Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento per convalida di sfratto dinanzi al
Pretore di Rodi Garganico, si era costituito il coniuge del
conduttore intimato, offrendo di sanare la morosità e la parte
attrice ne aveva eccepito il difetto di legittimazione. Il Pretore,
accertata la separazione di fatto - essendosi l'intimato allontanato
dalla casa coniugale - con ordinanza emessa il 21 dicembre 1981 (R.O.
n. 116/1982), ha sollevato, in relazione all'art. 3 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6
della legge 27 luglio 1978, n. 392 ("Disciplina delle locazioni di
immobili urbani"), nella parte in cui non prevede la successione del
coniuge nella locazione nell'ipotesi di separazione di fatto,
analogamente a quanto è invece dettato per la separazione
consensuale, e ciò anche quando vi sia accordo circa la permanenza
nell'immobile.
Il Pretore di Cecina, adito dalla locatrice di un immobile per il
rilascio del medesimo, detenuto dalla convivente del conduttore
deceduto, essendo risultato che i due erano legati da matrimonio
religioso non trascritto, ha sollevato, con ordinanza del 21 maggio
1982 (R. O. n. 588/1982), in relazione all'art. 3 della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 della legge 27
luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede la successione al
conduttore del convivente che sia a questi legato da siffatto vincolo
religioso.
Il Pretore di Sestri Ponente, adito per il rilascio di un immobile
nei confronti della convivente more uxorio del conduttore deceduto,
con ordinanza del 30 gennaio 1984 (R.O. n. 478/1984), ha ritenuto che
la mancata inclusione di tale soggetto tra i successibili, da parte
dell'art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, consente di
prospettare la questione di legittimità della norma citata in
relazione agli artt. 3, primo comma, 2 e 42, secondo comma, della
Costituzione.
Il giudice a quo sottolinea l'incremento statistico di tali
convivenze richiamando a riguardo il concetto di formazione sociale
in cui il singolo può svolgere la sua personalità e si duole della
condizione deteriore in cui il convivente superstite è posto
rispetto al coniuge.
È intervenuta in tutti e tre i giudizi l'Avvocatura dello Stato,
in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ed ha
concluso per l'infondatezza delle proposte questioni sulla base di
quanto affermato da questa Corte nella sentenza n. 45 del 1980.
Con ordinanza emessa il 6 ottobre 1982 (R.O. n. 368/1983) il
Tribunale di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e
30 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale
dell'art. 6, ultimo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, nella
parte in cui non prevede che, in caso di separazione consensuale, il
convivente more uxorio del conduttore succeda a quest'ultimo nella
locazione, anche in presenza di figli naturali. In particolare
osserva il giudice rimettente che la mancata estensione della
facoltà di succedere al convivente, impedisce al conduttore che
abbia procreato dei figli di garantire ad essi un'abitazione.
Considerato in diritto
1. - Le quattro questioni, di cui alle ordinanze in epigrafe,
riguardano l'art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 ("Disciplina
delle locazioni di immobili urbani") e vanno decise con unica
sentenza.
2. - L'articolo suindicato è sospettato:
a) dal Pretore di Rodi Garganico, con ordinanza del 21 dicembre
1981 (R. O. n. 116/1982), di violare il principio d'eguaglianza di
cui all'art. 3 della Costituzione "nella parte in cui non prevede la
successione dell'altro coniuge al conduttore anche in caso di
separazione di fatto, se tra i due si sia così convenuto";
b) dal Pretore di Cecina, con ordinanza del 21 maggio 1982 (R.
O. n. 588/1982), di violare il principio d'eguaglianza di cui
all'art. 3 della Costituzione "nella parte in cui non prevede la
possibilità di succedere nel contratto di locazione al coniuge del
conduttore defunto, a lui unito da matrimonio religioso non
trascritto";
c) dal Pretore di Sestri Ponente, con ordinanza del 30 gennaio
1984 (R.O. n. 478/1984), di violare, oltre all'art. 3, anche gli
artt. 2 e 42, secondo comma, della Costituzione "nella parte in cui
esclude il convivente more uxorio del conduttore defunto dal diritto
a succedergli nel contratto di locazione";
d) dal Tribunale di Firenze, con ordinanza del 6 ottobre 1982
(R. O. n. 368/1983), di violare, oltre all'art. 3, anche gli artt. 2
e 30 della Costituzione "nella parte in cui non prevede la
successione nel contratto per il convivente more uxorio se così sia
convenuto nell'atto di separazione e vi sia prole naturale".
3. - Le questioni sono fondate.
Il profilo, che tutte le accomuna, consiste nel chiedersi se la
mancata previsione della successione nella titolarità del contratto
di locazione, fino alla normale consumazione della durata
quadriennale del rapporto, come stabilita ex lege, non contrasti con
valori presenti in Costituzione.
Non viene qui in evidenza, come ritengono i giudici a quibus, un
trattamento discriminatorio a sfavore della convivenza more uxorio,
che violerebbe il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della
Costituzione. E neppure un contrasto con la spontaneità delle
formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell'uomo,
di cui all'art. 2 della Costituzione, o, nel particolare caso di
specie sub d), un ostacolo all'esercizio e all'adempimento dei
diritti e doveri dei genitori di mantenere, istruire ed educare i
figli anche se nati fuori del matrimonio, di cui all'art. 30, primo
comma, della Costituzione.
Come affermato da una recente sentenza di questa Corte (n. 217 del
1988): "il diritto all'abitazione rientra fra i requisiti essenziali
caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico
voluto dalla Costituzione... In breve, creare le condizioni minime di
uno Stato sociale, concorrere a garantire al maggior numero di
cittadini possibile un fondamentale diritto sociale, quale quello
all'abitazione, contribuire a che la vita di ogni persona rifletta
ogni giorno e sotto ogni aspetto l'immagine universale della dignità
umana, sono compiti cui lo Stato non può abdicare in nessun caso".
Altra sentenza di questa Corte (sent. n. 49 del 1987) aveva già
riconosciuto "indubbiamente doveroso da parte della collettività
intera impedire che delle persone possano rimanere prive di
abitazione".
Tali statuizioni, pur espresse in ordine allo specifico favor, di
cui all'art. 47, secondo comma, della Costituzione, per l'accesso del
risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, hanno una portata
più generale ricollegandosi al fondamentale diritto umano
all'abitazione riscontrabile nell'art. 25 della Dichiarazione
universale dei diritti dell'uomo (New York, 10 dicembre 1948) e
nell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali
e culturali (approvato il 16 dicembre 1966 dall'Assemblea generale
della Nazioni Unite e ratificato dall'Italia il 15 settembre 1978, in
seguito ad autorizzazione disposta con legge 25 ottobre 1977, n.
881).
Quando il legislatore, nel contesto della legge n. 392 del 1978,
detta l'art. 6, rubricandolo "Successione nel contratto", esprime il
dovere collettivo di "impedire che delle persone possano rimanere
prive di abitazione", dovere che connota da un canto la forma
costituzionale di Stato sociale, e dall'altro riconosce un diritto
sociale all'abitazione collocabile fra i diritti inviolabili
dell'uomo di cui all'art. 2 della Costituzione.
4. - Ciò conduce ad ulteriore sviluppo le considerazioni svolte
nella sentenza di questa Corte n. 252 del 1983.
All'inizio degli anni Ottanta un indirizzo dottrinale e
giurisprudenziale tendeva a costruire il diritto all'abitazione come
un diritto soggettivo perfetto, destinato a rendere sempre poziore la
posizione del locatario su quella del locatore, suggerendo come
modello la disciplina francese e tedesca della locazione abitativa a
tempo indeterminato con recesso del locatore solo per giusta causa.
La Corte dovette allora obbiettare che la "stabilità della
situazione abitativa" non costituisce autonomo e indefettibile
presupposto per l'esercizio dei diritti inviolabili di cui all'art. 2
della Costituzione.
La Corte invece affermava in proposito che "indubbiamente
l'abitazione costituisce, per la sua fondamentale importanza nella
vita dell'individuo, un bene primario il quale deve essere
adeguatamente e concretamente tutelato dalla legge".
La giurisprudenza precedente di questa Corte (sent. n. 45 del
1980; ord. n. 128 del 1980) non aveva dato il dovuto rilievo
all'abitazione come bene primario, valutando su un piano prospettico
di maggiore rilevanza l'estraneità del convivente more uxorio dagli
elenchi tassativi degli aventi diritto alla proroga dei contratti di
locazione di immobili adibiti ad uso di abitazione, in caso di morte
del conduttore, sia in base all'art. 2-bis, comma primo, parte prima,
della legge 12 agosto 1974, n. 351, sia in base all'art. 1, comma
quarto, parte prima, della legge 23 maggio 1950, n. 253.
Ritiene oggi la Corte che la nuova normativa sulla disciplina
delle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso di abitazione,
introdotta dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, realizzando con il
regime dell'equo canone un superamento di quella previgente, fondata
sul meccanismo della proroga, determini una minore compressione del
diritto del proprietario-locatore e consenta pertanto una più
penetrante indagine sui fini che il legislatore ha inteso perseguire
nel sostituire la fattispecie "successione nel contratto" a quella
della operatività della proroga.
Il legislatore del 1950 ha usato la formula "la proroga opera
soltanto a favore del coniuge, degli eredi, dei parenti e degli
affini del defunto con lui abitualmente conviventi" (art. 1, comma 4,
parte I, l. n. 253/1950); quello del 1974 la variante: "del coniuge,
dei figli, dei genitori o dei parenti entro il secondo grado del
defunto con lui anagraficamente conviventi" (art. 2-bis, comma 1,
parte I, l. n. 351/1974).
La volontà di escludere qualunque soggetto diverso da quelli
elencati è fatta palese dall'avverbio "soltanto".
Diversa formulazione è quella dell'art. 6, primo comma, della
vigente legge n. 392 del 1978: "in caso di morte del conduttore, gli
succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini
con lui abitualmente conviventi".
Le species "figli, genitori, parenti entro il secondo grado, con
lui anagraficamente conviventi", della corrispondente norma del 1974,
si espandono nei genera "eredi, parenti, affini con lui abitualmente
conviventi".
Il legislatore del 1978, cioè, ha voluto tutelare non la famiglia
nucleare, né quella parentale, ma la convivenza di un aggregato
esteso fino a comprendervi estranei - potendo tra gli eredi esservi
estranei -, i parenti senza limiti di grado e finanche gli affini.
È evidente la volontà legislativa di farsi interprete di quel
dovere di solidarietà sociale, che ha per contenuto l'impedire che
taluno resti privo di abitazione, e che qui si specifica in un regime
di successione nel contratto di locazione, destinato a non privare
del tetto, immediatamente dopo la morte del conduttore, il più
esteso numero di figure soggettive, anche al di fuori della cerchia
della famiglia legittima, purché con quello abitualmente conviventi.
5. - Se tale è la ratio legis, è irragionevole che
nell'elencazione dei successori nel contratto di locazione non
compaia chi al titolare originario del contratto era nella stabile
convivenza legato more uxorio.
L'art. 3 della Costituzione va qui invocato dunque non per la sua
portata eguagliatrice, restando comunque diversificata la condizione
del coniuge da quella del convivente more uxorio, ma per la
contraddittorietà logica della esclusione di un convivente dalla
previsione di una norma che intende tutelare l'abituale convivenza.
Se l'art. 3 della Costituzione è violato per la non
ragionevolezza della norma impugnata, l'art. 2 lo è quanto al
diritto fondamentale che nella privazione del tetto è direttamente
leso.
6. - La questione sub b), sollevata dal Pretore di Cecina -
possibilità di succedere nel contratto di locazione al coniuge del
conduttore defunto, a lui unito da matrimonio religioso non
trascritto - e quella sub c) sollevata dal Pretore di Sestri Ponente
- successione anche questa mortis causa nel contratto del convivente
more uxorio - sono assolutamente identiche dato che la convivenza con
il conduttore defunto non riceve diversa qualificazione dalla
circostanza che nell'un caso essa sia stata suggellata dal matrimonio
religioso non trascritto e nell'altro sia rimasta affidata
all'affectio quotidiana.
Nella questione sub d), sollevata dal Tribunale di Firenze,
essendo la separazione tra i conviventi more uxorio soltanto una
espressione metaforica che indica in realtà la estinzione del
rapporto more uxorio, l'esistenza di prole naturale valorizza
ulteriormente la ratio decidendi per la conservazione dell'abitazione
alla residua comunità familiare.
Nella questione sub a), sollevata dal Pretore di Rodi Garganico,
la separazione di fatto tra coniugi non dovrebbe avere alcuna
rilevanza esterna, restando quella locata la casa coniugale. Ma
essendosi convenuta tra i coniugi la conservazione dell'abitazione
per uno solo di essi, la fattispecie, in base al principio di
razionalità di cui all'art. 3 della Costituzione, non può ricevere
trattamento diverso da quello disposto per le ipotesi previste dal
terzo comma dell'art. 6 della legge 392 del 1978 che recita: "In caso
di separazione consensuale o di nullità matrimoniale al conduttore
succede l'altro coniuge se tra i due si sia così convenuto".
Rispetto al bene primario dell'abitazione che la ratio legis
salvaguarda, il titolo della separazione, di fatto o consensuale, non
può avere effetto discriminatorio senza vulnerare ancora una volta
il combinato disposto degli artt. 2 e 3 della Costituzione nella
configurazione su richiamata.
Che la separazione di fatto non comporti l'evidenza documentale di
quanto convenuto tra i coniugi, come nella separazione consensuale,
provveduta di verbale e di decreto di omologazione, non è ragione
sufficiente per giustificarne l'assenza dalla previsione legale.
L'accordo o l'atto concludente tra i separati di fatto sarà oggetto
di prova e il relativo accertamento ristabilirà la parità con
l'accordo convenuto nel verbale tra i separati con separazione
consensuale omologata.