Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 13-16 luglio 2020 e depositato il 20 luglio 2020 (reg. ric. n. 60 del 2020), la Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 112 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), prima della conversione in legge, nel testo risultante dall’avviso di rettifica pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 129, serie generale, del 20 maggio 2020, per contrasto con gli artt. 3, 5, 114, 118 e 119 della Costituzione.
La disposizione è impugnata nella parte in cui non prevede che siano ammessi a beneficiare del fondo di 200 milioni di euro per l’anno 2020 «i Comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi», in base alla formola adoprata nella versione antecedente alla suddetta rettifica «oppure secondo altra formulazione indicata dalla Corte stessa».
1.1.– Come riporta la ricorrente, nella versione originaria dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, al fondo istituito presso il Ministero dell’interno accedevano – e accedono tuttora – i Comuni delle Province di cui «al comma 6 dell’art. 18 del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23», recante «Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali», ossia le Province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza, «nonché i comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi».
In forza della puntuale ricostruzione della successione normativa che ha interessato la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, la difesa regionale afferma che la Regione Veneto sarebbe stata interessata dalle zone rosse già a partire dal d.P.C.m. 23 febbraio 2020 (Disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19).
Inoltre, e ben più significativamente per la ricorrente, il d.P.C.m. 8 marzo 2020 (Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), ulteriormente ampliando le misure restrittive, ha rimodulato le aree territoriali ove queste ultime dovessero trovare applicazione, facendovi rientrare – per ciò che rileva nel presente giudizio – anche le Province di Padova, Treviso e Venezia.
Non solo quest’ultimo d.P.C.m. sarebbe stato vigente fino al 13 aprile 2020, vale a dire per un periodo di tempo superiore a trenta giorni consecutivi, ma la Regione Veneto avrebbe, altresì, adottato misure di contenimento più restrittive, mediante proprie ordinanze rimaste in vigore fino a domenica 3 maggio 2020.
1.2.– In base all’originaria formulazione dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, avrebbero pertanto dovuto considerarsi zone rosse anche le Province di Padova, Treviso e Venezia, le quali, invece, sono state escluse dal fondo istituito presso il Ministero dell’interno in forza dell’avviso di rettifica che ha espunto, dalla rubrica e dal testo del citato articolo, ogni riferimento «ai comuni dichiarati zona rossa».
La Regione, al fine delle impugnazioni svolte nel presente giudizio, presuppone la legittimità del suddetto avviso, ritenendo pertanto che «il testo vigente dell’art. 112 del decreto-legge n. 34/2020 sia quello depurato del noto inciso»; pur se chiarisce espressamente che, sulla rettifica così operata, possono nutrirsi fondati dubbi, che verranno fatti valere in sede di conflitto di attribuzione tra enti.
1.3.– In primo luogo, la ricorrente ritiene che l’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020 si ponga in contrasto con l’art. 3 Cost.
1.3.1.– In via preliminare, la Regione (richiamando alcuni passi della sentenza n. 155 del 2006 di questa Corte) si dice consapevole, per un verso, che la censura non possa assumere autonomo rilievo, ma deve essere tale da rendere manifesto un vulnus alla propria sfera di competenza, che nello specifico attiene all’autonomia amministrativa e finanziaria; e, per l’altro, che vi sia una motivazione sufficiente in ordine ai profili di una possibile ridondanza delle predette violazioni sul riparto di competenza, mediante l’indicazione della specifica competenza che risulterebbe lesa e le ragioni di tale lesione (si cita la sentenza n. 56 del 2020).
1.3.2.– Nel caso in esame, le attribuzioni costituzionali regionali coinvolte sono quella amministrativa, di cui all’art. 118 Cost., e quella finanziaria, ex art. 119 Cost., che sarebbero state menomate dall’esclusione dei Comuni delle Province di Padova, Treviso e Venezia. Se tali Comuni fossero stati ammessi ad usufruire dei benefici, questi ultimi sarebbero divenuti risorsa da includere in una posta di bilancio alla voce «“interventi di sostegno di carattere economico e sociale connessi con l’emergenza sanitaria Covid-19”». La Regione Veneto ritiene, pertanto, che «[d]all’esclusione, consegue l’evidente menomazione di competenze attinenti l’amministrazione e la finanza, che la Regione […] fa valere […] con specifico riferimento alla sfera di autonomia – oltre che propria – degli enti locali» (si cita la sentenza n. 298 del 2009 di questa Corte). A ciò la ricorrente aggiunge che l’assenza di queste disponibilità da parte dei Comuni obbligherebbe la Regione ad intervenire, sottraendo in tal modo risorse autonome, destinate a fronteggiare urgenze dell’intera comunità regionale.
1.3.3.– Nel merito, a parere della Regione Veneto, l’esclusione operata dalla disposizione impugnata configurerebbe «la più classica violazione dell’art. 3» Cost., in quanto l’esclusione dei Comuni ricadenti nella zona rossa delle Province di Padova, Treviso e Venezia, risulterebbe irragionevole. Nello specifico, la ricorrente si duole dell’esclusione degli enti dichiarati zona rossa e rientranti in tali Province, i quali verserebbero nelle medesime condizioni degli enti inclusi tra i destinatari delle risorse del fondo istituito dalla disposizione impugnata, e verso i quali il trattamento avrebbe dovuto, invece, essere identico a quello previsto per gli enti inclusi. Gli enti esclusi avrebbero, pertanto, dovuto ricevere lo stesso trattamento riconosciuto a quelli ricompresi nella formulazione dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, così come risultanti a seguito della rettifica.
Da ciò deriverebbe l’illegittimità costituzionale della disposizione impugnata, nella parte in cui non prevede che siano ammessi a beneficiare «del Fondo di 200 milioni di euro per l’anno 2020 “i Comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi”», ossia i Comuni delle zone rosse delle Province di Padova, Treviso e Venezia, «oppure secondo altra formulazione indicata dalla Corte stessa».
1.4.– La Regione Veneto denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, anche per violazione degli artt. 5, 114, 118 e 119 Cost.
1.4.1.– Riguardo alla violazione dell’art. 5 Cost., la ricorrente deduce che l’esclusione dal fondo istituito dalla disposizione impugnata produrrebbe «il singolare effetto di beneficare due volte le comunità territoriali ammesse: per la parte spettante e per quella, non spettante, acquisita a carico dei beneficiari illegittimamente esclusi»; in tal modo, verrebbero discriminate le relative popolazioni e si obbligherebbe la Regione Veneto ad attivarsi al fine di ridurre lo svantaggio conseguente. Verrebbe, in altri termini, a determinarsi una lesione del principio autonomistico, poiché verrebbero riservati trattamenti differenziati a centri di autonomia che versano nelle medesime condizioni. Tale irragionevole sottrazione di risorse, derivante dall’impoverimento economico-finanziario e determinato dalla disposizione impugnata, porterebbe a disattendere l’uniformità del regime giuridico, in una situazione in cui detta uniformità si rivela essenziale. Tale ultimo rilievo, che a parere della difesa regionale sarebbe «scontato a lume di buon senso», si fonderebbe peraltro anche sulla giurisprudenza di questa Corte (si richiamano le sentenze n. 171 del 2018 e n. 58 del 2007).
1.4.2.– Risulterebbe violato anche l’art. 114 Cost., poiché l’irragionevole discriminazione, che ha riguardato i Comuni delle Province venete escluse dal fondo istituito dalla disposizione impugnata, avrebbe fatto venir meno «il necessario coordinamento imparziale delle competenze, le quali saranno esercitate dagli enti territoriali interessati […] in condizioni comparativamente degradate», pur versando in identiche situazioni di fatto rispetto ai Comuni ammessi al suddetto fondo.
1.4.3.– Sarebbe, inoltre, violato l’art. 118 Cost. e, nella specie, non sarebbero stati rispettati i principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Secondo la ricorrente, l’«interferenza nell’esercizio delle funzioni amministrative locali» inciderebbe sulla posizione prioritaria che dovrebbe essere riconosciuta ai Comuni, allorché si decida sull’allocazione delle funzioni amministrative. In forza della norma impugnata, sarebbe «[i]nnegabile, nel caso concreto, la menomazione di questa potestà», poiché questa avrebbe ad oggetto «“interventi di sostegno di carattere economico e sociale” spettanti» a tali enti.
1.4.4.– Da ultimo, la Regione Veneto denuncia il contrasto con l’art. 119 Cost., poiché la mancata iscrizione nei bilanci comunali delle dotazioni finanziarie previste dall’art. 112 del d.l. n. 32 del 2020 inciderebbe sull’autonomia finanziaria di entrata e di spesa dei Comuni e determinerebbe una «sopravvenuta carenza», la quale, dovendo essere verosimilmente colmata dalla Regione, determinerebbe anche una illegittima compressione dell’autonomia finanziaria di quest’ultima.
2.– Con atto depositato il 20 agosto 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che siano dichiarate inammissibili e, comunque sia, infondate tutte le questioni di legittimità costituzionale promosse con il ricorso.
2.1.– In primo luogo, lo Stato ritiene inammissibile il ricorso per carenza di interesse, in quanto le provvidenze economiche, che la ricorrente ritiene siano state illegittimamente sottratte ai Comuni veneti dalla disposizione impugnata, sono poi state riconosciute ai suddetti Comuni con l’art. 112-bis dello stesso d.l. n. 34 del 2020, nel testo risultante dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77.
Tale disposizione – la quale, come si vedrà, è stata essa stessa impugnata con successivo ricorso dalla Regione Veneto – ha infatti disposto, al comma 1, che, «[i]n considerazione dell’emergenza sanitaria da COVID-19 che ha interessato comuni non compresi tra quelli previsti dall’articolo 112, nello stato di previsione del Ministero dell’interno è istituito un fondo con una dotazione di 40 milioni di euro per l’anno 2020, finalizzato al finanziamento di interventi di sostegno di carattere economico e sociale in favore dei comuni particolarmente colpiti dall’emergenza sanitaria».
2.2.– In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene il ricorso inammissibile anche per carenza di legittimazione ad agire, poiché la ricorrente si sarebbe limitata a generiche recriminazioni e non avrebbe, invece, indicato le ripercussioni reali che si sarebbero verificate nell’esercizio delle proprie prerogative costituzionali relative all’autonomia amministrativa e finanziaria.
Richiamando la giurisprudenza di questa Corte, la difesa statale pone in evidenza, infatti, che la lesione delle competenze costituzionali deve essere concreta e attuale, non potendo, invece, essere semplicemente ipotizzata o paventata in relazione a un intervento normativo primario che si assume illegittimo (il richiamo è alla sentenza n. 28 del 2018). E si aggiunge – sempre richiamando la giurisprudenza di questa Corte – che le Regioni possono evocare parametri diversi da quelli che sovraintendono il riparto di competenza solo se la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite e sia, altresì, adeguatamente motivata la ridondanza della lamentata illegittimità costituzionale sul riparto di competenze costituzionalmente stabilito.
2.3.– Il ricorso, poi, sarebbe ad ogni modo infondato.
2.3.1.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’avviso di rettifica, da cui sarebbe derivata la denunciata illegittimità costituzionale dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, sarebbe stato effettivamente finalizzato a correggere e a riportare ad unità e coerenza il complesso normativo dettato dalla citata disposizione.
Mediante tale intervento – non censurabile «né nella forma (avviso di rettifica) né nella sostanza (art. 112 + 112-bis)» – il legislatore avrebbe inteso, infatti, distinguere gli interventi fra i Comuni lombardi e gli altri Comuni, compresi quelli veneti, al fine di evitare «provvidenze “a pioggia”» e, in questo modo, calibrare gli interventi in relazione alle diverse condizioni nelle quali si erano venuti a trovare i Comuni lombardi rispetto agli altri.
2.3.2.– Non sarebbero stati violati gli artt. 3 e 5 Cost., poiché, anche ai Comuni veneti, sarebbe stata «attribuita una sovvenzione finanziaria», ad opera dell’art. 112-bis, introdotto dalla legge di conversione n. 77 del 2020, la quale sarebbe commisurata alla gravità, all’incidenza epidemiologica ed al numero degli abitanti colpiti, senza che si sia determinata la denunciata violazione dei principi che regolano l’attività delle autonomie locali.
2.3.3.– Neppure risulterebbero «violati gli altri parametri costituzionali evocati», atteso che – così sostiene la difesa statale – le risorse finanziarie disponibili sarebbero state attribuite in relazione a precisi parametri di incidenza e diffusione dell’epidemia nel contesto socio-economico locale, «secondo criteri razionali ed equilibrati, mai censurati».
3.– Con ricorso notificato il 9-11 settembre 2020 e depositato il 15 settembre 2020 (reg. ric. n. 82 del 2020), la Regione Veneto ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 112, commi 1 e 1-bis, e 112-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito.
3.1.– Al riguardo delle censure sull’art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, la Regione ripropone le argomentazioni e le conclusioni già esposte nell’atto introduttivo, iscritto al registro ricorsi n. 60 (si rinvia pertanto a quanto già esposto supra al punto 1).
3.2.– L’art. 112, comma 1-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, è impugnato perché contiene una previsione specifica riguardante il Comune di San Colombano al Lambro, rispetto alla quale la Regione afferma di non avere, «[i]n sé e per sé, nulla da eccepire», poiché sarebbe un ente locale «gravemente colpito da COVID-19», ma che risulterebbe per la ricorrente «arduo resistere alla tentazione di obiettare al legislatore statale che non è legittimo procedere evitando di trattare allo stesso modo chi versa nelle medesime condizioni».
In altri termini, sarebbe stata perpetrata la disparità di trattamento nei confronti dei Comuni veneti rientranti nelle Province di Padova, Treviso e Venezia e, pertanto, le violazioni dei parametri 3, 5, 114, 118 e 119 Cost. denunciate in riferimento al comma 1 del medesimo articolo.
3.3.– La Regione impugna, infine, l’art. 112-bis del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, – chiarendo che, al pari dell’impugnazione del comma 1-bis del medesimo articolo, anche tale impugnazione «ha ragion d’essere fintantoché vige il testo rettificato dell’art. 112, 1° co.» – che renderebbe ancora più palesi le divergenze, rispetto a quel che prevede la Costituzione agli artt. 3, 5, 97, 114, 118 e 119.
La difesa regionale preliminarmente offre una interpretazione della disposizione impugnata, lamentandone l’essere «caotica». Si sostiene, infatti, che tale disposizione, nell’individuare i suoi destinatari «“nei comuni non compresi tra quelli previsti dall’art. 112», si riferirebbe, escludendoli, in generale, ai Comuni inclusi in una zona rossa; a ciò verrebbe tuttavia aggiunto che la disposizione si riferirebbe ai Comuni «“particolarmente colpiti dall’emergenza sanitaria”». Dalla richiamata formulazione letterale, la difesa regionale conclude che, prima facie, la disposizione parrebbe non riferirsi ai Comuni inclusi in una zona rossa, anche se, al comma 3, si precisa che «“[a]l fine della ripartizione del fondo (...) si tiene conto (...) dei Comuni individuati come zona rossa o compresi in una zona rossa (...) per un periodo non inferiore a quindici giorni».
Dagli artt. 112, comma 1, e 112-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, si ricaverebbe, pertanto, che i Comuni delle Province di Padova, Treviso e Venezia, «inclusi in zone rosse per un periodo superiore a trenta giorni», per un verso, sarebbero stati esclusi dai benefici spettanti ai Comuni che versano nelle medesime condizioni, così ai sensi dell’art. 112, comma 1, del citato decreto-legge; per l’altro, sono stati declassati «a Comuni particolarmente colpiti dall’emergenza sanitaria» e, pertanto, destinati a fruire a titolo preferenziale in sede di riparto di un fondo da 40 milioni di euro.
Da ciò risulterebbe in modo «[e]vidente […] la discriminazione, quale effetto di assimilazioni di fattispecie disomogenee, che implicano la denunciata violazione» degli evocati «parametri costituzionali (nei termini indicati sub A)», ossia secondo le argomentazioni svolte in riferimento all’art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito.
Anche l’art. 97 Cost. risulterebbe violato dalla disposizione impugnata, poiché la forzata esclusione dei Comuni aventi titolo al beneficio – appartenenti alle Province di Padova, Treviso e Venezia – risulterebbe ledere i principi di imparzialità e di buon andamento dell’amministrazione.
4.– Con atto depositato il 21 ottobre 2020, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, si è costituito in giudizio, chiedendo che siano dichiarate inammissibili e, comunque sia, infondate tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso.
4.1.– Preliminarmente il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene inammissibile il ricorso per difetto di legittimazione ad agire.
Con argomentazioni identiche a quelle spese nell’atto di costituzione del giudizio iscritto al registro ricorso n. 60 del 2020 (punto 2.2. del Ritenuto in fatto), l’eccepita carenza di legittimazione ad agire sarebbe determinata dalla circostanza che la Regione non avrebbe indicato le ripercussioni reali che si sarebbero verificate nell’esercizio delle proprie prerogative costituzionali, relative all’autonomia amministrativa e finanziaria, essendosi, al contrario, limitata a generiche recriminazioni.
4.2.– Il ricorso sarebbe, comunque sia, infondato.
4.2.1.– La difesa statale mette in evidenza che, con la legge di conversione n. 77 del 2020, il legislatore avrebbe confermato per l’anno 2020 la dotazione di 200 milioni del fondo istituito con l’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, finalizzato al sostegno straordinario di natura economica e sociale dei Comuni delle Province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza, aggiungendo il Comune di San Colombano al Lambro.
La limitazione dei Comuni beneficiari troverebbe giustificazione nel fatto che le indicate Province avrebbero fatto registrare i più elevati tassi di contagio e di mortalità, in misura non comparabile con quelli circoscritti ai singoli Comuni, pur dichiarati zona rossa.
Al riguardo – sostiene l’Avvocatura generale – questa Corte avrebbe ammesso la possibilità per lo Stato di destinare risorse aggiuntive in favore di specifici Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni per determinati scopi, pure diversi dall’esercizio delle loro funzioni.
4.2.2.– Anche in riferimento all’impugnato art. 112-bis, inserito in sede di conversione del d.l. n. 34 del 2020, sarebbero prive di fondamento le censure mosse dalla ricorrente.
Deduce la difesa statale che la disposizione sarebbe stata adottata proprio al fine di dare sostegno anche agli altri Comuni, i quali, in applicazione delle norme statali o regionali, sono stati individuati come zona rossa o che hanno avuto un numero elevato di casi di contagio e di decessi da COVID-19. A tal fine si sarebbe istituito, infatti, presso il Ministero dell’interno, un fondo di 40 milioni di euro per l’anno 2020, da ripartire sulla base della popolazione residente.
4.3.– Dal delineato contesto normativo si ricaverebbe, pertanto, che le disposizioni impugnate rientrerebbero nelle competenze statali in materia di perequazione finanziaria, poiché, come avrebbe chiarito questa Corte, i fondi come quelli previsti dalle norme impugnate sarebbero istituiti dallo Stato a tutela di peculiari esigenze e finalità di coesione economica e sociale (si citano le sentenze n. 174 del 2017 e n. 16 del 2010).
In altri termini, tali fondi recherebbero risorse aggiuntive rispetto a quelle necessarie per l’esercizio delle ordinarie funzioni regionali, alla luce di valutazioni di interesse nazionale.
Su tali basi, l’intervento additivo invocato dalla Regione Veneto rientrerebbe nell’ambito delle scelte di bilancio che comportano decisioni di natura politico-economica, costituzionalmente riservate alla determinazione del Governo e del Parlamento (si richiama la sentenza n. 84 del 2018).
Ciò chiarito, la difesa statale ritiene, riproponendo le argomentazioni già svolte avverso le censure espresse dalla ricorrente sull’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, che non risulterebbero violati gli artt. 3 e 5 Cost., poiché anche ai Comuni veneti è stata attribuita una sovvenzione finanziaria commisurata alla gravità dell’incidenza epidemiologica ed al numero degli abitanti colpiti. Da tale distribuzione delle risorse non potrebbe configurarsi la denunciata violazione dei principi che regolano l’attività delle autonomie locali.
Neppure risulterebbero violati «gli altri parametri costituzionali evocati», posto che le risorse finanziarie disponibili sarebbero state attribuite in relazione a precisi indici di incidenza e diffusione dell’epidemia nel contesto socio-economico locale, in base a «criteri razionali ed equilibrati».
5.– La Regione Veneto ha promosso, altresì, conflitto di attribuzioni tra enti (reg. confl. enti n. 4 del 2020) nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento all’avviso di rettifica del d.l. n. 34 del 2020.
Tale avviso di rettifica, nel sopprimere il riferimento ai «comuni dichiarati zona rossa» nella rubrica e nel testo dell’art. 112, impedendo così alle Province di Padova, Treviso e Venezia di essere destinatarie degli stanziamenti previsti dalla citata disposizione, avrebbe menomato le attribuzioni regionali e dovrebbe, pertanto, essere annullato per violazione dell’art. 77 Cost., «nonché degli artt. 3, 5, 97, 114, 118 e 119 Cost.», previa dichiarazione che non spettava allo Stato modificare l’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, attraverso il ricorso ad uno strumento non legislativo.
5.1.– La Regione Veneto denuncia, anzitutto, la violazione dell’art. 77 Cost., in quanto l’avviso non avrebbe prodotto gli effetti propri di una rettifica, rispetto all’enunciato rettificato, ma avrebbe, invece, alterato il «decisum», e cioè il contenuto della deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 13 maggio 2020 per approvare il decreto-legge.
L’odierno ricorso si fonderebbe, dunque, sulla convinzione che l’avviso di rettifica non abbia i caratteri per esso prescritti dalle leggi dello Stato e non rispetti principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale, dal momento che «nulla è dato sapere circa la data, la paternità e la sottoscrizione del nuovo enunciato».
Concludendo sul punto, la Regione Veneto ritiene che l’avviso di rettifica violi l’art. 77 Cost., «dal momento che ha introdotto una modifica dell’enunciato dell’art. 112 del decreto-legge n. 34/2020 in forma non legislativa».
5.2.– Secondo la ricorrente, a «questo profilo di illegittimità, che riguarda la forma dell’atto, altri se ne collegano, tutti connessi a lesioni sostanziali della Legge fondamentale».
In primo luogo, l’atto impugnato violerebbe l’art. 3 Cost., in quanto l’esclusione, operata attraverso l’avviso di rettifica, configurerebbe la più classica violazione del principio di eguaglianza, dal momento che l’esclusione dei Comuni ricadenti in “zona rossa” delle Province di Padova, Treviso e Venezia risulterebbe irragionevole, trovandosi questi nelle medesime condizioni degli altri Comuni che hanno ricevuto le provvidenze statali. Ciò ridonderebbe sulle attribuzioni regionali in materia di autonomia amministrativa e autonomia finanziaria.
Sarebbero poi violati gli artt. 5, 97, 114, 118 e 119 Cost., rispetto ai quali, la ricorrente, pur riferendole all’impugnato avviso, riproduce le argomentazioni già spese nei ricorsi n. 60 e n. 82 del 2020 in relazione all’art. 112, delle quali si è già detto.
6.– Anche in questo giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che sia dichiarato inammissibile e, comunque sia, infondato il ricorso.
6.1.– In primo luogo, e analogamente a quanto sostenuto in relazione al ricorso n. 60 del 2020, il resistente ritiene inammissibile il ricorso per carenza di interesse, in quanto le provvidenze economiche, che la ricorrente ritiene siano state illegittimamente sottratte ai Comuni veneti dalla disposizione impugnata, sono poi state riconosciute ai suddetti Comuni con l’art. 112-bis dello stesso d.l. n. 34 del 2020, nel testo convertito in legge.
6.2.– In secondo luogo, il ricorso sarebbe inammissibile anche per carenza di legittimazione ad agire, non avendo la Regione indicato quali ripercussioni reali si sarebbero verificate per l’esercizio delle proprie prerogative costituzionali ed essendosi limitata a dedurre generiche recriminazioni.
In ogni caso, infondati sarebbero i motivi di ricorso, in quanto, con il contestato avviso di rettifica, lo Stato avrebbe inteso correggere e riportare ad unità e coerenza il complesso normativo e calibrare gli interventi in relazione alle diverse condizioni «nelle quali si erano venuti a trovare i comuni lombardi rispetto agli altri». Pertanto l’intervento non sarebbe censurabile in alcun modo: né nella forma (avviso di rettifica), né nella sostanza.
7.– In data 26 febbraio 2021, la Regione Veneto ha depositato memorie di analogo contenuto, con le quali ha risposto alle deduzioni del Presidente del Consiglio dei ministri avverso i ricorsi n. 60 e n. 82 del 2020, insistendo per l’accoglimento dei ricorsi.
7.1.– La Regione Veneto, ripercorrendo novamente i fatti e la serie di atti normativi che hanno caratterizzato la prima fase di gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, deduce l’erroneità della tesi dell’Avvocatura spesa per sostenere l’infondatezza nel merito della pretesa della ricorrente: ossia che la ratio dell’impugnato art. 112 risiederebbe nell’intensità e nella gravità del contagio per i singoli Comuni e non nell’essere stati dichiarati o ricompresi in una zona rossa. A parere della difesa regionale sarebbe, invece, quest’ultimo il criterio che avrebbe dovuto guidare la scelta governativa, poiché, proprio alla luce di tale criterio, emergerebbe l’analogia tra la situazione delle Province di Treviso, Padova e Venezia con quelle Province destinatarie del fondo istituito dalla norma impugnata e, di conseguenza, la natura discriminatoria della esclusione da questa operata.
I Comuni veneti, infatti, sarebbero stati interessati dalle misure restrittive, come i Comuni lombardi, sin dal febbraio dello scorso anno, così come sarebbero equiparabili le misure applicate in Lombardia e in Veneto e le loro conseguenze di carattere economico e sociale; dal che la ricorrente deduce che anche i rimedi compensativi dovrebbero essere gli stessi e di conseguenza l’illegittimità costituzionale della norma impugnata, la quale, in quanto annoverabile nella categoria delle leggi-provvedimento, dovrebbe essere sottoposta ad uno stretto scrutinio di ragionevolezza e non arbitrarietà, per il pericolo di disparità di trattamento insito in tale tipo di previsioni.
7.2.– Da ultimo, la difesa regionale deduce l’infondatezza delle eccezioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri sull’assenza di interesse ad agire e di legittimazione al ricorso.
La Regione Veneto ricorda che ad essa è riconosciuta una potestà legislativa concorrente in materia di tutela e sicurezza sul lavoro, di istruzione e formazione professionale, di valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, di ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi. Di una potestà legislativa residuale in materia di agricoltura, commercio, turismo e assistenza sociale. Relativamente a tali attribuzioni, la Regione sarebbe legittimata a porre in essere atti e provvedimenti amministrativi (art. 118 Cost.) e interventi di carattere finanziario (119 Cost.) destinati al sostegno delle comunità locali, in nome oltretutto del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost.
Proprio dalle richiamate competenze sarebbe dimostrato tanto l’interesse quanto la legittimazione a ricorrere.
8.– In prossimità dell’udienza, la Regione Veneto ha depositato memoria, anche nel giudizio instaurato con il ricorso per conflitto di attribuzione tra enti, con la quale ha contestato le tesi difensive del Presidente del Consiglio dei ministri, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
9.– In data 2 marzo 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria nella quale articola in maniera unitaria le deduzioni in riferimento, sia al ricorso per conflitto, sia al ricorso n. 60 del 2020.
9.1.– La difesa statale ribadisce che i ricorsi sarebbero inammissibili per carenza di interesse, dato che dal combinato disposto degli artt. 112 e 112-bis, come rispettivamente modificato e aggiunto dalla legge n. 77 del 2020, di conversione del d.l. n. 34 del 2020, si evincerebbe che nessun Comune colpito da misure restrittive urgenti è escluso dalle provvidenze stanziate dal Governo, e, pertanto, non vi sarebbe la lamentata invasione delle competenze regionali o la violazione dell’autonomia finanziaria o amministrativa regionale.
Si eccepisce, inoltre, integrando sul punto le deduzioni dell’atto di costituzione, la sopravvenuta cessazione della materia del contendere. Richiamando la giurisprudenza costituzionale, in base alla quale la cessata materia del contendere si può verificare allorché le norme censurate siano state modificate in senso satisfattivo delle pretese del ricorrente e, altresì, non abbiano avuto applicazione medio tempore, l’Avvocatura generale afferma che nella specie sarebbero sussistenti entrambe coteste condizioni. I Comuni veneti, infatti, potrebbero accedere al fondo previsto dalle norme censurate al pari di altri Comuni italiani colpiti dalle misure restrittive e, nelle more della conversione del decreto-legge, non si sarebbero cristallizzate situazioni giuridiche pregiudizievoli per la parte ricorrente. Sostiene, peraltro, la difesa statale che, per spirito di leale collaborazione, la Regione Veneto avrebbe ben potuto rinunciare ai primi due ricorsi a seguito del deposito dell’ultimo (reg. ric. n. 82 del 2020): risultando inutile la discussione sulla presunta invasione di attribuzioni regionali quando sarebbe in vigore una disciplina legislativa che concerne i Comuni veneti.
Come nell’atto di costituzione, inoltre, la difesa statale ribadisce la carenza di legittimazione ad agire della Regione Veneto, per non aver indicato quali ripercussioni si produrrebbero sulle prerogative regionali.
9.2.– Infine, la memoria rileva la non fondatezza delle censure promosse, ribadendo, nella sostanza, le ragioni esposte nell’atto di costituzione.
10.– In pari data, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato ulteriore memoria in riferimento al ricorso n. 82 del 2020, insistendo nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione.
Considerato in diritto
1.– La Regione Veneto ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 112 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 118 e 119 della Costituzione (reg. ric. n. 60 del 2020); nonché dell’art. 112, commi 1 e 1-bis, in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 118 e 119 Cost., e dell’art. 112-bis, in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 118 e 119 Cost., dello stesso d.l. n. 34 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77 (reg. ric. n. 82 del 2020).
2.– La Regione Veneto, con altro e distinto ricorso (reg. confl. enti n. 4 del 2020), ha altresì promosso conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, sorto a seguito dell’avviso di rettifica pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 129, serie generale, del 20 maggio 2020, con il quale si è corretto il testo dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, chiedendo a questa Corte di dichiarare che non spettava allo Stato adottare tale avviso, per modificare un atto avente forza di legge, e che deve pertanto essere annullato per violazione degli artt. 77, 3, 5, 97, 114, 118 e 119 Cost.
Giudizio, questo, che la ricorrente ritiene logicamente pregiudiziale rispetto ai ricorsi promossi in via principale, in quanto l’eventuale dichiarazione che non spettava allo Stato adottare il citato avviso e il contestuale annullamento dell’atto impugnato renderebbero superfluo l’esame delle censure contenute nel ricorso n. 60 del 2020 e aventi ad oggetto l’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020.
3.– Stante la evidente connessione soggettiva ed oggettiva fra i giudizi di legittimità costituzionale ed il giudizio per conflitto di attribuzione, questi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
4.– Al fine di analizzare le impugnazioni promosse è preliminarmente opportuno delineare le vicende normative che hanno riguardato le disposizioni impugnate.
L’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, nella versione originaria, prevedeva (e prevede tuttora) la costituzione presso il Ministero dell’interno di un fondo per l’anno 2020 al quale avrebbero potuto accedere i Comuni delle Province di cui «al comma 6 dell’articolo 18 del decreto legge 8 aprile 2020, n. 23», recante «Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali», ossia le Province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Piacenza, «nonché i comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi».
Con l’avviso di rettifica pubblicato in G.U. n. 129 del 2020 (d’ora in avanti: avviso di rettifica), vengono corrette la rubrica e il testo dell’impugnato art. 112, sopprimendo, nella prima, le parole «e comuni dichiarati zona rossa» e, al comma 1, primo periodo, le parole «nonché i comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi».
A seguito dell’avviso di rettifica, pertanto, l’art. 112, recante la (nuova) rubrica «Fondo comuni ricadenti nei territori delle province di Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi e Piacenza», così dispone: «1. [i]n considerazione della particolare gravità dell’emergenza sanitaria da COVID-19 che ha interessato i comuni delle province di cui al comma 6 dell’articolo 18 del decreto legge 8 aprile 2020, n. 23, è istituito presso il Ministero dell’interno un fondo con una dotazione di 200 milioni di euro per l’anno 2020, in favore dei predetti comuni. Con decreto del Ministero dell’interno, da adottarsi entro 10 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è disposto il riparto del contributo di cui al primo periodo sulla base della popolazione residente. I comuni beneficiari devono destinare le risorse di cui al periodo precedente ad interventi di sostegno di carattere economico e sociale connessi con l’emergenza sanitaria da COVID-19. All’onere derivante dal presente articolo, pari a 200 milioni di euro per l’anno 2020, si provvede ai sensi dell’articolo 265».
Il testo, così modificato, è stato oggetto di conversione con la legge n. 77 del 2020, e, in sostanza, l’oggetto di impugnazione del ricorso n. 60 del 2020 è rimasto invariato, coincidendo con l’art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito (è stato modificato solo lo stanziamento complessivo del fondo in conseguenza della modifica introdotta dal comma 1-bis, di cui subito appresso si dirà).
In sede parlamentare, all’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020 è stato inserito anche il comma 1-bis, che prevede un contributo specifico, pari a 500.000 euro, per il Comune di San Colombano al Lambro e, di conseguenza, lo stanziamento complessivo del fondo di cui all’art. 112, comma 1, del citato decreto-legge, è passato da 200 a 200,5 milioni di euro.
Sempre in sede di conversione, si è aggiunto l’art. 112-bis, il quale ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell’interno, un fondo di 40 milioni per i Comuni non compresi tra quelli previsti dall’art. 112, comma 1, finalizzato al finanziamento di interventi di sostegno di carattere economico e sociale in favore dei Comuni particolarmente colpiti dall’emergenza sanitaria (comma 1), che, ai sensi del comma 3, deve essere ripartito «sulla base della popolazione residente, dei comuni individuati come zona rossa o compresi in una zona rossa in cui, per effetto di specifiche disposizioni statali o regionali applicabili per un periodo non inferiore a quindici giorni, è stato imposto il divieto di accesso e di allontanamento a tutti gli individui comunque ivi presenti; per i restanti comuni, si tiene conto dell’incidenza, in rapporto alla popolazione residente, del numero dei casi di contagio e dei decessi da COVID-19 comunicati dal Ministero della salute e accertati fino al 30 giugno 2020».
5.– In via del tutto preliminare, occorre rilevare che, in tutti i giudizi promossi, la Regione Veneto agisce a tutela, sia delle proprie attribuzioni, sia di quelle dei Comuni esclusi dalla ripartizione delle somme del fondo istituito dall’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, così come modificato dal citato avviso di rettifica. Circostanza, quest’ultima, che non pone problema alcuno in tema di legittimazione ad agire, potendo le Regioni denunciare davanti a questa Corte la lesione delle prerogative costituzionali degli enti locali (ex multis, sentenze n. 195 del 2019, n. 17 del 2018 e n. 205 del 2016).
6.– Seguendo l’ordine prescelto dalla ricorrente vanno esaminate per prime le doglianze esposte in sede di conflitto di attribuzione tra enti.
6.1.– Secondo la Regione Veneto, l’avviso di rettifica, con il quale si è corretto il testo dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, avrebbe menomato le attribuzioni regionali e dovrebbe pertanto essere annullato per violazione dell’art. 77 Cost., «nonché degli artt. 3, 5, 97, 114, 118 e 119 Cost.», previa dichiarazione che non spettava allo Stato modificare il citato art. 112 attraverso uno strumento non legislativo.
6.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, in primo luogo, eccepisce l’inammissibilità del conflitto per carenza di interesse a ricorrere.
Il resistente afferma, infatti, che le provvidenze finanziarie, che si assumono sottratte ai Comuni veneti ricadenti in “zona rossa”, in conseguenza della correzione della rubrica e del testo dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, sono state invece destinate a questi ultimi mediante l’art. 112-bis dello stesso decreto-legge, come convertito. Tale articolo riguarderebbe lo stanziamento di risorse proprio in favore dei Comuni particolarmente colpiti dall’emergenza sanitaria, ma non rientranti tra quelli beneficiari delle previsioni di cui all’articolo precedente. Sarebbero, così, prive di fondamento le censure secondo cui, a seguito della rettifica operata sul testo dell’art. 112 del citato decreto-legge, si sarebbero in concreto prodotte la violazione delle prerogative regionali e la disparità di trattamento tra le popolazioni locali maggiormente colpite dalla pandemia.
L’eccezione non può essere accolta.
È pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, a rilevare nel conflitto fra enti, è l’interesse all’accertamento della violazione o menomazione del riparto costituzionale delle attribuzioni (fra le tante, sentenze n. 255 del 2019 e n. 198 del 2017), interesse che si sostanzia nella rimozione della situazione di incertezza in ordine a tale riparto, al punto che irrilevanti sono, sia l’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato, sia più in generale le sopravvenienze di fatto in corso di giudizio.
6.3.– In secondo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene il conflitto inammissibile in quanto la Regione Veneto, rispetto a tutti i parametri evocati, non avrebbe prospettato la lesione di una propria sfera di attribuzioni, ma si sarebbe limitata a generiche recriminazioni.
L’eccezione deve essere accolta.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, le Regioni «possono proporre ricorso per conflitto di attribuzioni, a norma dell’art. 39, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, quando esse lamentino non una qualsiasi lesione, ma una lesione di una propria competenza costituzionale» (sentenze n. 380 del 2007 e n. 27 del 1996). Se ciò non si verifichi, «e tuttavia si prospetti l’illegittimo uso di un potere statale che determini conseguenze avvertite come negative dalle Regioni, ma non tali da alterare» la ripartizione costituzionale delle competenze (ex multis, sentenze n. 28 del 2018, n. 263 del 2014 e n. 380 del 2007) o, comunque sia, se non vengano date prova e adeguata motivazione di tale alterazione, il conflitto non può ritenersi ammissibile.
Sebbene l’oggetto del conflitto sia duplice (identificandosi, tanto nella questione sulla competenza, quanto nell’atto del quale si chiede l’annullamento), la sostanza del conflitto di attribuzione si identifica sempre, infatti, nella questione di competenza, per come esplicata in concreto e non nella prospettazione di essa, per come attribuita in astratto. Le attribuzioni che vengono in rilievo in sede di conflitto non possono considerarsi, quindi, quale mera causa petendi, ma concretano il “bene della vita” controverso, non potendosi mai risolvere il conflitto in un giudizio a carattere meramente impugnatorio.
Sulla base di tali presupposti, il conflitto deve ritenersi inammissibile con riguardo a tutti i parametri evocati. La Regione Veneto, infatti, per alcuni di essi (ossia gli artt. 5, 114, 77 e 97 Cost.) si è limitata a denunciarne la violazione ad opera dell’avviso di rettifica senza indicare quali siano le competenze costituzionali incise e in qual modo la denunciata illegittimità del citato avviso si rifletta su di esse; riguardo agli altri (artt. 3, 118 e 119 Cost.), si è, invece, limitata, a tutto concedere, ad una generica e potenziale prospettazione delle competenze costituzionali coinvolte nel caso di specie, non avendo in alcun modo dimostrato gli effetti concreti che la denunciata illegittimità dell’atto impugnato avrebbe prodotto su di esse.
6.4.– Il conflitto, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Questa Corte, tuttavia, non può non rilevare le conseguenze che possono aversi sul sistema delle fonti ove non venga rispettato il confine tra le correzioni di errori materiali e le modifiche normative vere e proprie, le quali devono essere operate, ovviamente, seguendo in modo rigoroso le forme che l’ordinamento costituzionale prescrive.
7.– Con riguardo ai ricorsi in via principale, la Regione Veneto, in primo luogo, impugna gli artt. 112 del d.l. n. 34 del 2020 e 112, comma 1, del citato decreto-legge, come convertito, con modificazioni, in legge n. 77 del 2020, per violazione degli artt. 3, 5, 114, 118 e 119 Cost. e, lamentando l’illegittima esclusione dal fondo istituito dalla citate norme dei Comuni di Padova, Treviso e Venezia, chiede a questa Corte di dichiarare l’illegittimità costituzionale delle disposizioni impugnate nella parte in cui non prevedono che siano ammessi a beneficiare del fondo da queste istituito per l’anno 2020 «i Comuni dichiarati zona rossa, sulla base di provvedimenti statali o regionali, entro il 3 maggio 2020 per almeno trenta giorni consecutivi», in base alla formola adoprata nella versione antecedente alla suddetta rettifica «oppure secondo altra formulazione indicata dalla Corte stessa».
La ricorrente, in sostanza, denuncia l’irragionevolezza dell’esclusione dei Comuni ricadenti nelle “zone rosse” delle Province di Padova, Treviso e Venezia, in quanto questi verserebbero nelle medesime condizioni degli enti inclusi tra i destinatari delle risorse del fondo istituito dalle disposizioni impugnate e avrebbero pertanto dovuto ricevere trattamento eguale a quello riservato a questi ultimi. Dall’illegittima esclusione – e quindi dal contrasto con l’art. 3, primo comma, Cost. – deriverebbero la violazione dell’autonomia amministrativa (art. 118 Cost.) e finanziaria (art. 119 Cost.), tanto dei Comuni rientranti nelle menzionate Province, quanto della Regione, nonché la violazione del principio autonomistico (art. 5 Cost.) e del coordinamento imparziale delle competenze (art. 114 Cost.).
7.1.– Sulle richiamate impugnazioni, in via preliminare, occorre mettere in evidenza che, in sede di conversione, il testo, così come risultante dalla rettifica operata in data 20 maggio, dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, pur divenendo l’art. 112, comma 1, non ha subito modifiche di rilievo.
7.2.– In primo luogo, da ciò deriva che, in riferimento alle questioni promosse sull’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, l’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri (punto 2.1. del Ritenuto in fatto) non può essere accolta. Ciò in quanto le modifiche operate in sede di conversione sulla disposizione impugnata non hanno inciso sulla portata precettiva dell’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020, nella sua versione precedente alla conversione in legge. Per le stesse ragioni (e in modo del tutto conseguente) non sussistono i presupposti per dichiarare la cessazione della materia del contendere (così come chiesto – punto 9.1. del Ritenuto in fatto – dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri nella memoria depositata in prossimità dell’udienza).
7.3.– In secondo luogo, lo scrutinio va condotto sull’art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, tenendo conto, però, delle ragioni esposte in entrambi i ricorsi, peraltro coincidenti (in senso analogo: sentenze n. 5 del 2018, n. 216 del 2008 e n. 430 del 2007).
In altri termini, pur se il riferimento è al solo art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, le argomentazioni che seguono devono intendersi riferite anche al d.l. n. 34 del 2020, ossia alla disposizione rettificata e vigente fino al momento della conversione.
8.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene inammissibili le questioni promosse in riferimento all’impugnato art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, in quanto la ricorrente si sarebbe limitata a generiche contestazioni, non indicando le ripercussioni reali, che si sarebbero verificate nell’esercizio delle proprie prerogative costituzionali, sull’autonomia amministrativa e finanziaria. In sostanza, il resistente denuncia un difetto di motivazione sulla ridondanza delle lamentate violazioni sulle competenze regionali e degli enti locali.
L’eccezione deve essere accolta.
8.1.– Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che le Regioni «possono evocare parametri di legittimità diversi da quelli che sovrintendono al riparto di attribuzioni solo quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una lesione delle loro attribuzioni costituzionali e le stesse regioni motivino sufficientemente in ordine ai profili di una possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto di competenze, assolvendo all’onere di operare la necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione (ex plurimis, sentenze n. 151 del 2017, n. 147 e n. 29 del 2016, n. 251, n. 218 e n. 89 del 2015)» (così sentenza n. 56 del 2020).
In precedenti occasioni questa Corte, poi, ha «ritenuto possibile motivare la ridondanza di questioni sollevate su parametri costituzionali che non riguardano la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni anche tramite l’indicazione dell’art. 119 Cost.». Si è precisato, tuttavia, che in tali ipotesi è «necessario che la ricorrente argomenti in concreto in relazione all’entità della compressione finanziaria lamentata e alla sua concreta incidenza sull’attività di competenza regionale (ex multis, sentenze n. 83, n. 68, n. 64 e n. 43 del 2016 e n. 36 del 2014)» (così sentenza n. 79 del 2018 e, in senso analogo, sentenza n. 194 del 2019).
Su tali basi, sono stati dichiarati inammissibili i ricorsi in cui «i lamentati effetti negativi sulle finanze della ricorrente sono generici e congetturali e, conseguentemente, del tutto astratta e immotivata è [anche] la pretesa lesione dell’esercizio delle funzioni amministrative regionali» (così, ancora, sentenza n. 79 del 2018 e, in senso analogo, sentenza n. 194 del 2019).
8.1.1.– Le censure della Regione Veneto non rispettano i requisiti tracciati dalla giurisprudenza di questa Corte.
Come messo in evidenza, nelle proprie difese, dal Presidente del Consiglio dei ministri, la ricorrente, nel sollevare le censure in riferimento a parametri costituzionali diversi da quelli attinenti al riparto di competenze tra Stato e Regioni, motiva in modo generico e apodittico sulle ragioni per le quali le pretese violazioni ridonderebbero sulle attribuzioni dei Comuni veneti e su quelle proprie.
Non può, infatti, certo ritenersi sufficiente la generica affermazione operata dalla Regione Veneto che le competenze coinvolte sono quella amministrativa e quella finanziaria, nulla dicendo sulla prima e limitandosi a sostenere, riguardo alla seconda, che, se i Comuni delle Province di Treviso, Padova e Venezia fossero stati ammessi ai benefici, questi ultimi sarebbero stati iscritti in «una posta di bilancio» alla voce «“interventi di sostegno di carattere economico e sociale connessi con l’emergenza sanitaria Covid-19”».
Neppure le rilevate lacune nelle motivazioni del ricorso possono essere colmate dalle memorie illustrative depositate in prossimità dell’udienza (in senso analogo, da ultimo, sentenza n. 56 del 2020), nelle quali, ad ogni modo, la ricorrente non è andata oltre la insufficiente indicazione delle competenze regionali, richiamando peraltro ambiti di competenza differenti da quelli individuati nel ricorso.
8.2.– Deve, pertanto, concludersi per l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto l’art. 112 del d.l. n. 34 del 2020 e l’art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, promosse in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 118 e 119 Cost.
9.– La Regione Veneto impugna anche l’art. 112, comma 1-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, che prevede un contributo specifico, pari a 500.000 euro, per il Comune di San Colombano al Lambro.
Secondo la ricorrente, l’impugnata disposizione perpetuerebbe la disparità di trattamento nei confronti dei Comuni veneti rientranti nelle Province di Padova, Treviso e Venezia, così violando gli artt. 3, 5, 114, 118 e 119 Cost.; parametri rispetto ai quali la Regione motiva mediante rinvio alle argomentazioni già spese in relazione all’art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito.
9.1.– Le censure mosse all’art. 112, comma 1-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, non esprimono reali margini di autonomia, dimostrandosi soltanto quali meri argomenti a sostegno delle ragioni di incostituzionalità espresse in riferimento all’art. 112, comma 1, del citato decreto-legge, delle quali, pertanto, condividono la sorte della dichiarazione di inammissibilità.
9.2.– Deve, pertanto, concludersi per l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto l’art. 112, comma 1-bis, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, promosse in riferimento agli artt. 3, 5, 114, 118 e 119 Cost.
10.– Da ultimo, la Regione Veneto impugna l’art. 112-bis del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 118 e 119 Cost.
La ricorrente ritiene costituzionalmente illegittima tale disposizione, perché i Comuni veneti rientranti nelle Province di Treviso, Padova e Venezia, già illegittimamente esclusi dal fondo previsto dall’art. 112, comma 1, del citato decreto-legge, sarebbero stati declassati «a Comuni particolarmente colpiti dall’emergenza sanitaria», e, pertanto, destinati a fruire a titolo preferenziale in sede di riparto di un fondo da 40 milioni.
Da ciò risulterebbe in modo «[e]vidente […] la discriminazione, quale effetto di assimilazioni di fattispecie disomogenee, che implicano la denunciata violazione» degli evocati «parametri costituzionali (nei termini indicati sub A)», ossia secondo le argomentazioni svolte in riferimento all’art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito.
Anche tali questioni sono inammissibili.
Come si è ricordato, le censure sull’impugnato art. 112-bis sono espressamente motivate mediante rinvio a quelle rivolte all’art. 112, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, e pertanto ad esse non possono che estendersi le ragioni di inammissibilità già rilevate in relazione alle questioni aventi ad oggetto tale ultima disposizione. È del pari inammissibile la questione promossa in riferimento all’art. 97 Cost. (parametro evocato solo per il citato art. 112-bis), perché anche rispetto a questo (punto 3.3. del Ritenuto in fatto) la ricorrente non ha adeguatamente assolto l’onere di motivazione richiesto in ordine ai profili di una possibile ridondanza sul riparto di competenze.
10.1.– Devono, pertanto, dichiararsi inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 112-bis del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, promosse in riferimento agli artt. 3, 5, 97, 114, 118 e 119 Cost.