Ritenuto in fatto
1. — La Regione Toscana, con ricorso notificato il 25 febbraio 2010 presso l’Avvocatura generale dello Stato e il 26 febbraio 2010 presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, poi depositato il 3 marzo 2010, ha impugnato, tra l’altro, l’art. 2, commi 191 e 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2009, n. 302.
1.1. — L’art. 2, comma 191, della citata legge è censurato «nella parte in cui dispone che la delibera del consiglio comunale di approvazione del protocollo d’intesa corredato dello schema dell’accordo di programma relativo agli immobili da trasferire costituisce variante allo strumento urbanistico generale che prescinde dalla verifica di conformità con la pianificazione sovraordinata».
Ad avviso della ricorrente, il primo periodo di detta norma viola l’art. 117, terzo comma, della Costituzione. Essa osserva che il menzionato precetto richiama la disposizione di cui all’art. 58, comma 2, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), la quale, in senso del tutto analogo, prevedeva che «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica: la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazione costituisce variante allo strumento urbanistico generale. Tale variante, in quanto relativa a singoli immobili, non necessita di verifiche di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni».
La Regione Toscana precisa di avere impugnato il detto art. 58, comma 2, in quanto lesivo delle competenze regionali in materia di governo del territorio, nella misura in cui consentiva che la variante, automaticamente apportata con l’approvazione del piano delle alienazioni da parte del consiglio comunale, non necessitasse di verifiche di conformità rispetto agli atti della pianificazione provinciale e regionale, così incidendo sulla legislazione regionale in materia di governo del territorio che, nel disciplinare il procedimento di adozione ed approvazione degli atti di pianificazione territoriale, ha stabilito la necessaria conformità urbanistica degli atti comunali – piani e varianti – rispetto alle previsioni degli atti regionali indicati.
La ricorrente ricorda che questa Corte, con sentenza n. 340 del 2009, ha accolto la tesi ora esposta e, per conseguenza, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 58, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost.
Ad avviso della Regione, gli argomenti esposti nella menzionata sentenza ben possono valere con riguardo all’analoga norma censurata in questa sede. Essa, infatti, prevede una specifica procedura per la vendita e la valorizzazione degli immobili militari, anche attraverso la sottoscrizione di appositi accordi di programma con i Comuni interessati. Qualora si proceda tramite detti accordi, è previsto che – ai sensi del ricordato art. 58, comma 2, del d.l. n. 112 del 2008 (già dichiarato costituzionalmente illegittimo) – l’approvazione, da parte del Comune interessato, del protocollo d’intesa e dell’allegato accordo di programma costituisca variante, che prescinde dalla valutazione di conformità con la pianificazione sovraordinata di livello provinciale e regionale. Tale verifica di conformità, invece, è imposta dalla legge della Regione Toscana del 3 gennaio del 2005, n. 1, recante «Norme per il governo del territorio».
Verrebbe così incisa la legislazione regionale in materia di governo del territorio, con violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost.
1.2. — La Regione Toscana, inoltre, denunzia l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009, nella parte in cui dispone che l’individuazione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico, da risanare attraverso le risorse di cui alla delibera del CIPE 2 (recte: 6) novembre 2009, sono individuate dal Ministero dell’ambiente, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri, per violazione dell’art. 117, terzo comma, e dell’art. 118, primo comma, Cost., nonché per contrasto con il principio di leale collaborazione e il principio di sussidiarietà.
Dopo aver riportato il tenore della norma, la ricorrente ne censura la prima parte perché l’individuazione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico da rimuovere è effettuata dal Ministero dell’ambiente, sentite le autorità di bacino e la Protezione civile, ma non la Regione. Quest’ultima, dunque, non è chiamata a svolgere alcun ruolo in merito alla individuazione delle situazioni di criticità idrogeologica presenti nel proprio territorio ed alla conseguente ammissione ai contributi per il risanamento.
Ad avviso della ricorrente ciò sarebbe lesivo delle indubbie competenze delle Regioni in materia di governo del territorio, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., competenze certamente coinvolte dalla previsione in esame. Al riguardo è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 232 del 2009, con la quale si è chiarito che le attività relative alla difesa del suolo, anche in relazione alla salvaguardia per i rischi derivanti dal dissesto idrogeologico, rientrano nella materia della tutela dell’ambiente, di esclusiva competenza statale. Tuttavia la stessa sentenza ha precisato che «In relazione alla possibile influenza dell’attività in questione su attribuzioni regionali in materie di competenza concorrente o residuale, è bensì necessario un coinvolgimento delle Regioni», quanto meno prevedendo l’espressione di un parere per quelle di volta in volta interessate ovvero attraverso quello della Conferenza unificata; ed ha aggiunto che le competenze in materia di difesa del suolo da parte dello Stato «sono sicuramente tali da produrre effetti indiretti sulla materia del governo del territorio e dunque il loro esercizio richiede un cointeressamento delle Regioni che deve essere realizzato nella forma del parere della Conferenza unificata».
Infine, la ricorrente osserva che, con specifico riferimento al risanamento delle situazioni di dissesto idrogeologico, la sentenza de qua ha stabilito che «Quanto al principio di leale collaborazione, la sua salvaguardia è assicurata dalla necessità del parere della Conferenza unificata per l’esercizio delle funzioni di programmazione e finanziamento, quale risulta a seguito della declaratoria di parziale illegittimità della lettera a) dello stesso art. 58, comma 3. Infatti, il parere sarà richiesto anche in caso di programmazione e finanziamento riguardanti la prevenzioni del rischio idrogeologico».
Pertanto, ad avviso della Regione Toscana, alla luce dei suddetti principi la norma censurata è illegittima, non prevedendo per le Regioni alcun coinvolgimento, invece necessario per la corretta indicazione della priorità degli interventi proprio in virtù delle specifiche competenze regionali in merito alle caratteristiche del rispettivo territorio e allo stretto rapporto con gli enti locali.
Anche qualora fossero addotte esigenze di sussidiarietà per la rilevanza degli interventi in questione ai fini della tutela della sicurezza dei cittadini, resterebbe pur sempre necessario prevedere un meccanismo partecipativo delle Regioni, a salvaguardia delle competenze di queste in materia di governo del territorio. La norma, invece, limita la partecipazione al Dipartimento della Protezione civile nazionale e alle autorità di bacino, di cui all’art. 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), cioè alle autorità dei bacini nazionali, che, però, non sono state costituite, sicché i piani straordinari introdotti dalla norma censurata saranno adottati dal Ministero dell’ambiente sentita la Protezione civile nazionale.
Ad avviso della ricorrente, il dubbio sulla legittimità costituzionale della norma non appare superabile neppure alla luce della previsione contenuta nell’ultimo periodo di essa (che non si contesta).
Infatti, tale disposizione delinea, in materia, un ruolo della Regione che può sottoscrivere un apposito accordo di programma, ma soltanto a fronte dell’impegno finanziario della Regione stessa nell’intervento di risanamento. La previsione normativa, a ben vedere, confermerebbe l’illegittimità costituzionale della prima parte contestata, perché consentirebbe alle Regioni di partecipare all’individuazione delle situazioni di dissesto idrogeologico da risanare solo qualora l’Amministrazione regionale proceda al cofinanziamento dell’intervento.
Da quanto sopra deriverebbero il contrasto della norma censurata con gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., nonché la violazione del principio di leale collaborazione e del principio di sussidiarietà.
2. — Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale con memoria depositata il 6 aprile 2010, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.
La difesa dello Stato, premesso che l’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del 2009 andrebbe letto insieme con i precedenti commi 189 e 190 (di cui sono riportati i disposti), sostiene che la norma censurata si colloca nell’ambito di un complesso di disposizioni che autorizzano il Ministro della difesa, al fine di reperire le risorse necessarie a soddisfare le esigenze infrastrutturali e alloggiative delle Forze armate attraverso la valorizzazione e l’alienazione degli immobili militari, a promuovere la costituzione di uno o più fondi comuni d’investimento immobiliare, d’intesa con i Comuni con i quali saranno sottoscritti accordi di programma per la valorizzazione di detti immobili.
L’interveniente aggiunge che l’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del 2009, come si pone in evidenza anche nel ricorso, è connesso all’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, il cui comma 2 è stato però dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza di questa Corte n. 340 del 2009, emessa pochi giorni dopo l’approvazione della legge n. 191 del 2009. Il venir meno dell’art. 58, comma 2, renderebbe «di fatto inefficace la disposizione impugnata».
Andrebbe considerato, inoltre, che in tale materia è intervenuto il decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010, n. 42 (Disposizioni per la funzionalità degli enti locali), e precisamente l’art. 4-decies di detta normativa, disposizione che «appare di indubbio rilievo in relazione ai motivi di ricorso, andando ad incidere sul complesso normativo sospettato di incostituzionalità».
In ordine, poi, all’impugnazione dell’art. 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009, la difesa dello Stato osserva che la disposizione destina ai piani straordinari, diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, le risorse, già assegnate dalla delibera CIPE in data 6 novembre 2009, per interventi di risanamento ambientale, a valere sulle disponibilità del Fondo infrastrutture e del Fondo strategico per il Paese a sostegno dell’economia reale. Tali risorse potranno essere utilizzate anche tramite accordi di programma, sottoscritti dalle Regioni interessate e dal Ministero dell’ambiente, con cui sarà definita la quota di cofinanziamento regionale destinata agli interventi di risanamento ambientale.
La ricorrente lamenta il mancato coinvolgimento delle Regioni per l’individuazione delle situazioni di criticità idrogeologica presenti nei rispettivi territori e per la conseguente ammissione ai contributi destinati al risanamento. Ciò alla luce di quanto deciso dalla sentenza di questa Corte n. 232 del 2009, con la quale si è stabilito che le attività connesse agli interventi in tema di difesa del suolo possono avere impatto su materie di competenza regionale, onde sarebbe necessario un coinvolgimento delle Regioni, quanto meno nella forma dell’espressione del parere.
Ad avviso della difesa dello Stato, però, va posto in rilievo che l’individuazione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico – rientrante nell’ambito della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. – è attività preliminare rispetto agli interventi per la difesa del suolo coordinati dal Governo e per i quali è richiesto il parere delle Regioni.
Tale attività non potrebbe che essere svolta a livello centrale, richiedendo l’individuazione di criteri uniformi di valutazione in ambito nazionale e basandosi su studi scientifici volti alla definizione delle condizioni di rischio e realizzati dalle competenti strutture statali.
Pertanto, la disposizione censurata non violerebbe le prerogative regionali, essendo diretta a tutelare interessi di rilevanza nazionale, quali la prevenzione dei rischi ambientali e la salvaguardia dell’incolumità della popolazione.
Considerato in diritto
1. — La Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe, ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, commi 191 e 240, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), lamentando la violazione degli articoli 117, terzo comma, e 118, primo comma, della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione e del principio di sussidiarietà.
2. — Riservata a separate pronunzie la decisione sulle altre questioni di legittimità costituzionale sollevate con il ricorso della Regione, si deve osservare in via preliminare, con riguardo alla questione relativa alla legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del 2009, che l’art. 2268, comma 1, n. 1083, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare) ha abrogato alcuni commi del citato art. 2 della legge n. 191 del 2009, tra cui i commi 189, 190, 191, 192, 193 e 194.
Ai sensi dello stesso art. 2268 l’abrogazione decorre dalla data di entrata in vigore del codice e del regolamento. Tale data, a norma del successivo art. 2272, è stabilita in cinque mesi dopo la pubblicazione del codice nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta l’8 maggio 2010. Pertanto l’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del 2009 è ormai abrogato a far tempo dall’8 ottobre 2010.
Tuttavia, avuto riguardo all’arco cronologico non breve (circa nove mesi) durante il quale la norma è rimasta in vigore, nonché al difetto di ogni prova in ordine alla mancata applicazione di essa durante il periodo della sua vigenza, va escluso che possa essere emessa una declaratoria di cessazione della materia del contendere, onde si deve procedere allo scrutinio nel merito delle censure avanzate in parte qua con il ricorso (ex plurimis: sentenze n. 272 e n. 164 del 2009).
3. — La difesa dello Stato, prendendo le mosse dal rilievo che la norma censurata si apre con il richiamo all’art. 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, osserva che, con sentenza di questa Corte n. 340 del 2009, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 2 di detto articolo 58 (esclusa la proposizione iniziale, secondo cui «L’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile e ne dispone espressamente la destinazione urbanistica»). Tale pronuncia, ad avviso dell’Avvocatura generale, avrebbe «di fatto» reso inefficace la disposizione impugnata in questa sede.
La tesi non può essere condivisa.
L’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, era composto da nove commi. Di questi, soltanto il comma 2 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 340 del 2009. Le censure mosse contro gli altri commi sono state dichiarate inammissibili o non fondate. Ne deriva che il contenuto precettivo del citato articolo è rimasto in larga parte immutato, e ciò esclude la presunta perdita di efficacia della disposizione qui impugnata, perdita, peraltro, soltanto affermata, ma non dimostrata dall’interveniente.
Si deve aggiungere che il richiamo di detta disposizione all’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008 si rivela, in realtà, pleonastico per quanto rileva in questa sede, perché il disposto del comma qui censurato non si esaurisce in tale richiamo, ma prosegue disponendo che «la deliberazione del consiglio comunale di approvazione del protocollo d’intesa corredato dello schema dell’accordo di programma, di cui al comma 190, costituisce autorizzazione alle varianti allo strumento urbanistico generale, per le quali non occorre la verifica di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni, salva l’ipotesi in cui la variante comporti variazioni volumetriche superiori al 30 per cento dei volumi esistenti. Per gli immobili oggetto degli accordi di programma di valorizzazione che sono assoggettati alla disciplina prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, è acquisito il parere della competente soprintendenza del Ministero per i beni e le attività culturali, che si esprime entro trenta giorni».
Come si vede, pur prescindendo dal richiamo all’art. 58 del d.l. n. 112 del 2008, la norma censurata ha un suo autonomo contenuto precettivo, in parte analogo a quello dettato dalla disposizione richiamata, ma non coincidente con questa. Basta considerare che, mentre il citato art. 2, comma 191, ha per oggetto i soli beni immobili militari, l’art. 58 concerneva genericamente i beni immobili; mentre la classificazione come patrimonio disponibile dello Stato consegue, per gli immobili militari, all’inserimento degli stessi nei decreti del Ministero della difesa, per gli altri immobili derivava, ai sensi dell’art. 58, dall’inserimento nel piano; mentre la verifica di conformità agli atti di pianificazione sovraordinata è richiesta dall’art. 2, comma 191, nell’ipotesi di variante che comporti variazioni volumetriche superiori al 30 per cento dei volumi esistenti, la stessa verifica, ai sensi dell’art. 58, comma 2, era richiesta nel caso di varianti che comportassero variazioni volumetriche superiori al 10 per cento dei volumi previsti dal medesimo strumento urbanistico vigente. La disposizione in esame, dunque, è dotata di propria efficacia normativa, sulla quale non ha pronunciato la sentenza n. 340 del 2009. Anche per questo profilo, quindi, la tesi dell’Avvocatura generale è priva di fondamento.
3.1 — La difesa dello Stato eccepisce anche che, nella materia de qua, è intervenuto l’art. 4-decies del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2 (Interventi urgenti concernenti enti locali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 marzo 2010, n. 42. Tale disposizione, ad avviso dell’interveniente, sarebbe «di indubbio rilievo in relazione ai motivi di ricorso andando ad incidere sul complesso normativo sospettato di incostituzionalità».
Si tratta, tuttavia, di un assunto generico, perché non espone alcun argomento diretto a spiegare le ragioni del rilievo attribuito alla norma in relazione «ai motivi di ricorso». La resistente si limita a trascrivere la norma stessa, che contiene riferimenti all’art. 2, commi 189 e 195, della legge n. 191 del 2009, ma non al comma 191, e soprattutto non chiarisce se e quali rapporti sussistano tra le due disposizioni.
Da ciò deriva l’inammissibilità dell’eccezione.
4. — Nel merito, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del 2009 è fondata.
La norma censurata è stata riportata nel punto 3 che precede.
Essa, come emerge dal precedente comma 189 dello stesso art. 2, concorre allo scopo di ottenere, attraverso la valorizzazione e l’alienazione degli immobili militari, le risorse necessarie a soddisfare le esigenze infrastrutturali e alloggiative delle Forze armate, mediante la costituzione di uno o più fondi di investimento immobiliare, d’intesa con i comuni con i quali sono sottoscritti gli accordi di programma di cui al successivo comma 190. Tuttavia essa va ad incidere sulla materia del governo del territorio, rientrante nella competenza concorrente tra lo Stato e le Regioni, allorché attribuisce alla delibera del consiglio comunale, sopra indicata, efficacia di autorizzazione alle varianti allo strumento urbanistico generale, per le quali non occorre verifica di conformità agli eventuali atti di pianificazione sovraordinata di competenza delle province e delle regioni (salva la specifica ipotesi pure prevista).
Come questa Corte ha più volte osservato (ex plurimis: sentenze n. 340, n. 237 e n. 200 del 2009), ai sensi dell’art. 117, terzo comma, ultimo periodo, Cost., nelle materie di legislazione concorrente lo Stato ha soltanto il potere di fissare i principi fondamentali, spettando alle Regioni il potere di emanare la normativa di dettaglio. La relazione tra normative di principio e di dettaglio va intesa nel senso che alla prima spetta prescrivere criteri ed obiettivi, essendo riservata alla seconda l’individuazione degli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere detti obiettivi.
Nel caso in esame la norma de qua, stabilendo l’effetto di variante dianzi indicato ed escludendo la necessità che la variante stessa debba essere sottoposta alle suddette verifiche di conformità (con l’eccezione indicata, che pure contempla specifiche percentuali volumetriche), introduce una disciplina che non è finalizzata a prescrivere criteri ed obiettivi, ma si risolve in una normativa dettagliata che non lascia spazi d’intervento al legislatore regionale, ponendosi così in contrasto con il menzionato parametro costituzionale.
Sulla base delle considerazioni che precedono deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 191, della legge n. 191 del 2009, per contrasto con l’art. 117, comma terzo, Cost.
La declaratoria va estesa, per coerenza logica, anche all’ultimo periodo della norma, secondo cui «Per gli immobili oggetto degli accordi di programma di valorizzazione che sono assoggettati alla disciplina prevista dal codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, è acquisito il parere della competente soprintendenza del Ministero per i beni e le attività culturali, che si esprime entro trenta giorni». Infatti, si tratta di disposizione strettamente collegata alla precedente, come è reso palese dal richiamo agli «immobili oggetto degli accordi di programma di valorizzazione», sicché la caducazione di quel disposto non ne consente l’autonoma sopravvivenza.
5. — La ricorrente ha promosso, inoltre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009, nella parte in cui dispone che l’individuazione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico, da risanare attraverso le risorse di cui alla delibera del CIPE 2 (recte: 6) del novembre 2009, è compiuta dalla direzione generale competente del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentite le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri. Tale norma violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 118, primo comma, Cost., e si porrebbe in contrasto con il principio di leale collaborazione e il principio di sussidiarietà.
La Regione contesta la prima parte della norma, lamentando che ad essa non sarebbe attribuito alcun ruolo per l’individuazione delle situazioni di criticità idrogeologica presenti nel proprio territorio e per la conseguente ammissione ai contributi per il risanamento. Ciò sarebbe lesivo delle competenze regionali in materia di governo del territorio, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.
L’ente territoriale menziona la sentenza di questa Corte n. 232 del 2009, con la quale sarebbe stato chiarito che le attività relative alla difesa del suolo, anche con riguardo ai rischi derivanti dal dissesto idrogeologico, rientrano nella materia della tutela dell’ambiente, che è di competenza esclusiva statale. Con la medesima sentenza, però, sarebbe stato precisato che, in relazione alla possibile influenza dell’attività in questione su attribuzioni regionali in materie di competenza concorrente o residuale, sarebbe necessario un coinvolgimento delle Regioni, quanto meno attraverso l’espressione di un parere da parte delle stesse Regioni interessate ovvero da parte della Conferenza unificata.
La ricorrente richiama poi altre parti della sentenza, relative alle generali funzioni di programmazione e di finanziamento, per le quali sarebbe stata ritenuta la necessità del parere della detta Conferenza, anche in ossequio al principio di leale collaborazione. Inoltre, rileva che, anche qualora fossero addotte esigenze di sussidiarietà per la rilevanza degli interventi in questione a fini di tutela della sicurezza e dell’incolumità dei cittadini, sarebbe pur sempre necessario garantire un meccanismo partecipativo delle Regioni, per la salvaguardia delle loro competenze in materia di governo del territorio.
Né sarebbe invocabile la prevista partecipazione delle autorità di bacino, perché queste non sarebbero state costituite, sicché i piani straordinari introdotti dalla norma censurata «saranno adottati dal Ministero dell’ambiente sentita la Protezione civile nazionale».
Infine, il dubbio sulla legittimità costituzionale della detta norma non sarebbe superabile neppure alla luce dell’ultimo periodo di essa (che non si contesta), secondo cui le risorse ivi previste possono essere utilizzate anche attraverso accordi di programma sottoscritti dalla Regione interessata e dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare che definiscono, altresì, la quota di cofinanziamento regionale. Invero, tale disposizione contemplerebbe la possibilità per la Regione di sottoscrivere un accordo di programma soltanto a fronte del suo impegno finanziario nell’intervento di risanamento. E ciò starebbe a significare che le Regioni non avrebbero alcun ruolo in ordine alle situazioni nelle quali non si provveda tramite accordo di programma e tuttavia esse abbiano già provveduto a finanziare progetti di risanamento.
5.1. — Va premesso che, con l’art. 17, comma 2-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 195 (Disposizioni urgenti per la cessazione dello stato di emergenza in materia di rifiuti nella Regione Campania, per l’avvio della fase post emergenziale nel territorio della Regione Abruzzo ed altre disposizioni urgenti relative alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ed alla protezione civile), aggiunto dalla legge di conversione 26 febbraio 2010, n. 26, le risorse assegnate per interventi di risanamento ambientale con l’art. 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009, pari a 1.000 milioni di euro, sono state ridotte per l’anno 2010 di 100 milioni di euro, per le finalità indicate nel citato art. 17, con conseguente modifica in parte qua della norma censurata. Tale modifica, però, è priva di rilevanza sulla questione promossa dalla Regione Toscana, perché non ha alcuna incidenza sulla parte di detta norma oggetto dell’impugnazione, che quindi va esaminata nel merito.
5.2. — La questione non è fondata.
Questa Corte ha già chiarito – e la stessa ricorrente lo ricorda – che le attività relative alla difesa del suolo, anche con riguardo alla salvaguardia per i rischi derivanti da dissesto idrogeologico, rientrano nella materia della tutela dell’ambiente, di esclusiva competenza statale, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (ex plurimis: sentenze n. 254, n. 246 e n. 232 del 2009).
In particolare, è stato posto in luce che la materia «tutela dell’ambiente» ha un contenuto allo stesso tempo oggettivo, in quanto riferito ad un bene, cioè l’ambiente, e finalistico, perché tende alla migliore conservazione del bene stesso (ex plurimis: sentenze n. 315, n. 225 e n. 12 del 2009; n. 104 del 2008; n. 378 e n. 367 del 2007). In ragione di ciò, sullo stesso bene «ambiente» possono concorrere più competenze, che restano distinte tra loro perseguendo, autonomamente, le loro specifiche finalità attraverso la previsione di diverse discipline. Infatti, da una parte sono affidate allo Stato la tutela e la conservazione dell’ambiente, mediante la fissazione di livelli «adeguati e non riducibili di tutela» (sentenze n. 315 e n. 61 del 2009); dall’altra, compete alle Regioni, nel rispetto dei livelli di tutela fissati dalla disciplina statale, esercitare le proprie competenze, dirette essenzialmente a regolare la fruizione dell’ambiente, evitandone compromissioni o alterazioni. In questo senso è stato affermato che la competenza statale, allorché sia espressione della tutela dell’ambiente, costituisce “limite” all’esercizio delle competenze regionali (ex plurimis: sentenza n. 315 del 2009).
In questo quadro, venendo al caso in esame, va rilevato che l’art. 2, comma 240, della legge n. 191 del 2009 è censurato nella parte relativa all’individuazione delle situazioni a più elevato rischio idrogeologico, affidata alla competente direzione generale del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti le autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile, senza coinvolgimento delle Regioni. Orbene, tale individuazione si risolve in attività di carattere conoscitivo, aventi natura anche tecnica, attinenti alla struttura, alla composizione, alle condizioni dei terreni, secondo metodologie e criteri uniformi, idonei a riconoscere la possibilità che un determinato territorio sia esposto a pericolo sotto il profilo idrogeologico. Si tratta, dunque, di attività finalizzate in via esclusiva alla tutela dell’ambiente, onde non è ravvisabile la necessità di un coinvolgimento regionale.
Peraltro, va considerato che le Regioni non restano estranee a tali attività, dal momento che è previsto il parere delle autorità di bacino, di cui all’art. 63 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e successive modificazioni. Dette autorità sono istituite in ciascun distretto idrografico (di cui al successivo art. 64 d.lgs. citato, che prevede la ripartizione in distretti dell’intero territorio nazionale), e tra i loro organi sono contemplate le Conferenze istituzionali permanenti (art. 63, comma 2), alle quali partecipano, tra gli altri, i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome il cui territorio è interessato dal distretto idrografico o gli assessori dai medesimi delegati. Alle Conferenze istituzionali permanenti è affidata l’adozione degli atti di indirizzo, coordinamento e pianificazione delle autorità di bacino, sicché tramite questi enti ben possono essere rappresentati eventuali profili attinenti alle attribuzioni regionali in materia di governo del territorio (sentenza n. 232 del 2009, punto 13.5 del Considerato in diritto).
La denunziata violazione delle competenze della ricorrente, garantite dagli artt. 117 e 118 Cost., nonché dei princìpi di leale collaborazione e di sussidiarietà, dunque, non sussiste.
Né giova addurre che le autorità di bacino, previste dal d.lgs. n. 152 del 2006 e successive modificazioni, non sono state (ancora) costituite. Invero, con l’art. 1, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208 (Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2009, n. 13, si è stabilito che le autorità di bacino, di cui alla legge 18 maggio 1989, n. 183 (Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo), sono prorogate fino alla data di entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che, a norma dell’art. 63, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, deve disciplinare il trasferimento delle funzioni, del personale e delle risorse patrimoniali e finanziarie e regolamentare il periodo transitorio.
Pertanto, le precedenti autorità di bacino hanno continuato a svolgere le loro funzioni e continueranno a farlo fino all’effettiva costituzione dei nuovi organismi (sentenza n. 232 del 2009, punto 13.4 del Considerato in diritto). E, per quanto qui rileva, si deve soltanto osservare che anche per i predetti enti, disciplinati dalla legge n. 183 del 1989, era previsto che il principale organo fosse il comitato istituzionale (art. 12 legge cit.), composto (tra gli altri) dai Presidenti delle Giunte regionali delle Regioni il cui territorio fosse interessato dal bacino idrografico, ovvero da assessori dagli stessi delegati, onde valgono le considerazioni dianzi svolte circa la possibilità di veicolare nel procedimento descritto dalla norma censurata eventuali profili di interesse regionale.
Infine, alla ricorrente non giova il richiamo alla citata sentenza n. 232 del 2009, sia perché, nel caso in esame, una sede di partecipazione per le Regioni è prevista, sia perché, come risulta dagli stessi passaggi argomentativi trascritti nel ricorso regionale, il coinvolgimento è ritenuto necessario per le funzioni di programmazione e di finanziamento, mentre l’impugnazione promossa in questa sede riguarda l’attività, preliminare ad esse, diretta ad individuare le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, cioè, come sopra si è visto, un’attività che si iscrive a pieno titolo nella tutela dell’ambiente, rientrante nell’esclusiva competenza statale.
Da quanto sopra consegue che la suddetta questione di legittimità costituzionale deve essere dichiarata non fondata.