TitoloSENT. 223/96. ESTRADIZIONE - REATI PUNITI CON LA PENA CAPITALE SECONDO LE LEGGI DELLO STATO RICHIEDENTE - CONCESSIONE DELL'ESTRADIZIONE SUBORDINATA AD <
> PRESTATE DA DETTO STATO (NELLA SPECIE: GLI STATI UNITI D'AMERICA), RITENUTE <> DALL'AUTORITA' GIUDIZIARIA E DAL MINISTRO DI GRAZIA E GIUSTIZIA, DI NON INFLIGGERE LA PENA DI MORTE O DI NON FARLA ESEGUIRE SE GIA' INFLITTA - LESIONE DEI DIRITTI INVIOLABILI DELL'UOMO, CON INCIDENZA, IN PARTICOLARE, SUL BENE ESSENZIALE DELLA VITA - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE PARZIALE.
Testo
Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 2 e 27, quarto comma, Cost., l'art. 698, comma 2, cod. proc. pen., e la legge 26 maggio 1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui da' esecuzione all'art. IX del trattato ora citato, ove si stabilisce la negazione dell'estradizione qualora il reato sia punibile con la pena di morte secondo le leggi della Parte richiedente, salvo che quest'ultima <>, in quanto - pur se il procedimento delineato dall'art. 698, comma 2, censurato, che si impernia su un duplice vaglio, espletato, caso per caso, dall'autorita' giudiziaria e dal Ministro di grazia e giustizia circa la <> delle predette garanzie, offre, in astratto, il vantaggio di una politica flessibile da parte dello Stato richiesto, consentendo adattamenti, nel tempo, in base a considerazioni di politica criminale - nel nostro ordinamento, in cui il divieto della pena di morte e' sancito dalla Costituzione, la formula delle <>, ai fini della concessione dell'estradizione per fatti in ordine ai quali e' stabilita la pena capitale dalla legge dello Stato richiedente, non e' costituzionalmente ammissibile. Il divieto contenuto nell'art 27, quarto comma, Cost., ed i valori ad esso sottostanti, primo fra tutti il bene essenziale della vita, impongono, infatti, una garanzia assoluta. - Cfr., altresi', S. n. 54/1979, nella quale la Corte ha affermato che il concorso, da parte dello Stato italiano, all'esecuzione di pene <> e' di per se' lesivo della Costituzione. red.: G. Leo
Riferimenti normativi
codice di procedura penale
n. 0
art. 698
co. 2
legge
26/05/1984
n. 225
art. 0
co. 0
N. 223
SENTENZA 25-27 GIUGNO 1996
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: avv. Mauro FERRI;
Giudici: prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA,
prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare
MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott.
Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY,
prof. Valerio ONIDA, prof. Carlo MEZZANOTTE;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 698, secondo
comma, del codice di procedura penale, e della legge 26 maggio 1984,
n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra il
Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti
d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui da
esecuzione all'art. IX del trattato stesso, promosso con ordinanza
emessa il 20 marzo 1996 dal Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio sul ricorso proposto da Venezia Pietro contro il Ministero di
grazia e giustizia, iscritta al n. 404 del registro ordinanze 1996 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima
serie speciale, dell'anno 1996.
Visti gli atti di costituzione di Venezia Pietro e del Governo
degli Stati Uniti d'America, nonché l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nella udienza pubblica del 28 maggio 1996 il giudice relatore
Francesco Guizzi;
Uditi gli avvocati, Mario Salerni per Venezia Pietro, Giuseppe
Frigo e Giorgio Luceri per il Governo degli Stati Uniti d'America, e
l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto in fatto
1. - Avverso il decreto del Ministro di grazia e giustizia del 14
dicembre 1995, con cui si concede al Governo degli Stati Uniti
l'estradizione del cittadino italiano Pietro Venezia, raggiunto da
provvedimento restrittivo emesso il 30 dicembre 1993 dal giudice
della contea di Dade (Florida) con l'imputazione di omicidio di primo
grado, l'estradando proponeva ricorso al Tribunale amministrativo
regionale del Lazio volto a ottenere l'annullamento, previa
sospensione, del citato decreto.
A fondamento dell'azione, il ricorrente deduceva l'illegittimità
del decreto ministeriale per l'incostituzionalità sia dell'art.
698, secondo comma, del codice di procedura penale, sia della legge
26 maggio 1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di
estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo
degli Stati Uniti d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983),
nella parte in cui ratifica e dà esecuzione all'art. IX del trattato
stesso.
2. - Disattese le eccezioni sul difetto di giurisdizione
prospettate dall'Avvocatura dello Stato, il Tribunale adito
sospendeva in via provvisoria il decreto ministeriale impugnato e con
provvedimento contestuale promoveva, in relazione agli artt. 2, 3, 11
e 27, quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell'art. 698, secondo comma, del codice di procedura
penale, e della legge n. 225 del 1984, nella parte in cui ratifica e
dà esecuzione all'art. IX del citato trattato di estradizione.
2.1. - Osserva il collegio rimettente che il decreto impugnato non
va ascritto al novero degli atti politici e, dunque, è sottoposto al
sindacato del giudice amministrativo. Esso verrebbe a concludere due
autonome fasi procedimentali distinte l'una dall'altra, ancorché
unite da un nesso di presupposizione, e non v'è dubbio che
l'autorità amministrativa esplichi una propria attività di
valutazione. Sì che la giurisdizione amministrativa verrebbe a
radicarsi sul provvedimento finale, anche se non la si voglia
estendere al riesame della sussistenza delle condizioni richieste per
l'accoglimento della domanda di estradizione, accertate dal giudice
ordinario ai sensi dell'art. 704 del codice di procedura penale. Con
altrettanta autonomia, il giudice amministrativo potrebbe conoscere
le censure inerenti alla legittimità delle fonti normative su cui si
basa l'esercizio del potere ministeriale, spettandogli di verificare
i presupposti di legittimità dell'atto amministrativo alla luce di
quanto dispongono gli artt. 24 e 113 della Costituzione.
2.2. - Motivando specificamente sulla rilevanza, il Tribunale
amministrativo del Lazio ricorda l'orientamento della Corte
costituzionale sull'ammissibilità della questione sollevata dal
giudice rimettente che sospenda l'atto impugnato, in via provvisoria,
sino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di
costituzionalità (cfr. sentenza n. 440 del 1990 e ordinanza n. 24
del 1995). La questione sarebbe quindi rilevante ai fini della
decisione sulla domanda cautelare di sospensione del provvedimento
impugnato, che sembrerebbe - prima facie - immune da vizi di eccesso
di potere e procedimentali, in quanto congruamente motivato circa
l'affidabilità delle garanzie fornite dal Governo degli Stati Uniti
di non infliggere la pena capitale all'estradando e, comunque, di non
darvi esecuzione. Detto provvedimento si palesa illegittimo, perché
adottato in base a disposizioni ritenute incostituzionali. La
possibilità di estradare un cittadino italiano affinché venga
sottoposto da parte dello Stato richiedente a un processo per un
reato punito con la pena capitale - quantunque subordinata a garanzie
o assicurazioni sufficienti in ordine alla mancata irrogazione o
esecuzione di essa - sarebbe in conflitto con i principi fondamentali
della Costituzione, quale che sia la natura delle assicurazioni
fornite. Di qui, la non manifesta infondatezza della questione.
2.3. - Viene innanzitutto in rilievo, ad avviso del rimettente,
l'art. 2 della Costituzione, che riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo, fra i quali vi è certo quello alla vita, la
cui assolutezza è stata sottolineata da questa Corte nella sentenza
n. 54 del 1979. Nel contempo va ricordato che con specifico
riferimento all'art. 11 - ove si consente l'estradizione sub
condicione - il Governo italiano ha apposto riserva alla convenzione
europea di estradizione ratificata con la legge 30 gennaio 1963, n.
300, impegnandosi a negare la concessione per i reati punibili dalla
legge dello Stato richiedente con la pena capitale.
2.4. - Vi sarebbe lesione, altresì, dell'art. 27 della
Costituzione per il rischio di valutazioni soggettive difformi, in
momenti storico-politici diversi, poiché la clausola denunciata
affida all'apprezzamento discrezionale del Ministro di grazia e
giustizia - secondo criteri non definiti - il giudizio sulle
assicurazioni fornite dallo Stato richiedente, le quali non
presentano quel carattere di certezza che i menzionati parametri
costituzionali impongono, fondandosi la garanzia soltanto sulla
capacità dell'organismo governativo che ha contratto l'impegno di
esigerne il rispetto. Né in proposito suffraga il richiamo all'art.
6 della Costituzione degli Stati Uniti d'America, giacché manca nel
trattato un presidio di effettività per tali garanzie, non essendo
il Governo federale vincolato a particolari forme o tipi di
assicurazione, che incontrerebbero, d'altronde, un limite
nell'autonomia dei singoli Stati. Il giudice a quo invoca quindi
l'art. 3, sotto il profilo dell'uguaglianza, che sarebbe vulnerato
per il diverso atteggiamento che lo Stato italiano ha assunto nello
stipulare convenzioni con altri Paesi - da ultimo con la Romania,
l'Ungheria e il Marocco - nelle quali si è stabilito un vincolo
diretto per il giudice dello Stato richiedente a non irrogare, o a
non eseguire, la pena di morte. E infine deduce il contrasto con
l'art. 11 della Costituzione, sottolineando ch'esso consente
"limitazioni di sovranità" solo in quanto "necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni".
3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, concludendo per
l'inammissibilità e, comunque, per l'infondatezza.
3.1. - La questione sarebbe inammissibile, poiché il sindacato
sulla legittimità dell'atto amministrativo di concessione
dell'estradizione è circoscritto alla decisione dell'autorità
governativa e non può estendersi alla fase giurisdizionale svoltasi
davanti alla corte d'appello competente per territorio e, poi,
dinanzi alla Corte di cassazione in sede d'impugnazione nel merito.
Le due decisioni non potrebbero sovrapporsi, spettando all'autorità
giudiziaria l'esame dei requisiti previsti dalla legge e dalla
convenzione internazionale, e inerendo al Ministro il compito di
vagliare, in base a considerazioni di natura politica (anche
contingenti) circa lo stato delle relazioni diplomatiche con il Paese
richiedente, se concedere l'estradizione. Il rapporto fra i due
momenti, giurisdizionale e politico-amministrativo, sarebbe
chiaramente enunciato dall'art. 701 del codice di procedura penale.
Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non poteva espandere
il proprio sindacato alla pronuncia sui diritti dell'estradando già
apprezzati dall'autorità giudiziaria: doveva limitarsi a giudicare
degli interessi legittimi vantati da costui con riguardo alla
salvaguardia del giusto procedimento e alla legittimità delle
valutazioni di ordine politico compiute dal Ministro; né potrebbe
avere cognizione delle censure sulle fonti normative sottostanti
all'atto impugnato. Può infatti dubitare, ad avviso
dell'Avvocatura, soltanto delle fonti che attribuiscono
discrezionalità al Ministro, mentre il collegio rimettente pone in
discussione il provvedimento di estradizione, richiamando i diritti
soggettivi dell'estradando, fra cui quello alla vita già esaminato
dal giudice ordinario.
3.2. - Nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, e il
richiamo alla sentenza n. 54 del 1979 di questa Corte non pertinente:
la norma denunciata in quella circostanza consentiva l'estradizione
senza alcuna limitazione o cautela anche per i reati sanzionati con
la pena capitale; mentre quella oggetto della presente censura
postula garanzie che la condanna a morte non sarà irrogata, o
eseguita, qualora sia concessa l'estradizione. Del pari irrilevante
sarebbe il riferimento alla espressa riserva apposta dall'Italia alla
convenzione europea di estradizione, in quanto anteriore al trattato
con gli Stati Uniti. La norma censurata ricollega il provvedimento
di estradizione alla sussistenza di parametri certi, obiettivi e
autovincolanti che - a giudizio della Corte di cassazione - sono
riscontrabili nell'impegno assunto dal Governo federale statunitense
con le peculiari caratteristiche dell'obbligazione internazionale,
resa vincolante nei confronti dello Stato federato dall'art. 6 della
Costituzione del 1787. D'altronde, analoga situazione si verifica
anche nel nostro ordinamento, allorché si ottenga l'estradizione
soltanto per alcuni reati: in tale ipotesi l'art. 720 del codice di
procedura penale vincola l'autorità giudiziaria alle condizioni
poste dallo Stato estradante, e liberamente accettate. L'obbligo
internazionale è dunque recepito in una norma interna, mentre
nell'ordinamento statunitense il rispetto di esso sarebbe assicurato
- in ragione della struttura federale - direttamente dalla norma
costituzionale. Nel caso di specie - è quanto rileva la Corte di
cassazione - la sanzione capitale deve aversi come non più esistente
o comunque inoperante. Non vi sarebbe lesione, pertanto, degli
indicati parametri costituzionali.
L'art. 27, quarto comma, della Costituzione, non si può leggere,
infatti, al di fuori del sistema, ma deve coordinarsi sia con l'art.
26 - pertinente nella sua specificità - sia con gli artt. 10 e 11,
che conferiscono rango costituzionale ai principi di diritto
internazionale generalmente riconosciuti, fra cui l'antico e
consolidato pacta sunt servanda. Il divieto della pena di morte non
può quindi porre in crisi quella fondamentale forma di
collaborazione giudiziaria internazionale che si attua mediante
l'estradizione. Significativamente, l'art. 26 della Costituzione
consente l'estradizione del cittadino ove sia espressamente prevista
dalle convenzioni internazionali, escludendola per i reati politici.
Assolutizzando il divieto per i reati puniti con la pena capitale, si
verrebbe a configurare un diritto di asilo o, quanto meno, un
ingiustificato diritto a essere assoggettati alla giurisdizione
penale italiana per i reati di maggiore gravità (art. 9 del codice
penale), e ciò in aperta elusione, secondo l'Avvocatura, del
principio della territorialità della legge penale.
4. - Destinatario di notifica tanto da parte del giudice a quo
quanto da parte del ricorrente, il Governo degli Stati Uniti - che
assume di essere titolare dell'interesse alla legittimità del
provvedimento di estradizione - si è costituito, concludendo per
l'infondatezza della questione limitatamente alla legge di ratifica e
di esecuzione del trattato di estradizione.
4.1. - Nel merito, si richiamano le argomentazioni svolte dalla
difesa del Presidente del Consiglio dei ministri sul punto della
vincolatività dell'impegno assunto mediante assicurazioni dallo
Stato richiedente; e si sottolinea che - in base all'art. 1, sezione
X, della Costituzione statunitense - gli Stati federati non possono
sottoscrivere trattati internazionali, di esclusiva competenza
dell'Autorità federale, e sono obbligati a osservarne le
disposizioni, secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della
Corte Suprema federale. Sì che le assicurazioni fornite dal Governo
degli Stati Uniti con le note verbali del 28 luglio 1994, 24 agosto
1995 e 12 gennaio 1996 sono da considerare vincolanti per lo Stato
della Florida e i suoi giudici. In caso di violazione, il Governo
degli Stati Uniti attiverà i rimedi necessari, sino a provocare
l'intervento della Corte federale.
5. - Si è costituita anche la parte privata, chiedendo la
declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme denunciate.
L'estradando osserva che il trattato fra l'Italia e gli Stati Uniti
non fornisce adeguata tutela all'imputato di un reato punibile, nel
territorio degli Stati Uniti, con la pena di morte; mentre più ampie
garanzie si riscontrano, ad esempio, nel trattato fra l'Italia e il
Marocco, ov'è prevista la sostituzione della pena capitale con
quella stabilita, nel nostro Paese, per il medesimo reato. Non vi
sarebbe quindi ragionevole certezza circa la mancata irrogazione o
non esecuzione della pena di morte, giacché l'art. VI della
Costituzione statunitense coprirebbe i trattati fra gli Stati
dell'Unione e non quelli internazionali, fra i quali rientra il
trattato di estradizione.
Considerato in diritto
1. - Viene all'esame della Corte, in relazione agli artt. 2, 3, 11
e 27, quarto comma, della Costituzione, la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 698, secondo comma, del codice di procedura
penale, e della legge 26 maggio 1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione
del trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana
ed il Governo degli Stati Uniti d'America, firmato a Roma il 13
ottobre 1983), nella parte in cui dà esecuzione all'art. IX del
trattato ora citato, ove si prevede l'estradizione anche per i reati
puniti con la pena capitale a fronte dell'impegno assunto dal Paese
richiedente - con garanzie ritenute sufficienti dal Paese richiesto -
a non infliggere la pena di morte o, se già inflitta, a non farla
eseguire.
2. - È ammissibile la costituzione del Governo degli Stati Uniti
d'America, in quanto parte legittimata a resistere nel giudizio a quo
come risulta dal ricorso del Venezia - notificato all'Ambasciata
degli Stati Uniti in Italia - e dalle ordinanze di rimessione e di
sospensione adottate dal Tribunale amministrativo regionale del
Lazio, ritualmente comunicate. Al profilo formale corrisponde la
titolarità dell'interesse sostanziale, sia con riguardo all'oggetto
della controversia di merito, sia con riferimento all'incidente di
costituzionalità su norme che sono a fondamento della richiesta e
del provvedimento di concessione dell'estradizione, una delle quali
è quella che dà esecuzione al trattato di cui il Governo degli
Stati Uniti è contraente.
3. - Occorre quindi valutare se la questione sia ammissibile
perché sollevata nell'ambito di un giudizio, pendente davanti al
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, riguardante la
legittimità del decreto con cui il Ministro di grazia e giustizia ha
concesso l'estradizione di Pietro Venezia su richiesta del Governo
degli Stati Uniti d'America. L'Avvocatura dello Stato osserva, in
proposito, che tale giudizio verte sull'interesse legittimo
dell'estradando al corretto esercizio del potere
politico-amministrativo del Ministro e non sul diritto soggettivo,
quello alla vita, già considerato dal giudice ordinario, con
competenza esclusiva, in duplice grado (Corte d'appello e, in sede di
impugnazione estesa al merito, Corte di cassazione). Né verrebbero
in rilievo le disposizioni denunciate, poiché attengono alla
giurisdizione ordinaria rispetto alla quale il decreto ministeriale
appare un diaframma insormontabile.
3.1. - L'eccezione va disattesa.
L'art. 697 del codice di procedura penale stabilisce che la
consegna d'una persona a uno Stato estero può aver luogo soltanto
mediante estradizione; e l'art. 698, secondo comma, prevede garanzie
processuali e procedimentali per i fatti puniti con la pena di morte
dalla legge dello Stato estero, subordinando la concessione del
provvedimento di estradizione alla decisione del giudice ordinario
circa le assicurazioni fornite dal Paese richiedente, e alla
successiva valutazione del Ministro di grazia e giustizia su di esse.
Il decreto impugnato davanti al giudice amministrativo ha
considerato, in relazione al diritto alla vita dell'estradando, le
assicurazioni fornite dallo Stato estero. Ha dunque rilevanza il
dubbio di costituzionalità riguardante l'art. 698, secondo comma,
del codice di procedura penale, poiché esso attribuisce un potere al
Ministro che, nella specie, ne ha fatto uso; e ha rilevanza,
altresì, quello che concerne la legge di esecuzione del trattato, n.
225 del 1984, poiché in forza di essa sono investite le due
autorità (giudiziaria e amministrativa) indicate nel citato art.
698. Né può sostenersi che il giudice a quo avrebbe invocato
diritti soggettivi esclusi dalla propria cognizione: il sindacato di
legittimità del provvedimento impugnato - condotto sul piano
dell'osservanza delle leggi che regolano l'azione ministeriale - non
può non compiersi, infatti, anche con riguardo alla legalità
costituzionale, che è, anzi, il primo doveroso controllo da parte di
ogni giudice dello Stato. Controllo di legalità che, tuttavia, non
può intendersi limitato ai principi dell'azione amministrativa in
senso stretto se, e in quanto, essa insista su beni o interessi
tutelati (in massimo grado) dalla Costituzione. Di qui,
l'ammissibilità della questione.
4. - Nel merito la questione è fondata.
Il divieto della pena di morte ha un rilievo del tutto particolare
- al pari di quello delle pene contrarie al senso di umanità - nella
prima parte della Carta costituzionale. Introdotto dal quarto comma
dell'art. 27, sottende un principio "che in molti sensi può dirsi
italiano" - sono parole tratte dalla relazione della Commissione
dell'Assemblea costituente al progetto di Costituzione, nella parte
dedicata ai rapporti civili - principio che "ribadito nelle fasi e
nei regimi di libertà del nostro Paese, è stato rimosso nei periodi
di reazione e di violenza", configurandosi nel sistema costituzionale
quale proiezione della garanzia accordata al bene fondamentale della
vita, che è il primo dei diritti inviolabili dell'uomo riconosciuti
dall'art. 2. L'assolutezza di tale garanzia costituzionale incide
sull'esercizio delle potestà attribuite a tutti i soggetti pubblici
dell'ordinamento repubblicano, e nella specie su quelle potestà
attraverso cui si realizza la cooperazione internazionale ai fini
della mutua assistenza giudiziaria. Sì che l'art. 27, quarto comma,
letto alla luce dell'art. 2 della Costituzione, si pone quale
essenziale parametro di valutazione della legittimità costituzionale
della norma generale sulla concessione dell'estradizione (art. 698,
secondo comma, del codice di procedura penale), e delle leggi che
danno esecuzione a trattati internazionali di estradizione e di
assistenza giudiziaria.
5. - Questa Corte ha già affermato che il concorso, da parte dello
Stato italiano, all'esecuzione di pene "che in nessuna ipotesi, e per
nessun tipo di reati, potrebbero essere inflitte in Italia nel tempo
di pace" è di per sé lesivo della Costituzione (sentenza n. 54 del
1979). Il punto ora in esame è se rappresentino un rimedio adeguato
le "garanzie" o "assicurazioni" previste dal citato art. 698,
secondo comma, e dalla legge 26 maggio 1984, n. 225, di ratifica ed
esecuzione del trattato di estradizione fra il Governo della
Repubblica italiana e quello degli Stati Uniti d'America firmato a
Roma il 13 ottobre 1983; e in particolare se sia conforme alla
Costituzione detta legge, nella parte in cui dà esecuzione all'art.
IX del trattato stesso, ove si stabilisce che l'estradizione sarà
negata qualora il reato sia punibile con la pena di morte secondo le
leggi della Parte richiedente. Salvo che quest'ultima "non si impegni
con garanzie ritenute sufficienti dalla Parte richiesta a non fare
infliggere la pena di morte oppure, se inflitta, a non farla
eseguire". Come già si è detto, il procedimento delineato
dall'art. 698, secondo comma, del codice di procedura penale, si
impernia su un duplice vaglio espletato, caso per caso,
dall'autorità giudiziaria e dal Ministro di grazia e giustizia circa
la "sufficienza" delle predette garanzie. L'estradizione è dunque
concessa (o negata) in seguito a valutazioni svolte dalle autorità
italiane sulle singole richieste con accertamenti nei limiti
indicati. Tale soluzione offre, in astratto, il vantaggio di una
politica flessibile da parte dello Stato richiesto, e consente
adattamenti, nel tempo, in base a considerazioni di politica
criminale; ma nel nostro ordinamento, in cui il divieto della pena di
morte è sancito dalla Costituzione, la formula delle "sufficienti
assicurazioni" - ai fini della concessione dell'estradizione per
fatti in ordine ai quali è stabilita la pena capitale dalla legge
dello Stato estero - non è costituzionalmente ammissibile. Perché
il divieto contenuto nell'art. 27, quarto comma, della Costituzione,
e i valori ad esso sottostanti - primo fra tutti il bene essenziale
della vita - impongono una garanzia assoluta.
Non hanno fondamento i dubbi della parte privata sulla sussistenza
di rimedi giudiziari nell'ordinamento statunitense a tutela della
vincolatività dei trattati internazionali stipulati dal Governo
federale, e non è in questione l'interpretazione dell'art. VI della
Costituzione statunitense. Il punto che qui rileva non è quello dei
rimedi contenuti nell'ordinamento straniero, bensì l'intrinseca
inadeguatezza del meccanismo adottato dal codice di procedura penale
e dalla legge di esecuzione del trattato in esame rispetto al canone
costituzionale: l'assolutezza del principio costituzionale richiamato
viene infirmata dalla presenza di una norma che demanda a valutazioni
discrezionali, caso per caso, il giudizio sul grado di affidabilità
e di effettività delle garanzie accordate dal Paese richiedente.
6. - Si impone dunque la declaratoria di illegittimità
costituzionale dell'art. 698, secondo comma, del codice di procedura
penale, e della legge n. 225 del 1984, nella parte in cui dà
esecuzione all'art. IX del trattato di estradizione tra il Governo
italiano e quello degli Stati Uniti d'America, per contrasto con gli
artt. 2 e 27, quarto comma, della Costituzione. Va da sé che resta
applicabile il rimedio predisposto dall'art. 9, terzo comma, del
codice penale, in ottemperanza agli obblighi alternativi che gravano
sullo Stato (consegnare o punire): a richiesta del Ministro di grazia
e giustizia, sono puniti secondo la legge italiana i colpevoli di
delitti commessi in territorio estero, sanzionati con almeno tre anni
di reclusione, allorché l'estradizione non sia stata o non possa
essere concessa (sentenza n. 54 del 1979, n. 7 del Considerato in
diritto).
Sono assorbite le censure mosse in riferimento agli artt. 3 e 11
della Costituzione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 698, secondo
comma, del codice di procedura penale;
b) Dichiara l'illegittimità costituzionale della legge 26 maggio
1984, n. 225 (Ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione tra
il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti
d'America, firmato a Roma il 13 ottobre 1983), nella parte in cui dà
esecuzione all'art. IX del trattato di estradizione ora citato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 giugno 1996.
Il Presidente: Ferri
Il redattore: Guizzi
Il cancelliere: Fruscella
Depositata in cancelleria il 27 giugno 1996.
Il cancelliere: Fruscella