità
costituzionale dell'art. 7, commi 1 e 4, del decreto legislativo 31
dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre 1991, n. 413), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24
e 53 della
Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Chieti e
dalla Commissione tributaria provinciale di Torino con le ordinanze
in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2000.
Il Presidente: Vassalli
Il redattore: Marini
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 21 gennaio 2000.
Il direttore della cancelleria: Di Paola