Ritenuto in fatto
1.1. - Nel corso di un processo penale a carico di un militare, in
sede di fissazione dell'udienza preliminare, il giudice per le
indagini preliminari presso il tribunale militare di Verona rilevava
che l'imputato, nell'interrogatorio reso durante le indagini
preliminari, aveva dichiarato di appartenere al gruppo linguistico
tedesco della provincia di Bolzano e di non conoscere la lingua
italiana; che, inoltre, la difesa del medesimo imputato aveva
depositato una memoria con la quale, documentata l'appartenenza del
proprio assistito al gruppo linguistico tedesco, aveva chiesto l'uso
della madrelingua dell'imputato nel processo in corso, sottolineando
altresì che la disciplina del processo penale militare, in quanto
preclusiva della facoltà richiesta, risulterebbe in contrasto con il
diritto di difesa. Muovendo da tali rilievi, il giudice solleva, con
ordinanza del 29 novembre 1996 (r.o. 8/1997), questione di
costituzionalità degli artt. 1, 13, 15 e 24 del d.P.R. 15 luglio
1988, n. 574 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la
Regione Trentino-Alto Adige in materia di uso della lingua tedesca e
della lingua ladina nei rapporti dei cittadini con la pubblica
amministrazione e nei procedimenti giudiziari), nella parte in cui
tali norme non riconoscono la facoltà di usare la madrelingua
tedesca all'imputato appartenente alla corrispondente minoranza
chiamato a rispondere di un reato dinanzi agli organi giurisdizionali
militari, in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, 6, 10,
primo comma - in relazione all'art. 6, terzo comma, della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali -, 24 e 116 della Costituzione e all'art. 100 del d.P.R.
31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi
costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige). Il giudice rimettente osserva che la rilevanza della
questione sollevata risiede nell'esigenza di assicurare
l'effettività della garanzia difensiva all'imputato, attraverso la
partecipazione allo svolgimento processuale nonché attraverso la
comprensione dell'accusa e degli atti fondamentali del giudizio, con
l'uso della lingua madre.
Questa garanzia non sarebbe accordata dalla disciplina che concerne
la traduzione degli atti processuali nella lingua dell'imputato a
mezzo di interprete (artt. 143 e seguenti cod. proc. pen.), poiché
detta disciplina non risulterebbe comunque applicabile nel giudizio,
in ragione della specialità della normativa di tutela accordata al
cittadino italiano appartenente a una minoranza linguistica
riconosciuta (art. 6 della Costituzione e art. 109 cod. proc. pen.).
1.2. - La prospettazione della questione è preceduta da una
ricognizione del quadro normativo di riferimento. Il rimettente
ricorda che il codice penale militare di pace (R. D. 20 febbraio
1941, n. 303) disciplina il corrispondente processo penale militare
facendo rinvio alla normativa del processo penale ordinario (art. 261
cod. pen. mil. pace). Il codice di procedura penale vigente, d'altra
parte, nel regolare la lingua degli atti, si basa sul principio di
territorialità, che viene specificato dall'art. 109, in attuazione
delle norme costituzionali di tutela delle minoranze linguistiche,
con prescrizioni che, ad avviso del giudice a quo "appaiono
direttamente riconducibili alla più ampia e generale normativa di
cui al d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574", recante le norme di attuazione
dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia
di uso della lingua tedesca e ladina nei procedimenti giudiziari. La
normativa attuativa, a sua volta, trova fondamento nell'art. 6 della
Costituzione e nello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige
(d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), il cui art. 100 prevede che i
cittadini di lingua tedesca della provincia di Bolzano hanno facoltà
di usare la loro lingua nei rapporti con gli uffici giudiziari
situati nella medesima provincia o aventi competenza regionale. Ma
le norme di attuazione in vigore (d.P.R. n. 574 del 1988 citato) non
risultano, secondo il rimettente, del tutto rispettose delle
prescrizioni di rango costituzionale, in quanto non sono applicabili
anche ai "rapporti dei cittadini altoatesini di lingua tedesca con la
giustizia militare". Le disposizioni del citato d.P.R. n. 574 del
1988, infatti, prevedono e regolano la parificazione tra lingua
italiana e lingua tedesca nei rapporti dei cittadini con gli uffici
giudiziari e con gli organi giurisdizionali ordinari, amministrativi
e tributari a) situati nella provincia di Bolzano, ovvero b) con sede
in provincia di Trento ma con competenza anche in provincia di
Bolzano (art. 1, comma 1, lettere b) e c) del d.P.R. n. 574). Questi
uffici e organi della giurisdizione devono servirsi della lingua
usata dal richiedente nei rapporti con i cittadini della provincia di
Bolzano e negli atti correlativi (art. 13). Per quanto concerne il
processo penale in generale, la lingua presunta dell'indagato o
imputato, di cui l'autorità giudiziaria deve fare uso, è quella
individuata in base alla notoria appartenenza a un gruppo linguistico
nonché, eventualmente, in base ad altri elementi acquisiti al
processo (art. 15, comma 1). Infine, l'art. 24 del d.P.R. n. 574
stabilisce che nei procedimenti dinanzi agli organi giurisdizionali
ordinari, amministrativi e tributari non inclusi nell'elencazione
dell'art. 1, i cittadini di madrelingua tedesca residenti nella
provincia di Bolzano hanno facoltà di rendere le loro dichiarazioni
o deposizioni in lingua tedesca. Per quanto precede, risulta dunque
- prosegue il rimettente - che le ricordate norme di attuazione
escludono dal proprio ambito di applicazione i rapporti tra i
cittadini altoatesini di lingua tedesca e gli organi della
giurisdizione militare. Tale mancata ricomprensione del processo
penale militare nella disciplina attuativa, insuperabile in via
interpretativa, appare al giudice a quo lesiva dei parametri
costituzionali invocati.
1.3. - Svolgendo un primo profilo della questione, il giudice
ricorda l'equiparazione tra la giurisdizione penale militare e quella
ordinaria, sia sul piano ordinamentale e della composizione degli
organi (legge 7 maggio 1981, n. 180), sia sul piano propriamente
processuale, dato il rinvio dell'una all'altra (art. 261 cod. pen.
mil. pace). In questo quadro, connotato dal tendenziale principio di
unità della giurisdizione, e dalla odierna parificazione dello stato
giuridico dei giudici militari e dei giudici ordinari (legge n. 180
del 1981 citata), la specialità del giudizio militare è da
ritenersi limitata alle sole norme sostanziali da applicare nelle
rispettive sedi. La lacuna nella tutela degli indagati o imputati
altoatesini di lingua tedesca in ordine al processo penale militare
costituirebbe, per questo primo profilo, una irragionevole esclusione
della giurisdizione militare da una disciplina altrimente unitaria,
con lesione del principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, secondo
comma, della Costituzione). Per un ulteriore aspetto, la disciplina
descritta determinerebbe una differenziazione di trattamento, tra
imputati chiamati dinanzi alla giurisdizione ordinaria e imputati
chiamati dinanzi alla giurisdizione militare, non sorretta da valide
ragioni. Tra le due categorie, infatti, l'unica differenza di rilievo
attiene alla qualificazione formale della disposizione
incriminatrice, come norma sostanziale comune ovvero militare; ma,
data l'identità del valore dei provvedimenti resi nell'uno e
nell'altro processo, e delle pene e degli altri effetti penali che ne
conseguono, il residuo elemento differenziale consistente nel tipo di
interesse protetto, vale a dire la presenza di un bene "militare"
quale oggetto esclusivo o concorrente della corrispondente tutela
penale, non sarebbe elemento sufficiente a giustificare la censurata
discriminazione (art. 3, primo comma, della Costituzione).
Né può valere in senso contrario - osserva il giudice a quo - la
prescrizione dell'uso della lingua italiana nel corso del servizio,
contenuta nell'art. 43 del Regolamento di disciplina militare,
giacché tale norma, dettata e valevole ai soli fini dell'ambito
amministrativo e, appunto, disciplinare, non può estendersi alla
giurisdizione, disciplinata, come si è visto, da norme di rango
superiore.
Le norme impugnate appaiono inoltre al giudice a quo in contrasto
con la norma statutaria, contenuta nell'art. 100 del d.P.R. n. 670
del 1972, che garantisce l'uso della lingua tedesca davanti agli
uffici giudiziari aventi "competenza regionale". Il tribunale
militare di Verona, del quale fa parte il giudice rimettente, ha
competenza territoriale estesa anche al territorio delle province di
Trento e di Bolzano, e dunque all'intera regione Trentino-Alto Adige.
La tutela statutaria della parità linguistica dovrebbe pertanto
essere operante anche dinanzi al Tribunale competente per territorio
sulla regione in argomento, in quanto ufficio giudiziario con
"competenza regionale", ancorché collocato, dalle norme di
ordinamento del settore, fuori dei confini geografici della regione
medesima. Dal contrasto con l'art. 100 dello statuto speciale
conseguirebbe anche la violazione del principio costituzionale di
autonomia regionale speciale (art. 116 della Costituzione), di cui il
d.P.R. n. 670 del 1972 è espressione. Infine, il giudice a quo
ravvisa un contrasto delle norme impugnate anche con l'art. 6, terzo
comma, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la legge 4
agosto 1955, n. 848 e, tramite esso, con l'art. 10, primo comma,
della Costituzione. La norma pattizia prevede il diritto
dell'accusato a "essere informato
.. in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato della
natura e dei motivi dell'accusa"; ciò che non si verificherebbe
nell'ipotesi rimessa al controllo di costituzionalità.
2. - Questione identica è stata sollevata dallo stesso giudice
rimettente con altra ordinanza in pari data (r.o. 9/1997), emessa nel
corso di distinto procedimento penale militare, nel quale l'imputato
non si era presentato all'interrogatorio nel corso delle indagini
preliminari ma la difesa aveva comunque richiesto l'uso della
madrelingua tedesca dell'imputato nel procedimento.
3. - Altra questione di identico tenore è stata successivamente
sollevata dal medesimo giudice, con ordinanza del 20 febbraio 1997
(r.o. 247/1997), in un procedimento per reati militari
caratterizzato, rispetto ai due precedenti, dal fatto che esso si
trova dinanzi al rimettente giudice per le indagini preliminari a
seguito di ordinanza del collegio del dibattimento, con la quale è
stata dichiarata la nullità del decreto di fissazione dell'udienza
preliminare ed è stata quindi disposta la restituzione degli atti al
giudice a quo. La decisione del tribunale è stata adottata, secondo
quanto riferisce l'ordinanza di rimessione, a seguito
dell'attestazione di appartenenza al gruppo linguistico tedesco da
parte dell'imputato nel corso dell'udienza dibattimentale, e della
conseguente richiesta di celebrazione del processo in lingua tedesca.
Il collegio ha ritenuto che l'appartenenza al gruppo linguistico
tedesco fosse rilevabile già nel corso delle indagini preliminari,
in via presuntiva, per la residenza in un determinato comune, e ha
altresì ritenuto applicabile anche al processo penale militare
l'art. 15 del d.P.R. n. 574, del 1988, relativamente alla
prescrizione della notifica degli atti nella lingua dell'imputato.
Reinvestito del procedimento nel modo anzidetto, per la nuova
notificazione, il giudice rimettente ritiene di non aderire alla
soluzione intepretativa del collegio, data la generale
inapplicabilità dell'intera citata disciplina attuativa dello
statuto speciale all'ambito della giurisdizione militare, alla
stregua degli argomenti esposti nelle precedenti come nell'ulteriore
ordinanza di rinvio. Non può dunque procedersi altrimenti, conclude
il giudice a quo che sollevando la questione di costituzionalità,
svolta secondo profili corrispondenti a quelli precedentemente
esposti.
4. - Nel giudizio promosso con la prima delle tre ordinanze (r.o.
8/1997) si è costituito l'imputato, Alexander Peintner, il cui
patrocinio, integralmente richiamando come proprie le argomentazioni
svolte dal rimettente, ha concluso per l'accoglimento della
questione.
5.1. - Nel giudizio instaurato con l'ordinanza r.o. 9/1997 ha
spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
L'Avvocatura osserva che il codice penale militare fa rinvio (art.
261 cod. pen. mil. pace) alla normativa processuale comune e che
quest'ultima (art. 109 cod. proc. pen.), come del resto riconosce il
rimettente, accoglie il principio di territorialità in ordine alla
lingua degli atti processuali, specificandolo in una disciplina che
fa salve ulteriori disposizioni speciali o la normativa
internazionale, ma in quanto queste ultime prevedano "altri diritti".
Osserva inoltre che la disposizione contenuta nel codice di rito
comune riprende e specifica il contenuto del d.P.R. n. 574 del 1988
di attuazione dello statuto speciale, nel senso che non fa rinvio
formale a esso ma ne rielabora le previsioni, determinando perciò
una reciproca autonomia applicativa tra la fonte ordinaria e quella
di attuazione statutaria. Se è così, la lacuna delle norme di
attuazione di cui si duole il rimettente, in quanto non includono il
rito militare, risulta, per l'Avvocatura erariale, irrilevante, in
presenza della possibilità e del dovere per il giudice a quo di
applicare, nel procedimento per reati militari, l'art. 109 cod. proc.
pen., in virtù della generale norma di rinvio dell'art. 261 cod.
pen. mil. pace. L'anzidetto art. 109 cod. proc. pen. stabilisce che,
a richiesta dell'interessato, il cittadino italiano appartenente a
una minoranza linguistica riconosciuta venga interrogato o esaminato
nella madrelingua, che il relativo verbale sia redatto anche in tale
lingua e che nella stessa lingua debbano essere tradotti gli atti del
procedimento a lui indirizzati successivamente alla richiesta.
Questa disciplina, immune da ogni dubbio di incostituzionalità,
relativamente ai parametri e profili dedotti dal rimettente,
garantisce appieno le esigenze fatte valere con la proposizione
dell'incidente di legittimità costituzionale. La questione della
lacuna del d.P.R. n. 574 del 1988 rispetto alla giurisdizione
militare - conclude l'interveniente - avrebbe potuto essere posta, in
ipotesi, solo sul piano della disparità di trattamento, qualora non
fosse stata formulata dall'interessato la richiesta di utilizzazione
in giudizio della madrelingua: in questo limitato caso, la normativa
attuativa apporta una tutela più forte, giacché dispone l'utilizzo
della lingua presunta dell'imputato, in base alla notoria
appartenenza a un gruppo linguistico o ad altri elementi acquisiti
(art. 15 del d.P.R. citato), mentre la norma comune opera solo a
seguito di richiesta. Ma nel giudizio principale, come risulta
espressamente dall'ordinanza di rimessione, la parte, tramite la
difesa, aveva depositato una memoria di documentazione
dell'appartenenza al gruppo di minoranza e di richiesta dell'uso
della lingua madre, ond'è che tale ridotto profilo è comunque
ipotetico e perciò irrilevante.
L'Avvocatura conclude quindi per una declaratoria di
inammissibilità della questione.
5.2. - L'Avvocatura erariale ha altresì spiegato intervento, per
il Presidente del Consiglio dei Ministri, anche negli altri due
giudizi costituzionali (r.o. 8/1997 e 247/1997), con atti di richiamo
integrale e allegazione materiale del precedente atto di intervento.
Considerato in diritto
1. - Il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale
militare di Verona, con tre ordinanze emesse in altrettanti giudizi,
solleva questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 13,
15 e 24 del d.P.R. 15 luglio 1988, n. 574 (Norme di attuazione dello
statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di uso
della lingua tedesca e della lingua ladina nei rapporti dei cittadini
con la pubblica amministrazione e nei procedimenti giudiziari). La
censura d'incostituzionalità colpisce tali disposizioni nella parte
in cui, prevedendo e disciplinando i diritti linguistici del
cittadino appartenente alla minoranza tedesca della provincia di
Bolzano nei rapporti con uffici e organi giurisdizionali penali
ordinari, non estendono tale previsione e tale disciplina ai rapporti
con gli uffici e gli organi giurisdizionali militari.
L'art. 1 del d.P.R. n. 574 del 1988, adottato in attuazione delle
norme contenute nel titolo XI dello statuto speciale per il
Trentino-Alto Adige, stabilisce che nella regione la lingua tedesca
è parificata a quella italiana - che è la lingua ufficiale dello
Stato - nei rapporti tra i cittadini italiani appartenenti alla
minoranza linguistica tedesca con gli uffici giudiziari e gli organi
giurisdizionali ordinari situati nella provincia di Bolzano (art. 1,
comma 1, lettera b), e - in riferimento alla giurisdizione penale -
con la Corte d'appello, la Corte d'assise d'appello, la sezione della
Corte d'appello per i minorenni, la procura generale presso la corte
d'appello, il tribunale per i minorenni, il tribunale di sorveglianza
e l'ufficio di sorveglianza, nonché con ogni altro ufficio
giudiziario e organo giurisdizionale ordinario con sede in provincia
di Trento ma con competenza anche in provincia di Bolzano.
Ai fini della suddetta parificazione linguistica, l'art. 13
stabilisce che gli uffici e gli organi giudiziari indicati nell'art.
1 devono servirsi, nei rapporti con i cittadini della provincia di
Bolzano e negli atti cui gli stessi sono interessati, della lingua
usata dal richiedente e l'art. 15, commi 1-3, prevede che la lingua
del processo è quella dell'imputato o dell'indagato o, comunque,
quella da costoro scelta, secondo le modalità determinate da tale
articolo.
L'art. 24, infine, prevede che nei procedimenti innanzi agli organi
giurisdizionali ordinari (oltre che amministrativi e tributari) non
compresi nelle disposizioni di cui all'art. 1, i cittadini
appartenenti al gruppo linguistico tedesco, residenti nella provincia
di Bolzano, hanno facoltà di rendere le loro dichiarazioni o
deposizioni in lingua tedesca.
A parte l'ipotesi prevista dall'art. 24, applicabile comunque in
relazione alla giurisdizione penale ordinaria e non a quella
militare, la normativa anzidetta configura una garanzia secondo la
quale la protezione dei diritti linguistici della comunità tedesca
opera sulla base di un criterio territoriale: la collocazione
dell'organo giurisdizionale nella provincia di Bolzano ovvero anche
in quella di Trento, purché però la competenza si estenda sulla
provincia di Bolzano. Alla stregua di questi criteri, la garanzia
linguistica contenuta nelle norme impugnate non vale, in generale nel
processo penale militare e nei rapporti con gli uffici e gli organi
della giurisdizione penale militare, nonché in particolare con il
tribunale militare di Verona il cui giudice per le indagini
preliminari ha sollevato le questioni in esame. Tale tribunale,
infatti, istituito a Verona presso il Comando militare territoriale
della Regione Nord-Est, esercita la sua competenza anche sulla
provincia di Bolzano, oltre che su quelle di Belluno, Brescia,
Mantova, Trento e Verona (d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 199), ma non
ha sede nella regione Trentino-Alto Adige, pur avendo competenza per
i reati militari commessi, per quel che qui interessa, anche nella
provincia di Bolzano.
Della mancata inclusione dei tribunali penali militari tra gli
organi giudiziari ai quali si applica quella speciale garanzia dei
diritti linguistici dei cittadini italiani appartenenti alla
minoranza linguistica tedesca, si duole il giudice rimettente.
Risulterebbero a suo avviso violati (a) gli articoli 6 e 116 della
Costituzione e l'art. 100 dello statuto speciale di autonomia della
regione Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), che
garantiscono al cittadino appartenente alla minoranza di lingua
tedesca della provincia autonoma di Bolzano il diritto all'uso della
propria lingua; (b) gli artt. 24 e 10 della Costituzione
(quest'ultimo in relazione all'art. 6, terzo comma, della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali) che prevedono la garanzia del diritto di difesa in
giudizio; (c) l'articolo 3, primo e secondo comma, della
Costituzione, sotto il profilo della irragionevolezza della diversa
disciplina dell'uso della lingua tedesca nel processo penale comune e
nel processo penale militare.
2. - Le tre ordinanze del giudice per le indagini preliminari
presso il tribunale militare di Verona sollevano la medesima
questione di costituzionalità. I relativi giudizi possono quindi
riunirsi, per essere definiti con unica sentenza.
3. - La questione non è fondata rispetto ad alcuno dei parametri
indicati.
4.1. - Quanto alla pretesa violazione delle norme costituzionali e
statutarie in tema di protezione della minoranza italiana di lingua
tedesca (artt. 6 e 116 della Costituzione e 100 dello statuto
speciale), si deve innanzitutto rilevare che tale protezione è
basata non sul principio di personalità ma su quello di
territorialità. L'art. 2 dello statuto speciale stabilisce in
generale che nella regione è riconosciuta parità di diritti ai
cittadini, qualunque sia il gruppo linguistico di appartenenza, e
l'art. 99, analogamente, ribadisce che, nella regione le lingue
italiana e tedesca sono equiparate. Conformemente, rispetto alla
giurisdizione, l'art. 100 precisa che i cittadini italiani
appartenenti alla minoranza tedesca della provincia di Bolzano hanno
facoltà di usare la propria lingua nei rapporti con gli uffici
giudiziari situati nella provincia nonché "nei rapporti cogli uffici
giudiziari ... aventi competenza regionale".
Su quest'ultima espressione si basa, ma non giustificatamente, il
dubbio d'incostituzionalità del giudice rimettente, il quale ritiene
che il tribunale militare di Verona debba considerarsi, per
l'appunto, avere competenza regionale.
Da un punto di vista rigorosamente letterale, è evidente che tale
locuzione non è affatto idonea a designare gli uffici giudiziari la
cui giurisdizione si estenda bensì sul territorio regionale, ma lo
superi inglobandolo in un più vasto ambito, come è nel caso del
tribunale militare di Verona, territorialmente competente su varie
provincie, appartenenti a quattro regioni. L'opposta interpretazione,
favorevole alla tesi argomentata dal giudice rimettente, potrebbe
sostenersi solo se potesse sorreggersi su formule normative diverse,
come quella di "uffici con competenza sul territorio di insediamento"
di un gruppo linguistico minoritario, contenuta nell'art. 2,
direttiva numero 102), della legge-delega per il nuovo codice di
procedura penale 16 febbraio 1987, n. 81, oppure (alla stregua della
formula usata dal comma 2 dell'art. 109 cod. proc. pen., rilevante
per quanto si dirà in seguito) "autorità giudiziaria avente
competenza su un territorio dove è insediata una minoranza
linguistica".
La portata dell'art. 100 che pianamente risulta dalla sua
formulazione letterale, non smentita ma anzi confermata
sistematicamente dalle indicazioni ricavabili dagli artt. 2 e 99
dello statuto, non conforta dunque il dubbio che ha mosso il giudice
rimettente nel promuovere la presente questione di costituzionalità:
la competenza del tribunale militare di Verona si esercita anche
"nella regione", ma non è una "competenza regionale".
4.2. - La diversa conclusione cui perviene il giudice rimettente,
in vista di una più ampia protezione dei diritti linguistici,
proiettata cioè oltre l'ambito territoriale così definito,
presupporrebbe che l'art. 100 dello statuto potesse prestarsi a
un'interpretazione estensiva. Ma tale interpretazione, alla quale il
giudice rimettente chiama la Corte costituzionale, non è possibile.
La garanzia dei diritti linguistici delle minoranze, posta tra i
principi costituzionali fondamentali e in vista della quale la
Repubblica è tenuta a dettare "apposite norme" (art. 6 della
Costituzione), infatti, è certo inderogabile, conformemente al rango
che il principio di tutela delle minoranze occupa nella Costituzione
(sentenze nn. 15 del 1996, 62 del 1992, 768 del 1988, 289 del 1987,
312 del 1983 e 86 del 1975), ma non contiene in sé una forza
espansiva, al di là di quanto espressamente stabilito nelle norme
degli statuti regionali speciali.
Le norme di tutela delle minoranze rappresentano sempre punti di
equilibrio e contemperamenti tra le garanzie particolari e
l'ordinamento generale. L'estensione delle prime non può non
comportare ripercussioni sul secondo (così come la modifica del
secondo può interferire sulle prime). In questo quadro di reciproche
interferenze, si comprende la funzione peculiare delle norme di
attuazione degli statuti regionali speciali, norme adottate
attraverso un procedimento normativo speciale (per la regione
Trentino-Alto Adige, previsto dall'art. 107 dello statuto) che
comprende necessariamente una fase consultiva bilaterale e
paritetica, cui partecipano rappresentanti delle comunità
interessate. A tali norme di attuazione, spetta una competenza di
"carattere riservato e separato" (sentenze nn. 137 del 1998, 85 del
1990, 160 del 1985, 237 del 1983 e 180 del 1980) e finalizzata a dare
vita, in corrispondenza ai contenuti e agli obiettivi degli statuti
stessi, a una disciplina che, nell'unità dell'ordinamento giuridico
(sentenze nn. 212 del 1984 e 136 del 1969), concilii, armonizzandoli,
tanto l'esercizio dei diritti potenzialmente confliggenti - come
tipicamente avviene in materia di uso della lingua da parte di
soggetti appartenenti a gruppi linguistici diversi -, quanto
l'organizzazione delle autonomie regionali con quella dei pubblici
poteri e delle pubbliche funzioni.
E, in effetti, nella specie, per mettere in opera le prescrizioni
statutarie poste a presidio dell'identità linguistica della
minoranza tedesca nei processi penali ordinari, e in quelli civili e
amministrativi, si è resa necessaria l'emanazione di numerose norme
di attuazione: alcune (quali quelle contenute nel d.P.R. n. 574 del
1988, in talune sue parti oggetto del presente giudizio) per rendere
compatibili i rispettivi diritti linguistici dei soggetti, non tutti
necessariamente appartenenti al gruppo linguistico tedesco, che
simultaneamente entrano in rapporto con gli organi giurisdizionali;
altre, che influiscono sulle posizioni di soggetti diversi da quelli
titolari dei diritti linguistici, al fine di predisporre le
necessarie strutture organizzative della giurisdizione, come le norme
contenute negli artt. 33-41 del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752 (Norme
di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino-Alto
Adige in materia di proporzionale negli uffici statali siti nella
provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico
impiego) e nell'art. 6 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 267
(Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto
Adige concernenti modifiche a norme di attuazione già emanate).
Il compito e la procedura che, conformemente a quanto ora detto,
caratterizzano le norme di attuazione degli statuti delle regioni ad
autonomia speciale spiegano la loro rilevanza nella configurazione
della portata delle norme statutarie. Il valore giuridico delle norme
di attuazione, subordinate allo statuto (oltre che alla
Costituzione), non le sottrae di certo all'ordinario controllo di
legittimità costituzionale, quando contraddicano il loro compito di
armonizzare nell'unità dell'ordinamento giuridico i contenuti e gli
obiettivi particolari dell'autonomia speciale. Ma, qualora (come
nella specie) si sia fuori di questa eventualità, esse
rappresentano, tra le realizzazioni astrattamente possibili
dell'autonomia regionale speciale, quelle storicamente vigenti. Le
norme di attuazione, dotate di forza prevalente su quella delle leggi
ordinarie (sentenze nn. 160 del 1985 e 151 del 1972), finiscono
così, in certo modo, per fissare, entro i contorni delineati dagli
statuti o eventualmente anche nello svolgimento e nell'integrazione
delle norme statutarie necessari per dare a queste ultime piena
"attuazione" (sentenze nn. 260 del 1990, 212 del 1984 e 20 del 1956),
i contenuti storico-concreti dell'autonomia regionale e quindi,
nell'interpretazione delle norme statutarie che questa Corte è
chiamata a dare, vengono ad assumere un particolare rilievo e a porre
un limite: un limite superato il quale si determinerebbero
conseguenze non controllabili relativamente a quell'equilibrio
complessivo dell'ordinamento cui le norme di attuazione sono
preordinate.
Se ne deve concludere, nel caso in esame, insieme al rapporto di
congruenza tra le norme statutarie e i loro svolgimenti attuativi
nelle disposizioni impugnate, l'impossibilità di rompere tale
rapporto - come chiede il giudice rimettente - attraverso
un'interpretazione espansiva della garanzia linguistica, prevista
dall'art. 100 dello statuto, non sorretta dalla necessaria normativa
di attuazione.
5. - Le norme in esame, censurate in quanto inapplicabili nel
giudizio penale militare, si sottraggono anche al dubbio
d'incostituzionalità sollevato sotto il profilo della lesione del
diritto di difesa in giudizio (art. 24 della Costituzione e, secondo
la prospettazione del rimettente, art. 10 della Costituzione in
relazione all'art. 6, terzo comma, della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali). A
tale riguardo, si rende necessaria una precisazione circa il loro
rapporto con la disciplina generale dell'uso della lingua nel
processo penale.
Per effetto del rinvio che il primo comma dell'art. 261 cod. pen.
mil. pace opera, salvo che la legge disponga diversamente, alle
disposizioni del codice di procedura penale, nel processo penale
militare in generale, e nel processo penale militare a carico di
cittadini italiani appartenenti alla minoranza di lingua tedesca
della provincia di Bolzano in particolare, trova comunque
applicazione, contrariamente a quanto sembra ritenere il giudice
rimettente, la disciplina dettata dall'art. 109, comma 2, cod. proc.
pen. La clausola di salvaguardia dell'art. 261, la quale esclude il
rinvio al codice di procedura penale in presenza di diversa
disposizione legislativa, non vale infatti nella specie. Non solo
una diversa disciplina - allo stato della legislazione relativa al
processo penale militare nei confronti dei cittadini di lingua
tedesca - manca (e di questa mancanza, con riferimento alle norme del
d.P.R. n. 574 del 1988, il giudice rimettente per l'appunto si
duole). Ma soprattutto, qualora anche, a garanzia dell'identità
degli appartenenti alla comunità di lingua tedesca della provincia
di Bolzano, una tale disciplina fosse posta, essa, per le ragioni che
si indicano di seguito, non potrebbe considerarsi una disciplina
diversa e alternativa a quella stabilita dall'art. 109 cod. proc.
pen., tale da rendere operante la clausola di esclusione del rinvio
al codice di procedura penale (e quindi all'art. 109 cod. proc.
pen.), contenuta nell'art. 261 cod. pen. mil. pace.
L'art. 109, comma 2, cod. proc. pen. prevede in generale, con
riguardo agli appartenenti a tutte le minoranze linguistiche
riconosciute, che "davanti all'autorità giudiziaria avente
competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è
insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino
italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta,
interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è
redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli
atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua
richiesta".
In tale disciplina, è facile scorgere la coesistenza di due
profili di protezione: del diritto di difesa in giudizio, in quanto
si garantisce la comprensibilità degli atti del processo a coloro
che, non appartenendo alla comunità linguistica di maggioranza,
potrebbero non padroneggiare l'uso della lingua ufficiale del
processo (sentenza n. 271 del 1994); del diritto all'identità
linguistica, in quanto i diritti che la norma prevede sono
attivabili, a richiesta dell'interessato, indipendentemente dalla sua
ignoranza della lingua ufficiale del processo.
Su questa disciplina generale di base, possono tuttavia innestarsi
normative ulteriori, dettate allo scopo di una più intensa
protezione delle identità linguistiche particolari. Tale innesto
trova la sua regola nell'ultima proposizione del comma 2 dello stesso
art. 109 cod. proc. pen., la quale fa espressamente "salvi gli altri
diritti stabiliti da leggi speciali e da convenzioni internazionali".
Alla stregua di questo sistema, il rapporto tra la normativa
codicistica e quella contenuta nel decreto n. 574 di attuazione dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige deve essere ricostruito
in termini non di alternatività ma di concorrenza, secondo quanto
già affermato nella sentenza n. 271 del 1994 di questa Corte. La
disciplina generale dell'art. 109 cod. proc. pen. riguarda sia la
protezione del diritto di difesa in giudizio sia la garanzia dei
diritti linguistici dei cittadini appartenenti a minoranze
riconosciute nel processo penale, valendo quindi, come disciplina di
base comune, anche per i cittadini italiani di lingua tedesca della
provincia di Bolzano. Ove poi esistano norme speciali che, come
quelle contenute nel d.P.R. n. 574, prevedono "altri diritti", esse
sono "fatte salve", comportando conseguenze aggiuntive rispetto alla
disciplina codicistica.
Ma tali "altri diritti" previsti in leggi speciali si collocano su
un piano diverso da quello che attiene alle garanzie della difesa,
non potendo che riguardare esclusivamente una più intensa protezione
delle identità linguistiche dei gruppi minoritari, secondo le norme
particolari che li riguardano (in questo senso, si veda
l'argomentazione delle sentenze nn. 15 del 1996 e 271 del 1994 di
questa Corte). La garanzia del diritto di difesa in giudizio,
infatti, non potrebbe dar luogo mai, senza violazione del principio
costituzionale di uguaglianza, a soluzioni frazionate e
differenziate, a seconda dell'appartenenza a questo o a quel gruppo
linguistico di minoranza.
Ma, a questo punto, si deve tenere conto che a tale diversità di
piani di disciplina, fondati ciascuno su una propria ratio
indipendente, corrispondono principi di riferimento differenziati,
risultanti dagli artt. 6 e 24 della Costituzione. Essi - salva
l'eventualità (che nella specie non si verifica) di "interferenze"
limitatrici tra il piano della garanzia del diritto di difesa e
quello della tutela linguistica, eventualità che giustificherebbe il
richiamo, ad un tempo, di entrambi i principi costituzionali
anzidetti - hanno ambiti di applicazione diversi che devono essere
mantenuti distinti (sentenze nn. 15 del 1996 e 62 del 1992).
Ne deriva allora che la questione di costituzionalità, proposta
sotto il profilo della garanzia del diritto di difesa in giudizio,
relativamente a norme dettate al fine della tutela di diritti
linguistici come quelle contenute nel d.P.R. n. 574 del 1988, è
destituita di fondamento, per non pertinenza del parametro
costituzionale invocato.
6. - Anche per quanto riguarda la pretesa violazione dell'art. 3
della Costituzione, sotto il profilo dell'irrazionale differenza di
disciplina dell'uso della lingua tedesca nel processo penale
ordinario e in quello penale militare, la questione è infondata.
A ragione il giudice rimettente sottolinea l'esistenza di una
tendenza all'avvicinamento delle due forme processuali, con l'effetto
di una progressiva omologazione del rito speciale a quello ordinario.
Tale tendenza trova espressione nella norma generale di rinvio al
codice di procedura penale comune contenuta nel già richiamato art.
261 cod. pen. mil. pace e si giustifica per l'esigenza, ribadita
anche di recente da questa Corte con la sentenza n. 274 del 1997, di
ricondurre le forme processuali penali a medesimi principi
informatori, tutte le volte che la specialità delle ragioni proprie
della giustizia penale militare non lo impedisca.
Tuttavia ciò vale nei casi in cui sia rintracciabile una matrice
normativa processuale comune, non quando si abbia a che fare con
norme, quali quelle contenute nel d.P.R. n. 574 del 1988, che
traggono la loro ragion d'essere dalla tutela di un bene -
l'identità di una minoranza linguistica - che non è propriamente
del processo, ma nel processo trova soltanto un'occasione per essere
realizzata. Rispetto a tali norme, in quanto esse valgono in
riferimento a minoranze cui è riconosciuto e garantito uno status
costituzionale particolare, l'esigenza di uniformità cede a quella
di specificazione e differenziazione alla stregua delle peculiarità
dell'ordinamento speciale in cui sono inserite e da cui traggono la
loro validità.
Ma anche a voler trascurare queste considerazioni circa la
particolarità delle norme di protezione delle identità
linguistiche, secondo i diversi ordinamenti speciali, resta comunque
il fatto che il senso della doglianza del giudice rimettente è di
richiedere, attraverso il richiamo all'art. 3 della Costituzione,
l'applicazione della disciplina processuale comune, cioè - nella
specie - dell'art. 109 cod. proc. pen., al giudizio penale militare,
ciò che già deriva pianamente, secondo quanto detto al punto 5 di
questa motivazione in diritto, dal sistema delle norme processuali
penali comuni e militari.