Ritenuto in fatto
1. - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione
siciliana ha sollevato questione di legittimità costituzionale
dell'art. 4- bis, primo comma, del decreto-legge 30 settembre 1989,
n. 332, aggiunto dalla legge di conversione 27 novembre 1989, n. 384
(Conversione in legge con modificazioni del decreto-legge 30
settembre 1989, n. 332, recante misure fiscali), nella parte in cui,
dopo aver disposto, con decorrenza 1° gennaio 1990, l'aumento del 50
per cento delle tasse automobilistiche, prevede che le somme
derivanti da tale aumento siano acquisite per intero al bilancio
dello Stato.
Secondo la ricorrente, la disposizione impugnata contrasterebbe
con l'art. 36 dello Statuto speciale per la Regione siciliana (R.D.
legislativo 15 maggio 1946, n. 455), che, oltre a riservare allo
Stato unicamente le imposte di produzione e le entrate dei tabacchi e
del lotto, è stato attuato dal d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, il
quale, all'art. 2, dispone che spettano alla Regione siciliana sia le
entrate tributarie da essa deliberate, sia le entrate erariali,
dirette ed indirette, qualunque sia la loro denominazione e ad
eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia
destinato, con apposite leggi, alla copertura di oneri vòlti a
soddisfare particolari finalità dello Stato, sia contingenti che
continuative, specificate nelle leggi medesime. Ad avviso della
stessa ricorrente, dal momento che la disposizione impugnata prevede
puramente e semplicemente l'acquisizione al bilancio statale delle
somme derivanti dall'aumento del 50 per cento delle tasse
automobilistiche, le entrate erariali ivi previste non sarebbero
riconducibili a nessuna delle ipotesi indicate dall'anzidetto art. 2
delle norme di attuazione come entrate di spettanza statale. Per tali
motivi, anche in considerazione di un'analoga pronunzia adottata da
questa Corte (sent. n. 61 del 1987), la disposizione impugnata
dovrebbe esser dichiarata costituzionalmente illegittima.
2. - Si è ritualmente costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri per chiedere che il ricorso sia dichiarato inammissibile o,
in ogni caso, infondato.
L'inammissibilità del ricorso deriverebbe dal fatto che, ad avviso
del resistente, l'eventuale accoglimento della questione proposta non
potrebbe determinare l'effetto, preteso dalla ricorrente, di veder
acquisite al bilancio della Regione siciliana le somme introitate a
titolo di aumento delle tasse automobilistiche, dal momento che la
disposizione impugnata è inscindibilmente connessa con il quarto
comma dello stesso art. 4-bis, il quale prevede, per un verso, che le
predette somme siano soltanto "formalmente" iscritte nel bilancio
dello Stato, e, per altro verso, dispone che le medesime somme siano
destinate a una "successiva ripartizione tra i comuni e le province",
compresi quelli localizzati nel territorio siciliano. Per tali
motivi, si verserebbe in un'ipotesi di inammissibilità, in quanto la
richiesta di una pronunzia di accoglimento, oltre a non essere
possibile per l'inscindibile connessione tra le ricordate
disposizioni, comprometterebbe anche l'equilibrio finanziario dei
bilanci pubblici, cioè un valore costituzionalmente riconosciuto
nell'art. 81 della Costituzione, in relazione al quale non potrebbero
darsi pronunce che lo pregiudichino o, comunque, "che non contengano
in sé soluzioni di automatico recupero dell'equilibrio finanziario
che abbia a risultare turbato dall'intervento del Giudice delle
leggi".
In ogni caso, sempre secondo l'Avvocatura dello Stato, il ricorso
non sarebbe fondato, quantomeno, sotto quattro profili.
In primo luogo, l'aumento delle tasse automobilistiche previsto
nella disposizione impugnata rientrerebbe, ad avviso della
Avvocatura, fra le ipotesi eccezionali di entrate riservate allo
Stato, in quanto la prevista destinazione alla "successiva
ripartizione tra i comuni e le province" costituirebbe una "finalità
particolare" ai sensi dell'art. 2 delle norme di attuazione contenute
nel d.P.R. n. 1074 del 1965.
In secondo luogo, l'art. 36 dello Statuto non rappresenterebbe un
valido parametro per il presente giudizio, poiché, come questa Corte
ha già affermato (sent. n. 61 del 1987, punto 15), "non rientrano
(...) nella categoria dei tributi propri della Regione Sicilia
previsti dall'art. 36 dello Statuto le entrate tributarie erariali
riscosse nell'ambito del suo territorio". Sicché, secondo
l'Avvocatura dello Stato, resterebbe soltanto l'art. 2 del d.P.R. n.
1074 del 1965, il quale, tuttavia, non può costituire un
equipollente sostitutivo dell'art. 36, dovendo vertere il giudizio di
costituzionalità tra una norma costituzionale e una di legge
ordinaria, e non già tra due norme legislative di pari livello.
In terzo luogo, poiché la Regione siciliana non ha competenza
esclusiva al di fuori di quella sui tributi propri, al livello
costituzionale sussisterebbe soltanto la competenza statale in ordine
alla devoluzione delle proprie entrate tributarie, la quale sarebbe
tenuta a rispettare soltanto l'art. 37 dello Statuto. L'art. 2,
invece, potrebbe, tutt'al più, aver istituito crediti ulteriori
della Regione, non già nuove competenze regionali (né avrebbe
potuto farlo, data la sua natura di norma di attuazione).
Infine, non andrebbe dimenticato, a giudizio dell'Avvocatura dello
Stato, che la normativa sulle tasse automobilistiche costituisce,
ormai, un corpus a sé stante, anche rispetto all'invocato art. 2, un
corpus che stabilisce esplicite differenziazioni tra le regioni a
statuto speciale e le altre.
3. - In prossimità dell'udienza la Regione siciliana ha
presentato memoria per contestare le argomentazioni addotte
dall'Avvocatura Generale dello Stato.
Sulla eccezione d'inammissibilità la ricorrente si limita a
ricordare che nessuno contesta la lunga esperienza di impugnative
parziali che si è avuta dinnanzi a questa Corte e che la Regione
stessa non avrebbe avuto alcun interesse all'impugnazione del quarto
comma dell'art. 4- bis, dal momento che l'eventuale dichiarazione
d'illegittimità costituzionale di quest'ultima disposizione avrebbe
impedito la concreta operatività della destinazione delle relative
somme ai comuni e alle province, fra i quali non dovrebbero ritenersi
compresi quelli siciliani, sia perché il fondamento della
ripartizione sta nell'art. 4 della legge 16 maggio 1970, n. 781, che
si riferisce alle sole regioni a statuto ordinario, sia perché il
successivo art. 23 del decreto legge 28 dicembre 1989, n. 415
mostrerebbe di confermare ciò allorché ha disposto un ulteriore
aumento delle tasse automobilistiche facendo una distinta previsione
per le regioni a statuto speciale.
Quanto alla dedotta infondatezza, la ricorrente rileva che solo
una parte del gettito per tasse automobilistiche sarà destinato ai
comuni e alle province in base all'art. 4-bis, quarto comma: una
parte che, oltretutto, non avrebbe alcun rapporto, neppure contabile,
con l'aumento del 50 per cento previsto nel primo comma dello stesso
articolo, acquisibile per intero al bilancio statale. Infine, la
stessa ricorrente ritiene che l'Avvocatura dello Stato abbia male
interpretato sia la giurisprudenza costituzionale sulle norme di
attuazione (che avrebbe sempre affermato la natura di "leggi
rinforzate" di tali norme, la cui violazione avrebbe rilievo
costituzionale), sia, più in particolare, la sentenza n. 61 del 1987
di questa Corte (la quale, nella parte citata, si riferirebbe proprio
alle eccezioni costituite dalle nuove entrate dirette a soddisfare
"particolari finalità" stabilite dalle leggi e, come tali, di
spettanza dello Stato).
Considerato in diritto
1. - La Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe, ha
sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti
dell'art. 4- bis, primo comma, del decreto-legge 30 settembre 1989,
n. 332 (Misure fiscali urgenti), che è stato inserito nel testo
originario del predetto decreto-legge dalla legge di conversione 27
novembre 1989, n. 384. Tale articolo, nel disporre che l'aumento del
50 per cento delle tasse automobilistiche ivi previsto sia acquisito
per intero al bilancio dello Stato, violerebbe l'art. 36 dello
Statuto speciale della Regione siciliana (approvato con Regio decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito dalla legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2), come attuato dall'art. 2 del
d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto
della Regione siciliana in materia finanziaria), ai sensi del quale
"spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa
direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali
riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette o indirette,
comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il
cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri
diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative
dello Stato specificate dalle leggi medesime".
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito
l'inammissibilità dell'anzidetto ricorso sotto svariati profili.
In primo luogo, la Regione siciliana difetterebbe del necessario
interesse a ricorrere, per il fatto che l'eventuale accoglimento
della questione proposta non potrebbe determinare l'effetto, preteso
dalla ricorrente, di veder acquisite al bilancio regionale le somme
introitate a titolo di aumento delle tasse automobilistiche, anche in
considerazione del rilievo che la disposizione impugnata sarebbe
inscindibilmente connessa con l'art. 4-bis, comma quarto, per il
quale le predette somme sarebbero solo formalmente iscritte nel
bilancio dello Stato per essere destinate effettivamente a una
"successiva ripartizione tra i comuni e le province", compresi quelli
ubicati nel territorio siciliano.
Un secondo motivo d'inammissibilità è individuato dal resistente
nel rilievo che un'eventuale pronunzia di accoglimento
comprometterebbe il valore costituzionale dell'equilibrio finanziario
dei bilanci pubblici (art. 81 della Costituzione), un valore che non
potrebbe esser pregiudicato da pronunzie d'illegittimità
costituzionale "che non contengano in sé soluzioni di automatico
recupero dell'equilibrio finanziario che abbia a risultare turbato
dall'intervento del Giudice delle leggi".
Infine, un terzo motivo d'inammissibilità - che, a dire il vero,
la difesa del Presidente del Consiglio dei ministri espone come
profilo di merito - consiste nel rilievo che la ricorrente avrebbe
individuato l'effettivo parametro del giudizio, non già nell'art. 36
dello Statuto speciale (il quale non parla affatto della devoluzione
alla Regione delle entrate tributarie che lo Stato riscuote nel
territorio siciliano), ma nell'art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965,
sicché avrebbe inammissibilmente posto a questa Corte una questione
implicante un raffronto tra una norma di legge ordinaria e un'altra
di pari livello.
2. - Le eccezioni d'inammissibilità non possono essere accolte.
In relazione al primo dei profili sollevati, va osservato che
questa Corte ha già avuto modo di affermare che nei giudizi di
legittimità costituzionale in via principale l'interesse a ricorrere
dev'essere definito e qualificato in relazione alla natura dei
giudizi medesimi e degli atti a questi sottoponibili (v. sentt. nn.
517 del 1987, 1111 del 1988, 242 del 1989 e 85 del 1990). Ciò
significa che una determinata regione può legittimamente agire nei
predetti giudizi, non già in dipendenza del fatto che dall'eventuale
accoglimento della questione possano derivare vantaggi, più o meno
diretti, a favore della stessa (come, in riferimento al caso
esaminato, l'acquisizione al bilancio regionale delle somme riscosse
a titolo del previsto aumento delle tasse automobilistiche), ma in
dipendenza del fatto che vi sia una legge statale, incidente
sull'autonomia regionale, della cui conformità a Costituzione si
possa non arbitrariamente dubitare e dalla cui eventuale
dichiarazione d'illegittimità costituzionale consegua il ripristino,
al livello normativo, della integrità delle competenze
costituzionalmente garantite alla regione stessa che si pretendono
violate.
Non si può minimamente dubitare che, nel caso sottoposto a questo
giudizio, ricorrano effettivamente i requisiti richiesti, poiché, a
fronte di parametri di giudizio che stabiliscono la spettanza alla
Regione di tutte le entrate tributarie riscosse dallo Stato
nell'ambito del territorio siciliano (salvo alcune eccezioni), è
impugnata una disposizione di legge statale che dispone di acquisire
per intero al bilancio statale l'aumento della tassa erariale
automobilistica ivi previsto. Né, in verità, si vede quale
influenza possa avere sull'interesse a ricorrere della Regione, una
volta che sia così definito, l'asserita inscindibile connessione
della norma impugnata con l'art. 4- bis, quarto comma, che prevede,
per il 1990, la destinazione di parte delle somme riscosse a una
successiva ripartizione tra i comuni e le province.
3. - Anche il secondo motivo addotto dall'Avvocatura Generale
dello Stato a sostegno della richiesta d'inammissibilità non può
essere accolto. Infatti, pur se questa Corte ha più volte
sottolineato che dall'art. 81 della Costituzione derivi un principio
di tendenziale equilibrio finanziario dei bilanci dello Stato, tanto
su base annuale quanto su base pluriennale (v., ad esempio, sentt.
nn. 1 del 1966, 12 del 1987), da questa premessa non può logicamente
conseguire che sussista in materia un limite assoluto alla cognizione
del giudice di costituzionalità delle leggi. Al contrario, ritenere
che quel principio sia riconosciuto in Costituzione non può avere
altro significato che affermare che esso rientra nella tavola
complessiva dei valori costituzionali, la cui commisurazione
reciproca e la cui ragionevole valutazione sono lasciate al prudente
apprezzamento di questa Corte. In altri termini, non si può
ipotizzare che la legge di approvazione del bilancio dello Stato o
qualsiasi altra legge incidente sulla stessa costituiscano una zona
franca sfuggente a qualsiasi sindacato del giudice di
costituzionalità, dal momento che non vi può essere alcun valore
costituzionale la cui attuazione possa essere ritenuta esente dalla
inviolabile garanzia rappresentata dal giudizio di legittimità
costituzionale.
È vero, peraltro, che le scelte di bilancio sono decisioni
fondamentali di politica economica che, in ragione di questa loro
natura, sono costituzionalmente riservate alla determinazione del
Governo e all'approvazione del Parlamento. Si tratta, indubbiamente,
di scelte che, essendo frutto di un'insindacabile discrezionalità
politica, esigono un particolare e sostanziale rispetto anche da
parte del giudice di legittimità costituzionale, rispetto che, nella
giurisprudenza di questa Corte, si è già tradotto in precisi
modelli di giudizio, quali la salvaguardia della essenziale
unitarietà e globalità del bilancio (v. sentt. nn. 1 del 1966, 22
del 1968 e 12 del 1987) e, soprattutto, il riconoscimento del
"principio di gradualità" in ordine all'attuazione di valori
costituzionali che importi rilevanti oneri a carico del bilancio
statale (v. sentt. nn. 26 del 1980, 349 del 1985, 12 e 173 del 1986,
33 del 1987, nonché ordd. nn. 336, 357, 672 e 840 del 1988 e 221 del
1989). Ma, queste posizioni, occorre ancora sottolinearlo,
presuppongono chiaramente che il valore costituzionale
dell'equilibrio finanziario, desumibile dall'art. 81 della
Costituzione, non sia un presupposto per l'inammissibilità del
giudizio di costituzionalità, ma rappresenti, piuttosto, un elemento
della complessiva ponderazione dei valori costituzionali, inclusi
quelli relativi alla ripartizione della competenza tra Stato e
regioni, che costituisce la sostanza del giudizio di legittimità
costituzionale.
4. - Va, infine, respinto il terzo motivo addotto dal resistente a
sostegno della sua richiesta di una pronunzia di inammissibilità,
consistente nel rilievo che il parametro effettivo del giudizio in
esame sia dato, non già dall'art. 36 dello Statuto, che non accenna
minimamente alla devoluzione alla Regione siciliana delle entrate
tributarie che lo Stato riscuote nel territorio della stessa, ma
dall'art. 2, primo comma, del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074,
contenente norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana
in materia finanziaria.
È ormai giurisprudenza costante di questa Corte che le norme di
attuazione di uno Statuto speciale, ove adottate nei limiti di
competenza costituzionalmente fissati al relativo potere, possano
integrare il parametro statutario nella loro qualità di "norme
interposte" (v., ad esempio, sentt. nn. 180 del 1980, 237 del 1983 e
585 del 1989, nonché, con specifico riferimento alla norma di
attuazione invocata in questo giudizio, sentt. nn. 47 del 1968, 49
del 1972, 61 e 87 del 1987). È, altresì, un orientamento da tempo
consolidato che la competenza riservata alle norme di attuazione
degli Statuti speciali è materialmente determinata, non soltanto in
ordine alla definizione delle competenze regionali sia sotto il
profilo degli oggetti sia sotto quello delle funzioni (comprese le
forme di cooperazione nei casi di interferenza o di interconnessione
materiale o funzionale) e in ordine al relativo trasferimento degli
uffici, del personale, dei mezzi e delle funzioni stesse, ma anche in
relazione all'integrazione delle disposizioni dello Statuto,
sempreché questa non sia contraria allo Statuto stesso e sia
giustificata da un rapporto di strumentalità logica rispetto
all'attuazione di disposizioni del medesimo Statuto (v., ad esempio,
sentt. nn. 14 e 20 del 1956, 15 del 1957, 180 del 1980 e 237 del
1983). Poiché, nel caso sottoposto a questo giudizio, l'art. 2,
primo comma, del d.P.R. n. 1074 del 1965, oltre a richiamarsi
espressamente all'art. 36, primo comma, dello Statuto siciliano,
concorre a definire il significato dei tributi elevati sui "redditi
patrimoniali della Regione" con i quali soddisfare il fabbisogno
finanziario della stessa, non v'è alcun motivo che possa portare a
escludere l'idoneità della norma di attuazione ivi contenuta a
integrare il parametro costituzionale rappresentato dall'art. 36,
primo comma, dello Statuto siciliano (v., da ultimo, in senso
conforme, le sentt. nn. 61 e 87 del 1987).
5. - La questione di legittimità costituzionale sollevata dalla
Regione siciliana è fondata.
Ai sensi dell'art. 36, primo comma, dello Statuto siciliano e
delle norme di attuazione contenute nell'art. 2, primo comma, del
d.P.R. n. 1074 del 1965, "spettano alla Regione siciliana, oltre le
entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate
tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio, dirette
o indirette, comunque denominate". Questa norma generale subisce,
tuttavia, un'eccezione costituita dalle "nuove entrate tributarie il
cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri
diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative
dello Stato specificate nelle leggi medesime". Non v'è dubbio che
l'aumento del 50 per cento delle tasse automobilistiche, disposto
dall'art. 4- bis, primo comma, del decreto- legge n. 332 del 1989,
nel testo modificato dalla legge di conversione n. 384 del 1989,
rappresenta senz'altro un'entrata tributaria che, a norma dei
parametri citati, spetta alla Regione siciliana nei limiti del
gettito riscosso nell'ambito del territorio della Regione stessa.
Sotto questo profilo, la disposizione contenuta nell'articolo
impugnato, per la quale "l'aumento è acquisito per intero al
bilancio dello Stato" è, per la parte indicata, costituzionalmente
illegittima.
Né, in verità, può riconoscersi alcun fondamento
all'osservazione avanzata dall'Avvocatura Generale dello Stato,
secondo la quale l'aumento previsto dovrebbe essere ricompreso tra i
tributi spettanti allo Stato in quanto rientrerebbe nell'eccezione
disposta dall'art. 2, primo comma (seconda parte), del d.P.R. n. 1074
del 1965, trattandosi di nuovi tributi destinati per legge a coprire
oneri derivanti da "particolari finalità" dello Stato, le quali
sarebbero specificate dalla stessa legge impugnata all'art. 4- bis,
quarto comma. In realtà, quest'ultima disposizione stabilisce una
disciplina, valevole per il solo anno 1990, in base alla quale si
impone allo Stato il vincolo di destinare successivamente le somme
riscosse, nei limiti di un importo pari a 700 miliardi di lire, a una
"ripartizione tra i comuni e le province secondo criteri individuati
dalla normativa per la finanza locale per l'anno 1990". Poiché la
generica devoluzione di parte del gettito riscosso ai comuni e alle
province non può essere considerata equivalente a quella "specifica
e diretta indicazione delle particolari finalità" statali ad opera
della legge, che, posta a base di nuovi tributi e del loro impiego,
autorizza il legislatore a derogare alle norme statutarie che
attribuiscono alla Regione siciliana tutte le entrate fiscali
riscosse nel territorio della regione medesima (v. ancora sent. n. 61
del 1987), non resta che dichiarare l'illegittimità costituzionale
dell'art. 4- bis, primo comma, nella parte in cui acquisisce per
intero al bilancio dello Stato l'aumento del 50 per cento delle tasse
erariali automobilistiche in luogo di attribuire alla Regione
siciliana il gettito proveniente dalle stesse tasse, riscosso
nell'ambito del territorio della medesima regione.