Ritenuto in fatto
1.– La Corte d’appello di Bari, con ordinanza del 18 maggio 2020, iscritta al n. 161 del registro ordinanze 2020, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia (Testo A)», «nella parte in cui, qualora la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite risulti sproporzionata alla luce delle indicazioni della giurisprudenza della C[orte]EDU espressa dalla Grande Camera nella sentenza del 28.6.2018, Giem e altri c. Italia, non consente l’applicazione in via principale di una sanzione meno grave, come quella dell’obbligo di procedere all’adeguamento parziale delle opere eseguite per renderle integralmente conformi alle legittime prescrizioni della pianificazione urbanistica generale, nei confronti dei soggetti rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa con riguardo alla lottizzazione abusiva».
2.– Il giudice rimettente premette di procedere nei confronti di G.I. R. e altri centoquarantadue imputati, per avere concorso tra loro nei reati di cui all’art. 44, comma 1, lettere a), b) e c), del d.P.R. n. 380 del 2001 (in relazione all’art. 30 del medesimo d.P.R.) perché, a diverso titolo, ponevano in essere una trasformazione urbanistica ed edilizia nel territorio comunale di G. idonea a comportare una profonda alterazione del carico urbanistico, realizzando una lottizzazione abusiva di un’area destinata ad attività artigianale di servizio, in violazione di plurimi standard urbanistici vigenti e «in totale difformità anche dalle N.T.A. del Piano di Lottizzazione, definitivamente approvate con Delibera straordinaria d’urgenza del Consiglio Comunale n. 31 del 12.6.2006».
Tale indebita trasformazione si sarebbe nella sostanza realizzata, all’esito di un complesso iter procedimentale e non senza la connivenza dei responsabili dell’ufficio tecnico comunale in «palese collusione» con professionisti privati, nell’alterazione strutturale della vocazione dell’area oggetto di lottizzazione. Essa, originariamente destinata allo svolgimento in misura prevalente di attività artigianale, sarebbe stata oggetto di interventi che ne hanno illegittimamente trasformato la destinazione d’uso, rendendola servente a scopi prevalentemente residenziali. In particolare, tale indebita trasformazione si sarebbe concretizzata nel mancato rispetto della proporzione tra area lottizzata destinata a scopi residenziali, secondo quanto previsto dagli strumenti urbanistici e dalle correlate norme tecniche di attuazione (in misura non superiore al 25 per cento del totale), e area destinata allo svolgimento di attività artigianale (pari al residuo 75 per cento).
Il giudice a quo riferisce che, dopo la condanna in primo grado degli imputati con sentenza che ha contestualmente disposto la confisca di alcuni lotti dell’area interessata dalla lottizzazione, è intervenuta la prescrizione dei reati; aggiunge che l’estinzione dell’addebito penale gli impone la verifica della possibilità di giungere ad un esito assolutorio o, in caso contrario, il controllo sulla sussistenza dei requisiti di legge per la conferma o la revoca della misura della confisca.
3.– All’esito di una dettagliata ricostruzione della vicenda, la Corte d’appello rimettente conclude ritenendo che sussistano, nei confronti degli imputati, i presupposti tanto oggettivi quanto soggettivi delle varie tipologie di reato di cui all’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, e in particolare, per quanto qui rileva, di quello di lottizzazione abusiva di cui alla lettera c) del medesimo comma 1. Da un lato, infatti, l’approvazione di varianti non conformi all’originario piano di lottizzazione ha determinato una trasformazione urbanistica dell’area oggetto degli interventi, conseguente all’alterazione della sua originaria vocazione artigianale e alla sua illegittima destinazione a finalità in prevalenza residenziali, come attestata da indici quali l’aumento della cubatura e dell’altezza dei corpi di fabbrica, l’utilizzo diverso dei piani interrati e la possibilità di vendere in modo frazionato unità produttive e residenziali, così «annientando completamente la ragione stessa per la quale dovevano essere previste delle residenze». Dall’altro lato, quanto all’elemento soggettivo dell’illecito, l’ordinanza rimarca come rispetto agli imputati, responsabili di una diretta edificazione a seguito della partecipazione alla lottizzazione ovvero in quanto acquirenti dei beni, questo debba essere rinvenuto in una partecipazione almeno colposa alla realizzazione dell’illecito.
Nel caso di specie, i terzi acquirenti degli immobili avrebbero infatti agito in violazione dei requisiti di ordinaria diligenza e prudenza nella partecipazione al progetto lottizzatorio o nell’acquisto dei beni da questo interessati, come dimostrato dalla circostanza che la zona risultava qualificata come artigianale nel piano regolatore generale, negli atti di pianificazione esecutiva e negli stessi atti preliminari o di compravendita. Malgrado il loro «piano culturale oggettivamente modesto, il livello non alto di scolarizzazione e l’assoluta mancanza di competenze tecniche», secondo il giudice a quo, questi avrebbero quindi potuto, usando l’ordinaria diligenza e prudenza, rendersi conto della portata economica dell’intervento lottizzatorio e del rilievo delle modifiche apportate rispetto agli originari strumenti urbanistici, tali da rendere evidente la «plateale trasformazione dell’originaria destinazione d’uso artigianale imposta a quella zona dal principale piano urbanistico». A ulteriormente avvalorare tale mancanza di diligenza viene poi richiamata la circostanza che altri soggetti, versanti nella medesima condizione, hanno tenuto un diverso comportamento, sottraendosi all’acquisto «per l’evidente contrasto tra il dichiarato e il realizzato».
La sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito induce quindi il rimettente a ravvisare la responsabilità degli acquirenti per gli illeciti di cui agli artt. 30 e 44, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001, con la conseguenza che nei loro confronti sussisterebbero i presupposti per l’applicazione della confisca di cui al comma 2 di tale ultimo articolo.
4.– Accertatane la rilevanza, la Corte d’appello di Bari ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui non consente che il giudice possa applicare in via principale una sanzione meno grave, quale quella dell’obbligo di procedere all’adeguamento parziale delle opere eseguite per renderle integralmente conformi alle legittime prescrizioni della generale pianificazione urbanistica, ove la misura della confisca sia da ritenersi sproporzionata, secondo quanto stabilito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, grande camera, nella sentenza 28 giugno 2018, G.I.E.M. srl e altri contro Italia, e gli imputati risultino rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa.
Ad avviso del giudice a quo, con la richiamata sentenza, la grande camera della Corte EDU ha preso atto del fatto che la giurisprudenza interna, anche in conseguenza di quanto stabilito da questa Corte con la sentenza n. 49 del 2015, si è adeguata a quella convenzionale, secondo cui la confisca può essere disposta solo se il reato di lottizzazione abusiva risulti accertato in tutti i suoi elementi soggettivi e oggettivi, indipendentemente dal fatto che tale accertamento sia contenuto in una sentenza di condanna o in una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione, purché, in quest’ultimo caso, l’affermazione di responsabilità soddisfi le garanzie stabilite dall’art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848 e sia dichiarata in esito a un procedimento conforme a quanto stabilito dall’art. 6 della stessa CEDU.
Tuttavia, la predetta sentenza europea avrebbe imposto, tra l’altro, una verifica della proporzionalità della misura ablativa, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 1 Prot. addiz. CEDU.
In particolare, la rimettente riferisce che, secondo quanto affermato nel paragrafo 301 della predetta sentenza G.I.E.M., il rispetto del principio di proporzionalità richiede che si prendano in considerazione parametri come:
«- la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali ad esempio la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione;
- la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi;
- il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione, aggiungendo (§ 302) che deve essere offerta la possibilità, alla persona interessata, di esporre adeguatamente le sue ragioni alle autorità competenti al fine di contestare efficacemente le misure che violano i diritti garantiti dall’art. 1 del Protocollo n. 1».
4.1.– Poste tali premesse, l’ordinanza di rimessione ritiene che il rispetto del principio di proporzionalità, così interpretato, trovi ampio riscontro nella giurisprudenza di legittimità quanto all’ambito di estensione della confisca, mentre una «assoluta novità interpretativa» sarebbe rappresentata dalla «prospettata possibilità di applicare misure meno restrittive e di ponderare “il grado di colpa o di imprudenza” (non l’assenza di colpa o prudenza) ed il rapporto tra la condotta e il reato», considerato che, al contrario, la confisca di cui all’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 non richiama tali parametri e si applica in maniera sostanzialmente incondizionata.
4.2.– Ad avviso della Corte d’appello rimettente, da quanto sinora esposto emergerebbe il contrasto della norma censurata con i richiamati principi convenzionali, perché non consente al giudice di valutare quali siano gli strumenti più adatti alle circostanze del caso, così da bilanciare il legittimo scopo della misura ablativa con i diritti degli interessati da essa colpiti.
Con riferimento alle vicende oggetto del giudizio a quo, l’assenza di proporzionalità si dedurrebbe, innanzi tutto, dal fatto che l’abuso lottizzatorio riguarderebbe, per quanto detto, solamente la quota di immobili realizzati a fini residenziali in eccesso rispetto alla misura del 25 per cento originariamente prevista dal piano di lottizzazione. In secondo luogo, la colpa degli imputati, pur sussistente, sarebbe tuttavia «contenuta e circoscritta», e concorrerebbe «con profili marcatamente dolosi di altri», in particolare di tecnici e professionisti, nonché con «plurimi soggetti incardinati anche nell’operatività dell’ente comunale chiamato al controllo» dell’attività lottizzatoria; gli imputati dunque, anche in ragione delle loro condizioni personali, si sarebbero rivelati, alla prova dei fatti, «solo molto ingenui». La stessa amministrazione comunale, infine, avrebbe contribuito in misura decisiva a realizzare l’intento lottizzatorio, mediante l’adozione di atti illegittimi, con la conseguenza che dalla confisca dei beni conseguirebbe il «risultato paradossale» della destinazione finale degli immobili al patrimonio del Comune stesso.
In conseguenza di ciò, il giudice a quo ritiene che, in casi del genere, gli imputati e i terzi coinvolti nel procedimento lottizzatorio debbano essere messi in condizione di «adeguare la destinazione d’uso, mediante apposite opere, alle prescrizioni allo stato ineludibili del piano regolatore generale».
4.3.– L’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, per il fatto di non ammettere sanzioni diverse dalla confisca degli immobili e dei terreni oggetto di lottizzazione abusiva, si rivelerebbe invece inutilmente vessatorio, perché non contempla la possibilità di una graduazione della sua efficacia, come quella che si avrebbe mediante la prescrizione di un adeguamento sostanziale delle opere agli strumenti urbanistici, sulla falsariga di quanto disposto dall’art. 98, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001 per rendere le opere conformi alle disposizioni tecniche in materia antisismica.
Non ritenendo, pertanto, possibile un’interpretazione della norma censurata conforme ai contenuti ricavabili dalla CEDU (sono richiamate, tra le altre, le sentenze di questa Corte n. 196 e n. 93 del 2010, n. 348 e n. 349 del 2007) e, in particolare, dal richiamato art. 1 Prot. addiz. CEDU, la Corte d’appello di Bari ritiene che l’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 si ponga in contrasto con tale parametro convenzionale nell’interpretazione che di esso ha dato la più volte richiamata sentenza G.I.E.M. srl e altri contro Italia, che rappresenta un «dato fermo e vincolante» per l’ordinamento interno, non superabile in via interpretativa in ragione del dato letterale della norma censurata, e che rende, pertanto, non manifestamente infondata la prospettata questione di legittimità costituzionale.
5.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata.
5.1.– La questione sarebbe in primo luogo inammissibile perché il giudice a quo avrebbe erroneamente ricostruito il presupposto interpretativo della norma censurata, senza peraltro verificare la possibilità di una sua interpretazione conforme alla Costituzione e alla CEDU.
Ad avviso dell’Avvocatura, infatti, la giurisprudenza della Corte di cassazione avrebbe fatto propria da tempo un’interpretazione dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 da cui non consegue l’applicazione necessaria della misura della confisca in caso di lottizzazione abusiva quando si debba garantire il rispetto del principio di proporzionalità richiesto dalla giurisprudenza della Corte EDU.
Proprio alla luce di quanto stabilito nella sentenza G.I.E.M. srl e altri contro Italia, secondo la Corte di cassazione, l’adozione di attività ripristinatorie in grado di ristabilire la piena conformità urbanistica dei luoghi e delle opere realizzate renderebbe non necessaria l’applicazione della misura ablativa (è richiamata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 aprile 2020, n. 12640). Questo indirizzo giurisprudenziale indurrebbe a ritenere non necessaria la confisca allorché il proprietario del bene provveda, nel corso dello svolgimento del procedimento penale, alla demolizione o all’adeguamento urbanistico.
Tale esito, in particolare, sarebbe da ritenersi coerente con quanto stabilito dalla richiamata sentenza G.I.E.M. srl e altri contro Italia, posto che essa non ha ravvisato, secondo l’Avvocatura, una violazione del parametro convenzionale in ragione dell’assenza di misure alternative alla confisca che il giudice potrebbe applicare in base a fattori quali il grado di colpevolezza degli imputati o la misura della loro partecipazione al reato. Il vincolo scaturente dalla decisione europea, per contro, consisterebbe unicamente nella necessità che l’applicazione giudiziale della confisca consegua a una valutazione di proporzionalità, che tenga conto, in via solo esemplificativa, degli indici richiamati dal rimettente e contenuti nel paragrafo 301 della citata sentenza.
5.2.– La questione sarebbe in ogni caso manifestamente infondata.
Secondo l’Avvocatura, l’applicazione della misura della confisca nei confronti di chi abbia concorso, anche solo a titolo colposo, alla commissione del reato di lottizzazione abusiva può essere infatti legittimamente scongiurata, nel rispetto del principio di proporzionalità di cui all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, ove questi abbia provveduto a ripristinare lo stato dei luoghi in modo da assicurare la conformità urbanistica dell’area. Laddove ciò non sia invece avvenuto e il proprietario «continu[i] a beneficiare della ferita inferta al corretto assetto urbanistico del territorio», la sanzione della confisca non implica alcuna violazione del principio di proporzionalità.
Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Bari, con ordinanza del 18 maggio 2020 (reg. ord. n. 161 del 2020), ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione e in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848, questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia (Testo A)», «nella parte in cui, qualora la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite risulti sproporzionata alla luce delle indicazioni della giurisprudenza della C[orte]EDU espressa dalla Grande Camera nella sentenza del 28.6.2018, Giem e altri c. Italia, non consente l’applicazione in via principale di una sanzione meno grave, come quella dell’obbligo di procedere all’adeguamento parziale delle opere eseguite per renderle integralmente conformi alle legittime prescrizioni della pianificazione urbanistica generale, nei confronti dei soggetti rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa con riguardo alla lottizzazione abusiva».
1.1.– Il rimettente premette di procedere nei confronti di G.I. R. e altri centoquarantadue imputati, per avere concorso tra loro nei reati di cui agli artt. 30 e 44, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001, perché, in qualità di funzionari comunali, progettisti e terzi acquirenti, ponevano in essere una lottizzazione abusiva nel Comune di G., relativa a un vasto intervento edilizio realizzato con gravi modificazioni rispetto alle legittime prescrizioni dell’originario piano di lottizzazione, tali da realizzare una trasformazione non consentita, con conseguente grave alterazione del carico urbanistico.
In particolare, l’abusivo intento lottizzatorio sarebbe stato posto in essere modificando sensibilmente, con delle varianti illegittime all’originario piano di lottizzazione, il rapporto tra l’originaria e prevalente vocazione artigianale dell’insediamento da realizzare e delle relative opere (fissata nella misura del 75 per cento) e la residuale e servente destinazione d’uso residenziale (limitata al restante 25 per cento).
La Corte d’appello rimettente, in particolare, ritiene sussistenti i presupposti tanto oggettivi quanto soggettivi del reato di lottizzazione abusiva, anche con riferimento ai terzi acquirenti delle opere oggetto dell’intervento lottizzatorio, per i quali viene accertato un concorso nel reato a titolo di colpa lieve per non aver assolto ad obblighi di prudenza e diligenza al momento dell’acquisto.
A fronte di tali dati e nel presupposto che l’abuso lottizzatorio non riguarderebbe, nella vicenda devoluta alla sua cognizione, l’intera trasformazione urbanistica ed edilizia, ma solo le opere realizzate in violazione della proporzione originariamente stabilita nel piano di lottizzazione tra destinazione artigianale e residenziale, il giudice a quo lamenta l’impossibilità di adottare una misura meno invasiva della confisca, prevista come sanzione da disporsi in via automatica ai sensi dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001. La misura giudiziale di cui il rimettente auspica l’introduzione, per il tramite di un intervento additivo di questa Corte, consisterebbe nell’obbligo per i terzi acquirenti, attuali proprietari dei beni immobili lottizzati, di procedere all’adeguamento parziale delle opere, così da renderle conformi alle legittime prescrizioni urbanistiche. La Corte d’appello di Bari deduce pertanto la violazione, da parte della norma censurata, dell’art. 117, primo comma, Cost. e, in relazione ad esso, dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, perché l’impossibilità di graduare gli effetti della misura ablativa, scongiurandone i più gravi effetti in danno dei terzi acquirenti, si pone in contrasto con il principio di proporzionalità, come interpretato e applicato dalla grande camera della Corte EDU nella sentenza del 28 giugno 2018, G.I.E.M. srl e altri contro Italia.
2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente l’inammissibilità della questione.
La Corte rimettente avrebbe ricostruito in modo erroneo il presupposto interpretativo della norma censurata, poiché non avrebbe verificato la possibilità di applicare la misura della confisca urbanistica secondo modalità idonee a eliminare ogni ragione di contrasto col principio di proporzionalità di cui all’art. 1 Prot. addiz. CEDU. Secondo l’Avvocatura generale, la giurisprudenza della Corte di cassazione, anche a seguito della richiamata sentenza G.I.E.M., ha fatto propria un’interpretazione dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 tale da escludere che la confisca debba essere in ogni caso automaticamente applicata allorché sia accertata la commissione del reato di lottizzazione abusiva, come ad esempio nel caso in cui sia intervenuta la effettiva e integrale eliminazione di tutte le opere e dei frazionamenti eseguiti in attuazione dell’intento lottizzatorio (è richiamata Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 aprile 2020, n. 12640). Nel senso di un temperamento dell’assolutezza della misura ablativa va anche la necessità che questa venga circoscritta alle sole aree e ai soli beni di fatto interessati dall’attività illecita (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 9 gennaio 2020, n. 372).
Ciò, secondo l’Avvocatura generale, sarebbe sufficiente a rendere le modalità applicative della confisca di cui alla norma censurata conformi al parametro convenzionale asseritamente violato, anche e soprattutto alla luce dell’interpretazione che di esso ha dato la richiamata sentenza G.I.E.M., atteso che quest’ultima non imporrebbe, contrariamente a quanto ritiene il rimettente, l’introduzione di misure alternative alla confisca, ma unicamente una valutazione di proporzionalità della misura ablatoria «in base alla possibilità che altre misure vengano o meno prese e in relazione alla colpevolezza del proprietario».
3.– Prima di vagliare l’eccezione di inammissibilità dell’Avvocatura generale, è necessario brevemente ricostruire i tratti essenziali della confisca prevista dalla norma censurata, anche e soprattutto alla luce dell’evoluzione che ha caratterizzato le modalità di applicazione di essa ad opera del giudice, all’interno della quale ha assunto un rilievo decisivo il contributo fornito dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.
3.1.– Già nella vigenza dell’art. 19 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive), di cui la norma censurata recepisce i contenuti operandone una sostanziale novazione, la confisca per lottizzazione abusiva (o altrimenti detta “urbanistica”) è stata ritenuta una sanzione amministrativa che consegue a una sentenza che accerti la sussistenza dei presupposti del reato in questione, anche prescindendo dall’adozione di una sentenza di condanna (ordinanza n. 187 del 1998).
Tale regime di accessorietà è con tutta evidenza finalizzato ad assicurare che la misura ablatoria possa garantire le finalità perseguite dal legislatore attraverso la previsione del reato di lottizzazione abusiva, consistenti nella salvaguardia della funzione pianificatoria e della sua riserva in capo all’autorità comunale. Proprio in ragione del fatto che «la lottizzazione abusiva [è] una forma di intervento sul territorio ben più incisiva, per ampiezza e vastità, di quanto non sia la costruzione realizzata in difformità o in assenza di concessione, con compromissione molto più grave, nel primo caso, della programmazione edificatoria del territorio stesso» (sentenza n. 148 del 1994), essa si rivela rivolta a tutelare un bene giuridico di particolare rilievo, perché attinente non solo alla tutela del paesaggio e dell’ordinato sviluppo urbanistico rispetto a forme isolate e puntuali di aggressione, ma anche e soprattutto alla salvaguardia della stessa funzione pianificatoria comunale, intesa come momento terminale e ineludibile della complessiva strategia di programmazione delle forme di intervento sul territorio.
3.2.– In base a tali presupposti, la confisca prevista dalla norma censurata è stata inizialmente interpretata e applicata nel senso che essa, anche con riguardo ai terzi acquirenti delle aree illegittimamente frazionate o dei beni abusivamente costruiti, potesse essere disposta automaticamente dal giudice per il solo fatto obiettivo costituito dal carattere abusivo dell’opera, prescindendo così tanto da un accertamento della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, quanto – ed è il punto che viene qui particolarmente in evidenza – da una verifica della necessaria proporzionalità della misura ablatoria.
Entrambi questi profili sono stati presi in esame dalla Corte di Strasburgo, che, nelle pronunce rese nel caso Sud Fondi srl e altri contro Italia (decisione 30 agosto 2007 e sentenze 20 gennaio 2009 e 10 maggio 2012), ha ritenuto che le modalità applicative della confisca fossero, nelle vicende allora al suo esame, in contrasto sia con l’art. 7 CEDU, perché la natura punitiva della stessa richiede che venga accertato dal giudice un grado di partecipazione almeno colposo per l’autore materiale del reato, sia con l’art. 1 Prot. addiz. CEDU. Rispetto a quest’ultimo, in particolare, la Corte EDU ritenne, allora, la portata generalizzata della confisca sproporzionata rispetto allo scopo da essa perseguito, connesso al ripristino della conformità dell’area alle prescrizioni urbanistiche, aggiungendo che «[s]arebbe stato ampiamente sufficiente prevedere la demolizione delle opere incompatibili con le disposizioni pertinenti e dichiarare inefficace il progetto di lottizzazione» (sentenza 20 gennaio 2009, paragrafo 140).
3.3.– A seguito di tali pronunce, la giurisprudenza di legittimità, pur tenendo ferma la qualifica della confisca urbanistica come sanzione amministrativa (e la conseguente legittimità della sua applicazione pur in assenza di un provvedimento formale di condanna ad opera del giudice), ha introdotto plurimi correttivi volti ad adeguare le modalità applicative della stessa ai principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Quanto al primo aspetto, si è ritenuto che la confisca debba essere subordinata all’accertamento della partecipazione psichica e personale del soggetto all’illecito penale, dovendo così riscontrarsi nella condotta dei soggetti colpiti dalla misura ablativa (inclusi i terzi acquirenti dei beni) un profilo almeno colposo, sotto gli aspetti dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza (ex multis, Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 8 ottobre 2009, n. 39078). Questa Corte, con la sentenza n. 49 del 2015, ha ulteriormente chiarito che «[s]ia che la misura colpisca l’imputato, sia che essa raggiunga il terzo acquirente di mala fede estraneo al reato, si rende perciò necessario che il giudice penale accerti la responsabilità delle persone che la subiscono, attenendosi ad adeguati standard probatori e rifuggendo da clausole di stile che non siano capaci di dare conto dell’effettivo apprezzamento compiuto».
Quanto, poi, alla verifica della proporzionalità della confisca, si è ritenuto – innovando rispetto al precedente orientamento giurisprudenziale – che il giudice possa limitare l’intervento ablativo alle sole aree e agli eventuali manufatti direttamente interessati dall’illegittima attività lottizzatoria (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 2 ottobre 2008, n. 37472 e 15 aprile 2013, n. 17066).
3.4.– Con la sentenza 28 giugno 2018, G.I.E.M. srl e altri contro Italia, che il rimettente pone a fondamento delle sue censure, la Corte EDU è tornata a ravvisare un contrasto tra le modalità di applicazione della confisca nelle vicende che avevano dato origine a quei ricorsi e l’art. 1 Prot. addiz. CEDU, con particolare riguardo al rispetto della necessaria proporzionalità tra i mezzi impiegati nel limitare il godimento dei beni e lo scopo, di per sé legittimo, perseguito dal legislatore mediante la previsione dell’illecito lottizzatorio e della connessa sanzione di natura reale.
In tale pronuncia, la Corte EDU ha ritenuto che quel principio non fosse stato rispettato, perché al giudice nazionale – chiamato ad applicare in modo automatico la confisca per lottizzazione abusiva, con l’unica eccezione che questa riguardi i terzi in buona fede – non era stato consentito di valutare gli strumenti più adatti alle circostanze del caso di specie e, più in generale, di bilanciare lo scopo legittimo perseguito dal legislatore con i diritti di coloro i quali sono colpiti dalla sanzione. Al fine di valutare la proporzionalità della confisca, la sentenza in esame per contro indica, quali elementi che «possono essere presi in considerazione», «la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione delle opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che essa può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti, o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione» (paragrafo 301).
3.4.1.– Della necessità di un adeguamento delle modalità applicative della confisca per lottizzazione abusiva ai contenuti della sentenza G.I.E.M. si è per tempo fatta carico la giurisprudenza di legittimità, che ha innanzi tutto ribadito la necessità che il giudice verifichi la pertinenza delle aree e delle eventuali opere confiscate a quelle direttamente interessate dall’attività lottizzatoria, ciò che richiede un accertamento effettuato dal giudice del merito basato su dati materiali oggettivi e supportato da adeguata e specifica motivazione, sindacabile anche in sede di legittimità (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 26 febbraio 2019, n. 8350 e 4 aprile 2019, n. 14743).
Tale orientamento ha trovato ulteriore conferma nel principio per cui in caso di declaratoria di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta prescrizione all’esito del giudizio di impugnazione, il giudice d’appello e la Corte di cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis del codice di procedura penale, a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca urbanistica anche al fine di verificare il rispetto del principio di proporzionalità della sua applicazione (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 30 aprile 2020, n. 13539).
La recessività dell’orientamento secondo cui la confisca è una sanzione da applicarsi automaticamente, rispetto alla quale il giudice è privo di qualsiasi potere di valutarne l’an e il quomodo, è dimostrata anche dal fatto che essa può essere evitata laddove, prima che la sentenza che accerti la sussistenza dei presupposti della lottizzazione abusiva diventi definitiva, sia intervenuta l’integrale demolizione di tutte le opere eseguite in attuazione dell’intento lottizzatorio, unitamente alla eliminazione dei pregressi frazionamenti e delle loro conseguenze, così che la riconduzione dell’area lottizzata alle condizioni precedenti all’abuso sia effettiva e integrale (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 aprile 2020, n. 12640, e sezione quarta penale, sentenza 25 marzo 2021, n. 11464).
3.4.2.– L’applicazione della confisca urbanistica ad opera del giudice risente peraltro, in un’ottica di tendenziale residualità, delle concorrenti, legittime determinazioni dell’autorità amministrativa titolare del potere di programmazione urbanistica ed edilizia.
Con riguardo alla fase che precede l’adozione della misura giudiziale in discussione, infatti, assumono rilievo i provvedimenti adottati dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio comunale ai sensi dell’art. 30, commi 7 e 8, del d.P.R. n. 380 del 2001. Ove venga accertata dall’amministrazione una lottizzazione a scopo edificatorio priva della necessaria autorizzazione, tali provvedimenti comportano, tra l’altro, il divieto di disporre dei suoli e delle opere con atti tra vivi e l’acquisizione delle aree lottizzate al patrimonio disponibile del Comune, con l’ulteriore conseguenza della loro necessaria demolizione, la cui effettività è anche assistita, in caso di inerzia del Comune, dall’intervento in funzione sostitutiva della Regione (art. 31, comma 8, del d.P.R. n. 380 del 2001).
Al di là di quanto previsto dall’art. 30, commi 7 e 8, del d.P.R. n. 380 del 2001, in vista dell’adozione della misura ablatoria ad opera del giudice, possono inoltre assumere rilievo i provvedimenti adottati dall’autorità amministrativa prima del passaggio in giudicato della sentenza, i quali, pur non producendo effetti riguardo all’accertamento del reato di lottizzazione, sono ritenuti nondimeno idonei a impedire l’applicazione della confisca ad opera del giudice, come il riconoscimento ex post della conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici vigenti (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 26 febbraio 2019, n. 8350). Anche dopo il passaggio in giudicato, infine, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’amministrazione conserva una piena potestà di programmazione e di gestione del territorio, fermo restando che dall’adeguamento successivo dell’area e degli edifici acquisiti per effetto della confisca ovvero dall’adozione di nuovi strumenti urbanistici non può farsi derivare un “retro-trasferimento” della proprietà in favore dei privati già destinatari dell’ordine di confisca, restando piuttosto il Comune legittimato a trasferire a titolo oneroso la proprietà dei terreni e dei manufatti a tutti o a parte dei precedenti proprietari, ove tale valutazione sia assistita da una finalità legittima (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 29 ottobre 2019, n. 43880).
3.5.– Nella considerazione sistematica della confisca urbanistica e della sua proporzionalità non può, infine, non essere evidenziato che ai terzi acquirenti destinatari della misura ablativa comunque applicata dal giudice resta aperta la strada, nei confronti dei responsabili diretti dell’illecito lottizzatorio, dell’azione risarcitoria (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 24 gennaio 2017, n. 3606). Così come, sempre sul piano della tutela civilistica degli acquirenti, non può non rilevarsi che gli atti di acquisto di beni oggetto di lottizzazione abusiva sono nulli, con tutte le conseguenze che da tale qualificazione discendono in termini di ripetizione dell’indebito oggettivo e dell’eventuale risarcimento del danno.
4.– Poste tali necessarie premesse, si può tornare ad esaminare l’eccezione di inammissibilità avanzata dall’Avvocatura generale dello Stato.
4.1.– Tale eccezione non può essere accolta.
L’Avvocatura imputa al rimettente di non aver preso in considerazione un’alternativa ermeneutica che tuttavia esso evidentemente esclude, poiché la eccepita illegittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 non è fondata sulla pretesa impossibilità di scongiurare l’applicazione della confisca nel caso in cui vi sia un una riconduzione dello stato dei luoghi e delle opere a quello precedente l’intervenuta lottizzazione, ma sulla diversa preclusione della possibilità di condizionare la confisca all’adeguamento parziale delle opere abusive alle prescrizioni urbanistiche e tecnico-edilizie violate nella realizzazione dell’intento lottizzatorio.
Muovendo dall’individuazione di tale motivo di censura nei confronti della disposizione in esame, la Corte rimettente ha quindi consapevolmente escluso una diversa interpretazione della stessa, idonea in ipotesi a renderla conforme al quadro dei principi costituzionali e convenzionali asseritamente violati. Ciò, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, esclude l’inammissibilità della questione (da ultimo, sentenze n. 59 e n. 32 del 2021, n. 123 e n. 11 del 2020, n. 189 e n. 12 del 2019).
5.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 sollevata dalla Corte d’appello di Bari deve essere comunque ritenuta inammissibile per un distinto ordine di ragioni.
5.1.– Come si è detto, il rimettente pone a fondamento delle censure la necessità che l’applicazione della confisca urbanistica possa essere graduata dal giudice mediante la previsione di un onere di adeguamento parziale delle opere realizzate alle legittime prescrizioni urbanistiche, così da porre rimedio alla sproporzione determinata dal sacrificio che i terzi acquirenti subirebbero dall’esecuzione della confisca come sanzione da disporsi in via automatica, pur in presenza di difformità solo parziali rispetto all’originario piano di lottizzazione e di un grado lieve di partecipazione colposa alla realizzazione dell’illecito.
Questa Corte ha già chiarito che la natura amministrativa della sanzione in esame non è di per sé incompatibile con il fatto che essa debba essere irrogata nel rispetto di quanto prevede l’art. 7 CEDU per le sanzioni di natura punitiva, considerato che ciò corrisponde alla necessità di salvaguardare l’effettività delle garanzie convenzionali e i connessi profili sostanziali di tutela, senza con questo sacrificare la discrezionalità del legislatore nel configurare gli illeciti amministrativi come autonomi dal diritto penale, nel rispetto del principio di sussidiarietà (sentenza n. 49 del 2015 e ordinanza n. 187 del 2015, in riferimento alla sentenza n. 487 del 1989). Tale doppio binario garantisce che «il recepimento della CEDU nell’ordinamento giuridico si muov[a] nel segno dell’incremento delle libertà individuali, e mai del loro detrimento (sentenza n. 317 del 2009)» (sentenza n. 68 del 2017), così da consentire ad essa di operare «quale strumento preposto, pur nel rispetto della discrezionalità legislativa degli Stati, a superare i profili di inquadramento formale di una fattispecie, per valorizzare piuttosto la sostanza dei diritti umani che vi sono coinvolti, e salvaguardarne l’effettività» (sentenza n. 49 del 2015).
Analogamente, seppure «non può dubitarsi che il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito sia applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative» e che la confisca, per la sua incidenza sulla sfera patrimoniale del singolo, sia vincolata anche al rispetto del principio di proporzionalità di cui all’art. 1 Prot. addiz. CEDU (sentenza n. 112 del 2019), è nondimeno doveroso ritenere che questo si atteggi in modo diverso, offrendo corrispondentemente una tutela di diversa intensità, a seconda della struttura delle fattispecie sanzionatorie e delle finalità da esse perseguite.
Così, l’impossibilità di prescindere – nella valutazione di adeguatezza della sanzione al caso specifico – dalla «concreta valutazione degli specifici comportamenti messi in atto nella commissione dell’illecito» (sentenza n. 161 del 2018), se da un lato conduce a ritenere non più conforme al quadro costituzionale e convenzionale che l’applicazione della confisca urbanistica avvenga in modo automatico e indifferente alle circostanze del caso di specie, dall’altro lato, tuttavia, non implica che ciò debba necessariamente condurre all’attribuzione al giudice di uno strumento – come quello di cui il rimettente auspica l’introduzione – idoneo a trasformare alla radice la sanzione della confisca urbanistica e ad attenuarne la portata e gli effetti rispetto al reato di lottizzazione abusiva cui essa accede, sovvertendone così la funzione individuata dal legislatore nell’esercizio della sua discrezionalità. Del resto, la stessa sentenza G.I.E.M., in linea di continuità con i precedenti prima richiamati, annovera la confisca per lottizzazione abusiva tra le misure ricadenti nel perimetro del secondo paragrafo dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, ai sensi del quale resta in capo agli Stati il diritto «di emanare leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende» (paragrafo 291).
5.2.– Come si è già detto al punto 3.1., la lottizzazione abusiva è contrassegnata, nel sistema degli illeciti urbanistici, da un grado di offensività particolarmente elevato, in quanto attenta alla stessa funzione programmatoria urbanistica e perché è idonea a dar luogo a un’alterazione strutturale (e in taluni casi irreversibile) delle caratteristiche morfologiche e funzionali del territorio, atteso che «mette [il Comune] di fronte al fatto compiuto di insediamenti disordinati e privi dei requisiti di vivibilità, ossia potenzialmente privi di servizi e delle infrastrutture necessarie al vivere civile» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 17 luglio 2020, n. 4604).
Proprio queste caratteristiche si pongono a fondamento del complesso sistema sanzionatorio che circonda tale fattispecie e che vede il giudice intervenire in via tendenzialmente suppletiva, mediante l’adozione della misura ablatoria, solo laddove a tale esito non si sia giunti per effetto della previa adozione, da parte del Comune, dei provvedimenti previsti dall’art. 30, commi 7 e 8, del d.P.R. n. 380 del 2001 e delle altre, eventuali, determinazioni dell’autorità amministrativa richiamate supra, al punto 3.4.2.
Tale specifico concorso di strumenti (amministrativi e giudiziale) volti al ripristino dell’interesse pubblico leso dall’abusivo intervento lottizzatorio denota peraltro l’impossibilità di applicare a quest’ultimo forme di sanatoria riconosciute dalla legislazione urbanistica, come quella contenuta nell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, riferita a differenti interventi abusivi e vincolata al requisito della “doppia conformità”. Questa Corte, con la richiamata sentenza n. 148 del 1994, ha chiarito come il diverso regime tra le due fattispecie «si fonda su peculiarità di fatto in ordine alle situazioni apprezzate dal legislatore che, lungi dall’essere determinate dalle norme denunziate, attengono all’entità degli interessi urbanistici compromessi nei due casi».
Per le medesime ragioni, non appare in alcun modo utilmente invocabile quale tertium comparationis – contrariamente a quanto sembra ritenere la Corte d’appello rimettente – la fattispecie prevista dall’art. 98, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, il quale, in materia di vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche, consente al giudice che accerti la violazione delle prescrizioni del Capo IV dello stesso testo unico il potere, in alternativa, di ordinare la demolizione delle opere ovvero di «imparti[re] le prescrizioni necessarie per rendere le opere conformi alle norme stesse, fissando il relativo termine».
A fronte di tale articolato e differenziato quadro normativo e dello specifico trattamento sanzionatorio previsto per la lottizzazione abusiva, il rimettente chiede che, per il tramite dell’invocata possibilità di disporre un adeguamento parziale in luogo della confisca di cui alla disposizione censurata, si introduca un nuovo strumento del tutto eccentrico rispetto al sistema degli illeciti urbanistici.
Un simile intervento additivo, in disparte il problema della sua effettiva riconducibilità alle indicazioni contenute nella richiamata sentenza G.I.E.M., si rivela comunque estraneo all’ambito di intervento di questa Corte, perché comporterebbe l’immissione nell’ordinamento di una «novità di sistema» (sentenze n. 103 del 2021, n. 250 del 2018 e n. 250 del 2012; ordinanza n. 266 del 2014), che richiede «soluzioni normative che mai potrebbero essere apprestate in questa sede, implicando […] scelte di modi, condizioni e termini che non spetta alla Corte stabilire» (sentenza n. 148 del 1994). Sarebbe infatti necessario disciplinare il raccordo tra autorità amministrativa e autorità giurisdizionale, quanto meno al fine di valutare il tipo di interventi ripristinatori e la loro conformità alle regole della pianificazione urbanistica, anche in considerazione del fatto che «il giudice penale non ha competenza “istituzionale” per compiere l’accertamento di conformità delle opere agli strumenti urbanistici» (sentenza n. 370 del 1988; analogamente, sentenza n. 196 del 2004).
La questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, sollevata dalla Corte d’appello di Bari, deve pertanto essere dichiarata inammissibile.