Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso notificato il 19-24 giugno 2013, depositato in cancelleria il 28 giugno 2013 e iscritto al n. 72 del registro ricorsi dell’anno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, [rectius: dell’art. 16, nella parte in cui sostituisce l’art. 27, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2011, n. 26 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della Regione Basilicata – Legge finanziaria 2012)] e dell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge della Regione Basilicata 16 aprile 2013, n. 7 (Disposizioni nei vari settori di intervento della Regione Basilicata).
1.1.– L’art. 16 della legge della Regione Basilicata n. 7 del 2013 ha sostituito l’art. 27 della legge reg. Basilicata n. 26 del 2011, che dispone il trasferimento all’Azienda sanitaria di Potenza (ASP) delle attività sanitarie di prevenzione e riabilitazione visiva e clinico-gestionali svolte dalla Sezione italiana dell’agenzia internazionale per la prevenzione della cecità (SIACP) di cui alla legge della Regione Basilicata 16 giugno 2003, n. 22 (Norme in materia di prevenzione della cecità), e prevede, al comma 2, che la stessa ASP subentri anche nei contratti di lavoro di diritto privato del personale della SIACP.
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, il predetto comma 2, che comporta il trasferimento di personale da una onlus di diritto privato (SIACP) ad un ente pubblico (ASP) contrasta sia con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto consente l’inquadramento in una pubblica amministrazione di personale non selezionato attraverso pubblico concorso, sia con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza esclusiva dello Stato l’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolati dal codice civile. Sotto questo secondo profilo, il ricorrente denuncia l’illegittimità dell’introduzione di una modalità di assunzione del personale in oggetto (stipulazione di un contratto di diritto privato a tempo indeterminato che non comporta inquadramento nei ruoli della ASP) non prevista nel vigente ordinamento statale, con particolare alterazione del quadro di riferimento normativo regolante i rapporti del personale dell’ente pubblico.
1.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l’art. 29, comma 6, lettera g), della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013, che include tra le possibili varianti ai piani nelle aree industriali quelle che «prevedano modifiche alle distanze dai confini, purché nel rispetto di quelle dettate dal codice civile». Secondo il ricorrente, la predetta disposizione di legge, non contemplando espressamente, oltre all’obbligo del rispetto del codice civile, anche quello del rispetto delle distanze tra i fabbricati di cui all’art. 9 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), contrasta con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale riserva allo Stato la materia dell’ordinamento civile. La difesa dello Stato richiama, in proposito, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’art. 9 del citato decreto ministeriale è autonomamente dotato di «efficacia precettiva e inderogabile» (sentenza n. 6 del 2013), perché riguarda materia inerente all’ordinamento civile, e dunque rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso, in riferimento agli artt. 3, 97 e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 16, comma 2, [rectius: dell’art. 16, nella parte in cui sostituisce l’art. 27, comma 2, della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2011, n. 26 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione annuale e pluriennale della Regione Basilicata – Legge finanziaria 2012)] e dell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge della Regione Basilicata 16 aprile 2013, n. 7 (Disposizioni nei vari settori di intervento della Regione Basilicata).
1.1.– L’art. 16 della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 sostituisce l’art. 27 della legge della Regione Basilicata 30 dicembre 2011, n. 26, il quale, al comma 1, dispone il trasferimento delle attività sanitarie di prevenzione, riabilitazione visiva e clinico-gestionali della Sezione italiana dell’agenzia internazionale per la prevenzione della cecità (SIACP), all’Azienda sanitaria di Potenza (ASP), in coordinamento, per le stesse attività, con l’Azienda sanitaria di Matera.
Il comma 2 del suddetto articolo prevede, poi, (oltre al trasferimento delle dotazioni strumentali e finanziarie, assegnate dalla Regione al SIACP e non ancora utilizzate, alla ASP) il subentro della stessa ASP «nei contratti di lavoro di diritto privato del personale in essere alla data di entrata in vigore della presente legge, senza che ciò costituisca l’instaurarsi di un rapporto di pubblico impiego».
Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, quest’ultima disposizione contrasta con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto consente l’inquadramento in una pubblica amministrazione di personale non selezionato attraverso pubblico concorso. Essa, inoltre, vìola l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dell’ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolati dal codice civile, poiché prevede una modalità di assunzione del suddetto personale (un contratto di diritto privato a tempo indeterminato che non comporterebbe inquadramento nei ruoli della ASP) sconosciuta dal vigente ordinamento statale.
1.2.– L’art. 29, comma 6, lettera g), della medesima legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 include tra le possibili varianti ai piani nelle aree industriali quelle che prevedano modifiche alle distanze dai confini, purché siano rispettate le distanze «dettate dal codice civile».
Il ricorrente afferma che la predetta disposizione di legge, non contemplando espressamente, oltre all’obbligo di osservanza del codice civile, anche quello del rispetto delle distanze tra i fabbricati di cui all’art. 9 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), contrasta con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva allo Stato la materia dell’ordinamento civile.
2.– La censura formulata con riguardo all’art. 16, comma 2, della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013, è chiaramente rivolta contro l’art. 27, comma 2, ultimo periodo, della legge reg. Basilicata n. 26 del 2011, nel testo sostituito dal succitato art. 16, che prevede la successione dell’ASP nel contratto di lavoro privato del personale della SIACP, senza costituzione di alcun rapporto di pubblico impiego.
2.1.– Così intesa, la questione è fondata, poiché la norma impugnata vìola gli artt. 3 e 97 della Costituzione.
Il concorso pubblico costituisce la modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni. Questa Corte ha già ritenuto illegittimo il mancato ricorso a detta forma di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni in relazione a norme regionali di generale ed automatico reinquadramento del personale di enti di diritto privato nei ruoli di Regioni o enti pubblici regionali, perché un simile trasferimento si risolve in un privilegio indebito per i soggetti beneficiari di un siffatto meccanismo, in violazione dell’art. 97 Cost. (sentenze n. 227 del 2013, n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011, n. 267 del 2010).
Neppure il principio in base al quale il passaggio di attività da uno ad altro soggetto comporta il trasferimento del personale ivi addetto «consente di prescindere dall’esigenza di pari condizioni di accesso di tutti i cittadini e di selezione dei migliori» (sentenza n. 227 del 2013).
La mancata previsione di un concorso pubblico ai fini della successione dell’ASP nei rapporti di lavoro del personale già dipendente dalla SIACP integra la denunciata violazione degli artt. 3 e 97 Cost., senza che possa indurre a diversa conclusione l’espressa esclusione, sancita nella norma censurata, dell’instaurazione di un rapporto di pubblico impiego. Infatti, la prosecuzione del rapporto di lavoro con una pubblica amministrazione non può che risolversi nell’insorgenza di un rapporto di impiego pubblico alle dipendenze di quest’ultima.
Neppure vale osservare che questa Corte ha, in via di principio, riconosciuto che si possa eccezionalmente derogare alla regola del pubblico concorso, quando lo scostarsi dalla stessa si riveli a sua volta maggiormente funzionale al buon andamento dell’amministrazione e ricorrano straordinarie esigenze d’interesse pubblico (da ultimo, sentenza n. 217 del 2012). Infatti non si rinviene alcuna ragione o esigenza che, nella specie, possa giustificare una deroga siffatta.
Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 27, comma 2, ultimo periodo, della legge reg. Basilicata n. 26 del 2011, nel testo introdotto dall’art. 16 della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013.
Resta assorbito l’ulteriore profilo di illegittimità prospettato dall’Avvocatura generale dello Stato.
3.– La questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 non è fondata, nei sensi di seguito precisati.
La disciplina delle distanze tra i fabbricati va ricondotta alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza legislativa esclusiva dello Stato (sentenze n. 6 del 2013, n. 114 del 2012, n. 232 del 2005; ordinanza n. 173 del 2011). Deve però essere precisato che «i fabbricati insistono su di un territorio che può avere rispetto ad altri – per ragioni naturali e storiche – specifiche caratteristiche, [sicché] la disciplina che li riguarda – ed in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso – esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici» (sentenza n. 232 del 2005), la cui cura è stata affidata alle Regioni, in base alla competenza concorrente in materia di «governo del territorio» di cui all’art. 117, terzo comma, della Costituzione.
Dunque, se, in linea di principio, la disciplina delle distanze minime tra costruzioni rientra nella competenza legislativa statale esclusiva, alle Regioni è comunque consentito fissare limiti in deroga alle distanze minime stabilite nella normativa statale, anche se unicamente a condizione che tale deroga sia giustificata dall’esigenza di soddisfare interessi pubblici legati al governo del territorio.
Ne consegue che la legislazione regionale che interviene sulle distanze, interferendo con l’ordinamento civile, è legittima solo in quanto persegue chiaramente finalità di carattere urbanistico, demandando l’operatività dei suoi precetti a «strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio» (sentenza n. 232 del 2005). Le norme regionali che, disciplinando le distanze tra edifici, esulino, invece, da tali finalità, risultano invasive della materia «ordinamento civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Nella delimitazione dei rispettivi ambiti di competenza – statale in materia di «ordinamento civile» e concorrente in materia di «governo del territorio» –, il punto di equilibrio è stato rinvenuto nell’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968, che questa Corte ha più volte ritenuto dotato di efficacia precettiva e inderogabile (sentenze n. 114 del 2012 e n. 232 del 2005; ordinanza n. 173 del 2011). Tale disposto ammette distanze inferiori a quelle stabilite dalla normativa statale, ma solo «nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche».
In definitiva, le deroghe all’ordinamento civile delle distanze tra edifici sono consentite se inserite in strumenti urbanistici, funzionali a conformare un assetto complessivo e unitario di determinate zone del territorio (sentenza n. 6 del 2013).
Tale principio è stato sostanzialmente recepito dal legislatore statale con l’art. 30, comma 1, 0a), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 9 agosto 2013, n. 98, che ha inserito, dopo l’art. 2 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A), l’art. 2-bis, a norma del quale «Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali».
La norma regionale impugnata dev’essere, dunque, scrutinata alla luce dei suesposti princìpi. Essa s’inserisce in un elenco di varianti ai piani vigenti alla data di entrata in vigore della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013, che, nel quadro di una normativa transitoria applicabile nelle aree industriali lucane, è previsto siano adottate e approvate dal consiglio di amministrazione del Consorzio territorialmente competente, in deroga alla normale procedura regolata dai commi precedenti dello stesso art. 29, «anche su istanza degli operatori economici insediati o che intendano insediarsi nell’area, […] previo espletamento delle procedure di partecipazione per osservazione di cui all’art. 9, comma 2, della legge regionale 11 agosto 1999, n. 23».
Le varianti di cui alla disposizione regionale denunciata attengono, dunque, a strumenti urbanistici mirati (come i piani di area di sviluppo industriale), i quali producono, a norma dell’art. 51, sesto comma, del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 218 (Testo unico delle leggi sugli interventi nel Mezzogiorno), «gli stessi effetti giuridici del piano territoriale di coordinamento di cui alla legge 17 agosto 1942, n. 1150». Tanto determina, per i Comuni ricadenti nell’ambito del piano, l’obbligo di adeguare ad esso i propri strumenti urbanistici [art. 6 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge urbanistica)].
Conseguentemente, ricorre nella specie quella finalizzazione urbanistica dell’intervento regionale, intesa alla costruzione di un assetto complessivo ed unitario di determinate zone del territorio, che costituisce l’estrinsecazione della relativa competenza legislativa regionale.
Peraltro, venendo in rilievo una competenza concorrente riguardo ad una materia che, relativamente alla disciplina delle distanze, interferisce con altra di spettanza esclusiva dello Stato, non v’è dubbio che debbano essere comunque osservati i principi della legislazione statale quali «si ricavano dall’art. 873 cod. civ. e dall’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, emesso ai sensi dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (introdotto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), avente efficacia precettiva e inderogabile, secondo un principio giurisprudenziale consolidato» (sentenza n. 230 del 2005).
Quindi, seppure il regime delle distanze ha la sua prima collocazione nel codice civile, la stessa disciplina ivi contenuta è poi precisata in ulteriori interventi normativi, tra cui rileva, in particolare, il d.m. n. 1444 del 1968, costituente un corpo unico con la regolazione codicistica.
Per tali ragioni d’ordine sistematico, l’esplicito richiamo al codice civile contenuto nell’art. 29, comma 6, lettera g), della legge reg. Basilicata n. 7 del 2013 deve essere inteso come riferito all’intera disciplina civilistica di cui il citato decreto ministeriale è parte integrante e fondamentale.
Così interpretata, la disposizione regionale censurata risulta pienamente rispettosa della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia civilistica dei rapporti interprivati, appunto perché essa impone il rispetto del codice civile e di tutte le disposizioni integrative dettate in tema di distanze nell’ambito dell’ordinamento civile, comprese quelle di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968.