Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 24-28 agosto 2020, depositato il 3 settembre 2020 e iscritto al n. 76 del reg. ric. 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso in via principale questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, lettera b), 9, comma 3, 18, comma 1, 8, commi 1, 2 e 3, e 13, comma 2, lettere d), e), g), e i), della legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n. 24 (Normativa regionale in materia di polizia locale e politiche di sicurezza), per contrasto con gli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettere h) ed l), e 118, quarto comma, della Costituzione.
1.1.– Il ricorrente premette che la legge regionale impugnata detta norme in materia di polizia locale e politiche di sicurezza, definendo i principi generali riguardanti l’esercizio delle funzioni di polizia locale e disciplinando lo svolgimento dei relativi servizi, l’organizzazione territoriale nonché la valorizzazione della formazione degli operatori.
Con le disposizioni impugnate, tuttavia, il legislatore regionale avrebbe ecceduto dalle proprie competenze, ponendosi in contrasto con la normativa statale di cui al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106» e alla legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale), «che fungono da norme interposte nella violazione dei parametri costituzionali stabiliti dall’articolo 117, secondo comma, lettere l) e h), in materia di ordinamento civile e ordine pubblico e sicurezza, nonché dall’articolo 118, ultimo comma (sussidiarietà orizzontale), dall’articolo 3 (principio di uguaglianza) e dall’art. 97 della Costituzione (buon andamento della pubblica amministrazione)».
2.– Ciò premesso, il ricorrente impugna innanzi tutto l’art. 3, comma 2, lettera b), della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, il quale prevede che la Regione, per il perseguimento delle finalità di cui al comma 1 (relative alla razionalizzazione e al potenziamento degli apparati di polizia locale nonché alla promozione delle politiche di sicurezza integrata), sostiene «la collaborazione istituzionale con i vari enti e organismi pubblici, territoriali e statali, o anche con privati e organismi del terzo settore, mediante la stipulazione di intese o accordi per favorire, nel rispetto delle competenze di ciascun soggetto, l’attuazione, l’integrazione e il coordinamento delle politiche di sicurezza».
La disposizione impugnata lederebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. in relazione alla materia «ordinamento civile», perché essa utilizza «locuzioni espressamente riferibili agli enti del terzo settore ma impiegate verso soggetti aventi caratteristiche diverse da quelle individuate dal d.lgs. n. 117 del 2017».
Essa è ritenuta altresì lesiva della riserva di competenza in capo allo Stato nella materia «ordine pubblico e sicurezza» (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.), perché disciplinerebbe non solo le modalità di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione con le forze di polizia dello Stato (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 35 del 2011 e n. 167 del 2010). Ciò, in particolare, si porrebbe in contrasto con le diverse modalità di coinvolgimento delle forze di polizia nell’espletamento delle funzioni di polizia amministrativa locale, previste dalla legge n. 65 del 1986 (artt. 3 e 5) e dall’art. 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 settembre 2000 (Individuazione delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni ed agli enti locali per l’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi in materia di polizia amministrativa).
3.– Oggetto di impugnazione è poi l’art. 9, comma 3, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, il quale prevede che «[n]ei regolamenti di polizia locale può anche essere previsto l’impiego di istituti di vigilanza e delle associazioni di volontariato di cui all’articolo 18, con compiti di affiancamento e supporto all’azione della polizia locale e la possibilità di effettuare servizi per conto terzi, in coerenza con quanto previsto agli articoli 16 e 17 [successivamente sostituiti dagli artt. 18 e 19 per effetto dell’avviso di rettifica pubblicato nel Bollettino Ufficiale della Regione del Veneto del 12 febbraio 2021, n. 22] e nel rispetto della normativa statale in materia».
Anche tale disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sia perché consente agli enti del terzo settore lo svolgimento in via primaria (e non residuale) di attività diverse da quelle individuate dall’art. 5 cod. terzo settore, sia perché, riconoscendo la possibilità di effettuare servizi in conto terzi, essa non rispetta la previsione dell’art. 33 dello stesso codice, secondo il quale le organizzazioni di volontariato possono ricevere, per l’attività di interesse generale prestata, solo il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, «salvo che tale attività sia svolta quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all’articolo 6».
4.– L’art. 18, comma 1, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 attribuisce alla Giunta regionale il compito di promuovere e sostenere la partecipazione delle associazioni di volontariato a varie iniziative ivi indicate, «[a]l fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla progettazione, gestione e valutazione delle politiche di sicurezza». Ad avviso del ricorrente, tale previsione denoterebbe un’assenza di autonomia della funzione ausiliaria demandata alle associazioni di volontariato, in contrasto con l’art. 118, quarto comma, Cost., secondo il quale l’iniziativa dei cittadini singoli o associati per lo svolgimento di attività di interesse generale deve essere autonoma rispetto ai pubblici poteri e porsi in rapporto di sussidiarietà con essi.
Sarebbe poi lesivo dell’art. 3 Cost. il fatto che tale facoltà di partecipazione sia limitata alle associazioni di volontariato e non si estenda a tutti gli enti del terzo settore, che «possono svolgere le attività di cui all’articolo 5 del Codice del Terzo settore e sono strumento di partecipazione dei cittadini allo svolgimento delle attività di interesse comune». Peraltro, il legislatore regionale non avrebbe fatto riferimento, nell’individuare le varie tipologie di soggetti privati, alla normativa nazionale che definisce gli enti del terzo settore e le organizzazioni di volontariato e prevede quale requisito ai fini della partecipazione degli stessi l’iscrizione al Registro unico nazionale o ai registri comunque regolati dal cod. terzo settore, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
Infine, quest’ultimo parametro costituzionale sarebbe violato anche perché l’impugnato art. 18, comma 1, prefigura la partecipazione delle associazioni di volontariato ad iniziative finalizzate, tra l’altro, ad assistere la «polizia locale in occasione di eventi pubblici di particolare rilievo» (lettera a) e a «svolgere attività di ausilio nella sorveglianza dei luoghi pubblici, finalizzate ad allertare tempestivamente gli organi di polizia locale o nazionale per i necessari interventi» (lettera b). Tali attività, ad avviso del ricorrente, non sarebbero tuttavia riconducibili a quelle che possono costituire oggetto delle attività istituzionali degli enti del terzo settore ai sensi dell’art. 5 cod. terzo settore.
5.– È poi impugnato l’art. 8, commi 1 e 2, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, che disciplina la struttura organizzativa della polizia locale, prevedendo determinati ruoli funzionali e distintivi di grado per il personale di polizia locale, anche al fine dell’individuazione dei rapporti gerarchici interni.
Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento civile», perché il legislatore regionale avrebbe invaso un ambito riservato alla competenza esclusiva dello Stato (è richiamata ancora la sentenza di questa Corte n. 35 del 2011), come comprovato dal contrasto tra le disposizioni impugnate e gli artt. 6 e 7, comma 3, della richiamata legge n. 65 del 1986, che disciplinano in modo diverso le qualifiche ordinamentali per il personale di polizia locale.
Un’invasione del medesimo ambito di competenza riservato allo Stato viene poi fatta discendere dal fatto che una diversa disciplina dei ruoli e delle qualifiche potrebbe avere ripercussioni sulla disciplina prevista dal contratto collettivo nazionale del comparto enti locali. Sotto tale profilo, aggiunge il ricorrente, verrebbe leso anche l’art. 3 Cost. perché la norma sarebbe foriera di una disparità di trattamento, «con presumibili effetti anche sull’articolo 97 della Costituzione in quanto altera il principio del buon andamento».
6.– Strettamente connesso al motivo d’impugnazione di cui al punto precedente è poi quello che ha ad oggetto l’art. 8, comma 3, della medesima legge reg. Veneto n. 24 del 2020, con cui è attribuito alla Giunta il potere di definire le caratteristiche delle uniformi e dei distintivi di grado nonché le caratteristiche dei mezzi e degli strumenti operativi e di autotutela in dotazione alla polizia locale.
Anche tale disposizione contrasterebbe con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento civile», perché l’art. 6, comma 2, numeri 4) e 5), della legge n. 65 del 1986 prevede che le Regioni debbano disciplinare con legge regionale (e non, quindi, con atto di Giunta) le caratteristiche delle uniformi, dei distintivi, dei mezzi e degli strumenti operativi in dotazione.
7.– Con l’ultimo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio dei ministri promuove distinte questioni di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 13, comma 2, lettere d), e), g) e i), della medesima legge reg. Veneto n. 24 del 2020.
Tali previsioni individuano, nell’ambito del «Sistema regionale di politiche integrate per la sicurezza», gli obiettivi che la Giunta, anche mediante accordi sottoscritti ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48, nonché cooperando con soggetti pubblici e privati, è chiamata a perseguire realizzando o sostenendo iniziative di interesse regionale.
In particolare, la lettera d) individua quale obiettivo di tali iniziative quello di «rafforzare e valorizzare l’azione coordinata della polizia locale secondo i principi della presente legge, con azioni e progetti finalizzati al potenziamento strumentale e operativo e alla condivisione degli strumenti e delle procedure necessarie al coordinamento degli apparati di sicurezza per la gestione di specifici servizi e per obiettivi comuni; promuovere il potenziamento e l’ampliamento degli organici di polizia locale». Ad avviso del ricorrente, tale previsione confliggerebbe con il sistema delineato dal legislatore statale in materia di presidio del territorio, pianificazione e coordinamento delle forze di polizia di cui alla legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza), e in particolare con l’art. 6, primo comma, lettera e), che attribuisce al Dipartimento di pubblica sicurezza la «pianificazione generale e coordinamento delle pianificazioni operative della dislocazione delle forze di polizia e dei relativi servizi tecnici», nonché con gli artt. 13 e 14, che conferiscono rispettivamente al prefetto e al questore la facoltà di disporre della forza pubblica e «la direzione, la responsabilità e il coordinamento, a livello tecnico operativo, dei servizi di ordine e di sicurezza pubblica e dell’impiego a tal fine della forza pubblica».
Nel momento in cui la disposizione impugnata prevede che la Giunta regionale rafforzi e valorizzi azioni finalizzate al potenziamento e alla condivisione degli strumenti e delle procedure necessarie al coordinamento degli apparati di sicurezza, essa si porrebbe in contrasto con la riserva di competenza allo Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Analoghe considerazioni dovrebbero valere, ad avviso del ricorrente, nei confronti delle restanti disposizioni impugnate dell’art. 13. Esse prevedono, nell’ambito di cui al già richiamato comma 2, che la Giunta possa:
– «promuovere e programmare azioni di sistema sul territorio regionale, coinvolgendo gli enti locali, le Polizie locali ma anche le forze dell’ordine per l’ammodernamento delle metodologie di intervento, la lotta ad ogni forma di illegalità e di infiltrazione criminale nel tessuto produttivo e sociale della Regione anche attraverso la partecipazione a specifici programmi comunitari» (lettera e);
– «razionalizzare e potenziare i presidi di sicurezza presenti sul territorio regionale» (lettera g);
– «costituire tavoli a livello provinciale per la definizione e l’implementazione continua delle politiche per la sicurezza» (lettera i).
Lo svolgimento di tali attività, per quanto subordinate alla stipula di accordi con organi e autorità di pubblica sicurezza, non sarebbe compatibile con i processi di pianificazione e razionalizzazione dei presidi di polizia che l’ordinamento rimette alla competenza statale in materia di ordine pubblico e sicurezza di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Né la normativa impugnata potrebbe rinvenire la sua giustificazione nel fatto che essa si riferisce a iniziative di sicurezza integrata, perché anch’esse non si realizzano attraverso un trasferimento di funzioni, presupponendo al contrario il rispetto delle competenze dei diversi livelli di governo.
In questo quadro, il ricorrente rileva che al legislatore statale spetta una competenza esclusiva in materia di presidio e controllo del territorio (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 285 del 2019), mentre al legislatore regionale, nell’esercitare la sua competenza in materia di «polizia amministrativa», residuano quelle sfere di attività riguardanti la prevenzione o repressione di attività funzionalmente connesse ad ambiti rimessi alla competenza legislativa regionale (è estesamente citata la sentenza n. 218 del 1988).
8.– Con atto depositato il 5 ottobre 2020 si è costituita in giudizio la Regione Veneto, in persona del Presidente della Giunta regionale, chiedendo che i motivi di ricorso proposti avverso le disposizioni impugnate della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 vengano dichiarati inammissibili e comunque infondati.
La difesa della Regione osserva preliminarmente come tale disciplina trovi il suo fondamento, secondo quanto ribadito anche dall’art. 1 della stessa legge regionale, nella competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di polizia amministrativa locale e sia coerente con le norme e i principi stabiliti dalla legge n. 65 del 1986 «per quanto riguarda gli aspetti ancora vincolanti della stessa in materia di ordine pubblico e sicurezza». L’ambito della competenza regionale in discussione, quindi, non include solamente l’attività di prevenzione o repressione diretta ad evitare danni o pregiudizi a persone e cose nello svolgimento di attività rientranti in materie affidate alla competenza regionale (è richiamata la sentenza n. 285 del 2019), ma si estende anche, secondo la difesa regionale, alle ulteriori declinazioni di essa prodottesi a seguito dell’introduzione degli strumenti di “sicurezza integrata” di cui al d.l. n. 14 del 2017, come convertito, e alla conseguente necessità di coordinamento tra le competenze dei diversi soggetti istituzionali coinvolti, «anche con riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale» (art. 2, comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito).
9.– Così ricostruite, in linea generale, le coordinate normative entro le quali si collocano la legge reg. Veneto n. 24 del 2020 e, in particolare, le disposizioni di essa impugnate, la difesa regionale eccepisce innanzi tutto l’inammissibilità della questione avente ad oggetto l’art. 3, comma 2, lettera b), di tale legge regionale, perché non sarebbe dato comprendere i motivi del contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., non avendo il ricorso chiarito come la generica previsione di una collaborazione con privati e organismi del terzo settore possa «incidere o, addirittura, alterare la disciplina statale in materia», che continuerebbe quindi a trovare piena applicazione nel caso di specie.
Né la disposizione impugnata invaderebbe la riserva allo Stato della competenza legislativa in materia di ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.), perché essa si limita a promuovere e non a imporre forme di collaborazione istituzionale con i vari enti e organismi pubblici finalizzate a favorire l’attuazione, l’integrazione e il coordinamento delle politiche di sicurezza. La natura consensuale e non unilaterale di tali forme di coinvolgimento sarebbe del resto avvalorata dal fatto che la disposizione stessa prevede che esse debbano avvenire «nel rispetto delle competenze di ciascun soggetto» e, quanto alla promozione delle politiche di sicurezza integrata, «ai sensi dell’articolo 1 comma 2, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14».
10.– Anche i motivi di censura rivolti nei confronti dell’art. 9, comma 3, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, sarebbero infondati.
Con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., derivante dall’affidamento in via primaria alle associazioni di volontariato di attività diverse da quelle individuate dall’art. 5 cod. terzo settore, la difesa regionale osserva che in realtà la disposizione impugnata consente lo svolgimento sia di «attività che, in via accessoria, si assommano e affiancano le attività proprie di ciascuna associazione», sia di altre attività, come ad esempio l’ausilio nella sorveglianza dei luoghi pubblici e altre attività ausiliarie, che possono accedere a diverse delle attività contemplate dal richiamato art. 5 cod. terzo settore (con riferimento, a titolo esemplificativo, agli ambiti di cui alle lettere d, e, f, i, k, r, y del comma 1 del medesimo articolo). Inoltre, agli enti del terzo settore è consentito dall’art. 6 del suddetto codice di «esercitare attività diverse da quelle di cui all’articolo 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale».
Sarebbe poi manifestamente infondata anche l’ulteriore questione riguardante la possibilità di impiegare le predette associazioni in attività di affiancamento e supporto all’azione della polizia locale al fine di effettuare servizi per conto terzi. Oltre a far valere una diversa lettura della norma, secondo la quale sarebbe in realtà esclusa la possibilità di remunerare tali associazioni mediante attività svolte in conto terzi, la difesa regionale osserva comunque che ad escludere questa possibilità di remunerazione è lo stesso art. 20 della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, che riserva le tariffe previste per tali attività unicamente ai compiti svolti dal personale di polizia locale secondo le richieste di soggetti pubblici e privati.
11.– Prive di fondamento, secondo la difesa regionale, sarebbero anche le censure del ricorrente aventi ad oggetto l’art. 18, comma 1, della legge regionale impugnata. Non vi sarebbe, in particolare, alcuna violazione dell’art. 118, quarto comma, Cost., perché lo svolgimento di attività di interesse generale da parte dei cittadini non può avvenire in modo «autonomo e disarticolato rispetto all’attività dell’amministrazione pubblica», dovendosi al contrario coordinare con quest’ultima (è evocata la sentenza n. 131 del 2020), tanto più che l’autonomia predicata dal principio costituzionale che si assume leso è riferita alla sola “iniziativa” dei cittadini e non anche alla conseguente attività posta in essere.
Alla disposizione impugnata, inoltre, non potrebbe imputarsi di violare l’ambito delle funzioni previsto dall’art. 5 cod. terzo settore, considerato che essa non attribuisce in via diretta lo svolgimento di tali attività alle associazioni, ma si limita a identificare una serie di attività (non estranee agli ambiti di cui alla norma statale) «nello svolgimento delle quali s’intende sollecitare e favorire la partecipazione collaborativa delle associazioni di volontariato».
Secondo la difesa regionale, infine, il fatto che il citato art. 18, comma 1, pur non escludendo il coinvolgimento di qualunque cittadino, in forma singola o associata, nelle predette attività, privilegi «alcuni soggetti in considerazione della natura delle associazioni in parola, che si avvalgono in modo prevalente dell’attività di volontariato» deve ricondursi a una scelta esercitata discrezionalmente, ma in modo non irragionevole, dal legislatore regionale.
12.– Le censure rivolte nei confronti dell’art. 8, commi 1 e 2, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, sono ritenute infondate dalla difesa regionale.
La disciplina dei ruoli, dei distintivi e delle caratteristiche delle dotazioni del personale di polizia locale non sarebbe ascrivibile ad alcun titolo di competenza esclusiva dello Stato, avendo essa – e in particolare quella contenuta nell’art. 8, comma 1, – un contenuto riconducibile alla materia dell’organizzazione della polizia locale, anche perché la disposizione impugnata fa espressamente salvi i ruoli funzionali previsti dalla legge e l’inquadramento derivante dai contratti collettivi nazionali di lavoro, nonché le qualifiche attribuite al personale di polizia locale secondo il vigente ordinamento.
Sarebbe poi inammissibile la censura consistente nella violazione dell’art. 97 Cost., in quanto oscura e prospettata in termini meramente dubitativi, mentre sarebbe da ritenersi manifestamente infondata quella riguardante la lesione dell’art. 3 Cost., poiché la disposizione impugnata, lungi dall’introdurre una disparità di trattamento all’interno dell’ordinamento, fa salvo, secondo quanto detto, l’inquadramento derivante dai contratti collettivi ed anzi esclude che i distintivi di grado possano incidere sul rapporto giuridico ed economico del personale.
13.– Muovendo dall’assunto che la disciplina dei distintivi di grado degli appartenenti alla polizia locale afferisca alla materia dell’organizzazione della polizia locale, di competenza residuale delle Regioni, la difesa regionale ritiene di conseguenza che non sia fondata neanche la censura promossa nei confronti dell’art. 8, comma 3, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020. La compatibilità di tale previsione con l’art. 6, comma 2, numeri 4) e 5), della legge n. 65 del 1986 e con il principio della riserva di legge ivi contenuto, infatti, dovrebbe ritenersi «conformata» dal nuovo quadro scaturente dalla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, così che «la riserva di legge in parola deve considerarsi priva di effetti vincolanti, non sussistendo, in materia, una competenza esclusiva dello Stato, ma, per converso, operando la competenza residuale ed esclusiva delle regioni». In ogni caso, tale riserva di legge dovrebbe intendersi in termini relativi e non assoluti, ciò che consentirebbe il ricorso (come in questo caso) ad atti normativi secondari, tanto più che essi sono subordinati a un procedimento rafforzato di adozione, mediante l’intervento delle Commissioni consiliari.
14.– Sarebbero, infine, infondate anche le questioni aventi ad oggetto l’art. 13, comma 2, lettere d), e), g) ed i), della legge reg. Veneto n. 24 del 2020.
In particolare, la disposizione contenuta nella lettera d), contrariamente agli assunti del ricorrente, non sottrarrebbe in alcun modo competenze pianificatorie e gestorie al prefetto o al questore, essendo unicamente rivolta a sollecitare iniziative serventi rispetto all’azione di pubblica sicurezza, che resta «di esclusivo appannaggio dei competenti organi statali».
Da un’analoga finalità sarebbe contrassegnata, secondo la difesa regionale, la disposizione contenuta nella lettera e), che, nel favorire il coinvolgimento delle forze dell’ordine per i fini ivi indicati, sottintende che ciò avvenga in uno spirito di collaborazione, su base volontaria e nel rispetto delle reciproche competenze, come sarebbe comprovato dal richiamo, tra gli ambiti oggetto delle azioni di sistema, ai programmi comunitari, che denoterebbero il perseguimento di finalità di sicurezza integrata territoriale.
Analoga natura «meramente sollecitatoria e programmatica» avrebbero infine le iniziative menzionate nelle lettere g) e i) del citato art. 13, comma 2, che, nel riferirsi ai presidi di sicurezza presenti sul territorio regionale e alla costituzione di «tavoli a livello provinciale per la definizione e l’implementazione delle politiche per la sicurezza», rinvierebbero agli strumenti di “prevenzione situazionale” richiamati dalle «Linee generali delle politiche pubbliche per la sicurezza integrata» approvate nella seduta della Conferenza unificata del 24 gennaio 2018 in attuazione di quanto previsto dall’art. 2 del d.l. n. 14 del 2017.
15.– In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Veneto ha depositato memoria insistendo nelle ragioni di inammissibilità e di infondatezza del ricorso.
Considerato in diritto
1.– Con ricorso notificato il 24-28 agosto 2020, depositato il 3 settembre 2020 e iscritto al n. 76 del reg. ric. 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso in via principale, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettere h) ed l), e 118, quarto comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, lettera b), 9, comma 3, 18, comma 1, 8, commi 1, 2 e 3, e 13, comma 2, lettere d), e), g), e i), della legge della Regione Veneto 23 giugno 2020, n. 24 (Normativa regionale in materia di polizia locale e politiche di sicurezza).
1.1.– La legge regionale oggetto delle censure governative è intervenuta a riformare organicamente l’ordinamento della polizia locale in Veneto – in precedenza disciplinato dalla legge della Regione Veneto 9 agosto 1988, n. 40 (Norme in materia di polizia locale), abrogata per effetto dell’art. 24, comma 1, lettera a), della legge regionale in esame – e a regolare le politiche di sicurezza.
Gli obiettivi da essa perseguiti, come ricavabili dall’art. 1, commi 2 e 3, sono di «promuovere una disciplina unitaria e coordinata delle funzioni e dei compiti di polizia locale», nonché di privilegiare, «nel pieno rispetto dei principi di sussidiarietà e ragionevolezza nonché valorizzando la specificità ed il ruolo dei soggetti pubblici e privati interessati, […] il metodo della concertazione per creare un sistema integrato di sicurezza nel territorio regionale».
A quanto emerge dai lavori preparatori, con tale intervento normativo si è inteso non solo adeguare le competenze e i profili organizzativi della polizia locale al quadro costituzionale e normativo più recente, ma anche operare un più generale rafforzamento del sistema territoriale di sicurezza, alla luce, tra l’altro, delle novità introdotte dal decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città), convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48.
1.2.– Ad avviso del ricorrente, con le disposizioni impugnate la Regione Veneto avrebbe tuttavia ecceduto dalle proprie competenze, invadendo la sfera riservata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettere l) ed h), Cost. (in materia, rispettivamente, di ordinamento civile e di ordine pubblico e sicurezza), come dimostrato dal contrasto delle previsioni oggetto di censura con i parametri interposti contenuti nel decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106» e nella legge 7 marzo 1986, n. 65 (Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale), nonché violando gli artt. 3, 97 e 118, ultimo comma, Cost.
Pur se riferiti ad ambiti e a profili eterogenei, i diversi motivi di censura di cui al ricorso introduttivo possono essere suddivisi in tre distinti ordini di questioni, aventi ad oggetto: a) le forme e i termini del coinvolgimento di soggetti privati nell’espletamento dei compiti di polizia locale e nella progettazione e attuazione delle politiche di sicurezza (art. 3, comma 2, lettera b; art. 9, comma 3, e art. 18 della legge regionale impugnata); b) l’ordinamento e le caratteristiche organizzative del servizio di polizia locale (art. 8, commi 1, 2 e 3); c) le intese e gli accordi in tema di sicurezza integrata promossi dalla Regione, nonché la promozione e il sostegno alle politiche integrate per la sicurezza sul territorio regionale (art. 3, comma 2, lettera b e art. 13, comma 2, lettere d, e, g e i).
2.– L’art. 3, comma 2, lettera b), della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 stabilisce che la Regione, per il perseguimento delle finalità di cui al comma 1 del medesimo articolo (relative alla razionalizzazione e al potenziamento degli apparati di polizia locale nonché alla promozione delle politiche di sicurezza integrata) sostiene «la collaborazione istituzionale con i vari enti e organismi pubblici, territoriali e statali, o anche con privati e organismi del terzo settore, mediante la stipulazione di intese o accordi per favorire, nel rispetto delle competenze di ciascun soggetto, l’attuazione, l’integrazione e il coordinamento delle politiche di sicurezza».
2.1.– Con una prima ragione di censura, l’Avvocatura deduce la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento civile», perché la disposizione impiegherebbe «locuzioni espressamente riferibili agli enti del terzo settore ma impiegate verso soggetti aventi caratteristiche diverse da quelle individuate dal d.lgs. n. 117 del 2017».
La difesa della Regione eccepisce l’inammissibilità di tale censura, perché essa sarebbe formulata in modo assertivo e non spiegherebbe in alcun modo le ragioni della lamentata violazione dell’ambito di competenza statale.
2.1.1.– L’eccezione è fondata.
La doglianza statale appare, sul punto, lacunosa oltre che di non agevole comprensione. Il ricorrente, infatti, non spiega in cosa consisterebbe la lesione dedotta e, in particolare, in quale aspetto debba ravvisarsi la lamentata diversità di caratteristiche dei soggetti in questione rispetto alla disciplina del codice del terzo settore. Si deve pertanto ritenere che il ricorso sia in parte qua inammissibile perché non contiene una specifica e congrua indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con il parametro evocato e una, sia pur sintetica, argomentazione di merito a sostegno delle censure (ex plurimis, sentenze n. 91, n. 88 e n. 42 del 2021, n. 199, n. 194 e n. 174 del 2020, n. 197 del 2017).
2.2.– A supporto della illegittimità costituzionale della medesima previsione, il ricorso deduce altresì la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., perché essa disciplinerebbe non solo modalità di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte della polizia locale, ma anche le forme della collaborazione con le forze di polizia dello Stato.
2.2.1.– Le intese e gli accordi di cui alla disposizione impugnata risultano strumentalmente rivolti all’attuazione, all’integrazione e al coordinamento delle politiche di sicurezza, intendendosi per tali le «politiche di sicurezza integrata» richiamate nel comma 1 del medesimo art. 3, che la Regione Veneto si impegna a promuovere sulla base di quanto previsto dall’art. 1, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito.
La previsione statale da ultimo richiamata qualifica la sicurezza integrata come «l’insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e Bolzano e dagli enti locali, nonché da altri soggetti istituzionali, al fine di concorrere, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e responsabilità, alla promozione e all’attuazione di un sistema unitario e integrato di sicurezza per il benessere delle comunità territoriali». Il successivo art. 2 del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, ha affidato ad apposite linee generali, adottate con accordo sancito in Conferenza unificata, il compito di «coordinare, per lo svolgimento di attività di interesse comune, l’esercizio delle competenze dei soggetti istituzionali coinvolti, anche con riferimento alla collaborazione tra le forze di polizia e la polizia locale» nei settori di intervento ivi indicati.
La finalità di coordinamento perseguita da tali previsioni, in diretta attuazione dell’art. 118, terzo comma, Cost., si traduce poi nella possibilità che Stato, Regioni e Province autonome stipulino, sulla base dell’art. 3, comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, «specifici accordi per la promozione della sicurezza integrata, anche diretti a disciplinare gli interventi a sostegno della formazione e dell’aggiornamento professionale del personale di polizia locale».
2.2.2.– Come questa Corte ha già chiarito in più occasioni, l’insieme degli strumenti e delle procedure che presiedono alla stipula di tali accordi e, più in generale, alla condivisione delle scelte tra livelli di governo in materia di sicurezza integrata, risponde a una «rinnovata declinazione legislativa del concetto di sicurezza» (sentenze n. 177 del 2020 e n. 285 del 2019), che affianca ad un ambito immediatamente connesso alla prevenzione e alla repressione dei reati, di competenza esclusiva statale (sicurezza «in senso stretto» o sicurezza primaria), un «fascio di funzioni intrecciate, corrispondenti a plurime e diversificate competenze di spettanza anche regionale» (sentenza n. 285 del 2019), in cui si compendia la sicurezza «in senso lato», o sicurezza secondaria.
In questo scenario, che guarda alle Regioni come a enti rappresentativi di interessi teleologicamente connessi alla competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza, per quanto ad essa non direttamente afferenti, queste ultime sono chiamate ad assicurare «le precondizioni per un più efficace esercizio delle classiche funzioni di ordine pubblico, per migliorare il contesto sociale e territoriale di riferimento, postulando l’intervento dello Stato in relazione a situazioni non altrimenti correggibili se non tramite l’esercizio dei tradizionali poteri coercitivi» (sentenza n. 285 del 2019).
2.3.– È alla luce di tali premesse che deve essere pertanto esaminata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, lettera b), della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Essa non è fondata.
Da un lato, la disposizione in esame va chiaramente ricondotta agli ambiti operativi e alle scansioni procedimentali delineati dagli artt. 2 e 3 del d.l. n. 14 del 2017, come anche alle Linee generali delle politiche pubbliche per la sicurezza integrata, adottate dalla Conferenza unificata a seguito dell’accordo raggiunto il 24 gennaio 2018, essendo rivolta proprio a impegnare la Regione a dare avvio alle forme di collaborazione istituzionale che si traducono, rispetto agli organismi statali, nelle trattative volte alla stipula degli accordi e delle intese in materia di sicurezza integrata.
Da un altro lato, a ulteriormente escludere qualsiasi profilo di invasione nella materia dell’ordine pubblico e della sicurezza, sta la circostanza che la stipula di tali intese o accordi deve, per sua natura, ritenersi facoltativa per l’autorità statale, che potrà aderirvi solo ove ne abbia condiviso i contenuti e verificato la corrispondenza alle proprie esigenze organizzative e strumentali. In questo senso, come in altri casi analoghi decisi da questa Corte, è agevole rilevare che la disposizione assume un valore programmatico, che non denota alcuna capacità lesiva delle competenze statali, perché essa non determina alcuna interferenza, neanche potenziale, sull’autonomo esercizio dei compiti delle autorità statali preposte alla cura dell’ordine pubblico e della sicurezza (sentenze n. 161 del 2021, n. 177 del 2020 e n. 208 del 2018).
3.– Il ricorrente ha impugnato anche l’art. 9, comma 3, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, il quale prevede che «[n]ei regolamenti di polizia locale può anche essere previsto l’impiego di istituti di vigilanza e delle associazioni di volontariato di cui all’articolo 18, con compiti di affiancamento e supporto all’azione della polizia locale e la possibilità di effettuare servizi per conto terzi, in coerenza con quanto previsto agli articoli 18 e 19 e nel rispetto della normativa statale in materia».
L’Avvocatura deduce la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento civile», perché la norma impugnata avrebbe previsto per le associazioni di volontariato lo svolgimento di attività diverse da quelle di interesse generale individuate dall’art. 5 cod. terzo settore. Inoltre, prefigurando la possibilità che tali associazioni, per il fatto di svolgere compiti di affiancamento e supporto all’azione della polizia locale, possano effettuare servizi per conto terzi, la norma violerebbe anche il principio, contenuto nell’art. 33, comma 3, cod. terzo settore, secondo il quale, per l’attività di interesse generale prestata, le organizzazioni di volontariato possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, «salvo che tale attività sia svolta quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all’articolo 6» del medesimo codice.
3.1.– Benché non eccepita dalla difesa regionale, deve essere, d’ufficio, dichiarata inammissibile la doglianza relativa alla violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., relativamente al parametro interposto di cui all’art. 5 cod. terzo settore.
Tale censura, come quella analoga avente ad oggetto l’art. 3, comma 2, lettera b), della legge impugnata, si mostra affetta dalle medesime lacune argomentative, poiché il ricorrente si limita ad asserire il contrasto della disposizione impugnata con le norme del codice del terzo settore (e, segnatamente, con l’art. 5, che elenca le «[a]ttività di interesse generale» che gli enti del terzo settore esercitano «in via esclusiva o principale»), senza addurre ragioni quanto alla consistenza del vizio lamentato e, ancor prima, alla pertinenza del richiamo a tale parametro interposto in relazione all’ambito disciplinato dalla normativa in esame.
Limitatamente a tale motivo di ricorso, non è stata quindi raggiunta quella «soglia minima di chiarezza e di completezza» che rende ammissibile l’impugnativa proposta (sentenze n. 95, n. 52 e n. 42 del 2021).
3.2.– Non è invece fondato il motivo di censura relativo alla violazione, ad opera del medesimo art. 9, comma 3, dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione al parametro interposto di cui all’art. 33 cod. terzo settore. Quest’ultimo prevede, in particolare al comma 3, che «[p]er l’attività di interesse generale prestata le organizzazioni di volontariato possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, salvo che tale attività sia svolta quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all’articolo 6».
In disparte il quesito sulla riconducibilità dell’attività svolta dalle associazioni di volontariato, ai sensi della norma impugnata, alle regole del codice del terzo settore, è decisiva la circostanza, correttamente rilevata dalla difesa regionale, che il ricorrente muove da un erroneo presupposto interpretativo quanto al significato da ascrivere alla disposizione in esame. Dalla formulazione letterale del citato art. 9, comma 3, infatti, si ricava pianamente che il coinvolgimento delle associazioni di volontariato «con compiti di affiancamento e supporto dell’azione della polizia locale» e la possibilità di effettuare servizi per conto terzi costituiscono distinti ambiti di intervento dei regolamenti di polizia locale, ciò che esclude che si possa riferire a soggetti privati, come le associazioni di volontariato, una modalità di remunerazione che la disposizione in esame riserva all’attività svolta dalla polizia locale al di fuori dei suoi compiti istituzionali. Tale esito, del resto, è ulteriormente avvalorato dall’art. 20 della medesima legge reg. Veneto n. 24 del 2020, rubricato proprio «[s]ervizi per conto di terzi», secondo il quale, al comma 1, «[g]li enti locali possono prevedere l’utilizzo straordinario ed occasionale di personale e mezzi della polizia locale, per attività o servizi richiesti da soggetti privati e pubblici».
4.– Il ricorso denuncia poi l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, il quale stabilisce che, «[a]l fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla progettazione, gestione e valutazione delle politiche di sicurezza e previa concertazione con gli enti locali nell’ambito dei tavoli di cui all’articolo 12, la Giunta regionale promuove e sostiene la partecipazione delle associazioni di volontariato» per iniziative rivolte a una pluralità di obiettivi ivi indicati.
Ad avviso della difesa statale, la disposizione in esame, per il fatto di attribuire a soggetti privati compiti ausiliari rispetto a quelli della polizia locale, lederebbe innanzi tutto l’art. 118, quarto comma, Cost., secondo il quale l’iniziativa dei cittadini singoli o associati per lo svolgimento di attività di interesse generale deve essere «autonoma rispetto ai pubblici poteri e in rapporto di sussidiarietà con essi».
La disposizione sarebbe parimenti lesiva dell’art. 3 Cost., perché tutti gli enti del terzo settore (e non solo le associazioni di volontariato) dovrebbero poter svolgere le attività di interesse generale di cui all’art. 5 cod. terzo settore. Inoltre, vi sarebbe un contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., perché il legislatore regionale avrebbe omesso di richiamare la normativa nazionale che prevede, quale requisito costitutivo per la qualificazione degli enti del terzo settore, l’iscrizione al Registro unico nazionale. Inoltre, le singole iniziative richiamate alle lettere a) e b) dell’art. 18, comma 1, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 – rivolte rispettivamente a «fornire assistenza alla polizia locale in occasione di eventi pubblici di particolare rilievo» e a «svolgere attività di ausilio nella sorveglianza dei luoghi pubblici, finalizzate ad allertare tempestivamente gli organi di polizia locale o nazionale per i necessari interventi, in conformità alle norme vigenti» – sarebbero estranee al novero delle attività di interesse generale di cui al più volte richiamato art. 5 cod. terzo settore, con conseguente invasione nella materia «ordinamento civile».
4.1.– Tutti i motivi di ricorso devono essere dichiarati inammissibili d’ufficio.
Il ricorrente, senza operarne alcuna graduazione, pone infatti alla base dei propri motivi di impugnazione assunti contraddittori, perché rivolti – allo stesso tempo – a sostenere l’illegittimità del coinvolgimento delle associazioni di volontariato nelle iniziative previste dall’articolo in esame (in virtù dell’asserito contrasto con l’art. 118, quarto comma, Cost.) e a dolersi della mancata estensione di tale possibilità agli enti costituiti nelle ulteriori forme associative previste dal codice del terzo settore (ciò che si tradurrebbe in una violazione dell’art. 3 Cost.). Tale andamento contraddittorio e perplesso del ricorso (sentenze n. 232 del 2019 e n. 206 del 2001) si traduce nell’inidoneità del medesimo a «evidenziare e spiegare il quomodo del preteso vulnus» lamentato (sentenza n. 135 del 2017), perché esso formula una censura – la mancata estensione dell’ambito di operatività della disposizione in esame a tutti gli enti del terzo settore – che «smentisce la stessa premessa da cui muove il ricorrente» (sentenza n. 297 del 2009), vale a dire l’illegittimità del coinvolgimento nelle attività in parola delle associazioni di cittadini (analogamente, sentenza n. 325 del 2010).
Un’analoga contraddittorietà mina alla radice i motivi di ricorso connessi alla temuta invasione della materia «ordinamento civile», rendendoli parimenti inammissibili. Sul punto, tale esito deriva dal fatto che il ricorrente postula che la violazione del parametro costituzionale discenda, all’un tempo, dall’aver assimilato alla disciplina del terzo settore attività che ad esso devono restare estranee (perché non rientranti tra quelle di interesse generale di cui all’art. 5 cod. terzo settore), e dal non aver rispettato le forme e i procedimenti che il codice stesso impone per lo svolgimento delle medesime attività ad opera delle associazioni di volontariato (in particolare, per quanto riguarda l’iscrizione al registro unico nazionale di cui all’art. 11 cod. terzo settore).
5.– Con il secondo gruppo di censure, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna le previsioni contenute nei tre commi dell’art. 8 della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, con cui sono stati disciplinati i profili organizzativi del servizio di polizia locale, relativi ai ruoli, ai distintivi e alle caratteristiche delle dotazioni del personale di polizia locale.
6.– Con un autonomo motivo di ricorso, è innanzi tutto impugnato l’art. 8, commi 1 e 2, della legge regionale in esame. Il comma 1 disciplina la struttura organizzativa della polizia locale, articolando i ruoli funzionali sulla base di quanto previsto dalla legge e suddividendo i distintivi di grado «fatto salvo l’inquadramento derivante dai contratti collettivi di lavoro», mentre il comma 2 stabilisce che «[i] distintivi di grado di cui al comma 1 individuano i rapporti gerarchici interni all’apparato di polizia locale, cui vanno ricondotte le qualifiche attribuite al personale di polizia locale secondo il vigente ordinamento e non possono incidere sul rapporto giuridico ed economico del personale stesso».
Secondo il ricorrente, tali previsioni lederebbero l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., in riferimento alla materia «ordinamento civile», perché attribuirebbero la qualifica di «ufficiale o agente di polizia giudiziaria» (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 35 del 2011) e perché si porrebbero comunque in contrasto con gli artt. 6 e 7, comma 3, della legge n. 65 del 1986, che delimitano gli ambiti di intervento della legge regionale in materia di polizia locale e stabiliscono un diverso regime di articolazione interna dei corpi di polizia municipale. Il medesimo parametro costituzionale sarebbe, inoltre, violato perché la diversa articolazione in ruoli funzionali degli appartenenti alla polizia locale e l’individuazione di ulteriori distintivi di grado inciderebbero, soprattutto per i profili economici, sulla disciplina prevista dal contratto collettivo nazionale del comparto enti locali, con la conseguente lesione anche dell’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento che in questo modo verrebbe introdotta, e dell’art. 97 Cost., in riferimento al principio del buon andamento della pubblica amministrazione.
6.1.– Le questioni non sono fondate in relazione ad alcuno dei parametri evocati.
I profili di censura riconducibili alla diversa articolazione strutturale del servizio di polizia locale rispetto a quanto previsto dalla legge n. 65 del 1986 risultano infatti estranei all’ambito dell’ordinamento civile, perché involgono con tutta evidenza profili attinenti all’organizzazione del servizio e alla suddivisione degli incarichi e dei ruoli funzionali, ciò che esclude ogni interferenza con i profili privatizzati del rapporto di lavoro, in relazione ai quali, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 42 del 2021, n. 189 e n. 128 del 2020), assume invece rilievo l’esigenza di una uniforme disciplina a livello statale.
Parimenti non pertinente è l’evocazione di una lesione del medesimo parametro costituzionale in ragione della asserita attribuzione al personale della polizia locale della qualifica di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. Ancor prima di rilevare l’erroneità del presupposto interpretativo da cui muove il ricorrente, posto che la disposizione in esame non attribuisce affatto tale qualifica agli operatori della polizia locale, deve essere infatti evidenziata l’inconferenza del richiamo al parametro dell’ordinamento civile (come, del resto, attestato anche dalla sentenza n. 35 del 2011, che il ricorso pone alla base delle sue censure ma che era riferita al diverso ambito di competenza dell’«ordinamento penale» di cui al medesimo art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
Ma non fondata è anche la censura con cui il ricorso lamenta l’invasione della riserva di competenza statale in materia civilistica, derivante dalle ripercussioni che dalla diversa disciplina dei ruoli organizzativi e funzionali della polizia locale si ricaverebbero con riguardo a quanto previsto dalla contrattazione collettiva.
Ad escludere qualsiasi profilo di contrasto stanno, in questo caso, le previsioni contenute nei commi oggetto di censura, che, all’atto di disporre la riorganizzazione del servizio di polizia locale, fanno esplicitamente salvo «l’inquadramento derivante dai contratti collettivi nazionali di lavoro» (comma 1) ed escludono che la nuova suddivisione dei gradi possa «incidere sul rapporto giuridico ed economico del personale» (comma 2).
Del resto, la riorganizzazione dei ruoli del servizio di polizia locale prevista dalle disposizioni in esame incide unicamente sull’attribuzione dei distintivi di grado (suddivisi in agenti, sottufficiali, ufficiali e comandanti) e si limita alla sola individuazione dei rapporti gerarchici interni all’apparato di polizia locale (secondo quanto prevede il comma 2 dell’art. 8), senza che ciò determini alcuna conseguenza sui profili funzionali dell’organizzazione del servizio, che restano incardinati nei ruoli già previsti dalla legge (art. 8, comma 1).
L’insussistenza del vizio di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. determina, conseguentemente, la non fondatezza delle censure consistenti nella lesione degli artt. 3 e 97 Cost., che hanno, nell’impianto del ricorso introduttivo, natura meramente ancillare rispetto a quella ora esaminata.
7.– Oggetto di censura è, inoltre, l’art. 8, comma 3, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, ai sensi del quale la Giunta regionale «definisce con proprio atto le caratteristiche delle uniformi e dei distintivi di grado e di specialità degli appartenenti alla polizia locale, valorizzandone l’operatività. La Giunta regionale definisce altresì, sentita la competente commissione consiliare, le caratteristiche dei mezzi e degli strumenti operativi e di autotutela in dotazione».
Il ricorrente lamenta un contrasto con l’art. 6, comma 2, numeri 4) e 5), della legge n. 65 del 1986, il quale prevede che le Regioni disciplinino con legge le caratteristiche delle uniformi, dei distintivi, dei mezzi e degli strumenti operativi in dotazioni ai Corpi o ai servizi di polizia locale. Da questo si ricaverebbe una violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., sempre con riferimento alla materia «ordinamento civile».
7.1.– La questione è inammissibile.
Il ricorrente formula, infatti, una censura logicamente contraddittoria, perché da un lato deduce l’assenza di competenza della Regione a intervenire in una materia riservata alla competenza esclusiva statale, ma dall’altro lato si duole del fatto che la Regione non sia intervenuta proprio con legge, anziché autorizzando l’adozione di un atto della Giunta regionale, a disciplinare le uniformi e i distintivi. Ne discende l’inammissibilità della questione, «non potendo coesistere – se non in un rapporto di subordinazione, non dedotto nel ricorso – una censura attinente sia all’an, sia al quomodo dell’esercizio della potestà regionale» (sentenze n. 35 del 2011 e n. 391 del 2006).
8.– Con il terzo e ultimo gruppo di censure, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna le disposizioni della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 che prevedono, oltre alle intese e agli accordi in tema di sicurezza integrata promossi dalla Regione (art. 3, comma 2, lettera b, già esaminato supra, punti 2.2. e seguenti, in ragione della connessione con altre censure), la promozione e il sostegno alle politiche integrate per la sicurezza sul territorio regionale (art. 13, comma 2, lettere d, e, g e i).
8.1.– In vista della realizzazione di un «sistema integrato di sicurezza nel territorio regionale» (art. 13, comma 1), le disposizioni impugnate prevedono che «la Giunta regionale agisce anche mediante accordi sottoscritti con organi e autorità di pubblica sicurezza ed enti locali, nel rispetto delle linee generali adottate ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 convertito, con modificazioni dalla legge 18 aprile 2017, n. 48 nonché cooperando con soggetti pubblici o privati, per realizzare o sostenere iniziative di interesse regionale volte in particolare a: […]
d) rafforzare e valorizzare l’azione coordinata della polizia locale secondo i principi della presente legge, con azioni e progetti finalizzati al potenziamento strumentale e operativo e alla condivisione degli strumenti e delle procedure necessarie al coordinamento degli apparati di sicurezza per la gestione di specifici servizi e per obiettivi comuni; promuovere il potenziamento e l’ampliamento degli organici di polizia locale;
e) promuovere e programmare azioni di sistema sul territorio regionale, coinvolgendo gli enti locali, le Polizie locali ma anche le forze dell’ordine per l’ammodernamento delle metodologie di intervento, la lotta ad ogni forma di illegalità e di infiltrazione criminale nel tessuto produttivo e sociale della Regione anche attraverso la partecipazione a specifici programmi comunitari; […]
g) razionalizzare e potenziare i presidi di sicurezza presenti sul territorio regionale; […]
i) costituire tavoli a livello provinciale per la definizione e l’implementazione continua delle politiche per la sicurezza».
8.1.1.– Il ricorrente deduce la violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.), perché il sistema introdotto dal legislatore veneto (e in particolare la previsione di cui alla lettera d) si porrebbe in contrasto con la normativa nazionale in materia di presidio del territorio e di coordinamento delle forze di polizia di cui alla legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza). Le iniziative previste dalle lettere e), g) e i), oltre a non mostrarsi conformi a quanto previsto dall’art. 2 del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, che prevede il coinvolgimento dei prefetti dei Comuni capoluogo, non sarebbero compatibili «con i processi di pianificazione e razionalizzazione dei presidi di polizia, che l’ordinamento rimette alla competenza strettamente statale».
Ad avviso della difesa regionale, le disposizioni in esame non mirerebbero in alcun modo a sottrarre competenze di pianificazione e gestione degli interventi di ordine pubblico al prefetto o al questore, essendo rivolte unicamente a sollecitare iniziative serventi rispetto all’espletamento dei compiti di pubblica sicurezza, che restano in capo agli organi statali. Ciò varrebbe in relazione a tutti gli ambiti di intervento di cui alle singole disposizioni impugnate, per i quali il legislatore regionale ha inteso prevedere forme di coinvolgimento da realizzare in un’ottica collaborativa e con una valenza meramente sollecitatoria e programmatica.
8.2.– Il ricorso deve ritenersi parzialmente fondato in relazione all’art. 13, comma 2, lettera d), e fondato in relazione alle lettere e) e g) del medesimo comma.
Come questa Corte ha costantemente ribadito, a partire dalla sentenza n. 285 del 2019, l’approdo a una «declinazione pluralista» del concetto di sicurezza fa sì che «[l]a potestà legislativa regionale può essere esercitata non solo per disciplinare generici interessi pubblici, come pure affermato nella sentenza n. 290 del 2001, ma anche per garantire beni giuridici fondamentali tramite attività diverse dalla prevenzione e repressione dei reati», anche in considerazione della circostanza che «l’endiadi “ordine pubblico e sicurezza” […] allude a una materia in senso proprio, e cioè a una materia oggettivamente delimitata che di per sé non esclude l’intervento regionale in settori ad essa liminari» (sentenze n. 236 e n. 177 del 2020).
Ad assumere un valore dirimente, nella valutazione della legittimità di interventi regionali nella materia de qua, è quindi la circostanza che la Regione, pur dettando una disciplina idonea a ripercuotersi sulla sicurezza dei cittadini in senso lato, curi pur sempre interessi riconducibili ad ambiti di competenza ad essa attribuiti e, in ogni caso, non giunga in alcun modo a interferire con la riserva alla legge statale del compito di prevenire e reprimere i reati, che identifica l’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza» (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.) indeclinabilmente connesso alla necessità di una disciplina uniforme sul territorio nazionale.
In applicazione di tali principi, la giurisprudenza di questa Corte ha di recente ritenuto che non interferisse con l’esercizio di competenze statali nella materia in questione né «l’attività di conoscenza, formazione e ricerca» posta in essere dalla Regione (sentenza n. 208 del 2018), né la promozione della cultura della legalità (sentenza n. 177 del 2020, e, ancora prima, sentenza n. 35 del 2012), e neanche la predisposizione di programmi di promozione culturale e finanziamenti regionali nell’ambito dell’educazione scolastica, volti a contrastare il cyberbullismo (sentenza n. 116 del 2019).
Per altro verso, questa Corte non ha mancato di dichiarare l’illegittimità costituzionale di leggi regionali idonee a determinare un’interferenza, anche solo potenziale, nell’azione di prevenzione e repressione dei reati, riservata alla competenza esclusiva statale. Con la sentenza n. 177 del 2020, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima una disposizione di legge regionale (l’art. 6, comma 2, lettera k, della legge della Regione Puglia 28 marzo 2019, n. 14, recante «Testo unico in materia di legalità, regolarità amministrativa e sicurezza») che, per il fatto di prevedere l’istituzione di una «banca dati dei beni confiscati alla criminalità organizzata esistenti sul territorio regionale», determinava un’interferenza con la funzione riservata alla banca dati nazionale istituita presso l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ai sensi dell’art. 96 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136).
Successivamente, con la sentenza n. 236 del 2020, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Veneto istitutiva del controllo di vicinato (legge della Regione Veneto 8 agosto 2019, n. 34, recante «Norme per il riconoscimento ed il sostegno della funzione sociale del controllo di vicinato nell’ambito di un sistema di cooperazione interistituzionale integrata per la promozione della sicurezza e della legalità»), perché – tra l’altro – essa pretendeva di assegnare a tali forme di organizzazione e mobilitazione dei cittadini il compito di contribuire funzionalmente «all’attività istituzionale di prevenzione generale e controllo del territorio», ciò che rientra nella specifica finalità di prevenzione dei reati, estranea alle competenze della Regione. Oltre a ciò, la stessa possibilità, prevista dall’art. 2, comma 4, della legge regionale ora citata, di stipulare accordi o protocolli di intesa tra Uffici territoriali del Governo ed enti locali «in materia di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica», è stata ritenuta in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., in ragione dell’estraneità delle attività riconducibili al controllo di vicinato rispetto alle ipotesi disciplinate dal legislatore statale con il già citato d.l. n. 14 del 2017, come convertito, e dalle Linee generali con cui ad esso si è data attuazione.
8.3.– Le disposizioni contenute nell’art. 13 della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 attribuiscono alla Giunta regionale il potere di agire, anche mediante accordi sottoscritti ai sensi del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, e nel rispetto delle Linee generali adottate sulla base dell’art. 2 di questo, per «realizzare o sostenere» una serie di iniziative rivolte a finalità riconducibili ad ambiti di intervento eterogenei.
Talune di queste finalità, incluse nelle disposizioni non oggetto di impugnazione, possono essere ricondotte a settori di intervento che rientrano nel novero delle competenze regionali, perché connesse al perseguimento di finalità culturali (come nel caso della lettera a, riguardante la diffusione della «cultura della legalità e della cittadinanza responsabile per combattere ogni forma di criminalità e di corruzione»), allo svolgimento dei servizi sociali (in relazione alla lettera b, concernente le cause e i processi «di esclusione, devianza e instabilità sociale») o al coordinamento tra enti locali e cittadini «per l’elaborazione e valutazione condivisa delle politiche di sicurezza» (lettera c).
Per queste finalità, deve pertanto ritenersi che la Giunta regionale possa operare autonomamente, realizzando o sostenendo iniziative di interesse regionale che possono prescindere dalla stipula degli accordi regolati dal d.l. n. 14 del 2017, come convertito, perché le attività ivi previste risultano estranee ai settori di intervento riservati a tali accordi, secondo quanto previsto anche dalle Linee generali delle politiche pubbliche per la sicurezza integrata.
8.4.– Lo stesso non è a dirsi per le finalità richiamate nelle disposizioni oggetto di impugnazione di cui alle lettere d) – con l’esclusione del richiamo al «potenziamento e l’ampliamento degli organici di polizia locale» –, e) e g) del comma in esame.
A differenza delle previsioni contenute in altre parti dell’articolo impugnato, prima menzionate, quelle contenute nelle lettere d), e) e g) dell’art. 13, comma 2, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 mostrano, pur dietro una formulazione talvolta oscura e ridondante, l’impiego di formule chiaramente espressive dell’intento del legislatore regionale di intervenire in ambiti riconducibili alla «sicurezza primaria». Il richiamo a espressioni quali la «condivisione degli strumenti e delle procedure necessarie al coordinamento degli apparati di sicurezza per la gestione di specifici servizi e per obiettivi comuni», la promozione e programmazione di «azioni di sistema sul territorio regionale, coinvolgendo gli enti locali, le Polizie locali ma anche le forze dell’ordine per l’ammodernamento delle metodologie di intervento, la lotta ad ogni forma di illegalità e di infiltrazione criminale nel tessuto produttivo e sociale della Regione», nonché l’esigenza di «razionalizzare e potenziare i presidi di sicurezza presenti sul territorio regionale», denota innanzi tutto una censurabile tecnica legislativa, consistente nell’alternare formule e stilemi chiaramente riconducibili ad aree di intervento sottratte alla disponibilità della Regione (come quelle ora richiamate), con previsioni invece non esorbitanti dalle sue attribuzioni, come quella che, nella lettera d), individua quale iniziativa da perseguire da parte della Giunta «promuovere il potenziamento e l’ampliamento degli organici di polizia locale».
Ciò che tuttavia è decisivo, al di là della tecnica legislativa impiegata, è, per un verso, l’estraneità delle iniziative in parola ad ambiti funzionalmente riconducibili alle competenze devolute alla cura della Regione nonché, per altro verso e specularmente, l’assenza di qualsiasi continuità tra il contenuto di tali iniziative e i settori nei quali, per effetto dell’opera di coordinamento posta in essere, ai sensi dell’art. 118, terzo comma Cost., dal legislatore statale con l’adozione del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, possono essere stipulati gli accordi tra Stato e Regioni nell’ambito della sicurezza integrata.
Dal primo punto di vista, le previsioni di cui alle lettere d) – con l’esclusione della finalità di «promuovere il potenziamento e l’ampliamento degli organici di polizia locale» –, e) e g) attribuiscono alla Giunta regionale il compito di «realizzare o sostenere» iniziative in settori per i quali, se è evidente il rischio di un’interferenza sui compiti istituzionali delle autorità statali preposte alla pubblica sicurezza (dal «coordinamento degli apparati di sicurezza» al coinvolgimento delle forze dell’ordine «per l’ammodernamento delle metodologie di intervento», fino alla razionalizzazione e al potenziamento dei presidi di sicurezza), non risulta, ancora prima, affatto chiaro «quali siano i precisi ambiti materiali, distinti appunto dall’ordine pubblico e dalla sicurezza, e in ipotesi riconducibili alla sfera di competenza regionale, interessati dalla disciplina all’esame» (sentenza n. 236 del 2020).
Ad aggravare il rischio di una possibile interferenza sull’autonoma assunzione delle scelte organizzative e funzionali delle autorità statali in materia di ordine pubblico e sicurezza, inoltre, sta la circostanza che le «iniziative di interesse regionale» in esame non sono univocamente ricondotte a una cornice pattizia (come è nel caso deciso di recente dalla sentenza n. 161 del 2021), perché alla Giunta viene attribuito il potere di «realizzare o sostenere» tali iniziative, così prefigurando la possibilità di un intervento diretto, che si spinga al di là della semplice attività di stimolo o di impulso in vista della conclusione di accordi con le autorità statali.
Dal secondo punto di vista, le previsioni impugnate non risultano in ogni caso riconducibili alle forme di coordinamento fra Stato e Regioni in materia di ordine pubblico e sicurezza contemplate dal d.l. n. 14 del 2017, come convertito, e dalle richiamate Linee generali delle politiche pubbliche per la sicurezza integrata, previste dall’art. 2 di esso e approvate dalla Conferenza unificata in esito all’accordo ivi raggiunto il 24 gennaio 2018.
A quanto già osservato supra, al punto 2.2.1., si deve aggiungere che il perimetro operativo degli accordi nella materia della sicurezza integrata si identifica con i «settori di intervento» previsti dall’art. 2, comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, come più nel dettaglio individuati dalle Linee generali. Tali settori, relativi specificamente allo scambio informativo tra polizia locale e Forze di polizia, all’interconnessione delle sale operative e all’utilizzo in comune di sistemi di sicurezza tecnologica, nonché all’aggiornamento professionale integrato del personale, non mostrano alcuna connessione con quelli oggetto di disciplina ad opera del legislatore veneto, che prevedono invece un insieme ben più ampio e indeterminato di iniziative: ciò che determina, anche da questo punto di vista, il concreto rischio di un’interferenza con lo svolgimento di compiti riservati nella materia de qua alle autorità statali.
Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera d), limitatamente alle parole «rafforzare e valorizzare l’azione coordinata della polizia locale secondo i principi della presente legge, con azioni e progetti finalizzati al potenziamento strumentale e operativo e alla condivisione degli strumenti e delle procedure necessarie al coordinamento degli apparati di sicurezza per la gestione di specifici servizi e per obiettivi comuni;», e lettere e) e g), della legge reg. Veneto n. 24 del 2020.
8.5.– Non è invece fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera i), della legge regionale impugnata.
Tale disposizione prevede che la Giunta regionale, secondo le modalità già esaminate, possa realizzare o sostenere iniziative di interesse regionale rivolte a «costituire tavoli a livello provinciale per la definizione e l’implementazione continua delle politiche per la sicurezza».
Le ravvisate ragioni di contrasto tra le altre previsioni impugnate del medesimo art. 13 e la riserva di competenza allo Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza non sussistono con riguardo alla disposizione ora in esame, poiché essa – a differenza dalle precedenti – non determina alcuno sconfinamento rispetto ad ambiti riservati alla «sicurezza primaria» e, pertanto, non si presta a determinare alcuna interferenza, neanche potenziale, sull’esercizio delle relative attribuzioni ad opera delle autorità statali e delle forze di polizia.
I «tavoli» che essa prefigura, infatti, costituiscono delle sedi di coordinamento contemplate dalle già richiamate Linee generali attuative dell’art. 2 e seguenti del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, nelle quali si prevede che, a valle della stipula degli accordi ivi previsti, debbano essere istituiti «tavoli tecnici composti da rappresentanti della Prefettura Capoluogo di Regione e della Regione, con la partecipazione, di volta in volta, dei rappresentanti dei Comuni capoluogo e degli altri enti locali interessati», i quali operano, ai sensi dell’art. 3, comma 4, del d.l. n. 14 del 2017, come «strumenti e modalità di monitoraggio dell’attuazione degli accordi» sulla sicurezza integrata.
La loro previsione ad opera del legislatore regionale appare dunque finalizzata, in prima battuta, a creare le condizioni per l’istituzione di tali sedi di monitoraggio, cui sarà demandato il compito di verificare l’attuazione degli accordi che la Regione potrà sottoscrivere ai sensi delle richiamate disposizioni del d.l. n. 14 del 2017, come convertito, con riferimento quanto meno alle iniziative contemplate dalle lettere f) e h) del medesimo art. 13, comma 2, della legge reg. Veneto n. 24 del 2020, non oggetto di censura, relative ad ambiti di intervento afferenti alla sicurezza integrata come, rispettivamente, l’attivazione e l’adeguamento dei sistemi informativi e tecnologici per la sicurezza «al fine di realizzare sistemi integrati che favoriscano l’interoperabilità e lo scambio informativo, nonché l’attività di raccolta, elaborazione e utilizzo delle banche dati», e la pianificazione e la realizzazione di «attività di formazione sia al lavoro che sul lavoro, per selezionare nuovi operatori di polizia locale e aggiornare o riqualificare il personale già in servizio».
La disposizione contenuta nell’art. 13, comma 2, lettera i), della legge reg. Veneto n. 24 del 2020 è, dunque, immune dalle censure contenute nel ricorso introduttivo del presente giudizio.