Ritenuto in fatto
1.− Con il ricorso in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 10 della legge della Regione Marche 13 aprile 2015, n. 16 (Disposizioni di aggiornamento della legislazione regionale. Modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 36 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015” e alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 37 “Bilancio di previsione per l’anno 2015 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2015/2017”).
1.1.– La disposizione denunciata sostituisce l’art. 35 della precedente legge regionale 4 dicembre 2014, n. 33 (Assestamento del bilancio 2014), inserendo la parola «e» in luogo di «ovvero» e sopprimendo la parola «altra», all’interno del testo originario di quella disposizione, che (senza ulteriori modificazioni) così attualmente recita: «In attuazione dell’articolo 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), gli edifici esistenti, che siano oggetto di interventi di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione urbana, di recupero funzionale, di accorpamento e [in luogo di «ovvero»] di ogni [«altra», parola espunta] trasformazione espressamente qualificata di interesse pubblico dalla disciplina statale e regionale vigente, possono essere demoliti e ricostruiti all’interno dell’area di sedìme o aumentando la distanza dagli edifici antistanti, anche in deroga ai limiti di cui all’articolo 9 del decreto del Ministro dei Lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 […]».
1.2.– Secondo il ricorrente, per effetto delle due indicate modifiche lessicali, il testo novellato dell’art. 35 della legge regionale n. 33 del 2014 consentirebbe di estendere, «anche ad interventi su singoli edifici non oggetto di un più ampio intervento di trasformazione», la deroga ai limiti di distanza fissati dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e i rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti ai sensi dell’art. 17 della L. 6 agosto 1967 n. 765): deroga consentita bensì alle Regioni (e alle Province autonome di Trento e di Bolzano) dal d.P.R. n. 380 del 2001, ma solo «nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo o unitario di specifiche aree territoriali».
Dal che, appunto, la violazione della competenza esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento civile» e, per eccesso, di quella concorrente della Regione in materia di «governo del territorio», di cui agli evocati parametri costituzionali.
2.– Si è costituita in giudizio la Regione Marche, che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso, in quanto riferito all’art. 10 della legge regionale n. 16 del 2015 nella sua interezza, senza ulteriori specificazioni in ordine al comma impugnato (che, in ogni caso, si sarebbe dovuto identificare con il primo), oltre che per assunta oscurità del percorso argomentativo.
Nel merito, ha contestato la fondatezza della questione proposta dal ricorrente, sostenendo che gli interventi previsti dalla disposizione impugnata non potrebbero essere altrimenti interpretati che in modo consono alla normativa richiamata, ovvero nel senso di riferirsi ad interventi “non puntuali” ma inseriti nell’ambito di strumenti urbanistici «funzionali ad un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».
3.– Entrambe le parti hanno successivamente depositato memorie ad ulteriore illustrazione dei rispettivi assunti.
Considerato in diritto
1.– Con il ricorso in epigrafe, resistito dalla Regione Marche, il Presidente del Consiglio dei ministri, ha, come sopra detto, impugnato l’art. 10 della legge della suddetta Regione 13 aprile 2015, n. 16 (Disposizioni di aggiornamento della legislazione regionale. modifiche alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 36 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 2015 e pluriennale 2015/2017 della Regione. Legge finanziaria 2015” e alla legge regionale 30 dicembre 2014, n. 37 “Bilancio di previsione per l’anno 2015 ed adozione del bilancio pluriennale per il triennio 2015/2017”), per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione.
Secondo il ricorrente, il vulnus agli evocati parametri costituzionali discenderebbe dal fatto che il censurato art. 10 della legge regionale n. 16 del 2015 avrebbe determinato un mutamento di significato della norma, sostituendo – al riferimento agli interventi «di qualificazione del patrimonio edilizio esistente, di riqualificazione urbana, di recupero funzionale, di accorpamento «ovvero di ogni altra [nostra sottolineatura], trasformazione espressamente qualificata di interesse pubblico dalla disciplina statale e regionale vigente» – il riferimento agli interventi «di riqualificazione urbana […] e [nostra sottolineatura] di ogni trasformazione […]».
La norma denunciata, nella versione attuale, potrebbe rendere, infatti, così possibili anche “interventi di carattere puntuale”, in violazione dell’art. 2-bis del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), che invece consente alle Regioni di «prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444», unicamente a condizione che quest’ultime si inseriscano «nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».
2.– Le eccezioni di inammissibilità formulate dalla Regione resistente – per non esatta individuazione della disposizione censurata e per insufficiente esposizione delle ragioni addotte a sostegno dell’ipotizzata illegittimità costituzionale – non possono trovare accoglimento.
2.1.– Non rileva, in primo luogo, che l’art. 10 della legge regionale impugnata, che si compone di più commi, sia formalmente richiamato in ricorso nella sua interezza, poiché le censure formulate dal ricorrente sono inequivocabilmente rivolte al solo suo comma 1: nel quale, appunto, sono contenute le modifiche, apportate all’art. 35 della precedente legge regionale 4 dicembre 2014, n. 33 (Assestamento del bilancio 2014), sottoposte allo scrutinio di costituzionalità.
2.2.– A sua volta, anche il percorso argomentativo che conduce il ricorrente a censurare il novellato art. 35 è ben chiaro, contrariamente all’assunto della difesa della Regione, nel ricollegare la violazione degli evocati parametri costituzionali all’ampliamento dei poteri di intervento edilizio, che la disposizione impugnata, nella sua attuale formulazione, consentirebbe alla Regione, in violazione dei limiti di cui all’art. 2-bis del d.P.R. n. 380 del 2001, e in eccedenza, quindi, rispetto alla competenza concorrente della resistente in materia di «governo del territorio», con conseguente vulnus alla competenza esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile».
3.– Nel merito, la questione è fondata.
3.1.– Va ribadito, in premessa, che, in tema di disciplina delle distanze fra costruzioni, il “punto di equilibrio” – tra gli ambiti di competenza, rispettivamente, “esclusiva”, dello Stato (in ragione dell’attinenza di detta disciplina alla materia «ordinamento civile») e, “concorrente”, della Regione, nella materia «governo del territorio» (per il profilo della insistenza dei fabbricati su territori che possono avere, rispetto ad altri, specifiche caratteristiche, anche naturali o storiche) – si rinviene nel principio, estraibile dall’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 (che questa Corte ha più volte ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile: sentenze n. 114 del 2012 e n. 232 del 2005; ordinanza n. 173 del 2011), per cui sono ammesse distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».
Principio, questo, sostanzialmente poi recepito dal legislatore statale con l’art. 30, comma 1, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, della legge 9 agosto 2013, n. 98, che ha inserito, dopo l’art. 2 del d.P.R. n. 380 del 2001, l’art. 2-bis, a norma del quale «Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».
Ne consegue che la legislazione regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile, è legittima solo in quanto persegua chiaramente finalità di carattere urbanistico, demandando l’operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 232 del 2005). Diversamente, «le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici, esulino, invece, da tali finalità, risultano invasive della materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenza n. 134 del 2014).
3.2.– Alla luce dei suesposti principi, è innegabile allora che, nel contesto del novellato art. 35 della legge della Regione Marche n. 33 del 2014, la sostituzione della parola «ovvero», con la parola «e», e l’espunzione dell’aggettivo «altra» (sicchè la frase originaria «ovvero di ogni altra trasformazione» diventa «e di ogni trasformazione») sia idonea a superare il collegamento tra gli interventi – di demolizione e costruzione «in deroga ai limiti di cui all’articolo 9 del decreto del Ministro dei Lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444» – di cui è menzione dopo quella «e», e le finalità di qualificazione, o riqualificazione urbana, fissate nell’incipit della disposizione stessa. Con la conseguenza di estendere, come paventato dal ricorrente, la competenza, in deroga, della Regione anche ad “interventi puntuali” o comunque non attinenti a complessivi strumenti urbanistici, al di là di quanto previsto dal predetto art. 35, del quale non si spiegherebbe altrimenti la sostituzione operata dalla disposizione censurata.
Da ciò, dunque, la violazione dei parametri costituzionali di riferimento.
4.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 10, comma 1, della legge della Regione Marche n. 16 del 2015, nella parte in cui modifica l’art. 35 della legge regionale 4 dicembre 2014, n. 33 (Assestamento del bilancio 2014), sostituendo, all’espressione originaria «ovvero di ogni altra trasformazione», la diversa espressione «e di ogni trasformazione».