Titolo
SENT. 15/77. PROCESSO CIVILE - PROCESSO DEL LAVORO - COD. PROC. CIV., ART. 435, SECONDO COMMA (MODIFICATO DALL'ART. 1 DELLA LEGGE 11 AGOSTO 1973, N. 533) - GIUDIZIO DI SECONDO GRADO - NON DISPONE CHE L'AVVENUTO DEPOSITO DEL DECRETO DI FISSAZIONE DELL'UDIENZA SIA COMUNICATO ALL'APPELLANTE E CHE DA TALE COMUNICAZIONE DECORRA IL TERMINE PER LA NOTIFICAZIONE ALL'APPELLATO - VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 3 E 24 COST. - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN PARTE QUA.
Testo
Posto che, nel quadro della garanzia costituzionale della difesa, ove un termine sia prescritto per il compimento di tale attivita', la cui omissione si risolva in pregiudizio della situazione tutelata, deve essere assicurata all'interessato la conoscibilita' del momento di iniziale decorrenza del termine stesso, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il termine assegnatogli, ne consegue che contrasta con tale principio l'art. 435, comma secondo, cod. proc. civ. (come modificato dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533), poiche' ricollega il dies a quo del termine per la notificazione del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza ad un evento (quale il deposito del provvedimento) di cui e' ben possibile che la parte non abbia avuto tempestiva conoscenza. Ne', d'altra parte, potrebbe essere evitato il pregiudizio per il diritto di difesa ritenendo che il termine in questione sia di tipo ordinatorio (perche' cio' non porrebbe l'appellante al riparo dalle conseguenze connesse alla violazione del termine a comparire, che non fosse stato in grado di rispettare proprio in dipendenza della non tempestiva conoscenza del decreto) ovvero con l'uso della normale diligenza da parte del procuratore dell'appellante (che non potrebbe essere giammai spinta fino al punto di un controllo giornaliero). Pertanto, e' costituzionalmente illegittima la disposizione in questione - per violazione dell'art. 24, comma secondo, Cost. (restando assorbito il profilo di contrasto con l'art. 3) - nella parte in cui non stabilisce che l'avvenuto deposito del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione sia comunicato all'appellante e che da tale comunicazione decorra il termine per la notificazione all'appellato. Cfr.: sentt. nn. 159 del 1971, 255 del 1974, 14 del 1977.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 24
co. 2
Riferimenti normativi
codice di procedura civile
n. 0
art. 435
co. 2
legge
11/08/1973
n. 533
art. 1
co. 0
N. 15
SENTENZA 4 GENNAIO 1977
Deposito in cancelleria: 14 gennaio 1977.
Pubblicazione in "Gazz. Uff." n. 17 del 19 gennaio 1977.
Pres. ROSSI - Rel. GIONFRIDA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. PAOLO ROSSI, Presidente - Dott. LUIGI
OGGIONI - Avv. ANGELO DE MARCO - Avv. ERCOLE ROCCHETTI - Prof. ENZO
CAPALOZZA - Prof. VINCENZO MICHELE TRIMARCHI - Prof. VEZIO CRISAFULLI
- Dott. NICOLA REALE - Avv. LEONETTO AMADEI - Dott. GIULIO GIONFRIDA -
Prof. EDOARDO VOLTERRA - Prof. GUIDO ASTUTI - Dott. MICHELE ROSSANO -
Prof. ANTONINO DE STEFANO - Prof. LEOPOLDO ELIA, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 435,
secondo comma, del codice di procedura civile, come modificato
dall'art. 1 della legge 11 agosto 1973, n. 533, sul nuovo rito del
lavoro, promossi con ordinanze emesse il 27 maggio ed il 10 giugno 1975
dalla Corte d'appello di Catanzaro nelle cause di lavoro vertenti tra
Greccia Salvatore e l'I.N.P.S. e tra orsi Francesca e l'I.N.P.S.,
inscritte ai nn. 352 e 353 del registro ordinanze 1975 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 268 dell'8 ottobre 1975.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 27 ottobre 1976 il Giudice relatore
Giulio Gionfrida;
udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti,
per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - Con ordinanze (di identica motivazione) 27 maggio e 10 giugno
1975, la Corte di appello di Catanzaro (essendo stata, nei relativi
procedimenti, eccepita dall'appellato INPS l'inammissibilità del
gravame, per notifica del ricorso oltre il prescritto termine
perentorio di 10 giorni dall'emissione del decreto presidenziale di
fissazione dell'udienza di discussione davanti al Collegio) ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione,
questione di legittimità dell'art. 435, secondo comma, cod. proc.
civ., come modificato dall'art. 1 della legge 1973, n. 533, per la
parte, appunto, in cui prevede che il termine di dieci giorni per la
notifica del ricorso e del decreto presidenziale decorra dalla data del
decreto stesso.
La detta disposizione determinerebbe, infatti - ad avviso della
Corte - "una situazione di incertezza e precarietà in ordine al
momento iniziale del termine con violazione dei diritti della difesa".
2. - Nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, che ha concluso per la non fondatezza della
questione, sul presupposto della natura meramente ordinaria del termine
in questione ed in considerazione, comunque, della sua "decorrenza da
un fatto che non può essere ignorato usando la normale diligenza".
Considerato in diritto:
1. - Per la identità delle questioni sollevate con le due
ordinanze della Corte di appello di Catanzaro, i relativi giudizi si
riuniscono per la decisione con unica sentenza.
2. - Come in narrativa detto, la Corte è investita della questione
di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della
Costituzione, dell'art. 435, comma secondo, del codice di procedura
civile (come modificato dall'art. 1 della legge n. 533 del 1973), nella
parte in cui prescrive (relativamente al giudizio di secondo grado) che
il decreto di fissazione dell'udienza di discussione davanti al
Collegio deve essere notificato (unitamente al ricorso) entro il
termine di giorni dieci, decorrenti dal deposito del decreto stesso
(anziché dalla sua comunicazione all'appellante).
3. - La questione è fondata.
Con sentenza n. 14 del 1977, questa Corte ha già avuto modo di
affermare, richiamando la propria precedente giurisprudenza (cfr. sent.
1971, n. 159; 1974, n. 255), che, nel quadro della garanzia
costituzionale della difesa, ove un termine sia prescritto per il
compimento di tale attività, la cui omissione si risolva in
pregiudizio della situazione tutelata, deve essere assicurata
all'interessato la conoscibilità del momento di iniziale decorrenza
del termine stesso, onde poter utilizzare, nella sua interezza, il
tempo assegnatogli.
Con siffatto principio, appunto, contrasta la disposizione
impugnata, giacché ricollega il dies a quo del termine per la
notificazione del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza ad
un evento (quale il deposito del provvedimento) di cui è ben possibile
che la parte non abbia tempestiva conoscenza.
Né le conseguenze pregiudizievoli per il diritto di difesa possono
essere, nella specie, superate accedendo alla tesi (condivisa dalla
prevalente dottrina) che il termine in questione sia di tipo
odinatorio.
La ritenuta non perentorietà del termine consentirebbe, infatti,
di escludere, che pur dopo il suo decorso, resti all'appellante
preclusa la notificazione del decreto, ma non lo porrebbe al riparo
dalle conseguenze che - con particolare riguardo al procedimento di
impugnazione - possono riconnettersi alla violazione del termine a
comparire che - proprio in dipendenza della non tempestiva conoscenza
del decreto - l'appellante non fosse stato in grado di rispettare.
Il pregiudizio della difesa (nel senso sopra indicato) neppure può
essere, d'altra parte, (sempre) evitato con l'uso della normale
diligenza da parte del procuratore dell'appellante.
Basta considerare l'ipotesi in cui il Presidente del tribunale
abbia (come gli è consentito dal comma primo dell'art. 435 cit.)
fissato l'udienza di discussione in coincidenza con la scadenza del
termine (di 35 giorni) risultante dall'esatto computo di dieci giorni
previsti per la notifica del ricorso (ex comma secondo) e dei 25 giorni
stabiliti come termine minimo di comparizione (ex comma terzo art. 435
cit.).
Con riferimento a tale ipotesi, la diligenza dovrebbe, infatti,
spingersi (con ciò superando il limite della normalità) fino al punto
di un controllo giornaliero: anche oltre il termine (meramente
ordinatorio) di giorni cinque (dal deposito del ricorso) per la
emanazione del decreto presidenziale di fissazione d'udienza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 435, comma
secondo, del codice di procedura civile, come modificato dall'art. 1
della legge 11 agosto 1973, n. 533 (sul nuovo rito del lavoro), nella
parte in cui non dispone che l'avvenuto deposito del decreto
presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione sia comunicato
all'appellante e che da tale comunicazione decorra il termine per la
notificazione all'appellato.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 gennaio 1977.
F.to: PAOLO ROSSI - LUIGI OGGIONI -
ANGELO DE MARCO - ERCOLE ROCCHETTI -
ENZO CAPALOZZA - VINCENZO MICHELE
TRIMARCHI - VEZIO CRISAFULLI - NICOLA
REALE - LEONETTO AMADEI - GIULIO
GIONFRIDA - EDOARDO VOLTERRA - GUIDO
ASTUTI - MICHELE ROSSANO - ANTONINO
DE STEFANO - LEOPOLDO ELIA.
ARDUINO SALUSTRI - Cancelliere