Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato e depositato il 26 luglio 2022 (reg. ric. n. 48 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato l’intero testo e, in particolare, tra gli altri, l’art. 18, comma 5, nonché gli artt. 3, commi 1 e 2, e 13, commi 14 e 50, della legge della Regione Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024), in riferimento, complessivamente, agli artt. 81, terzo comma, 97, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.
1.1.– Il primo motivo denuncia l’art. 18, comma 5, della citata legge regionale, che, per ciascuno degli esercizi finanziari dal 2022 al 2038, ha ridotto l’autorizzazione di spesa di cui alla Missione 20, Programma 3, capitolo 215754, relativa al fondo per garantire i percorsi di stabilizzazione di alcune categorie di personale.
Ad avviso del ricorrente, i risparmi che conseguirebbero da tale previsione non potrebbero costituire una fonte di copertura degli oneri indicati nel prospetto allegato alla legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, dovendo invece essere «destinati alla realizzazione del piano decennale di rientro del disavanzo».
In tal modo violerebbero l’art. 81, terzo comma, Cost., sia il denunciato art. 18, comma 5, i cui oneri risulterebbero «di fatto privi di copertura finanziaria», sia la legge regionale nel suo complesso, che andrebbe dichiarata costituzionalmente illegittima «nella sua interezza» dal momento che la copertura in esame non sarebbe direttamente correlabile a uno specifico onere discendente dalla stessa.
1.2.– Dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 il ricorso impugna le previsioni dei primi due commi – aventi ad oggetto, rispettivamente, il trattamento accessorio e il sistema di classificazione del personale regionale –, in particolare là dove questi prevedono che le relative spese sono finanziate con le risorse derivanti dalla riduzione dei fondi indicati nei successivi commi 3 e 4.
Nel testo originario, la disposizione del citato art. 3 stabilisce infatti che:
«1. Al fine di recepire la normativa statale di cui all’articolo 1, comma 604, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 in materia di incremento dei trattamenti economici accessori del personale delle pubbliche amministrazioni, le risorse destinate ai fondi per i trattamenti accessori del personale dell’Amministrazione regionale, anche di livello dirigenziale, sono incrementati, complessivamente, di euro 1.600.000,00 a decorrere dall’anno 2022, nel rispetto del limite massimo pari allo 0,22 per cento del monte salari 2018 previsto dalla citata disposizione statale e dei contenuti previsti dal punto 2, lettera e) dell’“Accordo tra Stato e Regione Siciliana per il ripiano decennale del disavanzo” sottoscritto in data 14 gennaio 2021 (Missione 1 Programma 10 capitolo 212017). Alla conseguente copertura dell’onere, pari ad euro 1.600.000,00 a decorrere dall’anno 2022, si provvede a valere sui risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4.
2. Al fine di recepire la normativa statale in materia di revisione del sistema di classificazione professionale da applicare al personale dell’Amministrazione regionale, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 612, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 e dei contenuti previsti dal punto 2, lettera e) dell’“Accordo tra Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo” sottoscritto in data 14 gennaio 2021, le risorse finanziarie per i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro relativi al triennio 2019/2021, stanziate dalla legge regionale 15 aprile 2021, n. 10 e dall’articolo 14 della legge regionale 27 dicembre 2021, n. 35, sono integrate, a decorrere dall’anno 2022, di un importo, comprensivo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione e dell’IRAP, nel limite massimo di euro 1.350.000,00 per l’esercizio finanziario 2022 e nel limite massimo di euro 2.700.000,00 a decorrere dall’esercizio finanziario 2023, da destinare al rinnovo contrattuale del personale del comparto non dirigenziale. All’onere di cui al presente comma si provvede con i risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4.
3. A decorrere dall’anno 2022, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 49, commi 3 e 4, della legge regionale 7 maggio 2015, n. 9 e successive modificazioni e dall’articolo 13, comma 3, della legge regionale 17 marzo 2016, n. 3 e successive modificazioni e dalla Delib.G.R. n. 108 del 10 marzo 2022 nonché al fine di dare attuazione al punto 2, lettere d) ed e) dell’“Accordo tra Stato e Regione Siciliana per il ripiano decennale del disavanzo” sottoscritto in data 14 gennaio 2021, in materia di contenimento del trattamento economico accessorio, il fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione, parte variabile e di risultato del personale dell’area della dirigenza dell’amministrazione regionale è ridotto di un importo pari ad euro 3.841.000,00 (Missione 1, Programma 10, capitolo 212019) rispetto all’ammontare del fondo medesimo del 2021 come formalmente quantificato e costituito dall’amministrazione regionale. Le economie di pari importo registrate nel fondo di cui al primo periodo e relative all’anno 2021, costituiscono in via definitiva e strutturale risparmi a beneficio del bilancio regionale.
4. A decorrere dall’anno 2022, in attuazione di quanto previsto dall’articolo 49, commi 3 e 4, della legge regionale n. 9/2015 e successive modificazioni, dall’articolo 10 comma 1 della legge regionale 15 aprile 2021, n. 9, come attuati con decreto presidenziale n. 608/2022, nonché al fine di dare attuazione al punto 2, lettere d) ed e) dell’“Accordo Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo” sottoscritto in data 14 gennaio 2021, in materia di contenimento del trattamento economico accessorio, il fondo risorse decentrate del personale del comparto non dirigenziale dell’amministrazione regionale è ridotto di un importo pari ad euro 544.134,00 (Missione 1, Programma 10, capitolo 212015) rispetto all’ammontare del fondo medesimo del 2021, come formalmente quantificato e costituito dall’amministrazione regionale.
5. A decorrere dall’anno 2022, sono fatti salvi gli effetti di cui all’articolo 1, commi 604 e 612, della legge 30 dicembre 2021, n. 234».
1.2.1.– Secondo il ricorrente, i richiamati commi 1 e 2, prevedendo che alla copertura dei rispettivi oneri si provvede a valere sui risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4, si porrebbero in evidente contrasto con l’impegno alla riduzione strutturale delle spese di personale, assunto dalla Regione Siciliana con l’accordo sottoscritto con lo Stato il 14 gennaio 2021 per il ripiano decennale del disavanzo.
Il punto 2 di tale accordo impegna la Regione «ad adottare interventi di riduzione della spesa corrente attraverso provvedimenti legislativi e/o amministrativi regionali», tra i quali le successive lettere d) ed e) indicano, rispettivamente: «d) […] il contenimento dell’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, nei limiti di quanto previsto per le amministrazioni pubbliche dall’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75 […]; e) […] il contenimento della spesa del personale in servizio, al netto delle spese per i rinnovi contrattuali nei limiti minimi di quelli previsti per il medesimo periodo a livello nazionale, e del personale in quiescenza. […]».
Le due previsioni impugnate, invece, impiegherebbero le risorse derivanti dalla riduzione dei fondi considerati nei commi 3 e 4 «per finanziare l’incremento del trattamento accessorio del personale regionale, nonché la revisione del sistema di classificazione del medesimo».
Le stesse eccederebbero dunque dalle competenze legislative statutariamente riservate alla Regione Siciliana e violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., ponendosi in contrasto con i principi di coordinamento della finanza pubblica, «tra i quali rientr[erebbero] anche le disposizioni di contenimento dei costi di personale […], di cui costitui[rebbe] espressione» il richiamato punto 2, lettere d) ed e), dell’accordo sottoscritto dalla Regione Siciliana.
Sotto altro profilo, le disposizioni impugnate violerebbero anche gli artt. 97 e 119 Cost., quanto al «principio dell’equilibrio dei bilanci pubblici e della sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni […], nella misura in cui esse pregiudic[herebbero] la corretta attuazione e, quindi, l’efficacia del piano di rientro decennale dal disavanzo».
In subordine, anche ritenendo che le previsioni impugnate non sottraggano risorse destinate all’attuazione del suddetto piano di rientro, le stesse sarebbero comunque costituzionalmente illegittime «in quanto prive di adeguata copertura finanziaria», violando perciò l’art. 81, terzo comma, Cost. Secondo il ricorrente, per effetto delle riduzioni previste nei commi 3 e 4 dell’impugnato art. 3, i fondi dagli stessi considerati «non sarebbero affatto sufficienti per garantire gli incrementi dei costi di personale disposti dal legislatore regionale» con i precedenti commi 1 e 2.
1.3.– Il ricorso impugna anche l’art. 13, comma 14, della stessa legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, ai sensi del quale: «[p]er l’esercizio finanziario 2022 è autorizzata la spesa di 160 migliaia di euro in favore del Comune di Sciacca, destinata al pagamento delle imposte comunali ICI/IMU relative al procedimento di liquidazione della fondazione “Pardo” al fine di permettere l’immediato utilizzo delle risorse, già stanziate, destinate alla realizzazione del museo interdisciplinare di cui all’articolo 2 della legge regionale 15 maggio 1991, n. 17 e successive modificazioni, nel complesso monumentale di Santa Margherita a Sciacca».
«Nel presupposto» che la fondazione Pardo «sia soggetto partecipato dal Comune di Sciacca», il ricorso denuncia il contrasto della disposizione regionale con gli artt. 97 e 117 Cost.
Sotto un primo profilo, il ricorso osserva che per effetto della norma impugnata il Comune di Sciacca dovrebbe rispondere dell’obbligazione sorta in capo alla citata fondazione, risultando così sovvertito, di fatto, «il principio dell’autonomia patrimoniale perfetta recato dall’articolo 12 cod. civ.», per il quale le vicende dell’ente inciderebbero esclusivamente sul patrimonio dello stesso e non su quello dei soggetti che, in qualsiasi forma, partecipino all’ente medesimo.
Inoltre, la disposizione regionale, nel prevedere che delle obbligazioni della fondazione «risponda il soggetto pubblico, ovvero la collettività, attraverso un sostanziale accollo del debito, peraltro, con provvista finanziaria fornita dalla stessa Regione», violerebbe altresì il principio di sana gestione finanziaria espresso dall’art. 14, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), ai sensi del quale le amministrazioni pubbliche non possono, salve alcune ipotesi particolari, «sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, né rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali».
Richiamando la giurisprudenza della Corte dei conti, che ravvisa nella previsione da ultimo citata il cosiddetto divieto di soccorso finanziario da parte di un soggetto pubblico rispetto ai suoi organismi partecipati aventi struttura societaria, il ricorso assume che il richiamato art. 14, comma 5, esprimerebbe un principio generale «fondato su esigenze di tutela dell’economicità gestionale e della concorrenza, estensibile anche agli altri organismi partecipati dagli enti pubblici», comprese le fondazioni.
Risulterebbe quindi violato l’art. 117 (recte: art. 117, terzo comma) Cost., sotto il profilo della determinazione dei principi fondamentali nella materia del coordinamento della finanza pubblica.
La disposizione regionale impugnata produrrebbe anche «l’effetto di ripianare un debito contratto da una fondazione di diritto privato in fase di liquidazione, trasferendo il relativo onere finanziario a carico della collettività, senza alcuna ragionevole giustificazione», violando così l’art. 97 (recte: art. 97, secondo comma) Cost., là dove questo prescrive il principio del buon andamento e dell’imparzialità dell’amministrazione.
1.4.– Infine, il ricorso denuncia l’art. 13, comma 50, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, in base al quale «[a]ll’articolo 55 della legge regionale 17 marzo 2016, n. 3, dopo le parole “liquidazione coatta amministrativa” sono aggiunte le parole “nonché ai soci che hanno favorevolmente ottenuto i benefici di cui all’articolo 179 del codice penale”», ossia la riabilitazione.
Pertanto, la disposizione regionale modificata – recante interpretazione autentica dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Siciliana 10 ottobre 1994, n. 37 (Provvedimenti in favore delle cooperative) – stabilisce ora che quest’ultimo «si interpreta nel senso che i benefici previsti dal comma 1 dell’articolo 2 della suddetta legge si applicano ai soci delle cooperative agricole, già utilmente inserite in graduatoria per il godimento dei suddetti benefici, per le quali sia stato dichiarato lo stato di insolvenza ovvero siano pendenti o già definite le procedure di fallimento o liquidazione coatta amministrativa nonché ai soci che hanno favorevolmente ottenuto i benefici di cui all’articolo 179 del codice penale».
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la disposizione impugnata recherebbe «evidenti oneri finanziari a carico del bilancio regionale», dal momento che l’art. 2, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 37 del 1994 ammetterebbe i soci delle cooperative agricole per le quali sia stato già dichiarato lo stato di insolvenza o il fallimento o sia stata già avviata la liquidazione coatta amministrativa ai benefici previsti dal comma 1 della medesima disposizione, ossia l’assunzione «a carico del bilancio della Regione» delle garanzie concesse prima del 20 maggio 1993 da tali soggetti a favore delle cooperative stesse.
Richiamando i principi costituzionali menzionati con riferimento ad altri motivi d’impugnazione dello stesso ricorso, il ricorrente ravvisa dunque la «evidente» violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., non avendo la Regione «quantifica[to] i suddetti oneri ed individua[to] i mezzi finanziari per farvi fronte».
2.– Con atto depositato il 31 agosto 2022 la Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore, si è costituita in giudizio limitatamente ad alcune delle disposizioni impugnate e precisamente, per quanto qui rileva, in relazione agli artt. 18, comma 5, e 3, commi 1 e 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.
2.1.– Preliminarmente la difesa regionale eccepisce la inammissibilità «con riferimento alla più volte enunciata violazione dell’art. 81, terzo comma, della Costituzione, non [essendo] state fornite argomentazioni a sostegno della presunta violazione», che non sussisterebbe «alla luce del quadro normativo esaminato nel suo complesso».
2.2.– Nel merito, la resistente ritiene prive di fondamento le censure mosse all’art. 18, comma 5, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, e «frutto di un travisamento dei contenuti dell’Accordo sottoscritto in data 14 gennaio 2021 tra la Regione e lo Stato», sulla base di ragioni estensibili anche alla impugnativa dell’art. 3, commi 1 e 2, della medesima legge regionale.
Di tale accordo la resistente richiama anzitutto il punto 1, con il quale l’ente si sarebbe impegnato a realizzare, per gli anni dal 2021 al 2029, riduzioni strutturali della spesa corrente in misura non inferiore all’importo indicato per ciascun anno nella Tabella allegata, mediante l’adozione di interventi specifici elencati dal punto 2 dell’accordo.
Per la verifica dei suddetti contenuti, il successivo punto 5 prescriverebbe la trasmissione da parte della Regione di una certificazione – entro il 30 aprile di ciascun anno – a un apposito tavolo Stato-Regione mentre, ai sensi del punto 6: «[i]n caso di mancata attuazione degli impegni di cui ai punti 1 e 2, tenendo conto della flessibilità ivi prevista, viene meno il regime di ripiano pluriennale del disavanzo», ossia entro dieci esercizi, trovando applicazione il regime ordinario triennale previsto dall’art. 42 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42).
La difesa regionale sottolinea poi che, a seguito della certificazione prodotta per l’anno 2021, il ragioniere generale dello Stato avrebbe attestato il conseguimento di risparmi strutturali pari a 56,525 milioni di euro.
2.2.1.– Ciò premesso, secondo la resistente l’inosservanza dell’accordo non potrebbe tradursi in una violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., perché quello non prevederebbe «un obbligo della Regione, in sede di legge di stabilità, di accantonare necessariamente importi predeterminati per far fronte agli oneri scaturenti dal piano decennale del rientro del disavanzo».
Al contrario, la verifica del conseguimento delle riduzioni di spesa non sarebbe disciplinata «in sede di norme previsionali», ma «trov[erebbe] riscontro nei dati della certificazione regionale», da trasmettere entro il successivo 30 aprile di ciascun esercizio finanziario di riferimento e poi aggiornata e ritrasmessa a seguito dell’approvazione della legge regionale del relativo rendiconto.
Inoltre, sarebbe «espressamente affidata alla piena autonomia regionale» la scelta della misura e dei provvedimenti legislativi e amministrativi da adottare, fermi restando la priorità degli interventi elencati al punto 2 dell’accordo e il rispetto della riduzione programmata di cui alla Tabella allo stesso allegata. Coerentemente con tale impostazione il meccanismo sanzionatorio di cui al successivo punto 6 «non prevede[rebbe] alcuna potestà di verifica preventiva da parte del Governo» sulle riduzioni di spesa programmate dalla Regione, che si assumerebbe la responsabilità di raggiungere l’obiettivo alla fine di ciascun esercizio.
Pertanto, in forza delle suddette considerazioni non si potrebbe individuare nel predetto accordo «un motivo di censura in sede di controllo preventivo di legittimità costituzionale delle leggi regionali», mancando previsioni pattizie che introducano tali meccanismi di controllo ex ante.
2.2.2.– Quanto alla specifica censura mossa all’art. 18, comma 5, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, la resistente osserva che le risorse da questo utilizzate a copertura degli oneri della predetta legge regionale non rientrerebbero tra gli interventi espressamente declinati nel punto 2 dell’accordo, dalla lettera a) alla lettera g), bensì nella categoria, prevista dalla successiva lettera o), delle «misure di contenimento e riqualificazione della spesa individuate dalla Regione in piena autonomia». Sarebbe quindi infondata l’asserita carenza di copertura finanziaria, in assenza di qualsiasi vincolo riconducibile al capitolo di bilancio la cui autorizzazione di spesa è stata ridotta dalla disposizione impugnata.
2.2.3.– Anche le censure all’art. 3, commi 1 e 2, della stessa legge regionale sarebbero prive di fondamento perché, in forza dei richiamati meccanismi di applicazione dell’accordo del 14 gennaio 2021, «le verifiche sul rispetto degli impegni regionali si effettu[erebbero] a consuntivo», restando la Regione pienamente autonoma nell’individuazione delle azioni funzionali al conseguimento della riduzione totale degli impegni di spesa corrente.
Inoltre, ad avviso della resistente, la lettera e) del punto 2 dell’accordo avrebbe comunque espressamente escluso dal computo del contenimento della spesa del personale in servizio le «spese per i rinnovi contrattuali nei limiti minimi di quelli previsti per il medesimo periodo a livello nazionale».
D’altro canto, nemmeno emergerebbe una specifica azione avente ad oggetto la riduzione o la non corresponsione degli emolumenti scaturenti dal rinnovo del contratto collettivo di lavoro, i quali, peraltro, risulterebbero in linea con i limiti di spesa dei rinnovi già intervenuti negli altri rami della pubblica amministrazione, anche a livello nazionale.
A questo riguardo, la difesa regionale ricorda che il legislatore statale avrebbe di recente destinato appositi stanziamenti ai rinnovi contrattuali per il triennio 2019-2021 del personale delle amministrazioni pubbliche, nonché ulteriori risorse aggiuntive finalizzate sia al superamento del limite del trattamento accessorio di cui all’art. 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», sia al finanziamento dei sistemi di classificazione del personale non dirigenziale (sono richiamati i commi 604 e 612 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2021, n. 234, recante «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024»).
In tal modo sarebbe stata data attuazione alla deroga – disciplinata dall’art. 3, comma 2, del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante «Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia», convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2021, n 113 – che consente appunto il superamento del limite di cui all’art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017.
Tale deroga, conclude la difesa regionale, non potrebbe che «dinamicamente applicarsi alla Regione siciliana», alla luce del rinvio, contenuto nel punto 2, lettera d), dell’accordo, ai limiti posti dal citato decreto legislativo. D’altro canto, una diversa interpretazione determinerebbe una «ingiustificata disparità di trattamento tra dipendenti delle pubbliche amministrazioni».
2.3.– Da ultimo, la difesa della resistente sottolinea che le disposizioni impugnate, di cui agli artt. 18, comma 5, e 3, commi 1 e 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 sono state modificate, rispettivamente, dagli artt. 1 e 12 della legge della Regione Siciliana 10 agosto 2022, n. 16 (Modifiche alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 e alla legge regionale 25 maggio 2022, n. 14. Variazioni al Bilancio di previsione della Regione siciliana per il triennio 2022/2024. Disposizioni varie).
Per effetto del citato art. 1, le risorse considerate dall’impugnato art. 18, comma 5, non sarebbero più utilizzabili come copertura di altre spese a valere sull’esercizio 2022, venendo invece iscritte in un fondo non impegnabile nella gestione della spesa.
Il successivo art. 12 avrebbe operato una «[a]naloga sterilizzazione» modificando le previsioni contenute nell’impugnato art. 3, commi 1 e 2, riferite agli anni 2022, 2023 e 2024.
La descritta novella legislativa, conclude la resistente, avrebbe dunque determinato la cessazione della materia del contendere.
3.– A seguito dell’adozione del richiamato art. 1 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, il Consiglio dei ministri, nella seduta del 21 novembre 2022, ha approvato la rinuncia parziale al ricorso limitatamente, tra le altre, alla disposizione di cui all’art. 18, comma 5, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, preso atto della mancata applicazione medio tempore della stessa. All’atto di rinuncia parziale, depositato dall’Avvocatura generale dello Stato il 26 novembre 2022, ha fatto seguito l’accettazione del Presidente della Regione Siciliana pro tempore, con atto datato 5 dicembre 2022, depositato il giorno 7 successivo.
4.– In prossimità dell’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale, a fronte della richiesta della resistente di dichiarare cessata la materia del contendere quanto alle questioni che concernono l’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, ritiene che lo ius superveniens non abbia rimosso i vizi denunciati con le censure promosse.
Ad avviso dell’Avvocatura le disposizioni impugnate rimarrebbero in contrasto con l’impegno a ripianare il disavanzo regionale mediante, tra l’altro, la riduzione strutturale delle spese di personale, «dato che esse continu[erebbero] a prevedere un incremento delle spese in questione».
Nemmeno varrebbe il richiamo, da parte della difesa regionale, alla parte dell’accordo stipulato in data 14 gennaio 2021 in cui questo ammetterebbe le «spese per i rinnovi contrattuali nei limiti minimi di quelli previsti per il medesimo periodo a livello nazionale» (punto 2, lettera e), poiché le norme impugnate non stanzierebbero risorse per questi fini, ma inciderebbero su specifiche spese di personale che la Regione si sarebbe invece espressamente impegnata a ridurre.
5.– Con successivo ricorso notificato il 12 ottobre 2022 e depositato il 17 ottobre 2022 (reg. ric. n. 78 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato varie disposizioni della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, tra le quali anzitutto l’art. 12, in riferimento agli artt. 81, terzo comma, 97, secondo comma, e 119, primo comma, Cost.
5.1.– La disposizione impugnata prevede che:
«1. All’articolo 3 della legge regionale 25 maggio 2022, n. 13 sono apportate le seguenti modifiche:
a) al comma 1 le parole “si provvede a valere sui risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4.” sono sostituite dalle parole “si provvede mediante utilizzo delle maggiori entrate di cui al Titolo 1, Tipologia 103, capitolo 1026.”;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
“2. Al fine di recepire la normativa statale in materia di revisione del sistema di classificazione professionale da applicare al personale dell’Amministrazione regionale, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 1, comma 612, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 e successive modificazioni e dal punto 2, lettera e), dell’Accordo Stato-Regione sottoscritto in data 14 gennaio 2021, le risorse finanziarie per i rinnovi dei contratti collettivi di lavoro relativi al triennio 2019-2021, stanziate con legge regionale 15 aprile 2021, n. 10 e dall’articolo 14 della legge regionale 27 dicembre 2021, n. 35, sono integrate, a decorrere dall’anno 2022, di un importo pari a euro 3.300.000,00 comprensivo degli oneri riflessi a carico dell’amministrazione e dell’IRAP, da destinare al rinnovo contrattuale del personale del comparto non dirigenziale. Alla conseguente copertura dell’onere, pari ad euro 3.300.000,00, a decorrere dall’anno 2022 si provvede mediante utilizzo delle maggiori entrate di cui al Titolo 1, Tipologia 103, capitolo 1026, per gli importi di euro 3.300.000,00 nell’anno 2022, di euro 2.988.040,94 nell’anno 2023 e di euro 3.300.000,00 nell’anno 2024 e mediante riduzione della Missione 20, Programma 1, capitolo 215744 per l’importo di euro 311.959,06 nell’anno 2023 (Missione 1, Programma 10, capitolo 212017).”;
c) dopo il comma 4 è inserito il seguente:
“4-bis. Le somme corrispondenti ai risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4, pari a complessivi euro 4.385.134,00 per ciascun anno del triennio 2022, 2023 e 2024, affluiscono a beneficio del bilancio regionale e sono iscritte in un apposito capitolo del dipartimento regionale del bilancio e del tesoro, non utilizzabili ai fini della gestione della spesa (Missione 20, Programma 3).”».
5.2.– Richiamando la precedente impugnativa, concernente «la copertura finanziaria oggetto di modifica» di cui all’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, il ricorrente ravvisa analoghi vizi di legittimità costituzionale in quella definita con la riportata disposizione, in quanto assicurata mediante l’utilizzo delle maggiori entrate di natura tributaria, di cui al Titolo I, Tipologia 103, capitolo 1026.
Queste consisterebbero nelle ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale di cui la Regione Siciliana aggiornerebbe la quantificazione in relazione all’andamento del gettito comunicato dall’istituto cassiere e dunque privo di natura permanente e stabile, «essendo correlato a future variabili dei mercati finanziari».
Si tratterebbe pertanto di entrate che non rivestirebbero il necessario carattere di certezza e stabilità, tale da garantire la copertura degli oneri derivanti dalle spese di personale di natura strutturale e incomprimibile nel tempo indicate dalla norma regionale.
5.2.1.– Al riguardo, il ricorso richiama la previsione dell’art. 17, comma 1, lettera c), della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica), che consentirebbe la copertura delle maggiori spese «mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate»; ciò che la disposizione regionale impugnata non prevederebbe.
Inoltre, ai sensi del comma 1-bis del citato art. 17, le maggiori entrate rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente non sarebbero utilizzabili per la copertura finanziaria di nuove o maggiori spese o di riduzioni di entrate, ma andrebbero «finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica».
Pertanto, le norme regionali non rispetterebbero i caratteri della copertura finanziaria delle spese, incentrati sulla ragionevolezza dei presupposti giuridici ed economici che sorreggono l’iscrizione in bilancio degli stanziamenti in parte entrata e spesa (sono richiamate, di questa Corte, le sentenze n. 197 e n. 6 del 2019, nonché, con riferimento specifico alla Regione Siciliana, la sentenza n. 155 del 2022).
In conclusione, l’art. 12, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022 violerebbe l’art. 81, terzo comma, Cost., ponendosi in contrasto con l’obbligo di copertura finanziaria delle norme, anche regionali, che comportino nuovi o maggiori oneri a carico dei bilanci pubblici.
5.3.– Dello stesso art. 12, il ricorso denuncia anche la lettera c) del comma 1, che introduce il comma 4-bis nell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, così prevedendo che le somme corrispondenti ai risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4 di quest’ultima disposizione, derivanti dalla riduzione di fondi relativi al personale dell’area della dirigenza e a quello del comparto, «affluiscono a beneficio del bilancio regionale e sono iscritte in un apposito capitolo del dipartimento regionale del bilancio e del tesoro, non utilizzabili ai fini della gestione della spesa (Missione 20, Programma 3)».
Realizzando un «sostanziale “congelamento” dei predetti risparmi di spesa», la norma regionale contrasterebbe con il perseguimento delle finalità contemplate dall’accordo tra lo Stato e la Regione Siciliana sottoscritto il 14 gennaio 2021 e, in particolare, con la riduzione del trattamento economico accessorio dei dipendenti regionali, compresi quelli di livello dirigenziale, oggetto delle misure indicate nel punto 2, lettere d) ed e), dello stesso.
I predetti risparmi sarebbero così di fatto sottratti «dal concorso alla riduzione del disavanzo finanziario, generando una economia di bilancio utilizzabile in futuro con successive previsioni normative regionali», potenzialmente idonee persino a determinarne il ritorno nell’ambito delle risorse destinate al trattamento accessorio del personale.
Peraltro, ad avviso dell’Avvocatura, questa Corte avrebbe già dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni legislative della Regione Siciliana contrastanti con la finalità del citato accordo di pervenire al contenimento della spesa per il trattamento accessorio del personale (sono citate le sentenze n. 200 e n. 190 del 2022).
Conclusivamente, oltre a violare l’art. 81, terzo comma, Cost., la disposizione in esame assumerebbe «carattere manifestamente contraddittorio», in quanto, da un lato, sottrarrebbe i risparmi derivanti dalla riduzione del trattamento accessorio del personale al concorso del ripiano del disavanzo; dall’altro lato, manterrebbe di fatto tali risorse nella disponibilità futura del bilancio regionale, determinando la violazione degli artt. 97, secondo comma, e 119, primo comma, Cost., «in punto di equilibrio dei bilanci pubblici e di sostenibilità del debito pubblico».
6.– Con atto depositato il 18 novembre 2022 si è costituita in giudizio la Regione Siciliana, in persona del Presidente pro tempore, chiedendo di dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti dell’art. 12 della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022.
6.1.– Con riferimento alla copertura finanziaria approntata dal comma 1, lettere a) e b), della disposizione appena citata, la difesa regionale richiama anzitutto gli importi delle previsioni iniziali sul capitolo di entrata 1026 (Ritenute su interessi e redditi capitale) per gli esercizi dal 2022 al 2024 (rispettivamente, 72 milioni di euro, 73 milioni di euro e 73,5 milioni di euro).
Precisa, poi, che avendo registrato nel corso dell’esercizio 2022 tre versamenti per un importo complessivo di 88.448.887,95 euro, in relazione a somme pertinenti al suddetto capitolo 1026, l’ente avrebbe «riten[uto] ragionevole e prudente modificare la stima previsionale del capitolo in questione», incrementando a 86 milioni di euro quella dell’esercizio 2022. Inoltre, dai dati dei bollettini tributari relativi alle entrate dei periodi gennaio-dicembre 2021 e gennaio-luglio 2022 emergerebbe un incremento del gettito dell’imposta sostitutiva sui redditi e delle ritenute sugli interessi e sugli altri redditi di capitale.
Pertanto, per quanto sensibile al ciclo economico, si tratterebbe di una entrata non «aleatoria» e anzi «ricorrente, idonea per coperture finanziarie strutturali».
D’altro canto, secondo la difesa regionale anche la legge 5 agosto 2022, n. 111 (Disposizioni per l’assestamento del bilancio dello Stato per l’anno finanziario 2022), avrebbe variato in aumento e assestato le previsioni iniziali del bilancio dello Stato per il 2022 «sulla scorta dei migliori andamenti registrati a livello nazionale, di diversi cespiti di entrate, tra le quali le sostitutive». Più in generale, il «quadro normativo» riproporrebbe «più volte» esempi in cui «inattesi incrementi di entrate in corso d’esercizio noti come “tesoretti”» sarebbero stati utilizzati a titolo di copertura finanziaria.
6.2.– Quanto alla doglianza relativa alla lettera c) del comma 1 dell’impugnato art. 12, la resistente sottolinea che i risparmi di spesa richiamati da tale previsione sarebbero stati iscritti nel capitolo 215794 della Missione 20 (Fondi e accantonamenti) «il cui stanziamento per definizione, in relazione alla natura della relativa spesa, non risulta impegnabile e pagabile».
Inoltre, in forza della espressa previsione secondo cui le relative somme affluirebbero «a beneficio del bilancio regionale», in sede di rendiconto l’economia di bilancio derivante dallo stanziamento del citato capitolo determinerebbe un miglioramento del disavanzo «e non potr[ebbe] essere oggetto di utilizzo negli esercizi successivi».
Infine, il mancato utilizzo dei «predetti risparmi c.d. “congelati”» potrebbe essere verificato nell’esame di legittimità costituzionale di successive leggi regionali.
7.– In prossimità dell’udienza pubblica, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria a sostegno delle conclusioni già svolte.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso depositato il 26 luglio 2022 (reg. ric. n. 48 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato diverse disposizioni della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, tra cui gli artt. 3, commi 1 e 2, e 13, commi 14 e 50.
2.– Con ricorso depositato il 17 ottobre 2022 (reg. ric. n. 78 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato alcune disposizioni della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, tra le quali l’art. 12, recante modifiche all’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.
3.– Riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati, i giudizi vanno riuniti, stante la parziale connessione tra le norme impugnate e in considerazione dei motivi e dei parametri parzialmente coincidenti.
4.– Quanto all’art. 18, comma 5, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, che il ricorso ha chiesto di dichiarare costituzionalmente illegittimo insieme alla stessa legge regionale nella sua interezza, con atto depositato il 26 novembre 2022, lo Stato ha rinunciato al ricorso limitatamente, tra le altre, alla impugnazione della suddetta disposizione, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., giusta deliberazione del Consiglio dei ministri in data 21 novembre 2022. Il Presidente della Regione Siciliana pro tempore, con atto depositato il 7 dicembre 2022, ha accettato la rinuncia.
Va, pertanto, dichiarata l’estinzione del processo relativamente alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 5, e dell’intero testo della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, ai sensi dell’art. 25 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
5.– È impugnato anche l’art. 3, commi 1 e 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, in riferimento agli artt. 81, terzo comma, 97, 117, terzo comma, e 119 Cost.
I suddetti commi prevedono, al fine di recepire specifiche disposizioni statali in materia di trattamento economico del personale delle pubbliche amministrazioni – recate dai commi 604 e 612 dell’art. 1 della legge n. 234 del 2021 – l’incremento delle spese relative alle risorse destinate, rispettivamente, ai fondi per i trattamenti accessori e ai rinnovi dei contratti collettivi di lavoro per il triennio 2019-2021 in connessione con la revisione del sistema di classificazione del personale.
Entrambe le richiamate disposizioni richiedono il rispetto sia delle citate previsioni statali, sia «dei contenuti previsti dal punto 2, lettera e) dell’“Accordo tra Stato e Regione siciliana per il ripiano decennale del disavanzo” sottoscritto in data 14 gennaio 2021». Esse, infine, stabiliscono che alla copertura degli oneri rispettivamente recati si provvede a valere sui «risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4».
Questi ultimi dispongono, al fine di dare attuazione ai contenuti del menzionato accordo in materia di contenimento del trattamento economico accessorio, la riduzione a decorrere dall’anno 2022 degli importi, rispettivamente, del fondo per il finanziamento della retribuzione di posizione del personale della dirigenza regionale e del fondo risorse decentrate del personale del comparto non dirigenziale regionale.
5.1.– Secondo il ricorrente le disposizioni impugnate contrasterebbero con l’impegno, assunto dalla Regione Siciliana con il menzionato accordo, a ripianare il disavanzo regionale mediante una serie di interventi, tra cui la riduzione strutturale delle spese di personale, dal momento che le risorse derivanti dalla riduzione dei fondi indicati nei commi 3 e 4, anziché destinate al suddetto fine, verrebbero impiegate, invece, per finanziare l’incremento delle spese di cui ai commi precedenti.
Le stesse eccederebbero dunque dalle competenze legislative statutariamente riservate alla Regione Siciliana e violerebbero l’art. 117, terzo comma, Cost., ponendosi in contrasto con i principi di coordinamento della finanza pubblica, «tra i quali rientr[erebbero] anche le disposizioni di contenimento dei costi di personale […], di cui costitui[rebbe] espressione» il punto 2, lettere d) ed e), dell’accordo sottoscritto dalla Regione Siciliana, diretto a contenere sia le risorse destinate al trattamento accessorio del personale, sia, in generale, la spesa relativa al personale in servizio.
Sotto altro profilo, le disposizioni impugnate violerebbero anche gli artt. 97 e 119 Cost., quanto al «principio dell’equilibrio dei bilanci pubblici e della sostenibilità del debito delle pubbliche amministrazioni […], nella misura in cui esse pregiudic[herebbero] la corretta attuazione e, quindi, l’efficacia del piano di rientro decennale dal disavanzo».
In subordine, anche ritenendo che le previsioni impugnate non sottraggano risorse destinate all’attuazione del suddetto piano di rientro, le stesse sarebbero comunque costituzionalmente illegittime «in quanto prive di adeguata copertura finanziaria», violando perciò l’art. 81, terzo comma, Cost. Secondo il ricorrente, per effetto delle riduzioni previste nei commi 3 e 4 dell’impugnato art. 3, i fondi dagli stessi considerati «non sarebbero affatto sufficienti per garantire gli incrementi dei costi di personale disposti dal legislatore regionale» con i precedenti commi 1 e 2.
5.2.– La Regione Siciliana, costituitasi in giudizio, ha eccepito in via generale l’inammissibilità delle impugnative statali in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., ritenute prive di idonee argomentazioni.
Nel merito delle questioni in esame, le relative censure sarebbero «infondate e frutto di un travisamento» dei contenuti dell’accordo sottoscritto tra lo Stato e la Regione Siciliana il 14 gennaio 2021.
In ogni caso, le modifiche apportate alle disposizioni impugnate dall’art. 12 della successiva legge reg. Siciliana n. 16 del 2022 avrebbero determinato la sopravvenuta cessazione della materia del contendere.
5.3.– Le questioni promosse sono inammissibili, perché del tutto generiche e viziate da un’incompleta ricostruzione del quadro normativo.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, «l’esigenza di un’adeguata motivazione a fondamento della richiesta declaratoria d’illegittimità costituzionale si pone in termini più pregnanti nei giudizi proposti in via principale, rispetto a quelli instaurati in via incidentale (tra le tante, sentenze n. 119 del 2022, n. 219 e n. 171 del 2021). Il ricorrente, pertanto, “ha non solo l’onere di individuare le disposizioni impugnate e i parametri costituzionali dei quali lamenta la violazione, ma anche quello di allegare, a sostegno delle questioni proposte, una motivazione non meramente assertiva. Il ricorso deve cioè contenere l’indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri evocati e una, sia pur sintetica, argomentazione a supporto delle censure” (così, di recente, sentenza n. 95 del 2021)» (da ultimo, sentenza n. 44 del 2023).
5.3.1.– La doglianza principale, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., è, infatti, formulata, per un verso, richiamando l’accordo sottoscritto tra lo Stato e la Regione Siciliana in data 14 gennaio 2021 e, per l’altro, sostenendo, in modo meramente assertivo, che le disposizioni in esso contenute sarebbero rientranti nei principi di coordinamento della finanza pubblica.
Tale censura manca di considerare il quadro normativo di riferimento e segnatamente la relazione tra la disposizione da cui il suddetto accordo trae origine, ossia l’art. 7 del decreto legislativo 27 dicembre 2019, n. 158 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione siciliana in materia di armonizzazione dei sistemi contabili, dei conti giudiziali e dei controlli), e la competenza legislativa esclusiva statale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici.
Il ricorso, inoltre, non chiarisce i termini del prospettato contrasto degli impugnati commi 1 e 2 dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022 con i contenuti delle lettere d) ed e) del punto 2 dell’accordo, posto che, in particolare, le disposizioni regionali dichiarano di recepire previsioni statali di portata generale e, soprattutto, richiedono espressamente il rispetto della richiamata lettera e) del medesimo punto 2 dell’accordo.
5.3.2.– Considerazioni analoghe valgono a determinare l’inammissibilità delle questioni promosse in riferimento agli artt. 97 e 119 Cost., dovendosi aggiungere che il ricorso, in particolare, non si confronta con la peculiare disciplina approntata dall’accordo tra Stato e Regione Siciliana sia per la verifica dei contenuti dallo stesso previsti, sia per il caso di mancata attuazione degli impegni assunti dalla Regione di cui ai punti 1 e 2.
Poiché, infatti, il conseguimento dell’obiettivo annuo di riduzione totale della spesa corrente è monitorato solo a posteriori, il ricorrente avrebbe dovuto argomentare in maniera puntuale in quali termini l’adozione delle norme impugnate si porrebbe in diretto contrasto con i parametri evocati.
5.3.3.– È, infine, inammissibile anche la questione promossa, in via subordinata, in riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., che chiaramente risente dei vizi che affliggono le questioni principali.
5.4.– L’evidenziata inammissibilità del ricorso, per la pregiudizialità che, nella specie, la connota ai fini della valutazione della satisfattività delle pretese avanzate con lo stesso, rende non necessario approfondire il profilo della sopravvenuta modifica dei commi 1 e 2 dell’impugnato art. 3, apportata dall’art. 12, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022 (sentenza n. 109 del 2018, punto 2 del Considerato in diritto).
6.– È denunciato anche l’art. 13, comma 14, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, che «[p]er l’esercizio finanziario 2022 […] autorizz[a] la spesa di 160 migliaia di euro in favore del Comune di Sciacca, destinata al pagamento delle imposte comunali ICI/IMU relative al procedimento di liquidazione della fondazione “Pardo” al fine di permettere l’immediato utilizzo delle risorse, già stanziate, destinate alla realizzazione del museo interdisciplinare di cui all’articolo 2 della legge regionale 15 maggio 1991, n. 17 e successive modificazioni, nel complesso monumentale di Santa Margherita a Sciacca».
Le censure – promosse «[n]el presupposto» che la fondazione Pardo «sia soggetto partecipato dal Comune di Sciacca» – lamentano la violazione sia dell’art. 117, terzo comma, Cost., in relazione al principio di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 14, comma 5, del d.lgs. n. 175 del 2016, che vieterebbe alle amministrazioni pubbliche il cosiddetto soccorso finanziario nei confronti dei propri organismi partecipati, sia dell’art. 97, secondo comma, Cost., in quanto, «senza alcuna ragionevole giustificazione», la norma regionale trasferirebbe sulla collettività l’onere di un debito di una fondazione di diritto privato in liquidazione.
6.1.– Occorre dare atto, in linea preliminare, che la disposizione impugnata è stata abrogata dall’art. 3, comma 7, della legge della Regione Siciliana 22 febbraio 2023, n. 2 (Legge di stabilità regionale 2023-2025), entrata in vigore il 1° marzo 2023, ai sensi dell’art. 119, comma 1, della medesima, e le cui disposizioni, in forza del precedente art. 118, comma 2, «si applicano, ove non diversamente disposto, a decorrere dall’1 gennaio 2023».
A fronte di tale ius superveniens ricorrono entrambe le condizioni che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 242, n. 222 e n. 92 del 2022), determinano la cessazione della materia del contendere.
In primo luogo, abrogando la disposizione impugnata, il richiamato art. 3, comma 7, presenta senza dubbio carattere satisfattivo delle pretese avanzate con il ricorso, come del resto riconosciuto dall’Avvocatura generale nell’udienza pubblica.
Inoltre, anche in assenza di deduzioni sul punto della Regione Siciliana, la cui costituzione in giudizio non comprende la presente impugnativa, è da escludersi che, prima di essere abrogata, la previsione di cui all’art. 13, comma 14, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, abbia ricevuto applicazione mediante l’adozione dell’impegno di spesa e del pagamento del contributo a favore del Comune di Sciacca.
In questo senso, va rilevato che, per un verso, la norma impugnata ha autorizzato la spesa per il solo esercizio finanziario 2022; per altro verso, dal bilancio finanziario gestionale per l’esercizio finanziario 2023 – approvato con deliberazione della Giunta regionale della Regione Siciliana 16 gennaio 2023, n. 43 – risulta che il capitolo 191337, appositamente istituito a seguito dell’entrata in vigore della legge regionale impugnata, presentava per l’anno 2022 un importo pari a zero sia quanto alla previsione definitiva di cassa (che, ai sensi dell’art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 118 del 2011, costituisce limite al pagamento delle spese), sia quanto ai residui presunti al termine dell’esercizio; ciò che esclude la presenza di somme impegnate e non pagate entro l’anno 2022.
Deve pertanto essere dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 14, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.
7.– Infine, il ricorso denuncia l’art. 13, comma 50, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, in base al quale «[a]ll’articolo 55 della legge regionale 17 marzo 2016, n. 3, dopo le parole “liquidazione coatta amministrativa” sono aggiunte le parole “nonché ai soci che hanno favorevolmente ottenuto i benefici di cui all’articolo 179 del codice penale”», ossia la riabilitazione.
Per l’effetto, la disposizione regionale modificata – recante interpretazione autentica dell’art. 2, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 37 del 1994 – stabilisce ora che quest’ultimo «si interpreta nel senso che i benefici previsti dal comma 1 dell’articolo 2 della suddetta legge si applicano ai soci delle cooperative agricole, già utilmente inserite in graduatoria per il godimento dei suddetti benefici, per le quali sia stato dichiarato lo stato di insolvenza ovvero siano pendenti o già definite le procedure di fallimento o liquidazione coatta amministrativa nonché ai soci che hanno favorevolmente ottenuto i benefici di cui all’articolo 179 del codice penale».
Ad avviso del ricorrente, la disposizione regionale impugnata ometterebbe sia di quantificare gli oneri dalla stessa recati, sia di individuare i mezzi finanziari per farvi fronte, in violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.
7.1.– La questione è inammissibile, non avendo il ricorrente adeguatamente motivato le ragioni del contrasto della norma impugnata con l’evocato parametro costituzionale (ex plurimis, con riferimento all’art. 81, terzo comma, Cost., sentenze n. 44 del 2023, n. 25 del 2021 e n. 131 del 2016).
La censura statale si limita, infatti, ad affermare che la norma regionale «reca evidenti oneri finanziari a carico del bilancio regionale, dato che l’articolo 2, comma 3, della legge regionale 10 ottobre 1994, n. 37, ammette i soci delle cooperative agricole per le quali sia stato già dichiarato lo stato di insolvenza o il fallimento o sia stata già avviata la liquidazione coatta amministrativa ai benefici previsti dal comma 1 della medesima disposizione: vale a dire, l’assunzione a carico del bilancio della Regione Siciliana delle garanzie prestate da tali soggetti in favore delle cooperative stesse».
L’argomentazione così formulata risulta apodittica e contraddittoria.
Il ricorrente, infatti, ascrive all’intervento impugnato la produzione di nuovi oneri finanziari senza tuttavia contestarne il dichiarato carattere interpretativo; ciò che potrebbe escluderne l’effetto innovativo anche sul piano finanziario.
8.– Con il ricorso depositato il 17 ottobre 2022 (reg. ric. n. 78 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, come detto, ha impugnato alcune disposizioni della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, tra le quali l’art. 12, recante modifiche all’art. 3 della già esaminata legge reg. Siciliana n. 13 del 2022.
9.– Della disposizione da ultimo citata sono anzitutto denunciate le lettere a) e b) del comma 1, in quanto, l’una modificando il comma 1 del richiamato art. 3, l’altra sostituendone il comma 2, utilizzerebbero le maggiori entrate di natura tributaria allocate al Titolo I, Tipologia 103, capitolo 1026, in violazione dell’obbligo di copertura finanziaria di cui all’art. 81, terzo comma, Cost., come specificato dalla legge n. 196 del 2009.
Per un verso, infatti, le disposizioni regionali impugnate, ricorrendo a entrate dipendenti dall’andamento del gettito, «correlato a future variabili dei mercati finanziari», contrasterebbero con l’art. 17, comma 1, lettera c), della suddetta legge che richiede la copertura delle maggiori spese «mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate».
Per altro verso, le stesse risorse, inoltre, consistendo in maggiori entrate rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente, in forza del comma 1-bis del medesimo art. 17 non sarebbero utilizzabili per la copertura finanziaria di nuove o maggiori spese, dovendo essere «finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica».
9.1.– La questione è fondata, sotto entrambi i profili di censura.
Modificando la originaria copertura degli oneri stabiliti dai commi 1 e 2 dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, ambedue le previsioni impugnate vi provvedono ora «mediante utilizzo delle maggiori entrate di cui al Titolo 1, Tipologia 103, capitolo 1026», costituite da ritenute sugli interessi e sui redditi di capitale e corrispondenti, come riconosciuto dalla Regione Siciliana nell’atto di costituzione, all’incremento della iniziale previsione di competenza del suddetto capitolo in forza del positivo andamento del gettito nella prima parte dell’esercizio 2022.
In tal modo le disposizioni regionali in esame si pongono in contrasto anzitutto con l’art. 17, comma 1, lettera c), della legge n. 196 del 2009 – applicabile anche alle regioni in forza del successivo art. 19 – in base al quale la copertura finanziaria delle leggi che comportino nuovi o maggiori oneri, ovvero minori entrate, deve avvenire mediante modificazioni legislative che comportino nuove o maggiori entrate.
Nella specie, invece, difettano modifiche sostanziali della legislazione, per cui le maggiori entrate considerate dalle norme regionali impugnate non rappresentano coperture stabili e si rivelano inidonee a garantire la copertura dei correlati oneri derivanti dalle spese di personale, di natura strutturale e incomprimibile nel tempo.
L’argomento della difesa regionale che, obliterando il requisito della norma statale, si limita a ritenere possibile l’utilizzo nel corso dell’esercizio finanziario delle maggiori riscossioni contestualmente registrate, risulta dunque inconferente.
Le norme regionali contrastano anche con il comma 1-bis dello stesso art. 17 della legge n. 196 del 2009, a mente del quale «[l]e maggiori entrate rispetto a quelle iscritte nel bilancio di previsione derivanti da variazioni degli andamenti a legislazione vigente non possono essere utilizzate per la copertura finanziaria di nuove o maggiori spese o riduzioni di entrate e sono finalizzate al miglioramento dei saldi di finanza pubblica».
Disciplinando la destinazione del cosiddetto extra-gettito a vantaggio dei saldi di finanza pubblica, la previsione statale esplicita un corollario dell’altra disposizione dianzi richiamata, precludendo l’utilizzo a copertura delle nuove spese – nella specie, invece, avvenuto – delle maggiori entrate registrate, a legislazione immutata, in conseguenza del miglioramento del quadro economico.
Le norme regionali impugnate contrastano quindi con l’art. 81, terzo comma, Cost., perché le coperture delle spese difettano «di un legittimo “fondamento giuridico” (sentenza n. 197 del 2019)» (sentenza n. 156 del 2021).
Deve, in conclusione, dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022.
9.2.– Va aggiunto che, mentre la caducazione della lettera b) riguarda l’intero comma 2 del medesimo art. 3, come ormai definitivamente sostituito rispetto alla formulazione originaria, quella della richiamata lettera a) incide solo sulla modalità di copertura prevista dal secondo periodo del comma 1 dell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, come modificato dalla menzionata lettera a).
In considerazione della sussistenza di una inscindibile connessione funzionale (sentenze n. 279 del 2016, n. 68 del 2014 e n. 181 del 2013) tra le due parti della citata disposizione, va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), dell’art. 3, comma 1, primo periodo e secondo periodo, quest’ultimo limitatamente alle parole «[a]lla conseguente copertura dell’onere, pari ad euro 1.600.000,00 a decorrere dall’anno 2022,», della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, là dove questo stabilisce interventi onerosi ormai «insuscettibili di attuazione in carenza di finanziamento» (sentenza n. 181 del 2013).
10.– Resta da esaminare l’impugnativa dell’art. 12, comma 1, lettera c), della legge reg. Siciliana n. 16 del 2022, che introduce il comma 4-bis nell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, ai sensi del quale le somme corrispondenti ai risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4 e derivanti dalla riduzione di fondi relativi al personale dell’area della dirigenza e a quello del comparto non dirigenziale, «affluiscono a beneficio del bilancio regionale e sono iscritte in un apposito capitolo del dipartimento regionale del bilancio e del tesoro, non utilizzabili ai fini della gestione della spesa (Missione 20, Programma 3)».
Ad avviso del ricorrente, in contrasto con le finalità perseguite dall’accordo sottoscritto tra lo Stato e la Regione Siciliana il 14 gennaio 2021, e quindi in violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost., la norma regionale «sottra[rrebbe] di fatto» i predetti risparmi «dal concorso alla riduzione del disavanzo finanziario, generando una economia di bilancio utilizzabile in futuro con successive previsioni normative regionali».
Tali considerazioni dimostrerebbero il «carattere manifestamente contraddittorio» della previsione impugnata, in contrasto anche con gli artt. 97, secondo comma, e 119, primo comma, Cost., «in punto di equilibrio dei bilanci pubblici e di sostenibilità del debito pubblico».
10.1.– Le questioni non sono fondate.
Riferendosi espressamente alle «somme corrispondenti ai risparmi di spesa di cui ai commi 3 e 4», il comma 4-bis, introdotto dalla disposizione impugnata nell’art. 3 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2022, richiama altresì la finalità da quelle disposizioni dichiarata, ossia «di dare attuazione» agli specifici impegni assunti dalla Regione Siciliana e contenuti nell’accordo sottoscritto con lo Stato il 14 gennaio 2021, volti a realizzare riduzioni strutturali degli impegni di spesa correnti.
Pertanto, stabilendo che tali somme «affluiscono a beneficio del bilancio regionale», la norma non contraddice, anzi conferma, la stabile compressione della spesa corrente disposta dai due precedenti commi «[a] decorrere dall’anno 2022».
Le modalità di iscrizione contabile che essa prescrive si limitano dunque a dare all’entità di tali riduzioni una mera evidenza nel bilancio di previsione, rimanendo esplicitamente escluso l’utilizzo delle corrispondenti somme «ai fini della gestione della spesa», in coerenza, peraltro, con la mera iscrizione contabile nella Missione 20, nella quale non sono consentiti impegni per spese finali.
Da ciò consegue che: la norma impugnata non comporta l’esito temuto dal ricorrente, ovvero quello di realizzare una economia di bilancio utilizzabile in futuro in violazione dell’art. 81, terzo comma, Cost.; nemmeno si pone in contrasto con l’art. 97, secondo comma, Cost., né reca pregiudizio all’equilibrio di bilancio di cui all’art. 119, primo comma, Cost.
In accordo sia con il tenore letterale del richiamato comma 4-bis, sia con la finalità espressa dai precedenti commi 3 e 4, infatti, al termine dell’esercizio le somme iscritte nell’apposito capitolo della Missione 20 affluiscono definitivamente nel bilancio regionale, migliorando il risultato di amministrazione; ciò che per la Regione Siciliana equivale a ridurre l’entità del disavanzo.