Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 20-27 novembre 2020 (reg. ric. n. 98 del 2020), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 6, 9, comma 1, lettere f), g) e h), 25, comma 5 e 26, comma 1, lettere g), h), i), e comma 2 (recte: art. 26, comma 1, lettera j), della legge della Regione Puglia 21 settembre 2020, n. 30 (Istituzione dei parchi naturali regionali «Costa Ripagnola» e «Mar Piccolo») in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
La legge regionale impugnata istituisce i parchi naturali regionali «Costa Ripagnola» (disciplinato dal Capo I) e «Mar Piccolo» (disciplinato dal Capo II) ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e della legge della Regione Puglia 24 luglio 1997, n. 19 (Norme per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette nella Regione Puglia).
Il ricorrente ritiene che ciò sia avvenuto:
- quanto agli artt. 8, comma 6, 9, comma 1, lettere f), g) e h), 25, comma 5, e 26, comma 1, lettere g), h) e i), in violazione dell’art. 145, comma 3, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), che sancisce il principio della cogente prevalenza dei piani paesaggistici sulla pianificazione delle aree naturali protette, comprendenti i parchi naturali regionali;
- quanto all’art. 26, comma 1, lettera j), in violazione degli articoli da 239 a 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che disciplinano la bonifica dei siti inquinati.
2.– L’Avvocatura generale dello Stato premette che i territori dei parchi «Costa Ripagnola» e «Mar Piccolo», già dichiarati di notevole interesse pubblico con decreti ministeriali del 23 dicembre 1982 e 1°agosto 1985, risultano attualmente disciplinati dal Piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR) della Regione Puglia, approvato nel 2015.
2.1.– La prima disposizione oggetto delle censure del ricorrente, come detto per violazione dell’art. 145, comma 3, cod. beni culturali, è l’indicato art. 8, comma 6, in tema di misure di salvaguardia del parco «Costa Ripagnola», ai sensi del quale, fatte salve le previsioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e quelle contenute nel PPTR, l’ente di gestione può concedere, fino all’approvazione del piano per il parco e limitatamente alle zone 2 e 3 di cui all’art. 3, motivate deroghe ai divieti – elencati al comma 5 – di realizzare nuove costruzioni, nuove strade e mutamenti nella destinazione dei terreni; le deroghe sono ammesse per la realizzazione di opere pubbliche, di pubblica utilità e di pubblico interesse se sussistono rilevanti motivi di interesse pubblico e, comunque, nel rispetto delle finalità istitutive del parco.
La disposizione impugnata violerebbe il principio di sovraordinazione dei piani paesaggistici rispetto a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale sancito dal citato art. 145, comma 3, cod. beni culturali in quanto, nonostante il richiamo in essa contenuta al codice dei beni culturali e del paesaggio e al PPTR, nella sostanza consentirebbe all’ente gestore, in via transitoria, di realizzare opere pubbliche, di pubblica utilità e di pubblico interesse in contrasto con le previsioni del PPTR, in particolare con gli artt. 95 e 37 delle Norme tecniche di attuazione (NTA).
In particolare, l’art. 95 NTA ammette – in deroga alle misure di salvaguardia previste dallo stesso PPTR – la sola realizzazione di opere pubbliche e di pubblica utilità (non quindi quelle genericamente di interesse pubblico), unicamente se compatibili con gli obbiettivi di qualità di cui all’art. 37 NTA e se difettano alternative localizzative e/o progettuali, nonché attribuisce alla Regione (e non all’ente gestore) la competenza ad adottare il provvedimento di deroga.
2.2.– Il ricorrente censura con argomentazioni analoghe l’art. 25, comma 5, della legge reg. Puglia n. 30 del 2020 che, in relazione al parco «Mar Piccolo», riproduce in termini identici l’art. 8, comma 6, testé riportato con riguardo al parco «Costa Ripagnola», con l’unica differenza di ammettere deroghe ai divieti di nuove costruzioni solo per la realizzazione di opere pubbliche o di pubblica utilità e non per quelle genericamente di interesse pubblico.
2.3.– Sarebbe coinvolto nella dedotta illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 145, comma 3, cod. beni culturali, anche l’art. 9, comma 1, lettere f), g) e h) della legge regionale impugnata, rubricato «Regime autorizzativo», che consente – fino all’approvazione del piano per il parco «Costa Ripagnola» – determinate attività ed interventi.
La disposizione oggetto di censura, pur facendo formalmente salvi «eventuali vincoli maggiormente restrittivi», ammetterebbe alle lettere indicate la realizzazione di interventi edilizi in tutto il territorio del parco in contrasto con la disciplina d’uso contenuta nel PPTR.
In particolare, la lettera g) consente «limitatamente alla zona 3 di cui all’articolo 3 e ai fabbricati di recente edificazione, non aventi valore storico-documentale, legittimamente autorizzati alla data di entrata in vigore del parco ricadenti in zona 2 e zona 1 di cui all’articolo 3, la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.p.r. 380/2001 e gli interventi di nuova costruzione di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), del d.p.r. 380/2001».
Secondo il ricorrente, tale previsione consentirebbe la realizzazione, nelle zone 1 e 2 del parco «Costa Ripagnola» (cioè quelle sottoposte a maggior grado di tutela ai sensi dell’art. 3 della legge regionale in esame) interventi di ristrutturazione dei fabbricati esistenti e legittimi, privi di valore storico-documentale e, nelle zone 3, anche gli interventi di nuova costruzione, tra i quali sono compresi la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati e l’ampliamento di quelli esistenti.
Tale disciplina sarebbe in contrasto con la norma di tutela della fascia costiera contenuta nella scheda PAE 008 relativa al parco «Costa Ripagnola», parte integrante del PPTR, secondo cui entro 300 metri dalla costa non è consentita la realizzazione di qualsivoglia opera edilizia, salvo la trasformazione di manufatti legittimamente preesistenti (esclusa la demolizione e ricostruzione di manufatti di particolare valore storico e identitario) per una volumetria aggiuntiva non superiore al 20 per cento, a condizione che gli interventi:
- siano finalizzati all’adeguamento strutturale o funzionale, all’efficientamento energetico e alla sostenibilità ecologica degli immobili;
- comportino la riqualificazione paesaggistica dei luoghi;
- non interrompano la continuità naturalistica della fascia costiera, assicurando nel contempo l’incremento della superficie permeabile e la rimozione degli clementi artificiali che compromettono visibilità, fruibilità e accessibilità del mare nonché percorribilità longitudinale della costa;
- garantiscano il mantenimento, il recupero o il ripristino, di tipologie, materiali, colori coerenti con i caratteri paesaggistici del luogo, evitando l’inserimento di elementi dissonanti e privilegiando l’uso di tecnologie eco-compatibili;
- promuovano attività che consentono la produzione di forme e valori paesaggistici di contesto (agricoltura, allevamento. ecc.) e fruizione pubblica (accessibilità ecc.) del bene paesaggio.
2.4.– Analogamente viziato sarebbe l’art. 26, comma 1, lettere g), h) e i), della legge regionale impugnata, che alle lettere indicate ammetterebbe con riguardo al parco «Mar Piccolo» interventi edilizi in contrasto con la disciplina d’uso contenuta nel PPTR ed in particolare con la norma di tutela della fascia costiera contenuta nella scheda PAE 140, identica alla scheda PAE 008 concernente il parco «Costa Ripagnola».
2.5.– In definitiva, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, con le disposizioni impugnate sin qui richiamate, la Regione Puglia avrebbe disciplinato unilateralmente, in modo diverso e meno restrittivo rispetto alla disciplina d’uso dettata dal PPTR vigente, adottato d’intesa con lo Stato, beni paesaggisticamente vincolati, richiamando solo formalmente il rispetto della disciplina contenuta nel PPTR che verrebbe svuotata dei suoi contenuti essenziali di tutela, nonostante l’art. 145, comma 3, cod. beni culturali le attribuisca assoluta e cogente prevalenza rispetto a tutti gli altri strumenti di pianificazione.
Sul punto, il ricorrente rileva come per costante giurisprudenza costituzionale non possa ritenersi ammissibile che una disposizione di legge regionale limiti o alteri, in qualsiasi forma, il principio di prevalenza gerarchica del piano paesaggistico sancito dall’art. 145 cod. beni culturali, che assurge a valore imprescindibile e non derogabile in quanto espressione di metodologia uniforme sull’intero territorio nazionale nella tutela dei beni culturali e paesaggistici (è citata la sentenza n. 210 del 2016); al legislatore regionale sarebbe quindi riconosciuta la facoltà di disciplinare le aree vincolate solo con previsioni aggiuntive di tipo restrittivo, volte a tutelare in modo ancora più pregnante il paesaggio e l’ambiente.
2.6.– Da ultimo, il ricorrente impugna, per mero errore materiale, l’art. 26, comma 2, in realtà da intendersi riferito all’art. 26, comma 1, lettera j), della legge reg. Puglia n. 30 del 2020 concernente il solo parco «Mar Piccolo», per violazione degli articoli da 239 a 253 cod. ambiente, contenenti la disciplina della bonifica dei siti inquinanti, che rientrerebbe nella competenza legislativa statale esclusiva di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
Ai sensi della disposizione oggetto di censura, «[f]ermi restando eventuali vincoli maggiormente restrittivi» e fino all’approvazione del piano per il parco, sono consentiti: «j) gli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale definiti nell’ambito della procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica del Sito di interesse nazionale di cui al decreto del Ministero dell’Ambiente 10 gennaio 2010 (Perimetrazione del sito di interesse nazionale di Taranto) e finalizzati a minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito».
Secondo il ricorrente un’interpretazione «rigorosa» della disposizione potrebbe portare a ritenere non consentiti gli interventi diversi da quelli in essa specificamente menzionati, tra cui le misure d’emergenza.
Al contrario, un’interpretazione «sistematica» della norma condurrebbe all’opposta soluzione di includere tra gli interventi ammessi anche le ulteriori misure previste dalle norme invocate del codice dell’ambiente, contenute nella Parte quarta, Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006, rubricato «Bonifica di siti contaminati».
L’eventuale adesione, dunque, alla prima delle due opzioni interpretative, ritenuta maggiormente «rigorosa», farebbe emergere profili di illegittimità costituzionale della disposizione regionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la materia della «tutela dell’ambiente», in cui sarebbe ricompresa la disciplina dei rifiuti e della bonifica dei siti inquinati per giurisprudenza costante della Corte Costituzionale (è citata la sentenza di questa Corte n. 180 del 2015).
3.– Ai sensi dell’art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale sono state depositate due opinioni scritte, a titolo di amici curiae.
Con decreto presidenziale del 20 settembre 2021, è stata ammessa – perché conforme ai criteri previsti al citato art. 4-ter – esclusivamente la opinione scritta presentata dall’associazione «Italia Nostra Onlus» a sostegno della fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale in esame, in cui viene ricostruito il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8, comma 6, 9, comma 1, lettere f), g) e h), 25, comma 5, e 26, comma 1, lettere g), h), i), e comma 2 (recte: art. 26, comma 1, lettera j) della legge della Regione Puglia 21 settembre 2020, n. 30 (Istituzione dei parchi naturali regionali «Costa Ripagnola» e «Mar Piccolo»), in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
La legge regionale impugnata istituisce i parchi naturali regionali «Costa Ripagnola» e «Mar Piccolo» ai sensi della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette) e della legge della Regione Puglia 24 luglio 1997, n. 19 (Norme per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette nella Regione Puglia).
Il ricorrente ritiene che ciò sia avvenuto:
- quanto agli artt. 8, comma 6, 9, comma 1, lettere f), g) e h), 25, comma 5, e 26, comma 1, lettere g), h) e i), in violazione dell’art. 145, comma 3, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137), che sancisce il principio della cogente prevalenza dei piani paesaggistici sulla pianificazione delle aree naturali protette, comprendenti i parchi naturali regionali;
- quanto all’art. 26, comma 1, lettera j), in violazione degli articoli da 239 a 253 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), che disciplinano la bonifica dei siti inquinati.
La materia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema viene quindi evocata con riguardo sia alla disciplina delle aree naturali protette che a quella della bonifica dei siti inquinati, ripetutamente ricondotte da questa Corte all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (da ultimo, rispettivamente: sentenze n. 158 del 2021 e n. 276 del 2020; sentenze n. 231 e n. 28 del 2019).
2.– È da premettere che l’intero territorio della Regione Puglia è coperto dal piano paesaggistico territoriale regionale (PPTR), approvato con delibera della Giunta regionale 16 febbraio 2015, n. 176, e tuttora vigente.
In particolare, i territori dei parchi naturali regionali «Costa Ripagnola» e «Mar Piccolo» – in quanto beni paesaggistici ai sensi dell’art. 134, lettere a) e b), cod. beni culturali, trattandosi rispettivamente di aree dichiarate di notevole interesse pubblico (lettera a) con decreti ministeriali del 1° agosto 1985 e di aree tutelate per legge (lettera b) – sono assoggettati alla disciplina d’uso contenuta nel PPTR.
Tutte le disposizioni impugnate dettano un regime transitorio del territorio dei parchi «Costa Ripagnola» e «Mar Piccolo» (suddivisi in zone 1, 2 e 3 a tutela decrescente, valide sino all’approvazione del rispettivo piano per il parco) e contengono una clausola di salvezza in relazione a vincoli maggiormente restrittivi eventualmente previsti dal PPTR.
Alcune delle disposizioni impugnate per violazione dell’art. 145, comma 3, cod. beni culturali – di seguito esaminate singolarmente – introducono però delle deroghe alla disciplina d’uso dettata dal PPTR.
3.– In tema di misure di salvaguardia del parco «Costa Ripagnola», l’art. 8, comma 6, della legge regionale impugnata dispone che, fatte salve le previsioni del codice dei beni culturali e del paesaggio e quelle contenute nel PPTR, l’ente gestore del parco (d’intesa con l’Ufficio parchi e riserve naturali dell’Assessorato regionale all’ambiente) può concedere, fino all’approvazione del piano per il parco e limitatamente alle zone 2 e 3, motivate deroghe ai divieti – previsti dal comma 5 – di realizzare nuove costruzioni, nuove strade e mutamenti nella destinazione dei terreni; le deroghe sono ammesse per la realizzazione di opere pubbliche, di pubblica utilità e di pubblico interesse se sussistono rilevanti motivi di interesse pubblico e, comunque, nel rispetto delle finalità istitutive del parco.
Secondo il ricorrente la disposizione impugnata violerebbe il principio della sovraordinazione dei piani paesaggistici rispetto a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale, sancito dal citato art. 145, comma 3, cod. beni culturali, in quanto – nonostante il richiamo in essa contenuto al codice dei beni culturali e del paesaggio e al PPTR – «nella sostanza» consente all’ente gestore del parco, in via transitoria, di derogare con propri provvedimenti alla disciplina d’uso contenuta nel PPTR.
In particolare, tali deroghe permetterebbero di realizzare opere pubbliche, di pubblica utilità e di pubblico interesse in violazione delle previsioni di cui agli artt. 37 e 95 delle Norme tecniche di attuazione (NTA) del PPTR.
Precipuamente, l’art. 95 NTA ammette – in deroga alle misure di salvaguardia previste dallo stesso PPTR – la sola realizzazione di opere pubbliche e di pubblica utilità (non quindi quelle genericamente definite di interesse pubblico) unicamente se compatibili con gli specifici obbiettivi di qualità di cui all’art. 37 NTA e in difetto di alternative localizzative e/o progettuali, nonché attribuisce alla Regione (e non all’ente gestore del parco) la competenza ad adottare il provvedimento di deroga.
3.1.– La questione è fondata.
Per costante giurisprudenza costituzionale (da ultimo, sentenze n. 276 e n. 134 del 2020, e n. 68 del 2018) il principio della prevalenza del piano paesaggistico rispetto a tutti gli strumenti di pianificazione territoriale, inclusi quelli relativi alle aree protette, sancito dall’art. 145, comma 3, cod. beni culturali, integra una regola di tutela primaria del paesaggio in nessun modo derogabile ad opera della legislazione regionale che, nella cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali, deve rispettare gli standard minimi uniformi di tutela previsti dalla normativa statale, potendo al limite introdurre un surplus di tutela e non un regime peggiorativo (ex plurimis, sentenze n. 141 del 2021 e n. 215 del 2018).
Del resto, questa Corte ha di recente ribadito che il principio di prevalenza della tutela paesaggistica deve essere declinato nel senso che al legislatore regionale è impedito adottare normative che deroghino o contrastino specificatamente con norme di tutela paesaggistica che pongono obblighi o divieti, ossia con previsioni di tutela in senso stretto (sentenze n. 101, n. 74, n. 54 e n. 29 del 2021). A queste ultime appare certamente riconducibile l’art. 145, comma 3, cod. beni culturali, in quanto «espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale» (sentenza n. 182 del 2006).
La disposizione oggetto di censura non rispetta la gerarchia dei piani fissata dal legislatore nazionale, in quanto disciplina unilateralmente in modo diverso e meno restrittivo rispetto al PPTR vigente, adottato d’intesa con lo Stato, beni paesaggisticamente vincolati (il parco «Costa Ripagnola»), richiamando solo formalmente il rispetto delle disposizioni contenute nel PPTR, che tuttavia vengono svuotate dei loro essenziali contenuti di tutela.
Infatti, la disposizione impugnata consente – in virtù di provvedimento di deroga emesso dall’ente gestore del parco – la realizzazione di opere pubbliche, di pubblica utilità e di pubblico interesse se sussistono rilevanti motivi di interesse pubblico, mentre le NTA del PPTR prevedono – in virtù di un provvedimento della Regione – esclusivamente la realizzazione di opere pubbliche e di pubblica utilità solo se compatibili con gli specifici obbiettivi di qualità dettati dalle medesime NTA e in difetto di alternative localizzative e/o progettuali.
È proprio detto profilo di competenza ad integrare un evidente contrasto tra disposizione impugnata e norma paesaggistica, poiché il provvedimento di deroga adottato dall’ente parco assurge non a titolo aggiuntivo, bensì sostitutivo di quello regionale, salvi naturalmente gli ulteriori titoli edilizi e paesaggistici del caso.
A fronte delle evidenziate difformità di disciplina, deve dunque ritenersi che la clausola di salvezza contenuta nella disposizione impugnata con riguardo al piano paesaggistico e al codice dei beni culturali e del paesaggio costituisca una mera clausola di stile, priva di reale portata precettiva e in nessun modo in grado di elidere il sostanziale svuotamento della disciplina d’uso di cui al PPTR.
In conclusione, introducendo un regime peggiorativo del bene paesaggistico, la disposizione impugnata si pone in contrasto con il parametro interposto invocato (art. 145, comma 3, cod. beni culturali), con conseguente invasione della sfera di competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
4.– Il ricorrente censura con argomentazioni analoghe l’art. 25, comma 5, della legge regionale impugnata che, in relazione al parco «Mar Piccolo», riproduce in termini identici l’art. 8, comma 6, testé esaminato con riguardo al parco «Costa Ripagnola», con l’unica differenza di ammettere deroghe ai divieti di nuove costruzioni solo per la realizzazione di opere pubbliche e di pubblica utilità e non per quelle genericamente di interesse pubblico.
4.1.– La questione è fondata.
Nonostante siano suscettibili di essere autorizzate solo opere pubbliche e di pubblica utilità analogamente a quanto previsto dall’art. 95 NTA, permangono le differenze già evidenziate tra disposizione impugnata e normativa paesaggistica con riguardo sia all’organo decisorio (l’ente gestore del parco in luogo della Regione), sia alle condizioni previste per l’adozione del provvedimento di deroga, assai più stringenti nel caso del PPTR (compatibilità con gli obbiettivi di qualità previsti dalle NTA e difetto di alternative localizzative e/o progettuali).
5.– È altresì censurato l’art. 9, comma 1, lettere f), g) e h), della legge regionale impugnata (rubricato «Regime autorizzativo») che ammette, fino all’approvazione del piano per il parco «Costa Ripagnola» e salvi eventuali vincoli maggiormente restrittivi, la realizzazione di determinati interventi edilizi, che secondo il ricorrente sarebbero in contrasto con la disciplina d’uso della fascia costiera contenuta nel PPTR, con conseguente violazione del parametro interposto di cui all’art. 145, comma 3, cod. beni culturali.
6.– In particolare, la lettera g) consente «limitatamente alla zona 3 di cui all’articolo 3 e ai fabbricati di recente edificazione, non aventi valore storico-documentale, legittimamente autorizzati alla data di entrata in vigore del parco ricadenti in zona 2 e zona 1 di cui all’articolo 3, la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d), del d.p.r. 380/2001 e gli interventi di nuova costruzione di cui all’articolo 3, comma 1, lettera e), del d.p.r. 380/2001».
Nelle zone 1 e 2 del parco «Costa Ripagnola» è quindi ammessa la realizzazione di interventi di ristrutturazione dei fabbricati esistenti e legittimi, privi di valore storico-documentale, e nella zona 3 anche la realizzazione degli interventi di nuova costruzione, tra i quali sono compresi la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati e l’ampliamento di quelli esistenti.
Secondo il ricorrente tale disciplina sarebbe in contrasto con la norma di tutela della fascia costiera contenuta nella scheda PAE 008 (Scheda di identificazione e di definizione delle specifiche prescrizioni d’uso degli immobili e delle aree di notevole interesse pubblico) relativa al parco «Costa Ripagnola», parte integrante del PPTR.
6.1.– La questione è fondata.
Infatti, la scheda PAE 008 prevede che entro 300 metri dalla costa è vietata la realizzazione di qualsivoglia opera edilizia, salvo la trasformazione di manufatti legittimamente preesistenti – esclusa la demolizione e ricostruzione di manufatti di particolare valore storico e identitario – per una volumetria aggiuntiva non superiore al 20 per cento, purché vengano rispettate ulteriori condizioni, ovvero che tali interventi: «siano finalizzati all’adeguamento strutturale o funzionale, all’efficientamento energetico e alla sostenibilità ecologica degli immobili; - comportino la riqualificazione paesaggistica dei luoghi; - non interrompano la continuità naturalistica della fascia costiera, assicurando nel contempo l’incremento della superficie permeabile e la rimozione degli clementi artificiali che compromettono visibilità, fruibilità e accessibilità del mare nonché percorribilità longitudinale della costa; - garantiscano il mantenimento, il recupero o il ripristino, di tipologie, materiali, colori coerenti con i caratteri paesaggistici del luogo, evitando l’inserimento di elementi dissonanti e privilegiando l’uso di tecnologie eco-compatibili; - promuovano attività che consentono la produzione di forme e valori paesaggistici di contesto (agricoltura, allevamento ecc.) e fruizione pubblica (accessibilità ecc.) del bene paesaggio».
La disposizione impugnata, invece, consente in zona 3 la realizzazione di interventi di nuova costruzione e, nell’intero territorio del parco (zone 1, 2 e 3), interventi di ristrutturazione dei fabbricati esistenti e legittimi, privi di valore storico-documentale, senza alcun vincolo di volumetria e senza il rispetto delle ulteriori condizioni elencate dalla scheda PAE 008.
Di conseguenza, in ragione delle manifeste difformità testé evidenziate tra disciplina d’uso dettata dal PPTR e disposizione oggetto di censura, la clausola di salvezza in quest’ultima contenuta con riguardo a «eventuali vincoli maggiormente restrittivi» assurge ancora una volta a mera clausola di stile, priva di reale portata precettiva e in alcun modo in grado di elidere il sostanziale svuotamento del contenuto della norma di tutela paesaggistica statale.
In conclusione, la disposizione impugnata si pone in contrasto con il principio di sovraordinazione della pianificazione paesaggistica, introducendo un trattamento peggiorativo del bene paesaggistico parco «Costa Ripagnola», con conseguente invasione della sfera di competenza esclusiva statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
7.– L’art. 9, comma 1, lettera f), della legge regionale impugnata ammette «limitatamente alla zona 2 di cui all’articolo 3, la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d) del d.p.r. 380/2001».
7.1.– La questione prospettata dal Governo nei termini già indicati in precedenza è fondata.
Invero, anche tale disposizione consente interventi di ristrutturazione vietati dal PPTR, non escludendo la demolizione e ricostruzione di manufatti di particolare valore storico e identitario, eccezione prevista dalla scheda PAE 008, e non prescrivendo il rispetto dei limiti di volumetria e delle ulteriori condizioni elencate nella scheda in questione.
8.– L’art. 9, comma 1, lettera h), della legge regionale impugnata ammette con riguardo alle zone 2 e 3 e con riguardo alla zona 1 limitatamente ai fabbricati di recente edificazione, non aventi valore storico-documentale, la realizzazione di interventi di trasformazione e/o ampliamento degli edifici esistenti nella misura massima del 15 per cento della loro superficie utile, nonché la realizzazione di interventi di adeguamento tecnologico e/o igienico-sanitario.
8.1.– La questione è fondata nei limiti di seguito precisati.
Quanto alla prima previsione (interventi di trasformazione e/o ampliamento degli edifici esistenti nella misura massima del 15 per cento della loro superficie utile) la censura è fondata, in quanto la disposizione impugnata non prescrive il rispetto dei limiti di volumetria e delle ulteriori condizioni elencate dalla scheda PAE 008 per la trasformazione di manufatti legittimamente esistenti, oltre a non escludere per le zone 2 e 3 la demolizione e ricostruzione di manufatti di particolare valore storico e identitario (eccezione prevista dalla scheda PAE 008).
Diversamente, gli interventi di adeguamento tecnologico e/o igienico-sanitario non risultano vietati dalla scheda PAE invocata, che per sua espressa previsione – oltre agli interventi di trasformazione di manufatti legittimamente esistenti alle condizioni già descritte – consente tutti quegli interventi da essa non esplicitamente vietati, elencati al punto 2 della scheda; non rientrando in tale elenco, gli interventi considerati devono ritenersi conformi alle previsioni del PPTR.
È pertanto necessario dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, lettera h), della legge reg. Puglia n. 30 del 2020, limitatamente all’inciso «la realizzazione di interventi di trasformazione e/o ampliamento degli edifici esistenti nella misura del 15 per cento della loro superficie utile e».
9.– L’art. 26, comma 1, lettere g), h) e i), della legge regionale impugnata (rubricato «Regime autorizzativo») ammette, fino all’approvazione del piano per il parco «Mar Piccolo» e salvi eventuali vincoli maggiormente restrittivi, la realizzazione di determinati interventi edilizi, che secondo il ricorrente sarebbero in contrasto con la disciplina d’uso della fascia costiera contenuta nel PPTR di cui alla scheda PAE 140, identica per contenuto alla scheda PAE 008 già esaminata con riguardo al parco «Costa Ripagnola», con conseguente violazione del parametro interposto di cui all’art. 145, comma 3, cod. beni culturali.
10.– In particolare, la lettera h) consente limitatamente alla zona 3 «la realizzazione di interventi di ristrutturazione edilizia di cui all’articolo 3, comma 1, lettera d) del d.p.r. 380/2001».
10.1.– La questione è fondata.
Invero, la disposizione impugnata ammette gli interventi di ristrutturazione indicati senza escludere la demolizione e ricostruzione di manufatti di particolare valore storico e identitario, eccezione prevista dalla scheda PAE 140, e senza prescrivere il rispetto dei limiti di volumetria e delle ulteriori condizioni elencate dalla scheda considerata.
11.– L’art. 26, comma 1, lettera g), impugnato prevede «sull’intero territorio del parco, la realizzazione degli interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo di cui all’articolo 3, comma 1, lettere a), b) e c) del d.p.r. 380/2001».
11.1.– La questione non è fondata, nei termini di seguito precisati.
La disposizione impugnata deve essere intesa come riferita ai soli interventi non vietati dalla scheda PAE 140, che per sua espressa previsione – oltre a quelli di trasformazione di manufatti legittimamente esistenti alle condizioni già descritte – consente tutti quelli da essa non esplicitamente vietati, elencati al punto 2 della scheda.
12.– L’art. 26, comma 1, lettera i), della legge regionale impugnata ammette «limitatamente alle zone 2 e 3, la realizzazione di interventi di adeguamento di tipo tecnologico e igienico-sanitario connessi all’applicazione delle normative vigenti in materia agro-zootecnica, nonché di interventi necessari alla messa a norma delle strutture, degli edifici e degli impianti relativamente a quanto previsto in materia igienico-sanitaria, sismica, di sicurezza ed igiene sul lavoro, di superamento delle barriere architettoniche».
12.1.– La questione non è fondata, nei termini precisati al punto 11.1.
13.– Da ultimo, viene impugnato, per mero errore materiale, l’art. 26, comma 2, in realtà da intendersi riferito all’art. 26, comma 1, lettera j) della legge reg. Puglia n. 30 del 2020, concernente il solo parco «Mar Piccolo», per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli articoli da 239 a 253 cod. ambiente in tema di bonifica dei siti inquinati.
Ai sensi della disposizione oggetto di censura, fino all’approvazione del piano per il parco e fermi restando eventuali vincoli maggiormente restrittivi, sono consentiti: «j) gli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale definiti nell’ambito della procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica del Sito di interesse nazionale di cui al decreto del Ministero dell’Ambiente 10 gennaio 2000 (Perimetrazione del sito di interesse nazionale di Taranto) e finalizzati a minimizzare e ricondurre ad accettabilità il rischio derivante dallo stato di contaminazione presente nel sito» (il parco «Mar Piccolo» rientra nel territorio del sito di bonifica di interesse nazionale indicato).
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri un’interpretazione «rigorosa» della disposizione potrebbe indurre a ritenere non consentiti gli interventi diversi da quelli in essa specificamente menzionati, tra cui le misure d’emergenza. Al contrario, un’interpretazione «sistematica» della norma condurrebbe all’opposta soluzione di includere tra gli interventi ammessi anche le ulteriori misure e procedure previste dalle norme invocate del codice dell’ambiente, contenute nel Titolo V della Parte quarta, del decreto legislativo n. 152 del 2006, rubricato «Bonifica di siti contaminati» (articoli da 239 a 253).
L’eventuale adesione, dunque, alla prima delle due opzioni interpretative, ritenuta maggiormente «rigorosa», farebbe emergere profili di illegittimità costituzionale della disposizione regionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce alla competenza legislativa esclusiva statale la materia «tutela dell’ambiente», in cui è ricompresa la disciplina dei rifiuti e della bonifica dei siti inquinati.
13.1.– La questione non è fondata, nei termini di seguito precisati.
In tema di bonifica dei siti inquinati – la cui disciplina rientra nella materia di competenza esclusiva statale della «tutela dell’ambiente» (da ultimo, sentenze n. 231 e n. 28 del 2019) – la legislazione regionale può introdurre solo norme idonee a realizzare un innalzamento dei livelli di tutela ambientale o comunque non derogatorie in senso peggiorativo rispetto a quelle contenute nel codice dell’ambiente (sentenze n. 215 del 2018, n. 247 del 2009 e n. 214 del 2008).
Al riguardo, va rimarcato che la disposizione impugnata è immune da effetti peggiorativi, anzi nemmeno introduce una disciplina attinente ai livelli di tutela ambientale.
Questo perché la medesima si limita a richiamare, quale disciplina transitoria, quelle misure ed interventi definiti nell’ambito della procedura di approvazione della caratterizzazione e del progetto di bonifica del sito di interesse nazionale di Taranto (procedura oggetto di disciplina assai stratificata, che non si esaurisce negli articoli del codice dell’ambiente dedotti dal ricorrente quali parametri interposti), senza contenere alcun riferimento a specifiche norme del codice di settore e senza introdurre espresse deroghe alle medesime.
Di conseguenza, l’eventuale omessa menzione di alcune delle misure e/o procedure previste dal codice dell’ambiente non può certo escluderne l’applicazione.
Tale conclusione è avallata da una interpretazione sistematica della norma oggetto di censura, interpretazione peraltro indicata come plausibile dallo stesso ricorrente, che deve tener conto della disciplina vigente in cui la medesima si inserisce ed escludere quei significati che renderebbero il testo incoerente con il sistema.
Tra gli interventi ammessi vanno dunque incluse le ulteriori misure e procedure disciplinate dal codice dell’ambiente e dalla legislazione di settore, anche se non espressamente menzionate dalla norma impugnata.
In definitiva, l’art. 26, comma 1, lettera j) della legge reg. Puglia n. 30 del 2020 non deroga alle disposizioni del codice dell’ambiente invocate dal ricorrente, né – trattandosi di mera norma di rinvio – introduce una disciplina riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.