Sentenza 43/2016 (ECLI:IT:COST:2016:43)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA PRINCIPALE
Presidente: CRISCUOLO - Redattore: LATTANZI
Udienza Pubblica del 09/02/2016;    Decisione  del 10/02/2016
Deposito del 03/03/2016;   Pubblicazione in G. U. 09/03/2016  n. 10
Norme impugnate: Artt. 14, c. 1°, 2° e 4° ter, e 15, c. 1°, del decreto legge 24/04/2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, c. 1°, della legge del 23/06/2014 n. 89.
Massime:  38754  38755  38756  38757  38758  38759 
Massime:  38754  38755  38756  38757  38758  38759 
Atti decisi: ric. 63 e 65/2014

Massima n. 38754 Massima successiva
Titolo
Bilancio e contabilità pubblica - Misure di contenimento della spesa pubblica concernenti incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché contratti di collaborazione coordinata e continuativa - Ricorso della Provincia di Trento - Sopravvenuto accordo di finanza pubblica con il Governo - Rinuncia al ricorso accettata dalla controparte - Estinzione del processo.

Testo
È estinto il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale - promosse dalla Provincia autonoma di Trento in riferimento agli artt. 117, terzo comma, Cost., 79, 80, 81, 103, 104 e 107 dello Statuto trentino, e 17 del d.lgs. n. 268 del 1992 - dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 89 del 2014), che limita la spesa, anche regionale, per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché quella per contratti di collaborazione coordinata e continuativa, rispettivamente al 4,2 e al 4,5 per cento della medesima sostenuta nel 2012 per il personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico, se essa è pari o inferiore a 5 milioni di euro, e rispettivamente all'1,4 e all'1,1 per cento, se è invece superiore a tale importo. La rinuncia al ricorso della ricorrente, infatti, seguita dall'accettazione da parte del Presidente del Consiglio dei ministri (a seguito dell'Accordo di finanza pubblica raggiunto con lo Stato), determina l'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale.
Atti oggetto del giudizio
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 1
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 2
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 4
legge  23/06/2014  n. 89

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 117  co. 3
statuto regione Trentino Alto Adige  art. 79
statuto regione Trentino Alto Adige  art. 80
statuto regione Trentino Alto Adige  art. 81
statuto regione Trentino Alto Adige  art. 103
statuto regione Trentino Alto Adige  art. 104
statuto regione Trentino Alto Adige  art. 107

Altri parametri e norme interposte
decreto legislativo  16/03/1992  n. false  art. 17

Titolo
Bilancio e contabilità pubblica - Misure di contenimento della spesa pubblica concernenti incarichi di consulenza, studio e ricerca, contratti di collaborazione coordinata e continuativa, acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture, acquisto di buoni taxi - Ricorso della Regione Veneto - Disposizioni asseritamente produttive di un "effetto perequativo implicito e distorto" - Censura oscura e priva di adeguata motivazione - Inammissibilità delle questioni.

Testo
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale - promosse dalla Regione Veneto in riferimento all'art. 119, terzo e quarto comma, Cost. - degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 89 del 2014), che limitano sia la spesa, anche regionale, per incarichi di consulenza, studio e ricerca, e per contratti di collaborazione coordinata e continuativa; sia quella per le autovetture e i buoni taxi entro il 30 per cento della spesa sostenuta per tali voci nell'anno 2011. La ricorrente non spiega in alcun modo quale rapporto possa intercorrere tra le misure di riduzione della spesa pubblica, imposte dalle norme impugnate, e gli interventi con finalità perequativa previsti dal dettato costituzionale, cosicché la censura risulta oscura e priva di adeguata motivazione.
Atti oggetto del giudizio
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 1
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 2
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 4
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 15  co. 1
legge  23/06/2014  n. 89

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 119  co. 3
Costituzione  art. 119  co. 4

Titolo
Bilancio e contabilità pubblica - Misure di contenimento della spesa pubblica - Vincolo per le amministrazioni pubbliche a contenere la spesa per acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture, nonché per acquisto di buoni taxi, entro il 30 per cento della spesa sostenuta nell'anno 2011 - Disposizione di dettaglio che non lascia alcun margine alle Regioni per l'adozione di misure alternative - Violazione dell'autonomia finanziaria regionale - Violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica - Necessità di escludere le Regioni dal novero dei destinatari della disposizione censurata - Illegittimità costituzionale in parte qua - Assorbimento di ulteriori censure.

Testo

È costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 117, comma terzo, e 119 Cost. - l'art. 15, comma 1, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 89 del 2014), nella parte in cui, prescrivendo il contenimento della spesa per le autovetture e i buoni taxi entro il 30 per cento della spesa sostenuta per tali voci nell'anno 2011, si applica alle Regioni. Il legislatore statale, infatti, con una disciplina di principio può legittimamente imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti. I vincoli, tuttavia, perché possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare l'entità del disavanzo di parte corrente, oppure - ma solo in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica - la crescita della spesa corrente. La legge statale può in definitiva stabilire solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. La disposizione impugnata, invece, non lascia alle Regioni alcun margine di sviluppo dell'analitico precetto che è stato formulato, perché non riconosce loro la facoltà di adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, sicché essa non può essere ritenuta espressiva di un principio di coordinamento della finanza pubblica. (Risultano assorbite le altre censure dedotte)

Sulla possibilità che il legislatore statale, con una disciplina di principio, legittimamente imponga vincoli alle politiche di bilancio degli enti autonomi che si traducano in limitazioni indirette alla loro capacità di spesa, v. le citate sentenze nn. 417/2005 e 36/2004.

Sui limiti che il legislatore statale incontra quando vincola l'autonomia regionale nella scelta delle proprie politiche di bilancio, potendo solo fissare un limite complessivo alla spesa, e lasciando la libertà di allocazione del risorse, v. le citate sentenze nn. 88/2006, 449/2005, 417/2005 e 36/2004.

Sulla legittimità di analoghe misure inserite nella legislazione statale di coordinamento della finanza pubblica, v. la citata sentenza n. 182/2011.

Sull'autonomia regionale di scegliere se e in quale misura colpire le voci di spesa indicate dal legislatore statale, purché ne risulti un risparmio complessivo non inferiore a quello prescritto dalle prescrizioni statali, v. le citate sentenze nn. 36/2013, 211/2012, 173/2012, 139/2012 e182/2011.

Sull'impossibilità di ritenere espressione del principio di coordinamento della finanza pubblica una disposizione che non lascia alla Regione alcun margine di sviluppo del precetto troppo analitico, v. la citata sentenza n. 139/2012.
Atti oggetto del giudizio
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 15  co. 1
legge  23/06/2014  n. 89

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 117  co. 3
Costituzione  art. 119
Costituzione  art. 3
Costituzione  art. 97
Costituzione  art. 120

Titolo
Bilancio e contabilità pubblica - Misure di contenimento della spesa pubblica concernenti incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché contratti di collaborazione coordinata e continuativa - Riduzioni percentuali rispetto alla spesa per il personale sostenuta nel 2012 dall'amministrazione che conferisce l'incarico - Ricorso della Regione Veneto - Asserita violazione dell'autonomia finanziaria regionale - Asserita violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica - Insussistenza - Possibilità per le Regioni di rimodulare o adottare misure alternative al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori - Non fondatezza delle questioni.

Testo
Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale - promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., dalla Regione Veneto - dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 89 del 2014), che limita la spesa, anche regionale, per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché quella per contratti di collaborazione coordinata e continuativa, rispettivamente al 4,2 e al 4,5 per cento di quella sostenuta nel 2012 per il personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico, se essa è pari o inferiore a 5 milioni di euro; e rispettivamente all'1,4 e all'1,1 per cento, se è invece superiore al predetto importo. La previsione, infatti, permette alle Regioni di rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli richiesti, e perciò soddisfa integralmente, sotto questo profilo, le condizioni perché possa considerarsi rispettosa dell'autonomia delle Regioni e degli enti locali, in quanto stabilisce solo un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa.
Atti oggetto del giudizio
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 1
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 2
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 4
legge  23/06/2014  n. 89

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 117  co. 3
Costituzione  art. 119

Titolo
Bilancio e contabilità pubblica - Misure di contenimento della spesa pubblica concernenti incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché contratti di collaborazione coordinata e continuativa - Riduzioni percentuali rispetto alla spesa per il personale sostenuta nel 2012 dall'amministrazione che conferisce l'incarico - Ricorso della Regione Veneto - Ritenuta penalizzazione delle Regioni "virtuose" che hanno ridotto la spesa per il personale - Asserita violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione - Asserita violazione del principio di leale collaborazione per mancato coinvolgimento della Regione - Insussistenza - Non fondatezza delle questioni.

Testo

Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale - promosse dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3, 97 e 120 Cost. - dell'art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 89 del 2014), che ha commisurato la capacità di spesa regionale per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché quella per contratti di collaborazione coordinata e continuativa, rispettivamente al 4,2 e al 4,5 per cento della spesa sostenuta nel 2012 per il personale dell'amministrazione che conferisce l'incarico, se essa è pari o inferiore a 5 milioni di euro, e rispettivamente all'1,4 e all'1,1 per cento, se è invece superiore al predetto importo. Il controllo di non manifesta irragionevolezza richiesto non può basarsi sulla presunzione, ipotizzata dalla ricorrente, che un maggior numero di dipendenti pubblici sia inequivocabilmente il segno di una cattiva amministrazione, anziché, come è invece astrattamente possibile, di scelte politiche favorevoli all'espansione del settore pubblico. Non è pertanto manifestamente incongruo istituire un legame di proporzionalità tra questa spesa e gli incarichi di consulenza, studio e ricerca, poiché la spesa per i dipendenti, che ne costituisce il parametro di legittimità, può derivare dalla necessità di far fronte ad un più ampio novero di funzioni e servizi, e dunque può costituire la spia di accresciute esigenze dell'amministrazione. Né rileva il fatto che le disposizioni impugnate siano state adottate senza il coinvolgimento regionale, dal momento che il principio di leale collaborazione, se non specificamente previsto, non si impone nel procedimento legislativo.

Sull'ultroneità del principio di leale collaborazione all'interno del procedimento legislativo, ove non espressamente previsto, v. ex plurimis, la citata sentenza n. 112/2010.
Atti oggetto del giudizio
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 1
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 2
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 4
legge  23/06/2014  n. 89

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 3
Costituzione  art. 97
Costituzione  art. 120

Massima n. 38759 Massima precedente
Titolo
Bilancio e contabilità pubblica - Misure di contenimento della spesa pubblica concernenti incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché contratti di collaborazione coordinata e continuativa - Applicazione «a decorrere dall'anno 2014» - Violazione dell'autonomia finanziaria regionale - Violazione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica - Necessità che gli interventi statali che comprimono l'autonomia di spesa delle Regioni a garanzia dell'equilibrio finanziario abbiano natura transitoria - Determinazione del periodo transitorio di efficacia in relazione alla durata triennale della legge di stabilità - Previsione che le misure di cui alla impugnata disposizione abbiano efficacia «negli anni 2014, 2015 e 2016», arco temporale di vigenza della legge di stabilità n. 147 del 2013 - Illegittimità costituzionale in parte qua.

Testo

È costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 117, comma terzo, e 119 Cost. - l'art. 14, commi 1 e 2, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge n. 89 del 2014), nella parte in cui stabilisce che i limiti previsti alla spesa, anche regionale, per incarichi di consulenza, studio e ricerca, nonché a quella per contratti di collaborazione coordinata e continuativa - rispettivamente al 4,2 e al 4,5 per cento di quella sostenuta nel 2012 per il personale dall'amministrazione che conferisce l'incarico, se essa è pari o inferiore a 5 milioni di euro, ovvero all'1,4 e all'1,1 per cento, se è invece superiore al predetto importo - si applichino "a decorrere dall'anno 2014", anziché "negli anni 2014, 2015 e 2016". La previsione censurata, infatti, attiene alle politiche di bilancio, che vengono definite attraverso la legge di stabilità in un orizzonte cronologico di regola triennale, e deve perciò avere una natura transitoria, giacché in caso contrario non corrisponderebbe all'esigenza di garantire l'equilibrio dei conti pubblici in un dato arco temporale, segnato da peculiari emergenze, ma trasmoderebbe in una misura strutturale sull'allocazione delle risorse finanziarie di cui la Regione è titolare, nell'ambito di scelte politiche discrezionali concernenti l'organizzazione degli uffici, delle funzioni e dei servizi.

Sui limiti che il legislatore statale incontra quando vincola le Regioni nella scelta delle proprie politiche di bilancio, in particolare dovendo fissare l'arco temporale entro il quale le misure dettate si applicano, v. la citate sentenze nn. 79/2014, 193/2012 e 36/2004, ove è sottolineato l'esigenza che gli interventi non siano privi di tale delimitazione cronologica, senza la quale trasmoderebbero in direttive strutturali, contrarie all'autonomia di cui le Regioni sono titolari.

Sulla natura necessariamente pluriennale delle politiche di bilancio, v. le citate sentenze nn. 178/2015 e 310/2013.
Atti oggetto del giudizio
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 1
decreto-legge  24/04/2014  n. 66  art. 14  co. 2
legge  23/06/2014  n. 89

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 117  co. 3
Costituzione  art. 119


Pronuncia

SENTENZA N. 43

ANNO 2016


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alessandro CRISCUOLO; Giudici : Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, promossi dalla Regione Veneto e dalla Provincia autonoma di Trento, con ricorsi notificati il 18 e il 20 agosto 2014, depositati in cancelleria il 22 e il 26 agosto 2014 e rispettivamente iscritti ai nn. 63 e 65 del registro ricorsi 2014.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 febbraio 2016 e nella camera di consiglio del 10 febbraio 2016 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi;

uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 18 agosto 2014 e depositato il successivo 22 agosto (reg. ric. n. 63 del 2014), la Regione Veneto ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale, degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo comma, 119 e 120 della Costituzione.

L’art. 14, comma 1, vieta, a decorrere dall’anno 2014, alle amministrazioni pubbliche, tra cui la Regione, di conferire incarichi di consulenza, studio e ricerca quando la spesa complessiva sostenuta nell’anno per tali incarichi è superiore ad una determinata percentuale della spesa per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico.

L’art. 14, comma 2, contiene, sempre a decorrere dal 2014, un’analoga previsione relativa ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la cui spesa è posta a raffronto con quella per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico.

Nonostante l’art. 14, comma 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014 aggiunga che le Regioni hanno facoltà di rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente per conseguire risparmi pari a quelli derivanti dall’applicazione della norma impugnata, la Regione Veneto ritiene lesa la propria autonomia finanziaria tutelata dagli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.

Lo Stato avrebbe infatti dettato misure puntuali e dettagliate, che eccedono i confini dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

Gli stessi parametri costituzionali sarebbero violati anche a causa del carattere permanente di tali misure, disposte a partire dal 2014.

L’art. 119, terzo e quarto comma, Cost. sarebbe leso in ragione dell’effetto «perequativo implicito e distorto che le disposizioni impugnate producono».

L’art. 120 Cost. sarebbe violato per il profilo attinente al canone di leale collaborazione, perchè l’adozione delle misure non ha richiesto il coinvolgimento della Regione.

Infine, le norme impugnate determinerebbero, con ridondanza sulle competenze regionali, un effetto manifestamente irragionevole e contrario al buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto favoriscono le Regioni che hanno, a parità di abitanti, una maggiore spesa per il personale, invece di premiare quelle che mantengono tale spesa sotto controllo. Per tale ragione la ricorrente reputa lesi anche gli artt. 3 e 97 Cost.

Censure analoghe raggiungono l’art. 15, comma 1, della stessa legge, che vieta alla Regione, a decorrere dal 1° maggio 2014, di effettuare per l’acquisto, la manutenzione, il noleggio e l’esercizio delle autovetture, nonché per l’acquisto di buoni taxi, una spesa superiore al 30 per cento di quella sostenuta per tali voci nel 2011.

2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.

La difesa dello Stato ha svolto considerazioni di carattere generale relative alla finanza regionale e in particolare alla soggezione delle autonomie speciali ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

Con una seconda memoria, l’Avvocatura generale ha replicato ai motivi di ricorso.

I vincoli previsti dall’art. 14, commi 1 e 2, impugnato, si giustificherebbero alla luce del successivo comma 4-ter, che permette alla Regione di discostarsene, ad invarianza di risparmio di spesa.

L’art. 15, comma 1, anch’esso impugnato, sarebbe «diretto a conformare l’attività amministrativa ai principi di buona amministrazione» in modo «ragionevole», perchè non prevede un divieto dell’acquisto o dell’utilizzazione delle autovetture, ma solo un limite per la relativa spesa.

3.– Con ricorso notificato il 20 agosto 2014 e depositato il successivo 26 agosto (reg. ric. n. 65 del 2014), la Provincia autonoma di Trento ha impugnato a sua volta, tra le altre disposizioni, l’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del decreto legislativo 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e all’art. 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale).

La ricorrente ritiene lesa la propria autonomia finanziaria, a causa del limite alla spesa, di carattere permanente, imposto alla Provincia autonoma e agli enti locali trentini.

4.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile e comunque infondato.

L’Avvocatura generale sostiene la soggezione delle autonomie speciali ai principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica.

5.– Nelle more del giudizio, la Provincia autonoma di Trento ha rinunciato al ricorso, per la parte che qui interessa. Il Presidente del Consiglio dei ministri, previa delibera del Consiglio dei ministri, ha accettato la rinuncia.


Considerato in diritto

1.– Con ricorso notificato il 18 agosto 2014 e depositato il successivo 22 agosto (reg. ric. n. 63 del 2014), la Regione Veneto ha promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, terzo comma, 119 e 120 della Costituzione.

Con ricorso notificato il 20 agosto 2014 e depositato il successivo 26 agosto (reg. ric. n. 65 del 2014), la Provincia autonoma di Trento ha impugnato a sua volta, tra le altre disposizioni, l’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost., agli artt. 79, 80, 81, 103, 104 e 107 del decreto legislativo 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), e all’art. 17 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale).

Le disposizioni impugnate recano misure di contenimento della spesa pubblica, con riguardo agli incarichi di consulenza, studio e ricerca (art. 14, comma 1), ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa (art. 14, comma 2), e all’acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio di autovetture, oltre che all’acquisto di buoni taxi (art. 15, comma 1).

2.– I ricorsi vertono, in parte, sulle medesime disposizioni e pongono questioni analoghe, perciò ne è opportuna la riunione per una decisione congiunta.

3.– Nelle more del giudizio, la Provincia autonoma di Trento ha raggiunto un accordo di finanza pubblica con lo Stato e ha conseguentemente rinunciato al ricorso, per quanto qui di interesse. A seguito dell’accettazione della rinuncia da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, va dichiarato estinto, ai sensi dell’art. 23 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

4.– La Regione Veneto impugna gli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, in riferimento, tra gli altri, all’art. 119, terzo e quarto comma, Cost., a causa dell’«effetto perequativo implicito e distorto» che attribuisce a tali disposizioni.

Questa censura è inammissibile, in quanto oscura e priva di adeguata motivazione.

La ricorrente non spiega in alcun modo quale rapporto possa intercorrere tra le misure di riduzione della spesa pubblica, imposte dalle norme impugnate, e gli interventi con finalità perequativa previsti dall’art. 119 Cost.

5.– L’art. 15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014 sostituisce l’art. 5, comma 2, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario.), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

La disposizione impugnata vincola, a decorrere dal 1° maggio 2014, le amministrazioni pubbliche, tra cui la Regione Veneto ricorrente, a contenere la spesa per le autovetture e i buoni taxi entro il 30 per cento della spesa sostenuta per tali voci nell’anno 2011. Essa fa seguito ad analoghe previsioni, inserite nella legislazione statale di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 182 del 2011) fin dall’art. 6, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122. Con quest’ultima norma, è stato introdotto, a decorrere dal 2011, un tetto a tale voce di spesa, pari all’80 per cento dell’esborso sostenuto nel 2009, mentre l’art. 5, comma 2, del d.l. n. 95 del 2012, a decorrere dal 2013, ha incrementato il limite portandolo al 50 per cento della spesa affrontata nel 2011.

Con una prima censura la Regione Veneto denuncia la violazione dell’autonomia finanziaria, garantita dall’art. 119 Cost., avvenuta con una previsione di dettaglio in contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost., che attribuisce natura concorrente alla competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica.

La questione è fondata.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il legislatore statale, con una «disciplina di principio», può legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (sentenza n. 36 del 2004; si veda anche la sentenza n. 417 del 2005). Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo “in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale” – la crescita della spesa corrente». In altri termini, la legge statale può stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; si vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005).

In applicazione di tali principi questa Corte ha giudicato rispettoso dell’autonomia finanziaria regionale l’art. 6, comma 14, del d.l. n. 78 del 2010, perchè la disposizione, nel porre un limite alla spesa per autovetture valevole rigidamente nei confronti delle amministrazioni statali, ne aveva previsto l’applicabilità alle Regioni esclusivamente a titolo di principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, come era stato espressamente stabilito dall’art. 6, comma 20, del d.l. n. 78 del 2010.

Per effetto di ciò continuava a spettare alle Regioni, nel vasto ambito delle voci di spesa incise dal d.l. n. 78 del 2010, scegliere se e in quale misura colpire proprio quelle analiticamente indicate dall’art. 6, comma 14, sempre che, all’esito di questa operazione, ne risultasse un risparmio complessivo non inferiore a quello conseguente all’azione congiunta delle varie prescrizioni statali (sentenza n. 182 del 2011; in seguito, sentenze n. 36 del 2013, n. 211, n. 173 e n. 139 del 2012).

La disposizione impugnata, invece, si discosta dal modello di intervento sulla spesa regionale previsto dall’art. 6 del d.l. n. 78 del 2010, perché non lascia alla Regione alcun margine di sviluppo dell’analitico precetto che è stato formulato. In particolare, a differenza di quanto è stato stabilito dall’art. 14, comma 4-ter, del medesimo d.l. n. 66 del 2014, non è riconosciuta la facoltà per la Regione di adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, sicché l’art. 15, comma 1, oggetto del ricorso, quale che ne sia l’autoqualificazione adottata dal legislatore statale, non può essere ritenuto espressivo di un principio di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 139 del 2012).

La violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost. comporta perciò l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, con assorbimento delle ulteriori censure.

6.– L’art. 14, comma 1, limita, a decorrere dal 2014, la spesa, anche regionale, per incarichi di consulenza, studio e ricerca, al 4,2 per cento di quella sostenuta nel 2012 per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico, se essa è pari o inferiore a 5 milioni di euro, e all’1,4 per cento, se è invece superiore a tale importo.

L’art. 14, comma 2, replica questa tecnica di intervento rispetto alla spesa per contratti di collaborazione coordinata e continuativa, individuando stavolta le percentuali rispettivamente nel 4,5 per cento e nell’1,1 per cento.

La Regione Veneto ritiene anche in tal caso violati gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost.

La questione non è fondata.

Come si è anticipato, l’art. 14, comma 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, anch’esso oggetto di ricorso, permette alle Regioni di «rimodulare o adottare misure alternative di contenimento della spesa corrente, al fine di conseguire risparmi comunque non inferiori a quelli derivanti dall’applicazione dei commi 1 e 2» del medesimo articolo.

Sono perciò integralmente soddisfatte, sotto questo aspetto, le condizioni enunciate nel precedente punto 5., alle quali la giurisprudenza costituzionale subordina la legittimità di analoghi interventi statali sulla spesa regionale (sentenza n. 182 del 2011).

7.– La ricorrente ritiene lesi anche gli artt. 3 e 97 Cost., perchè l’art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014 ha commisurato la capacità di spesa regionale relativa alle singole voci raggiunte dall’intervento normativo statale all’importo complessivo delle spese sostenute per il personale dell’amministrazione che conferisce l’incarico. In tal modo, argomenta il ricorso, sarebbero penalizzate proprio le Regioni più virtuose, che nel tempo hanno ridotto la spesa per i dipendenti pubblici. Queste Regioni, a causa di ciò, sono obbligate (salvo a reperire altrove pari risparmi) a limitare gli incarichi di consulenza e i contratti di collaborazione, più di quanto lo siano le Regioni che impiegano più personale.

La questione è ammissibile perchè la ricorrente motiva adeguatamente la ridondanza sulla propria autonomia organizzativa e finanziaria della violazione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione invocati.

Essa, tuttavia, non è fondata.

In linea di principio il controllo di non manifesta irragionevolezza demandato a questa Corte non può basarsi sulla presunzione, ipotizzata dalla ricorrente, che un maggior numero di dipendenti pubblici sia inequivocabilmente il segno di una cattiva amministrazione, anziché, come è invece astrattamente possibile, di scelte politiche favorevoli all’espansione del settore pubblico, se non anche della necessità di far fronte ad un più ampio novero di funzioni e servizi da parte di alcune Regioni. Ove la spesa per i dipendenti fosse l’effetto di tali fenomeni, e dunque la spia di accresciute esigenze dell’amministrazione, non sarebbe manifestamente incongruo istituire un legame di proporzionalità diretta tra questa spesa e gli incarichi di consulenza, studio e ricerca.

Questo vale a maggior ragione per i contratti di collaborazione, posto che resta loro applicabile l’art. 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), che vieta di ricorrervi, se non quando sia stata accertata l’impossibilità oggettiva di utilizzare per il medesimo scopo il personale già a disposizione dell’amministrazione. È questa una previsione che dovrebbe scongiurare alla radice il rischio che si abusi delle collaborazioni esterne pur in presenza di un elevato numero di dipendenti pubblici.

Ciò premesso, si può ulteriormente osservare che la disposizione impugnata si innesta sul solco di analoghe misure assunte dal legislatore statale anzitutto con il d.l. n. 78 del 2010, e tutt’ora applicabili, come è stato ribadito proprio dall’art. 14 del d.l. n. 66 del 2014.

Con riguardo alla spesa per consulenze, studi e ricerche, in particolare, è fatta salva l’applicazione dell’art. 6, comma 7, del d.l. n. 78 del 2010, e dell’art. 1, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (Disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni.), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 ottobre 2013, n. 125.

Nello stesso modo continua ad operare l’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78 del 2010, con riferimento alla spesa per i contratti di collaborazione coordinata e continuativa.

Queste norme hanno già provveduto a limitare le risorse finanziarie disponibili entro determinate percentuali della spesa storica sostenuta dalle singole Regioni per analoghe partite negli anni precedenti. Vi è perciò un pregresso meccanismo di contenimento della spesa, che ha obbligato fin dal 2011 le amministrazioni regionali, e l’obbliga tutt’ora (ove non abbiano rinvenuto altrove le risorse), a ridurre gli impegni per consulenze e collaborazioni. L’effetto è che tali impegni sono ridimensionati, in valori assoluti, in misura maggiore proprio laddove erano più elevati, secondo la linea auspicata dalla Regione Veneto.

La disposizione impugnata non si sostituisce a questo meccanismo, ma si aggiunge con una nuova e diversa restrizione, che è peraltro ancora una volta rapportata al livello della spesa complessiva per il personale. Essa, infatti, consente l’impiego di consulenti e collaboratori in una percentuale che decresce fortemente se la spesa per il personale dipendente è molto elevata (superiore a 5 milioni di euro), penalizzando così le Regioni che si trovano in questa condizione, e non può considerarsi manifestamente irragionevole, in una organizzazione amministrativa, l’istituzione di un rapporto tra la spesa complessiva per il personale e quella per incarichi e collaborazioni di vario tipo.

8.– La Regione Veneto censura l’art. 14, commi 1, 2, e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014 anche in relazione all’art. 120 Cost., rilevando che le disposizioni sono state adottate senza il coinvolgimento regionale.

La questione non è fondata, perchè il principio di leale collaborazione, ove non sia specificamente previsto, non si impone nel procedimento legislativo (ex plurimis, sentenza n. 112 del 2010).

9.– L’art. 14, commi 1 e 2, è censurato, con riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., anche nella parte in cui stabilisce che le misure previste si applicano «a decorrere dall’anno 2014», e assumono perciò carattere permanente.

La questione è fondata.

Come si è già posto in luce al precedente punto 5., gli interventi statali sull’autonomia di spesa delle Regioni sono consentiti, come principi di coordinamento della finanza pubblica, purché transitori, giacché in caso contrario essi non corrisponderebbero all’esigenza di garantire l’equilibrio dei conti pubblici in un dato arco temporale, segnato da peculiari emergenze, ma trasmoderebbero in direttive strutturali sull’allocazione delle risorse finanziarie di cui la Regione è titolare, nell’ambito di scelte politiche discrezionali concernenti l’organizzazione degli uffici, delle funzioni e dei servizi (sentenza n. 36 del 2004).

Questa Corte ha perciò già dichiarato l’illegittimità costituzionale di analoghe previsioni (sentenza n. 79 del 2014), per un aspetto che peraltro non inficia la misura di finanza pubblica in sé, ma coinvolge esclusivamente la sua dimensione temporale, allo scopo di «assicurare la natura transitoria delle misure previste, e, allo stesso tempo, di non stravolgere gli equilibri della finanza pubblica, specie in relazione all’anno in corso» (sentenza n. 193 del 2012).

Sotto quest’ultimo profilo questa Corte ha già posto in evidenza la natura necessariamente pluriennale delle politiche di bilancio, che vengono scandite per mezzo della legge di stabilità lungo un arco di tempo di regola triennale (sentenze n. 178 del 2015 e n. 310 del 2013).

Nel caso di specie, il d.l. n. 66 del 2014 è intervenuto per correggere i conti pubblici con riferimento al periodo triennale inaugurato dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2014), ovvero, in linea di principio e salva espressa disposizione contraria, dal 2014 al 2016. Perciò questa Corte deve ripristinare la legalità costituzionale riconducendo la disposizione impugnata ad un corrispondente periodo transitorio di efficacia, visto che esso è connaturato alle caratteristiche dell’intervento legislativo in cui la norma è collocata, e si desume perciò direttamente ed inequivocabilmente da quest’ultimo.

Di conseguenza l’art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014 va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui si applica «a decorrere dall’anno 2014», anziché «negli anni 2014, 2015 e 2016».


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale promosse con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 15, comma 1, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 23 giugno 2014, n. 89, nella parte in cui si applica alle Regioni;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1 e 2, del d.l. n. 66 del 2014, nella parte in cui si applica «a decorrere dall’anno 2014», anziché «negli anni 2014, 2015 e 2016»;

3) dichiara estinto il processo relativo alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, promosse dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 14, commi 1, 2 e 4-ter, e 15, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento all’art. 119, terzo e quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;

5) dichiara non fondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 1, 2 e 4-ter, del d.l. n. 66 del 2014, promosse, in riferimento agli artt. 3, 97 e 120 Cost., dalla Regione Veneto, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2016.

F.to:

Alessandro CRISCUOLO, Presidente

Giorgio LATTANZI, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 3 marzo 2016.

Il Cancelliere

F.to: Roberto MILANA