Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 19-21 aprile 2016, e depositato il 27 aprile 2016 e iscritto al n. 25 del registro ricorsi 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 53, commi 4, 5 e 6, della legge della Regione Puglia 15 febbraio 2016, n. 1, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2016 e bilancio pluriennale 2016 - 2018 della Regione Puglia (Legge di stabilità regionale 2016)».
Il comma 4 stabilisce che «[l]e Aziende sanitarie locali, al fine di far fronte alle esigenze assistenziali relative al Servizio di assistenza domiciliare integrata (ADI), riabilitazione e integrazione scolastica […] si avvalgono del personale già adibito a tali servizi e stabilizzato ai sensi dell’articolo 3, comma 38, della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008 - 2010 della Regione Puglia) e dell’articolo 16, comma 3, della legge regionale 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali), i cui rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono stati risolti e/o dichiarati nulli di diritto ai sensi dell’articolo 16, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, […]». In base al comma 5, «[d]etto personale viene chiamato in servizio compatibilmente con i piani assunzionali delle ASL, con rapporto di lavoro a tempo determinato ai sensi e per gli effetti degli articoli 46 della legge regionale 25 agosto 2003, n. 17 (Sistema integrato d’interventi e servizi sociali in Puglia) e 68 della legge regionale 10 luglio 2006, n. 19 (Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini in Puglia) con contratti di lavoro full time di durata annuale rinnovabili». Infine, il comma 6 dispone che «[i]l presente articolo si applica anche al personale utilizzato dalle ASL su delega dei comuni ai quali sia stato applicato il contratto degli enti locali».
Ad avviso del ricorrente, tali norme sarebbero costituzionalmente illegittime, sia per violazione del principio del concorso pubblico sancito dall’art. 97, quarto comma, della Costituzione, sia per invasione della competenza statale in materia di «ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l, Cost.).
Sotto il primo profilo, l’Avvocatura generale dello Stato ricorda che, in base all’art. 16, comma 8 (richiamato dall’impugnato art. 53, comma 4), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, «[i] provvedimenti in materia di personale adottati dalle pubbliche amministrazioni […] ed in particolare le assunzioni a tempo indeterminato, incluse quelle derivanti dalla stabilizzazione o trasformazione di rapporti a tempo determinato, nonché gli inquadramenti e le promozioni posti in essere in base a disposizioni delle quali venga successivamente dichiarata l’illegittimità costituzionale sono nulle di diritto e viene ripristinata la situazione preesistente a far data dalla pubblicazione della relativa sentenza della Corte costituzionale […]».
In attuazione di tale norma, riferisce il ricorrente, nella Regione Puglia sono stati considerati nulli di diritto i rapporti di lavoro a tempo indeterminato del personale adibito ai servizi di assistenza domiciliare integrata (ADI), riabilitazione e integrazione scolastica, che era stato stabilizzato in virtù di norme legislative regionali dichiarate illegittime dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2011. Le norme impugnate, continua il ricorrente, prevedono che i soggetti in questione continuino ad operare nell’ambito dei medesimi servizi per effetto di appositi contratti a tempo determinato. In tal modo le norme regionali, «individuando i soggetti destinatari dei rapporti di lavoro a tempo determinato», si porrebbero «in contrasto con i principi sanciti dai CCNL di settore per cui tali contratti vengono instaurati dalle Aziende sanitarie attraverso procedure selettive», con l’art. 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e «con il principio del pubblico concorso per l’accesso al pubblico impiego, nonché con i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, di cui all’articolo 97 della Costituzione», principi alla cui attuazione le procedure selettive sarebbero strumentali, garantendo la selezione dei soggetti più capaci.
Sotto il secondo profilo, il ricorrente osserva che «[l]a norma censurata […], regolando un aspetto specifico del mutamento che interviene nel corso del rapporto di lavoro, e facendolo, oltretutto, in contrasto con l’anzidetta disciplina della legge statale e della contrattazione collettiva di comparto, sconfina in un ambito, quello dell’“ordinamento civile”, che è di competenza esclusiva dello Stato […] in linea con l’orientamento, dominante nella giurisprudenza costituzionale, per cui tutte le regole del rapporto di lavoro attengono all’area dell’ordinamento civile e sono, quindi, per ciò solamente, di competenza statale (sentenze n. 324/2010 e n. 17/2014)».
2.– La Regione Puglia si è costituita in giudizio, con atto depositato il 27 maggio 2016.
In primo luogo, essa ricorda che gli artt. 42 e 45 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382), hanno trasferito le funzioni amministrative in materia di assistenza scolastica ai comuni, che le esercitano «secondo le modalità previste dalla legge regionale». La Regione Puglia ha dato attuazione a tali norme con la legge regionale 9 giugno 1987, n. 16 (Norme organiche per l’integrazione scolastica degli handicappati), prevedendo, fra l’altro, la possibilità «di assumere personale straordinario, con rapporto di lavoro a tempo determinato, per il periodo necessario alla realizzazione dei progetti» (art. 5, comma 4). Successivamente, riferisce la Regione, l’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006 ha disposto che coloro che da un certo periodo esercitano funzioni nel settore in questione ai sensi della legge reg. Puglia n. 16 del 1987 «continuino a lavorare presso le rispettive AUSL con contratti di lavoro rinnovabili di durata annuale». In questo contesto si inquadra l’operazione di stabilizzazione del personale, effettuata dalla Regione con l’art. 3, comma 38, della legge reg. Puglia n. 40 del 2007 e con l’art. 16, comma 3, della legge reg. Puglia n. 4 del 2010, norma, quest’ultima, dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 68 del 2011, per violazione del principio del pubblico concorso e dei principi statali in materia di coordinamento della finanza pubblica.
La Regione eccepisce l’inammissibilità del ricorso per tardività, in quanto l’art. 53, comma 5, della legge impugnata sarebbe una disposizione «priva di alcun ulteriore contenuto normativo, posto che si limita a richiamare l’art. 68 della L.R. n. 19 del 2006 e i requisiti ivi previsti per le assunzioni a tempo determinato». Il ricorso statale sarebbe dunque un escamotage per eludere la scadenza del termine per impugnare le norme del 2006, né sarebbe applicabile la giurisprudenza secondo la quale è impugnabile una legge successiva che ribadisce una disciplina precedente, in quanto nel caso di specie non si sarebbe verificata una novazione della fonte.
In ogni caso, secondo la Regione mancherebbe l’interesse all’impugnazione «nella misura in cui l’eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 53, commi 4, 5 e 6 […] comunque non espungerebbe dall’ordinamento l’art. 68 della L.R. n. 19 del 2006, che continuerebbe a consentire le assunzioni a tempo determinato».
Nel merito, la resistente osserva che il parametro relativo alla competenza statale in materia di ordinamento civile non sarebbe pertinente, in quanto le norme impugnate «non dispongono una proroga ex lege dei contratti in essere», ma «si limitano a conferire all’Amministrazione la possibilità di reiterare contratti di lavoro a tempo determinato», previa «verifica di alcuni presupposti in fase applicativa».
Quanto al principio del pubblico concorso, l’art. 97 Cost. non sarebbe violato dalle norme impugnate perché esse non introdurrebbero «una nuova forma di assunzione alle dipendenze della Pubblica Amministrazione in assenza di procedure concorsuali selettive» ma si limiterebbero «a mantenere lo status quo», al fine di soddisfare le esigenze assistenziali. Né «l’Amministrazione avrebbe altre chances a propria disposizione a tale fine: da un lato, le procedure di stabilizzazione sono vincolate a normative nazionali in nome dei principi di coordinamento della finanza pubblica; dall’altro, l’eventuale ricorso a nuovi contratti a tempo determinato dovrebbe rispondere alle disposizioni di cui all’art. 68 della L.R. n. 19 del 2006». Le norme impugnate sarebbero quindi volte ad attuare il principio di buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97 Cost., in quanto tendono «a garantire semplicemente e comunque il servizio de quo».
Inoltre, la Regione sottolinea che «i destinatari della normativa impugnata sono lavoratori che da anni prestano la propria attività nel settore de quo in virtù di una normativa ormai consolidata nel tempo e, pertanto, ripongono un legittimo affidamento sulla conservazione della propria posizione».
La resistente rileva, infine, che la disciplina in questione, «proprio per la sua finalità di garantire l’esercizio delle funzioni pubbliche in materia di assistenza sanitaria, deve essere ricondotta alla materia “tutela della salute”» e non si porrebbe in contrasto con la legislazione statale di principio. La Regione richiama a tal proposito l’art. 10, comma 4-ter, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), in base al quale i contratti a tempo determinato del personale sanitario del Servizio sanitario nazionale sono esclusi dall’applicazione della disciplina limitatrice del contratto a tempo determinato, «in considerazione della necessità di garantire la costante erogazione dei servizi sanitari e il rispetto dei livelli essenziali di assistenza». Anche il legislatore nazionale avrebbe dunque recepito l’esigenza di garantire l’erogazione delle prestazioni sanitarie e assistenziali, consentendo il rinnovo dei contratti a tempo determinato nel comparto sanitario.
Tale possibilità risulterebbe anche dall’art. 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 marzo 2015, recante «Disciplina delle procedure concorsuali riservate per l’assunzione di personale precario del comparto sanità».
3.– L’Avvocatura generale dello Stato ha depositato una memoria integrativa il 14 marzo 2017. In essa ribadisce le considerazioni già svolte nel ricorso e replica all’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione, osservando che il rinvio all’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006 non vale a sottrarre la norma censurata al sindacato di costituzionalità. Essa avrebbe lo scopo di “regolarizzare” la situazione derivante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 68 del 2011 e non potrebbe quindi essere considerata meramente riproduttiva del citato art. 68.
L’Avvocatura rileva anche che, nel caso di specie, la deroga al principio del concorso pubblico non può essere giustificata con specifiche esigenze di interesse pubblico, dato che la stessa Regione ammette che le norme impugnate servono a «mantenere lo status quo», tutelando le «situazioni soggettive consolidatesi nel tempo».
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato l’art. 53, commi 4, 5 e 6, della legge della Regione Puglia 15 febbraio 2016, n. 1, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione 2016 e bilancio pluriennale 2016 - 2018 della Regione Puglia (Legge di stabilità regionale 2016)».
Il comma 4 stabilisce che «[l]e Aziende sanitarie locali, al fine di far fronte alle esigenze assistenziali relative al Servizio di assistenza domiciliare integrata (ADI), riabilitazione e integrazione scolastica […] si avvalgono del personale già adibito a tali servizi e stabilizzato ai sensi dell’articolo 3, comma 38, della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008 - 2010 della Regione Puglia) e dell’articolo 16, comma 3, della legge regionale 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali), i cui rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono stati risolti e/o dichiarati nulli di diritto ai sensi dell’articolo 16, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, […]». In base al comma 5, «[d]etto personale viene chiamato in servizio compatibilmente con i piani assunzionali delle ASL, con rapporto di lavoro a tempo determinato ai sensi e per gli effetti degli articoli 46 della legge regionale 25 agosto 2003, n. 17 (Sistema integrato d’interventi e servizi sociali in Puglia) e 68 della legge regionale 10 luglio 2006, n. 19 (Disciplina del sistema integrato dei servizi sociali per la dignità e il benessere delle donne e degli uomini in Puglia) con contratti di lavoro full time di durata annuale rinnovabili». Infine, il comma 6 dispone che «[i]l presente articolo si applica anche al personale utilizzato dalle ASL su delega dei comuni ai quali sia stato applicato il contratto degli enti locali».
Ad avviso del ricorrente, tali norme sarebbero costituzionalmente illegittime sotto due profili. In primo luogo, «individuando i soggetti destinatari dei rapporti di lavoro a tempo determinato», si porrebbero «in contrasto con i principi sanciti dai CCNL di settore per cui tali contratti vengono instaurati dalle Aziende sanitarie attraverso procedure selettive», con l’art. 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e «con il principio del pubblico concorso per l’accesso al pubblico impiego, nonché con i principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, di cui all’articolo 97 della Costituzione».
In secondo luogo, il ricorrente osserva che «[l]a norma censurata […], regolando un aspetto specifico del mutamento che interviene nel corso del rapporto di lavoro, e facendolo, oltretutto, in contrasto con l’anzidetta disciplina della legge statale e della contrattazione collettiva di comparto, sconfina in un ambito, quello dell’«ordinamento civile», che è di competenza esclusiva dello Stato» ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.
2.– In via preliminare, occorre soffermarsi sulle eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della Regione.
La resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso sotto due profili: la sua tardività e la carenza di interesse del ricorrente. Le due eccezioni sono connesse perché l’assunto su cui si basa la prima, secondo cui la disposizione impugnata sarebbe «priva di alcun ulteriore contenuto normativo» e il ricorso sarebbe in realtà diretto a contestare norme risalenti, cioè quelle contenute nell’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006, richiamato dall’art. 53, comma 5, della legge reg. Puglia n. 1 del 2016, conduce alla conclusione dell’inutilità di un eventuale accoglimento del ricorso, e quindi al difetto di interesse, in quanto – anche dopo l’annullamento dell’art. 53, commi 4, 5 e 6 – resterebbe efficace l’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006, che, secondo la Regione, «continuerebbe a consentire le assunzioni a tempo determinato».
Le eccezioni non sono fondate. Anche a prescindere dal costante orientamento di questa Corte secondo il quale l’acquiescenza non è applicabile nel giudizio in via principale (ex multis, sentenze n. 41 del 2017, n. 231 e n. 39 del 2016), le disposizioni impugnate presentano un autonomo contenuto normativo perché hanno un ambito di applicazione diverso da quello dell’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006. Quest’ultima norma ha previsto l’utilizzo, da parte dei comuni, degli «operatori non sanitari che risultano in servizio al 30 maggio 2006 presso l’AUSL di riferimento ai sensi e per le finalità della L.R. n. 16/1987, a condizione che gli stessi abbiano operato nel regime di convenzione indiretta con le AUSL, anche non continuativamente, per almeno ventisette mesi dal 31 dicembre 1999 e sino alla data di entrata in vigore della presente legge ovvero che siano titolari di una convenzione al 31 ottobre 1998» (comma 1), e l’utilizzo, da parte delle AUSL, «del personale sanitario in servizio ai sensi della L.R. n. 16/1987, a condizione che lo stesso sia in possesso dei requisiti professionali previsti per l’accesso al rapporto di lavoro presso le aziende del SSN e che abbia operato, anche non continuativamente incluso nel regime di convenzione indiretta con le AUSL, per almeno ventisette mesi dal 31 ottobre 1998 e sino alla data di entrata in vigore della presente legge, ovvero che sia titolare di una convenzione al 31 ottobre 1998 e attualmente in servizio» (comma 3), precisando che «[i] rapporti di lavoro del personale di cui ai commi 1 e 3 […] sono regolati da contratti di lavoro subordinato, full time, a tempo determinato di durata annuale, rinnovabili […]». Le norme impugnate, invece, si rivolgono a soggetti che, per ovvie ragioni cronologiche, non potevano essere considerati dalla legge reg. Puglia n. 19 del 2006, ossia al personale «stabilizzato ai sensi dell’articolo 3, comma 38, della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 (Disposizioni per la formazione del bilancio previsione 2008 e bilancio pluriennale 2008 - 2010 della Regione Puglia) e dell’articolo 16, comma 3, della legge regionale 25 febbraio 2010, n. 4 (Norme urgenti in materia di sanità e servizi sociali), i cui rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono stati risolti e/o dichiarati nulli di diritto ai sensi dell’articolo 16, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, […]».
Del resto, la Regione nega che possa trovare applicazione la giurisprudenza costituzionale sull’impugnabilità delle leggi ripetitive di leggi precedenti non impugnate, affermando che le disposizioni censurate della legge reg. Puglia n. 1 del 2016 non sono ripetitive di quelle del 2006, ma si limitano a richiamarle. La conclusione, tuttavia, smentisce la premessa dell’eccezione di inammissibilità giacché, se l’impugnato art. 53, commi 4, 5 e 6, non è ripetitivo dell’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006, ciò conferma che il primo ha un autonomo contenuto normativo.
Si può osservare, infine, che la disposizione impugnata non subordina l’assunzione alle condizioni previste dall’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006, come invece ritiene la resistente. Il personale destinato all’assunzione a tempo determinato è individuato dai commi 4 e 6 dell’impugnato art. 53 e il rinvio operato dal comma 5 dell’art. 53 all’art. 46 della legge reg. Puglia n. 17 del 2003 e all’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006 non ha il significato di introdurre ulteriori requisiti.
3.– Nel merito, la prima questione è fondata.
3.1.– È opportuno chiarire innanzitutto il contesto di riferimento delle norme impugnate. La legge della Regione Puglia 9 giugno 1987, n. 16 (Norme organiche per l’integrazione scolastica degli handicappati), richiamata dall’impugnato art. 53, comma 4, della legge reg. Puglia n. 1 del 2016, aveva previsto che la Regione finanziasse «un idoneo sistema di servizi finalizzato a garantire il diritto allo studio dei portatori di handicap fisici, psichici e sensoriali» (art. 1). Le funzioni di integrazione scolastica dovevano essere esercitate dai Comuni singoli o associati per il tramite delle Unità sanitarie locali (art. 3). L’art. 5 prevedeva l’approvazione della «pianta organica del personale addetto ai servizi d’integrazione scolastica» e la copertura tramite concorso pubblico o avvalimento di personale comandato dagli enti locali (comma 1) o avvalimento del personale iscritto nei ruoli nominativi regionali del personale del Servizio sanitario nazionale (comma 2). Il comma 4 contemplava peraltro la possibilità «di assumere personale straordinario, con rapporto di lavoro a tempo determinato, per il periodo necessario alla realizzazione dei progetti, in mancanza d’idonee strutture, costituite ai sensi del primo e secondo comma e nel rispetto delle vigenti norme legislative in materia».
L’art. 46 della legge reg. Puglia n. 17 del 2003 e l’art. 68 della legge reg. Puglia n. 19 del 2006 hanno previsto che il personale sanitario e non sanitario «adibito ai servizi sociali d’integrazione scolastica dei portatori di handicap, di cui alla L.R. n. 16/1987», continuasse ad operare (rispettivamente presso le AUSL e i comuni), in presenza di certe condizioni (v. i commi 1 e 3), con «contratti di lavoro subordinato, full time, a tempo determinato di durata annuale, rinnovabili».
La Regione Puglia ha poi deciso di stabilizzare il personale in questione. L’art. 3, comma 38, della legge reg. Puglia n. 40 del 2007 ha disposto che «[a]l personale del comparto in servizio continuativo da almeno 3 anni alla data in vigore della presente legge presso le aziende sanitarie locali con rapporto di lavoro convenzionale ovvero con incarico a tempo determinato, adibito al servizio integrazione scolastica di cui alla legge regionale 9 giugno 1987, n. 16 (Norme organiche per l’integrazione scolastica degli handicappati), si applica il processo di stabilizzazione previsto dall’articolo 30 (Piano di stabilizzazione del personale) della legge regionale 16 aprile 2007, n. 10», e che tale procedura si applica anche «al personale che dal 1997 ha prestato analogo servizio per almeno tre anni, anche non continuativi, con rapporto di lavoro convenzionale presso le ASL per il quale, alla data di entrata in vigore delle presenti modifiche, è in corso contenzioso per il riconoscimento giuridico del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato».
L’art. 16, comma 3, della legge reg. n. 4 del 2010 ha poi stabilito che «[l]e disposizioni di cui all’articolo 3, comma 38, della L.R. n. 40/2007, come modificato dagli articoli 20 e 21 della L.R. n. 1/2008, si applicano altresì nei confronti del personale che abbia prestato servizio, anche non continuativo, per almeno tre anni negli ultimi cinque anni, entro il 31 dicembre 2010, con rapporto convenzionale e/o con incarico a tempo determinato, purché adibito al servizio di ADI, riabilitazione e integrazione scolastica di cui alla legge regionale 9 giugno 1987, n. 16».
La disposizione appena citata è stata dichiarata illegittima da questa Corte con la sentenza n. 68 del 2011, per violazione del principio del concorso pubblico e dei principi statali di coordinamento della finanza pubblica. In conseguenza della pronuncia ha trovato applicazione l’art. 16, comma 8, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, che prevede la nullità delle assunzioni fondate su norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale e il ripristino della situazione preesistente.
Le norme impugnate nel presente giudizio sono dirette sostanzialmente a “neutralizzare” gli effetti dell’art. 16, comma 8, del d.l. n. 98 del 2011 e della sentenza n. 68 del 2011.
3.2.– Le modalità di instaurazione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione rientrano nella materia dell’organizzazione amministrativa, di competenza regionale residuale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. (sentenze n. 251 e n. 202 del 2016, n. 272 del 2015, n. 277 del 2013, n. 141 del 2012, n. 156 e n. 7 del 2011, n. 235 del 2010, n. 380 del 2004; le sentenze n. 156 e n. 7 del 2011 riguardano specificamente l’instaurazione di rapporti di lavoro a tempo determinato). Nell’esercizio di tale loro competenza, le regioni devono rispettare la regola posta dall’art. 97, quarto comma, Cost. secondo cui «[a]gli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge». Sebbene la disposizione costituzionale non precisi i casi in cui si può evitare il pubblico concorso per l’instaurazione di rapporti di pubblico impiego, certamente la fattispecie oggetto delle norme impugnate non rientra fra quelle che possono consentire una legittima deroga alla regola in essa espressa.
Questa Corte si è già pronunciata nel senso della fondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta in riferimento all’art. 97 Cost., con la sentenza n. 73 del 2013, in un caso assai simile a quello oggetto del presente giudizio (relativo sempre alla Regione Puglia). L’art. 3, comma 40, della legge reg. Puglia n. 40 del 2007 aveva previsto una procedura di stabilizzazione del personale del sistema sanitario regionale già in servizio con contratto a tempo determinato, basata su un concorso riservato. Dopo che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 42 del 2011, aveva dichiarato costituzionalmente illegittima tale disposizione per contrasto con l’art. 97, terzo comma, Cost., l’art. 1, comma 2, della legge della Regione Puglia 15 maggio 2012, n. 11 (Misure urgenti per l’accelerazione della determinazione delle dotazioni organiche delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale e di tutela assistenziale) stabilì che, «in via eccezionale e in relazione alla esigenza di assicurare livelli essenziali di tutela assistenziale, le aziende e gli enti del Servizio sanitario regionale, fino all’espletamento delle procedure per la copertura dei posti vacanti e, comunque, per un periodo non superiore a sei mesi decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge, si avvalgono a tempo determinato, […] del personale selezionato all’esito delle procedure di cui all’articolo 3, comma 40, della legge regionale 31 dicembre 2007, n. 40 […], oggetto della sentenza della Corte Costituzionale 7 febbraio 2011, n. 42». Tale norma fu impugnata dallo Stato e la Corte, con la citata sentenza n. 73 del 2013, la dichiarò illegittima con la seguente motivazione: «[i]l legislatore regionale […] ha previsto l’avvalimento a tempo determinato di personale selezionato in base ad una procedura dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 97 Cost., con la conseguenza che i vizi di tale procedura si ripercuotono anche sulla disposizione oggetto del presente giudizio. Né la necessità di garantire la continuità dell’azione amministrativa, addotta dalla resistente, è ragione di per sé sufficiente a giustificare una deroga al principio del pubblico concorso. Contrasta, infatti, con l’art. 97 Cost. l’utilizzazione delle graduatorie formatesi all’esito di procedure non rispondenti al principio del pubblico concorso, sia quando il fine è quello di assumere personale a tempo indeterminato, sia quando l’intendimento è, come nel presente giudizio, quello di instaurare o prorogare contratti a tempo determinato».
Gli stessi argomenti sono applicabili al caso qui in esame. La previsione contenuta all’art. 53, commi 4, 5 e 6, della legge reg. Puglia n. 1 del 2016 risulta anzi ancora più censurabile rispetto a quella dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 73 del 2013, in quanto la prima, oltre a essere diretta a far fronte, non a bisogni temporanei, ma a esigenze risalenti e non destinate a venir meno (tanto è vero che il personale adibito ai servizi assistenziali in questione era stato stabilizzato), prevede che il contratto annuale possa essere rinnovato senza limiti, mentre l’art. 1, comma 2, della legge reg. Puglia n. 11 del 2012 limitava i rapporti a tempo determinato «fino all’espletamento delle procedure per la copertura dei posti vacanti e, comunque, per un periodo non superiore a sei mesi».
Né la deroga all’art. 97, quarto comma, Cost. si può giustificare con la necessità – invocata dall’impugnato art. 53, comma 4, della legge reg. Puglia n. 1 del 2016 – di «far fronte alle esigenze assistenziali relative al Servizio di assistenza domiciliare integrata (ADI), riabilitazione e integrazione scolastica», o con quella – invocata dalla difesa della Regione – di tutelare il «legittimo affidamento» dei lavoratori. I servizi appena citati devono essere garantiti dalle regioni senza soluzioni di continuità, in modo che sia assicurata l’effettività del diritto del disabile all’istruzione e all’integrazione scolastica (sentenza n. 275 del 2016). La necessaria garanzia del servizio, tuttavia, non comporta che esso possa essere svolto solo dai soggetti individuati dalle norme impugnate, tanto è vero che la sentenza n. 68 del 2011 (elusa dalle norme impugnate) ha censurato la stabilizzazione dei lavoratori in questione constatando la mancanza di «peculiarità delle funzioni che il personale svolge […] o specifiche necessità funzionali dell’amministrazione». Trattandosi di servizi assistenziali stabili, che l’amministrazione ha l’obbligo di fornire, ma che non devono essere necessariamente svolti dai destinatari delle norme impugnate, la Regione non avrebbe dovuto prevedere la chiamata in servizio “diretta”, con contratti annuali rinnovabili, ma seguire le ordinarie procedure di assunzione (nelle quali è consentito entro certi limiti valorizzare la specifica esperienza pregressa).
Quanto all’invocata esigenza di tutelare il «legittimo affidamento» dei lavoratori, occorre ribadire che «la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle» (ex multis, sentenza n. 90 del 2012), e che le norme volte a tutelare l’affidamento dei lavoratori non soddisfano questi requisiti (ex multis, sentenze n. 217 e n. 51 del 2012, e n. 150 del 2010).
Va dunque dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, commi 4, 5 e 6, della legge reg. Puglia n. 1 del 2016, per violazione dell’art. 97, quarto comma, Cost.
4.– L’accoglimento della prima questione promossa nel ricorso consente l’assorbimento della seconda questione, riferita all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.