Titolo
SENT. 63/66 A. DIRITTI SOGGETTIVI - GARANZIA COSTITUZIONALE - NON NE ESCLUDE L'ESTINZIONE PER PRESCRIZIONE.
Testo
La prescrizione e' modo generale d'estinzione dei diritti: percio' la garanzia costituzionale d'un diritto non vieta, di per se', che esso si estingua per il decorso del tempo. La tutela costituzionale da' al diritto soggettivo una forza maggiore di quella che gli deriverebbe dalla legge ordinaria, ma non lo rende necessariamente perpetuo poiche', se alla base della prescrizione sta un'esigenza di certezza dei rapporti giuridici, questa tocca di regola qualunque diritto, compresi quelli costituzionalmente garantiti.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 2
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 4
Costituzione
art. 36
Riferimenti normativi
codice civile
n. 0
art. 2948
n.4
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2955
n.2
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2956
n.1
co. 0
Titolo
SENT. 63/66 B. DIRITTI SOGGETTIVI - DIRITTO DELLA PERSONALITA' - IMPRESCRITTIBILITA' DELLE PRETESE IN ESSO COMPRESE - PRETESE PATRIMONIALI DERIVANTI DALLA LESIONE DEL DIRITTO - PRESCRITTIBILITA' - FATTISPECIE - DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE "SUFFICIENTE" E DIRITTO AGLI ALIMENTI. LAVORO - DIRITTO ALLE PRESTAZIONI SALARIALI - COSTITUZIONE, ARTICOLO 36, ULTIMO COMMA, - NON IMPLICA L'INDISPONIBILITA' E L'IMPRESCRITTIBILITA' DEL DIRITTO - ASSERITO FONDAMENTO DI QUESTA NEGLI ARTT. 2, 3 E 4 DELLA COSTITUZIONE - ESCLUSIONE - LIMITE AL REGIME DELLA PRESCRIZIONE DESUMIBILE DALL'ART. 36 - FATTISPECIE - CODICE CIVILE, ART. 2948, N. 5 - ESCLUSIONE DI ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE.
Testo
Il diritto della personalita' e' imprescrittibile solo nel senso che le facolta' di cui si compone, potranno sempre esercitarsi per un lunghissimo periodo di tempo, non nel senso che anche le pretese patrimoniali, derivanti di volta, in volta, dalla lesione di quel diritto, possano farsi valere in perpetuo. Dissociazione, questa, che si produce anche in altri rapporti, come accade per il diritto agli alimenti, che e' imprescrittibile, mentre si prescrivono in un quinquennio le singole annualita' delle prestazioni alimentari. Di conseguenza, anche quando si qualifichi il diritto alla retribuzione sufficiente come diritto della personalita', la imprescrittibilita' concernerebbe il diritto al salario, ma non le prestazioni salariali dovute periodicamente dal datore di lavoro. L'indisponibilita' del diritto alle prestazioni salariali - che ne comporterebbe la imprescrittibilita' (art. 2934 Codice civile) - non e' sancita nell'art. 36 ne' si ricava da altre norme della Costituzione, mentre l'irrinunciabilita' al diritto da parte del lavoratore, come si desume a fortiori dall'ultimo comma dello stesso art. 36, che stabilisce l'irrinunciabilita' del diritto alle ferie e al riposo settimanale, essendo concetto meno ampio dell'indisponibilita' richiamata dal Codice civile, non basta a rendere perpetuo un diritto soggettivo. L'art. 4 che garantisce il diritto al lavoro - al pari dell'art. 3 - non contiene precetti od insegnamenti sulla sorte delle singole prestazioni salariali, ne' l'inviolabilita' dei diritti dell'uomo ex art. 2 della Costituzione esclude che il tempo consumi le pretese di carattere patrimoniali ad esse collegate. Non e' fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2948, n. 5 del Codice civile, secondo cui si prescrivono in cinque anni le indennita' spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, in riferimento agli artt. 3, 4 e 36 della Costituzione.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 2
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 4
Costituzione
art. 36
Riferimenti normativi
codice civile
n. 0
art. 2948
n.5
co. 0
Titolo
SENT. 63/66 C. LAVORO - RETRIBUZIONI CORRISPOSTE A PERIODI NON SUPERIORI O SUPERIORI AL MESE - PRESCRIZIONE QUINQUENNALE E PRESUNTIVA - CODICE CIVILE, ARTT. 2948, N. 4, 2955, N. 2, E 2956, N. 1 - CONSENTONO CHE LA PRESCRIZIONE DEL DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE DECORRA DURANTE IL RAPPORTO DI LAVORO - MANCATO ESERCIZIO DEL DIRITTO PER TIMORE DI LICENZIAMENTO - SOSTANZIALE EQUIPARABILITA' ALL'IPOTESI DI RINUNCIA DI CUI E' SANCITA L'INVALIDITA' DELL'ART. 36 DELLA COSTITUZIONE - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE PARZIALE.
Testo
Sono costituzionalmente illegittimi, in riferimento all'articolo 36 della Costituzione gli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2 e 2956, n. 1 del Codice civile, limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto di lavoro. Il precetto costituzionale ammette la prescrizione del diritto al salario, ma non ne consente il decorso finche' permane il rapporto di lavoro durante il quale essa maschera spesso una rinunzia ad una parte dei propri diritti nel timore del recesso (licenziamento). Le norme indicate, anche se non si riferiscono al negozio di rinuncia, consentono che la prescrizione prenda inizio dal momento in cui matura il diritto ad ogni singola prestazione salariale. Pur in assenza di ostacoli giuridici a far valere il diritto al salario, sussistono peraltro ostacoli materiali, in quanto il lavoratore puo' essere indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte e' portato a rinunciarvi, cioe' per timore del licenziamento. Ma l'art. 36 della Costituzione ha inteso vietare qualsiasi tipo di rinunzia, anche quella che in particolari situazioni puo' essere implicata nel mancato esercizio del proprio diritto e pertanto, nel fatto che si lasci decorrere la prescrizione. La rinunzia, quando e' fatta durante il rapporto, non puo' essere considerata una libera espressione di volonta' negoziale e la sua invalidita' a tutela del contraente piu' debole e' sancita dalla norma costituzionale.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 36
Riferimenti normativi
codice civile
n. 0
art. 2948
n.4
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2955
n.2
co. 0
codice civile
n. 0
art. 2956
n.1
co. 0
N. 63
SENTENZA 1 GIUGNO 1966
Deposito in cancelleria: 10 giugno 1966.
Pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" n. 143 dell'11 giugno 1966.
Pres. AMBROSINI - Rel. BRANCA
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente - Prof.
NICOLA JAEGER - Prof. GIOVANNI CASSANDRO - Prof. BIAGIO PETROCELLI -
Dott. ANTONIO MANCA - Prof. ALDO SANDULLI - Prof. GIUSEPPE BRANCA -
Prof. MICHELE FRAGALI - Prof. COSTANTINO MORTATI - Prof. GIUSEPPE
CHIARELLI - Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI - Prof. FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO, Giudici,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2948, nn. 4
e 5, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, del Codice civile, promosso con
ordinanza emessa il 16 ottobre 1964 dal Tribunale di Ancona nel
procedimento civile vertente tra Giacchetta Evaristo e Boldrini Cesira
ed altri, iscritta al n. 28 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 85 del 3 aprile 1965.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri e di costituzione di Giacchetta Evaristo;
udita nell'udienza pubblica del 20 aprile 1966 la relazione del
Giudice Giuseppe Branca;
uditi l'avv. Giuseppe Di Stefano, per il Giacchetta, ed il
sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Ritenuto in fatto:
1. - In una causa promossa per rivendicazione salariali contro la
signora Cesira Boldrini e altri, presso il Tribunale di Ancona,
l'attore Evaristo Giacchetta sollevava eccezione di legittimità
costituzionale degli artt. 2948, nn. 4 e 5, 2955, n. 2, e 2956, n. 1,
del Codice civile in riferimento agli artt. 3, 4 e 36 della
Costituzione.
Il Tribunale, dubitando della compatibilità della prescrizione,
prevista in quegli articoli, con la natura del diritto alla
retribuzione quale risulta dai principi costituzionali, accoglieva la
eccezione proponendo questione di legittimità costituzionale con
ordinanza del 16 ottobre 1964.
2. - Il Giacchetta, costituitosi con atto depositato presso questa
Corte il 15 marzo 1965, ricorda che la dottrina moderna considera il
"diritto alla retribuzione sufficiente", garantito dall'art. 36 della
Costituzione, come un diritto della personalità: se ne dovrebbe
dedurre che per volontà del costituente esso è indisponibile,
opponibile erga omnes e imprescrittibile e che quindi le norme
denunciate, poiché lo sottopongono a prescrizione "presuntiva o
sostanziale", sono incostituzionali. La giurisprudenza della Corte
costituzionale e quella della Cassazione avvalorerebbero questo rilievo
poiché hanno affermato la natura immediatamente precettiva dell'art.
36 della Costituzione e l'indisponibilità di quel diritto intesa nel
senso che le leggi ordinarie possano disciplinarne l'esercizio ma non
possono sopprimerlo. Si tratterebbe in sostanza d'uno di quei diritti
"dell'uomo" che l'art. 2 della Costituzione dichiara inviolabili e che
dunque non possono mai "essere perduti". È come disconoscere questa
inviolabilità - si chiarisce in una memoria depositata, fuori termine,
l'8 aprile 1966 - ammettere con la Cassazione che il diritto al
salario, una volta sorto e acquisito al patrimonio del lavoratore, sia
soggetto a prescrizione: con ciò lo si rende di fatto violabile e
disponibile vanificando la garanzia derivante dalla Costituzione come
per ogni altro diritto sociale.
Durante il rapporto di lavoro il lavoratore non è in condizioni
materiali di difendersi, mentre la prescrizione decorre regolarmente.
Perciò il datore di lavoro, che ha retribuito con salario
insufficiente il lavoratore, sfuggirà alla norma costituzionale per
tutti quegli anni che sono coperti dalla prescrizione: cioè le norme
impugnate gli consentono - conclude il Giacchetta - di violare
impunemente un diritto che invece, per la Costituzione, è inviolabile.
Le norme denunciate contrasterebbero infine con l'art. 3 della
Costituzione: trattano diversamente il datore di lavoro dal lavoratore
poiché la "prestazione" del primo è prescrittibile, mentre non lo è
materialmente quella del secondo; di più non consentono al lavoratore
un'adeguata difesa contro la prescrizione presuntiva: se è deceduto il
datore di lavoro, si deferirà il giuramento all'erede, ma questi
giurerà normalmente l'avvenuta estinzione del debito poiché, estraneo
al rapporto di lavoro, non potrà essere incolpato di spergiuro.
3. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervenendo con
atto depositato l'11 marzo 1965, osserva innanzi tutto che l'art. 3
della Costituzione non viene certamente violato da norme contenenti
sulla prescrizione una disciplina uniforme per tutti i titolari d'un
medesimo diritto.
Rileva inoltre che l'art. 4 della Costituzione, garantendo il
diritto al lavoro, costituisce un prius rispetto al rapporto di lavoro,
di cui la retribuzione è parte essenziale, e perciò non è in questo
caso adducibile.
Quanto, infine, all'art. 36 della Costituzione, esso, esigendo una
retribuzione giusta e sufficiente, non è tale che il relativo diritto
venga sottratto ai limiti, come quello della prescrizione (sentenza n.
57 del 1962 della Corte costituzionale), che sono normalmente propri di
tutti i diritti.
L'imprescrittibilità d'alcuni di questi - prosegue l'Avvocatura
dello Stato - deriva non da norme costituzionali, ma dalla loro stessa
natura (diritti indisponibili) o dalla legge: cosa che non può dirsi
del diritto alla retribuzione, la cui indisponibilità non risulta né
dalla sua speciale natura né dalle norme costituzionali né da quelle
del Codice civile (se ne veda anzi l'art. 2113); del resto esso,
secondo la memoria depositata dall'Avvocatura il 28 marzo 1966, non è
un diritto della personalità, poiché non attribuisce uno status
protetto erga omnes, e, se lo fosse, non sarebbe per ciò solo
imprescrittibile: anche taluni diritti relativi allo status delle
persone sono soggetti a prescrizione (artt. 117, 120, 121 ecc. del
Codice civile).
Quanto, poi, alla prescrizione presuntiva disciplinata nella
seconda e nella terza delle tre norme impugnate (artt. 2955 e segg. del
Codice civile), i suoi effetti possono essere evitati (oltreché con
l'"ammissione" dello stesso debitore) con la delazione del giuramento
consentita dalla legge al creditore: diritto di cui non avrebbe tenuto
conto il giudice a quo e che invece toglierebbe ogni rilevanza alla
proposta questione di legittimità costituzionale. Del resto -
conclude l'Avvocatura dello Stato - se il debitore, a cui è stato
deferito il giuramento, giura il falso, egli può essere perseguito
penalmente e civilmente (art. 2738 del Codice civile) anche oltre il
termine della prescrizione presuntiva: con ciò sarebbe esclusa
l'incostituzionalità delle norme poiché esse nell'insieme
offrirebbero al creditore un'efficace tutela sulla cui intensità non
sarebbe ammissibile il sindacato della Corte costituzionale (citata
sentenza n. 57 del 1962 della Corte costituzionale).
4. - Nella discussione orale si sono svolti i punti essenziali
della controversia.
Considerato in diritto:
1. - Sono stati denunciati gli artt. 2948, nn. 4 e 5, 2955, n. 2, e
2956, n. 1, del Codice civile per contrasto con gli artt. 3, 4 e 36
della Costituzione: la prescrizione quinquennale e quella presuntiva,
previste per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori o
superiori al mese, sarebbero incompatibili con la natura del diritto al
salario qual'è garantito dalla Costituzione.
Presa nella sua assolutezza la denuncia non può essere accolta.
Dato che la prescrizione è modo generale d'estinzione dei diritti, la
garanzia costituzionale d'un diritto non vieta, di per sé, che esso si
estingua per il decorso del tempo: la tutela costituzionale dà al
diritto soggettivo una forza maggiore di quella che gli deriverebbe
dalla legge ordinaria; ma non lo rende necessariamente perpetuo
poiché, se alla base della prescrizione sta un'esigenza di certezza
dei rapporti giuridici, questa tocca di regola qualunque diritto,
compresi quelli costituzionalmente garantiti.
La parte privata nelle sue deduzioni si richiama a una dottrina che
qualifica il diritto alla retribuzione "sufficiente" come diritto della
personalità: ne deriverebbe che, alla pari di tutti questi diritti,
esso sarebbe imprescrittibile; ma, accettata la premessa, non se ne
può sottoscrivere la deduzione, una cosa essendo il diritto al
salario, che secondo questa dottrina spetterebbe erga omnes, ed altra
il diritto alle prestazioni salariali dovute periodicamente dal datore
di lavoro: il diritto della personalità è imprescrittibile solo nel
senso che le facoltà, di cui si compone, potranno sempre esercitarsi
per un lunghissimo periodo di tempo; non nel senso che anche le pretese
patrimoniali, derivanti di volta in volta dalla lesione di quel
diritto, possano farsi valere in perpetuo. Dissociazione, questa, che
si produce anche in altri rapporti, come accade per il diritto agli
alimenti, che è imprescrittibile mentre si prescrivono in un
quinquennio le singole annualità delle prestazioni alimentari.
2. - Vero è che nel nostro ordinamento non sono soggetti a
prescrizione i diritti indisponibili (art. 2934 del Codice civile); ma
l'indisponibilità del diritto alle prestazioni salariali non è
sancita nell'art. 36 né si ricava da altre norme della Costituzione:
ad esso il lavoratore non può rinunciare, come si desume a fortiori
dall'ultimo comma dello stesso art. 36, che stabilisce
l'irrinunciabilità del diritto alle ferie e al riposo settimanale; ma
l'irrinunciabilità, essendo concetto meno ampio dell'indisponibilità
richiamata dal Codice civile, non basta a rendere perpetuo un diritto
soggettivo.
Infine la denuncia contenuta nell'ordinanza di rinvio non trova
conforto neanche nell'art. 4 della Costituzione, che garantisce il
diritto al lavoro ma, alla pari dell'art. 3, non contiene precetti od
insegnamenti sulla sorte delle singole prestazioni salariali; né lo
trova nell'art. 2 poiché l'inviolabilità dei diritti dell'uomo non
esclude che il tempo consumi le pretese di carattere patrimoniale ad
essi collegati.
3. - Però, se il diritto alle prestazioni salariali può
prescriversi, non tutto il regime della prescrizione è compatibile
colla speciale garanzia che deriva dall'art. 36 della Costituzione.
In un rapporto non dotato di quella resistenza, che caratterizza
invece il rapporto d'impiego pubblico, il timore del recesso, cioè del
licenziamento, spinge o può spingere il lavoratore sulla via della
rinuncia a una parte dei propri diritti; dimodoché la rinuncia, quando
è fatta durante quel rapporto, non può essere considerata una libera
espressione di volontà negoziale e la sua invalidità è sancita
dall'art. 36 della Costituzione: lo stesso art. 2113 del Codice
civile, che la giurisprudenza ha già inquadrato nei principi
costituzionali, ammette l'annullamento della rinuncia proprio se questa
è intervenuta prima della cessazione del rapporto di lavoro o subito
dopo. In sostanza si è voluto proteggere il contraente più debole
contro la sua propria debolezza di soggetto interessato alla
conservazione del rapporto.
Le norme impugnate, in verità, non si riferiscono al negozio di
rinuncia; però consentono che la prescrizione prenda inizio dal
momento in cui matura il diritto a ogni singola prestazione salariale:
se si eccettua il n. 5 dell'art. 2948, il termine prescrizionale
decorre fatalmente anche durante il rapporto di lavoro poiché non vi
sono ostacoli giuridici che impediscano di farvi valere il diritto al
salario. Vi sono tuttavia ostacoli materiali, cioè la situazione
psicologica del lavoratore, che può essere indotto a non esercitare il
proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte è portato a
rinunciarvi, cioè per timore del licenziamento; cosicché la
prescrizione, decorrendo durante il rapporto di lavoro, produce proprio
quell'effetto che l'art. 36 ha inteso precludere vietando qualunque
tipo di rinuncia: anche quella che, in particolari situazioni, può
essere implicita nel mancato esercizio del proprio diritto e pertanto
nel fatto che si lasci decorrere la prescrizione.
Entro questi limiti la questione è fondata: il precetto
costituzionale, pur ammettendo la prescrizione del diritto al salario,
non ne consente il decorso finché permane quel rapporto di lavoro
durante il quale essa maschera spesso una rinuncia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale degli artt. 2948 n. 4,
2955, n. 2, e 2956, n. 1, del Codice civile limitatamente alla parte in
cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione
decorra durante il rapporto di lavoro;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 2948, n. 5, del Codice civile proposta, in riferimento agli
artt. 3, 4 e 36 della Costituzione, con l'ordinanza citata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 1 giugno 1966.
GASPARE AMBROSINI - NICOLA JAEGER -
GIOVANNI CASSANDRO - BIAGIO
PETROCELLI - ANTONIO MANCA - ALDO
SANDULLI - GIUSEPPE BRANCA - MICHELE
FRAGALI - COSTANTINO MORTATI -
GIUSEPPE CHIARELLI - GIOVANNI
BATTISTA BENEDETTI - FRANCESCO PAOLO
BONIFACIO.