Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza iscritta al n. 631 r.o. del 1999 il tribunale
amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5, della legge
23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la
stabilizzazione e lo sviluppo), nel corso di un giudizio, instaurato
contro il Ministero del tesoro, la Ragioneria generale dello Stato e
la Presidenza del Consiglio dei ministri, da un gruppo di dipendenti
civili dello Stato per ottenere - previo annullamento di tutti gli
atti presupposti, consequenziali, anteriori e successivi, che,
invece, l'avevano negato - il riconoscimento del diritto alla
percezione (con decorrenza dalla data di spettanza) degli interessi e
della rivalutazione monetaria sulle somme loro corrisposte a titolo
di benefici economici, stipendiali ed accessori, per effetto
dell'inquadramento nei loro riguardi disposto in forza della legge
11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto retributivo-funzionale del
personale civile e militare dello Stato).
L'ordinanza enuncia che, essendo stati i ricorrenti inquadrati in
via definitiva con effetto retroattivo a decorrere dal 13 luglio
1981, l'amministrazione aveva corrisposto i benefici derivanti
dall'inquadramento in ritardo, non solo rispetto a quel termine, ma
anche rispetto alla data dell'adozione dei decreti di
reinquadramento, senza, peraltro, procedere al pagamento degli
interessi e della rivalutazione monetaria "dalla data di spettanza",
lasciando poi senza risposta l'istanza per ottenere detto pagamento.
Era seguita l'instaurazione del giudizio da parte dei ricorrenti, i
quali avevano sostenuto l'illegittimità del comportamento
dell'amministrazione.
Ciò premesso, il rimettente, dopo aver dato atto che sulla
questione della spettanza degli interessi e della rivalutazione
monetaria si era consolidata una giurisprudenza favorevole del
giudice amministrativo, assume che l'art. 26, commi 4 e 5, della
legge n. 448 del 1998 - di cui ritiene di dover fare applicazione e a
cui attribuisce natura di norma retroattiva e di interpretazione
autentica (in quanto sancirebbe - a suo dire - che il diritto dei
pubblici dipendenti a detti accessori, per effetto del suddetto
inquadramento, non sarebbe mai sussistito) - violerebbe:
a) l'art. 3 Cost., in quanto, pur enunciando un intento di
interpretazione autentica, avrebbe invece introdotto una nuova
disciplina, contrastante con il principio - comune non solo ad ogni
credito di lavoro, ma a qualsiasi credito, indipendentemente dalla
sua origine - della parità di trattamento dei cittadini
relativamente alla corresponsione degli interessi e della
rivalutazione sui crediti, senza, peraltro, che la discriminazione
sofferta dai pubblici dipendenti sia assistita da una razionale
giustificazione, non apparendo ragionevole l'esclusione del diritto
alla percezione dei citati accessori sugli emolumenti derivanti
dall'inquadramento, poiché essi non si differenzierebbero dagli
altri debiti retributivi contratti dall'Amministrazione;
b) l'art. 36 Cost., in quanto, per la natura retributiva
delle somme su cui vengono negati gli accessori, sarebbe leso il
principio di proporzionalità fra retribuzione e prestazione
lavorativa;
c) l'art. 97 Cost., in quqnto si consentirebbe alla pubblica
amministrazione di eludere le normali conseguenze del ritardo nella
corresponsione degli emolumenti.
Circa la rilevanza della questione, il rimettente osserva che,
alla stregua della norma denunciata, le domande dei ricorrenti
dovrebbero essere respinte.
2. - Con le ordinanze iscritte ai nn. 440 e 747 r.o. del 1999 lo
stesso tribunale amministrativo regionale del Lazio (in diversa
composizione) ha sollevato questione di legittimità costituzionale
del solo art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998, in
riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., in due giudizi intentati contro
il Ministero dei beni culturali e ambientali da dipendenti che
rivendicano interessi e rivalutazione sulle somme riscosse per
effetto di inquadramento ex legge n. 312 del 1980. La violazione
dell'art. 3 viene lamentata sotto il profilo che i dipendenti dei
ministeri soffrirebbero una discriminazione, sia rispetto alla
generale valenza del principio dell'attualizzazione dei crediti di
lavoro, sia perché di tale principio sarebbe negata - in modo del
tutto illogico - l'applicazione rispetto ad una determinata specie di
crediti del settore del pubblico impiego. La violazione dell'art. 36
sussisterebbe perché l'attualizzazione dei crediti di lavoro sarebbe
essenziale, specie in tempi di alta inflazione, per assicurare la
proporzionalità della retribuzione al lavoro svolto, in caso di
ritardata corresponsione.
3. - Con l'ordinanza iscritta al n. 650 r.o. del 1999 sempre il
tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione
di legittimità costituzionale del solo art. 26, comma 4, della legge
n. 448 del 1998 in un giudizio intentato da numerosi dipendenti di
amministrazioni dello Stato contro la Presidenza del Consiglio dei
ministri, il Ministero del tesoro ed il Ministero della giustizia per
ottenere il riconoscimento di interessi e rivalutazione monetaria
sulle somme ottenute per effetto del tardivo inquadramento ex legge
n. 312 del 1980. Il rimettente - dopo avere rilevato che la
rivendicazione dei ricorrenti sarebbe stata parzialmente fondata e
precisamente a decorrere dall'8 novembre 1988, data di pubblicazione
nella Gazzetta Ufficiale della deliberazione della Commissione
paritetica di cui all'art. 10 della suddetta legge - ha osservato di
non poter accogliere la domanda neppure entro tali limiti, per
effetto della sopravvenienza della norma denunciata.
L'ordinanza, nel motivare la non manifesta infondatezza della
questione - che ha reputato rilevante solo con riguardo al comma 4
della norma denunciata, in quanto i ricorrenti non avrebbero ricevuto
alcuna somma a titolo di accessori e non sarebbero esposti al
recupero di essa, disciplinato dal comma 5 - premette che la norma
denunciata non avrebbe carattere interpretativo, ma efficacia
innovativa, e, dopo avere rilevato che in quella veste la norma non
lederebbe la sfera del potere giurisdizionale, ha ravvisato una
violazione degli artt. 3 e 36 Cost., individuando la violazione della
prima norma nella discriminazione determinatasi a carico dei
dipendenti dei ministeri - sia rispetto agli altri dipendenti
pubblici, sia in generale rispetto a tutti gli altri lavoratori - per
la mancata applicazione del principio dell'adeguamento nel tempo del
valore della retribuzione, essendosi così trattate in modo diverso
situazioni uguali. Sul punto il rimettente ha invocato la sentenza di
questa Corte n. 327 del 1999, osservando che il principio da essa
affermato, pur relativo a crediti previdenziali, a maggior ragione
dovrebbe valere per quelli retributivi. L'art. 36 della Costituzione
sarebbe, invece, violato per la lesione del principio di integrità
ed effettività della retribuzione.
4. - Con l'ordinanza iscritta al n. 741 r.o. del 1999 e con
quella n. 740 r.o. del 1999 il tribunale amministrativo regionale
della Toscana - rispettivamente nel corso di un giudizio, instaurato
nel 1996 da un dipendente del Ministero delle finanze, per ottenere
il riconoscimento degli interessi e della rivalutazione monetaria su
emolumenti conseguiti per effetto dell'inquadramento ex legge n. 312
del 1980 (avvenuto nella specie soltanto il 5 agosto 1992) e nel
corso di un giudizio instaurato allo stesso scopo da dipendenti del
Ministero del tesoro - ha sollevato anch'esso questione di
legittimità costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5, della legge
n. 448 del 1998, ma in riferimento al solo art. 3 della Costituzione
Le ordinanze enunciano - citando decisioni del Consiglio di Stato -
che dalla data della deliberazione dell'indicata commissione doveva
ritenersi decorrere il credito retributivo corrispondente
all'inquadramento con i relativi accessori, onde, in forza dei
precedenti giurisprudenziali, il ricorso dovrebbe accogliersi.
Ritengono, tuttavia, che a ciò sia d'ostacolo la norma denunciata,
la quale, non essendo di interpretazione autentica - malgrado il
tenore della sua intestazione - sarebbe applicabile non solo ai
crediti sorti dopo la sua entrata in vigore, ma anche ai crediti
maturati prima, come confermerebbero anche ulteriori argomenti
interpretativi.
Circa la non manifesta infondatezza, il tribunale amministrativo
regionale rileva che non vi sarebbero sufficienti ragioni "per le
quali soltanto per un tipo di credito retributivo e soltanto per
alcuni dipendenti pubblici (quelli del "comparto ministeri" e tra
questi, solo coloro che non abbiano già avuto tempestivamente
liquidate le dette somme) sia espressamente negato ... un accessorio
connaturato al credito principale, generalmente riconosciuto a tutti
i dipendenti pubblici e privati dall'art. 429 del codice di procedura
civile". Le ragioni indicate nella relazione illustrativa della legge
n. 448 del 1998, laddove fanno riferimento alle esigenze di bilancio,
non potrebbero giustificare un sacrificio a carico di una sola
categoria di creditori senza incorrere nella violazione del principio
di eguaglianza e di ragionevolezza che dovrebbe ispirare qualunque
manovra di risanamento finanziario, con distribuzione dei sacrifici
equamente fra tutti i consociati. Inoltre la norma sarebbe
ulteriormente irragionevole laddove fa salvi gli effetti dei
giudicati, così dando rilievo ad un dato temporale del tutto
casuale. D'altro canto, soggiunge l'ordinanza, non vi sarebbe alcun
beneficio a favore dei dipendenti, che possa compensare il sacrificio
patrimoniale stabilito a loro carico, in quanto i disposti
inquadramenti sarebbero la conseguenza automatica del passaggio dal
sistema delle carriere al nuovo sistema imperniato sulle qualifiche e
sui profili professionali.
Infine, le ordinanze sostengono che argomenti favorevoli
all'infondatezza della questione non si potrebbero trarre dalla
sentenza di questa Corte n. 361 del 1996, in quanto essa, laddove
dichiarò infondata - con riguardo all'art. 16, comma 6, della legge
30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza
pubblica) - la questione di legittimità costituzionle concernente la
mancata previsione del cumulo di interessi e rivalutazione monetaria
per i crediti previdenziali, invocando esigenze di contenimento della
spesa pubblica, non sarebbe pertinente nel caso di specie, in cui
vengono in considerazione emolumenti correlati allo svolgimento della
prestazione lavorativa dei pubblici dipendenti, che non sono a carico
del bilancio pubblico. Argomenta, in chiusura, il rimettente la non
manifesta infondatezza, anche facendo leva sulla sentenza n. 207 del
1994 della Corte, in relazione al fatto che la norma denunciata
sarebbe incentivo all'amministrazione per ritardare i suoi pagamenti.
5. - Con le ordinanze iscritte ai nn. r.o. 409, 410, 411, 412,
413, 414, 415 e 482 del 1999 - tutte di identico tenore motivazionale
e rese in giudizi instaurati da dipendenti contro il Ministero delle
finanze, per ottenere il riconoscimento del diritto alla
corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria sulle
retribuzioni corrisposte per effetto dell'inquadramento ai sensi
della legge n. 312 del 1980 - il tribunale amministrativo regionale
delle Marche ha sollevato questione di legittimità costituzionale
del citato art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998, in
riferimento agli artt. 3, 24, 36, 97, 102, 103 e 113 della
Costituzione Anche tali ordinanze assumono che, a decorrere dalla
pubblicazione della deliberazione del 28 novembre 1988 della
commissione prevista dall'art. 10 della legge n. 312 del 1980,
l'amministrazione doveva reputarsi in mora, dovendo il credito dei
dipendenti considerarsi esistente, con la conseguenza che sarebbero
dovuti interessi e rivalutazione monetaria. Ravvisano, tuttavia, un
ostacolo all'accoglimento dei ricorsi nel sopraggiungere della norma
denunciata, della quale escludono il carattere di interpretazione
autentica e ritengono la sua applicabilità ai giudizi pendenti.
Considerato, in punto di rilevanza, che della norma si deve fare
applicazione nei giudizi a quibus in ordine alla non manifesta
infondatezza osservano che vi sarebbe contrasto: a) con l'art. 3
Cost., in quanto i crediti in questione sarebbero sottoposti ad un
trattamento deteriore rispetto a quello previsto per ogni altro
credito e vi sarebbe una discriminazione fra dipendenti statali che
vantino crediti identici nei confronti dell'amministrazione, e,
precisamente, fra quei dipendenti che abbiano già ottenuto il
riconoscimento degli accessori e ne abbiano avuto la liquidazione e
quei dipendenti che, invece, pur avendo agito in giudizio vedano ora
frustrata la loro aspettativa per effetto dell'intervento della norma
denunciata; b) con l'art. 36 Cost., in quanto l'esclusione degli
interessi e della rivalutazione vulnererebbe il diritto alla giusta
retribuzione, in quanto quegli accessori garantirebbero la "realità"
della retribuzione; c) con l'art. 24 Cost., in quanto, per effetto
dell'applicabilità della norma ai giudizi pendenti, sarebbe stato
vanificato il diritto costituzionale alla tutela giurisdizionale,
che, invece, una volta esercitata l'azione in giudizio, non potrebbe
- pur potendo il legislatore limitarlo - essere vanificato (ed
all'uopo si cita la sentenza n. 123 del 1987, secondo cui il precetto
costituzionale è violato da norme che recano una disciplina
sostanziale di segno opposto alle richieste di un attore nel
processo); d) con gli artt. 102, 103 e 113 Cost., in quanto
quell'applicabilità realizzerebbe un'illegittima interferenza nella
sfera di attribuzioni del potere giurisdizionale; e) con l'art. 97
Cost., riguardo al quale si assume genericamente un contrasto con il
principio del buon andamento della pubblica amministrazione.
6. - Con l'ordinanza iscritta al n. 36 r.o. del 2000, il
Tribunale amministrativo regionale del Piemonte, in un giudizio
promosso contro il Ministero della pubblica istruzione da una
dipendente che non aveva ottenuto, a seguito di inquadramento ex
legge n. 312 del 1980, gli accessori, ha sollevato questione di
legittimità costituzionale dell'art. 26, comma 4, della legge n. 448
del 1998, con una motivazione totalmente identica a quella
dell'ordinanza n. 409 del tribunale amministrativo regionale delle
Marche.
7. - Con l'ordinanza iscritta al n. 6 r.o. del 2000, il Consiglio
di Stato - in un giudizio di appello proposto dal Ministero della
giustizia avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale
dell'Abruzzo, la quale aveva riconosciuto a taluni dipendenti di quel
ministero interessi e rivalutazione in ordine alle retribuzioni
ricevute per l'inquadramento ex legge n. 312 del 1980 - ha sollevato,
in riferimento agli artt. 3, 35 e 36 Cost., questione di legittimità
costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5, della legge n. 448 del 1998
(sopravvenuta nel corso del giudizio), dopo avere disatteso
l'eccezione di acquiescenza, formulata dagli appellati sotto il
profilo che l'amministrazione appellante aveva corrisposto i
riconosciuti accessori in esecuzione della sentenza di primo grado.
Rilevato che l'orientamento giurisprudenziale si era consolidato nel
senso della spettanza degli accessori, si assume che la norma avrebbe
carattere innovativo e retroattivo e, quindi, adducendosi che il
legislatore potrebbe disporre norme retroattive solo sulla base di
una causa giustificativa, si sostiene che nella specie essa sarebbe
mancata, in quanto le esigenze di contenimento della spesa pubblica
tenute presenti dal legislatore non sarebbero sufficienti a
giustificare la non corresponsione di elementi intrinseci al credito
di lavoro soltanto per una categoria di dipendenti pubblici, potendo
quell'esigenza perseguirsi con una più sollecita azione delle
amministrazioni interessate (a sostegno di tale argomentazione si
cita la sentenza di questa Corte n. 137 del 1994). Da tanto si desume
la non manifesta infondatezza della questione.
8. - Con le ordinanze iscritte ai nn. 327 e 328 r.o. del 1999, la
corte dei conti, sezione giurisdizionale per l'Emilia-Romagna, in
giudizi instaurati da vedove titolari di pensione di reversibilità
per ottenere - fra l'altro - interessi e rivalutazione monetaria sul
trattamento pensionistico, riliquidato a seguito della sentenza della
Corte n. 1 del 1991, premesso che nella giurisprudenza della Corte
dei Conti si era affermato il principio per cui i crediti di pensione
dei pubblici dipendenti sono soggetti al principio dell'art. 429 del
codice di procedura civile, caratterizzandosi interessi e
rivalutazione monetaria quali elementi che realizzano, in unione con
il credito originario, il tantundem della prestazione pensionistica,
il cui valore deve essere identico a quello originario,
indipendentemente dal tempo dell'adempimento, ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, comma 4, della
legge n. 448 del 1998 nella sua totalità - cioè, almeno
formalmente, sia quanto alla parte relativa al trattamento dei
pubblici dipendenti, che a quella concernenti i trattamenti
pensionistici in questione - in quanto ritenuta lesiva degli artt. 3
e 24 Cost., osservando di dover fare applicazione di detta norma,
sopravvenuta in corso di giudizio. Il giudice rimettente ha lamentato
la violazione dell'art. 3 Cost., in quanto si tratterebbero allo
stesso modo coloro che, a fronte dell'inerzia dell'amministrazione,
si erano attivati ed al momento dell'entrata in vigore della norma
non avevano ottenuto tutela giurisdizionale, e coloro che, essendosi
anch'essi attivati, avevano ottenuto quella tutela. Inoltre, la norma
sarebbe, nel suo carattere derogatorio, irrazionale, in quanto la
ristretta entità numerica dei soggetti cui si riferirebbe renderebbe
impossibile che la sua applicazione possa realizzare l'effetto di
contribuire "alla stabilizzazione ed allo sviluppo del Paese". La
violazione dell'art. 24 della Costituzione viene motivata per il
fatto che si penalizzerebbero sia coloro che non hanno agito in
giudizio, sia coloro che hanno agito, venendosi a privare costoro,
dopo l'inizio dei giudizi, di una tutela prima garantita.
9. - Con l'ordinanza iscritta al n. 397 r.o. del 1999, la Corte
dei conti, sezione giurisdizionale per la Sardegna, ha sollevato, in
riferimento all'art. 3, primo comma, Cost., questione di legittimità
costituzionale del comma 4 dell'art. 26 della legge n. 448 del 1998,
limitatamente alla parte in cui ha stabilito che le somme liquidate
sui trattamenti pensionistici, in conseguenza della sentenza n. 1
della Corte costituzionale, non danno luogo ad interessi e
rivalutazione monetaria. La questione è stata sollevata in un
giudizio promosso dalla titolare di una pensione di reversibilità
soggetta alla detta riliquidazione, per ottenere, sulle somme
riscosse per effetto di essa, gli interessi e la rivalutazione
monetaria, negati dall'amministrazione.
Circa la rilevanza della questione, la Corte dei conti osserva
che, secondo la propria giurisprudenza - sia pure con differenti
orientamenti in ordine al dies a quo - ai crediti pensionistici,
avendo la pensione natura di retribuzione differita, sarebbero
applicabili l'art. 429 del codice di procedura civile e l'art. 150
delle relative disposizioni di attuazione, come confermerebbe
l'art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), che ha previsto, a
decorrere dal 1° gennaio 1995, l'applicazione dell'art. 16, comma 6,
della legge 30 dicembre 1991, n. 412, ai dipendenti pubblici.
Infatti, il legislatore, avendo con detta disposizione, sancito che
dall'indicata data la rivalutazione compete solo per l'eccedenza
rispetto al maggior danno ristorato dagli interessi, avrebbe
riconosciuto per il periodo antecedente il cumulo degli uni e
dell'altra. Ne avrebbe dato conferma anche il decreto del Ministro
del tesoro, del bilancio e della programmazione economica
1° settembre 1998, n. 352 (Regolamento recante i criteri e le
modalità per la corresponsione degli interessi legali e della
rivalutazione monetaria per ritardato pagamento degli emolumenti di
natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei
dipendenti pubblici e privati in attività di servizio o in
quiescenza delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1,
comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29), il quale,
nel dettare - in attuazione dei due provvedimenti legislativi sopra
citati - il regolamento sui criteri e le modalità per la
corresponsione degli interessi legali e della rivalutazione monetaria
per il ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva,
pensionistica e assistenziale a favore dei dipendenti pubblici e
privati in attività di servizio o in quiescenza, ha previsto il
cumulo degli interessi e della rivalutazione monetaria fino al
16 dicembre 1990, i soli interessi legali del 10 fino al 1° gennaio
1995 e, successivamente, la rivalutazione in aggiunta agli interessi
solo per la parte eccedente il loro ammontare. Si precisa, inoltre,
che, ai sensi dell'art. 3 del detto decreto, gli interessi o la
rivalutazione decorrerebbero dalla maturazione del credito o dalla
scadenza del termine previsto dall'art. 2 della legge 7 agosto 1990,
n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di
diritto di accesso ai documenti amministrativi), per l'adozione del
relativo provvedimento. Da queste notazioni, dopo avere dato atto
dell'intervento, nelle more del giudizio, della disposizione
denunciata, il giudice rimettente trae la conclusione che la
questione sollevata sarebbe rilevante in quanto la disposizione
sarebbe applicabile al caso di specie, posto che dalla sua efficacia
fa salvi solo gli effetti del giudicato e quindi "regolamenta anche
ipotesi pregresse".
Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente lamenta la
violazione dell'art. 3, comma primo, Cost., in quanto la norma
denunciata tratterebbe in modo deteriore e differenziato "alcuni
pensionati (fra cui la ricorrente), la cui posizione sarebbe
pressoché identica a quella dell'intera categoria", per la quale
continuerebbe ad applicarsi la regola della computabilità degli
accessori o di alcuni di essi, in relazione ai periodi di maturazione
dei crediti principali. E ciò con riferimento a crediti principali
costituenti diritti soggettivi, i quali in nulla si
differenzierebbero dai crediti pensionistici per cui la norma
denunciata non opera, posto che detti crediti trarrebbero origine
dalle disposizioni normative che la sentenza della Corte n. 1 del
1991 ha fatto riespandere. La norma denunciata sarebbe, inoltre,
irrazionale perché segnerebbe una deroga ad un principio generale
che l'ordinamento accoglie costantemente, attribuendo agli accessori
la natura di elementi essenziali del trattamento pensionistico.
10. - Con l'ordinanza iscritta al n. 399 r.o. del 1999, la Corte
dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana - in un
giudizio con il quale il figlio di un dirigente collocato a riposo
aveva chiesto gli interessi e la rivalutazione monetaria, a decorrere
dal 1° marzo 1990, sulla riliquidazione della pensione avvenuta, ai
sensi dell'art. 161 della legge n. 312 del 1980, con decreto del
21 febbraio 1997, a seguito della sentenza della Corte costituzionale
n. 1 del 1991 - dopo avere svolto considerazioni non dissimili
dall'ordinanza di cui al punto precedente, circa l'evoluzione della
disciplina normativa in tema di cumulo di interessi e rivalutazione
monetaria, ed osservato, quindi, che, solo per effetto del
sopraggiunto art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998, la
domanda del ricorrente dovrebbe respingersi, ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale di detta norma negli
identici termini della menzionata ordinanza quanto al petitum ma
assumendo come parametri costituzionali, oltre all'art. 3, l'art. 36
della Costituzione e facendo leva - circa la non manifesta
infondatezza - sulla circostanza che la norma avrebbe carattere
retroattivo, senza rispettare i principi al riguardo fissati dalla
giurisprudenza costituzionale, frustrando, con riferimento a
situazioni sostanziali fondate su leggi precedenti, l'affidamento del
cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi "come elemento
fondamentale dello stato di diritto".
In particolare, la norma denunciata non apparirebbe razionale,
non essendo la sua retroattività giustificata "da alcuna specifica
esigenza inderogabile, esplicita o implicita, di politica
organizzativa, sociale o economica". Inoltre, discriminerebbe i
pensionati destinatari della sentenza della Corte n. 1 del 1991 da
tutti "gli altri pensionati che vantino il diritto ad emolumenti
pensionistici arretrati, da epoca coeva o anche con decorrenza
anteriore al 1 marzo 1990, ma sulla base di altre disposizioni
normative".
11. - Con l'ordinanza iscritta al n. 22 r.o. del 2000, la Corte
dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha sollevato la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 26, comma 4, della
legge n. 448 del 1998 con il medesimo petitum delle altre tre
ordinanze, assumendo come parametri costituzionali gli artt. 3 e 24
Cost., in un giudizio nel quale un dirigente della stessa Corte dei
conti, collocato a riposto con i c.d. benefici combattentistici,
aveva chiesto la riliquidazione del trattamento pensionistico ed
avendola ottenuta nel corso del giudizio, in ottemperanza alla
sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1991, aveva chiesto,
poi, il riconoscimento di interessi e rivalutazione. Circa la
rilevanza, la Corte dei conti osserva di dover fare applicazione
della norma denunciata. Circa la non manifesta infondatezza, sostiene
la violazione dell'art. 24 Cost., con considerazioni non dissimili
dalle ordinanze di rimessione nn. 327 e 328 del 1999, mentre, quanto
alla violazione dell'art. 3, assume che la norma violata
determinerebbe una situazione di discriminazione fra i soggetti
collocati a riposo prima del 1° gennaio 1979 e quelli collocati a
riposo dopo - che, invece, era stata eliminata dalla sentenza n. 1
del 1991 - in quanto i soggetti collocati a riposo prima di quella
data avrebbero titolo per la liquidazione degli interessi e della
rivalutazione monetaria, mentre quelli collocati a riposo dopo (cui
si riferiva la sentenza) non lo avrebbero.
12. - In tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato,
depositando memorie che genericamente fanno rinvio alle
argomentazioni di quella depositata nel giudizio di cui all'ordinanza
n. 409 del 1999, nella quale si deduce che la norma impugnata sarebbe
stata determinata dal considerevole onere finanziario derivante dal
consolidato indirizzo giurisprudenziale sul riconoscimento di
interessi e rivalutazione, non già dalla data del provvedimento di
reinquadramento (in relazione al quale era stato previsto un onere
finanziario di 1.702 miliardi), ma dall'8 novembre 1988, data di
pubblicazione della deliberazione della Commissione paritetica. La
disposizione denunciata sarebbe stata emanata per far fronte ad un
onere imprevisto e, quindi, nel rispetto dell'art. 11-ter settimo
comma, della legge 5 agosto 1978, n. 468 (Riforma di alcune norme di
contabilità generale dello Stato in materia di bilancio). E,
pertanto, la questione di legittimità costituzionale avrebbe dovuto
essere proposta, a pena di inammissibilità, proprio nei confronti
del citatoart. 11-ter.
Nel merito, la questione sarebbe infondata in riferimento
all'art. 3 Cost., per la genericità del tertium comparationis e
perché la norma denunciata troverebbe giustificazione nel
contenimento della spesa pubblica, mentre la pretesa disparità
derivante dall'inapplicabilità della norma in caso di giudicato, non
solo sarebbe di mero fatto e, pertanto, non violerebbe alcuna norma
costituzionale, ma discenderebbe dal necessario rispetto del
giudicato. Il parametro dell'art. 36 sarebbe, invece, male invocato,
vertendosi su accessori della retribuzione, la cui esclusione non
inciderebbe sulla capacità della retribuzione stessa di assicurare
al lavoratore un'esistenza libera e dignitosa. Gli altri parametri
costituzionali non sarebbero stati correttamente invocati.
13. - Nel giudizio di cui all'ordinanza n. 631 del 1999, una
delle parti private si è costituita, depositando memoria, nella
quale ha aderito alle conclusioni dell'ordinanza. Anche nel giudizio
di cui all'ordinanza n. 741 del 1999, si è costituita la parte
privata con memoria, nella quale, in aggiunta alle argomentazioni
dedotte dall'ordinanza di rimessione, lamenta la violazione
dell'art. 36 Cost., anche sotto il profilo che le somme dovute a
titolo di accessori si dovrebbero considerare compensative della
particolare qualità del lavoro e non aggiuntive rispetto ad una
retribuzione già equa.
14. - I due giudizi nei quali vi è stata costituzione di parte
privata sono stati chiamati a ruolo nell'udienza pubblica 23 maggio
2000, e gli altri nella camera di consiglio del 24 maggio 2000.
15. - Nell'imminenza della suddetta pubblica udienza,
l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato memorie nei giudizi
di cui alle ordinanze nn. 631 e 741, riproponendo gli argomenti
svolti negli atti di intervento (ma abbandonando l'eccezione di
inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, in
quanto non proposta in riferimento all'art. 11-ter della legge n. 468
del 1978) ed eccependo - con riferimento all'ordinanza n. 741 -
l'inammissibilità dell'esame della questione anche con riferimento
all'art. 36 Cost., come richiesto dalla parte privata.
Anche le parti private costituite depositavano memorie.
16. - A seguito della discussione dei giudizi nella udienza
pubblica e nella camera di consiglio suindicate, la Corte ha
pronunciato due separate ordinanze istruttorie in data 6 luglio 2000
- una per la questione di legittimità costituzionale relativa ai
trattamenti dei dipendenti ex legge n. 312 del 1980 e l'altra per
quella concernente i trattamenti pensionistici liquidati in forza
della sentenza della Corte n. 1 del 1991 - ravvisando la necessità,
in funzione della valutazione delle questioni ed in ragione della
dedotta esigenza di contenimento della spesa pubblica quale
giustificazione delle norme denunciate, di acquisire analitici
elementi conoscitivi, sia in ordine alle modalità temporali
dell'adozione dei provvedimenti di inquadramento dei dipendenti e di
riliquidazione dei trattamenti pensionistici, sia alle ragioni
previsionali di spesa che avevano potuto suggerire l'emanazione delle
norme stesse.
17. - Nelle more del riferito svolgimento processuale pervenivano
alla Corte altre ordinanze di rimessione relative alla questione di
legittimità costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5, della legge
n. 448 del 1998.
Fra esse le ordinanze nn. 378, 379, 423, 542 e 717 r.o. del 2000
propongono - con riguardo allo stesso oggetto, cioè relativamente
all'esclusione degli interessi e della rivalutazione monetaria sulle
somme corrisposte per il tardivo reinquadramento dei dipendenti del
comparto ministeri - la medesima questione di costituzionalità
dell'art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998, già prospettata
da alcune delle ordinanze provenienti dall'udienza del 23 maggio 2000
e dalla camera di consiglio del 24 maggio 2000.
L'ordinanza n. 717 impugna - come, del resto, avevano fatto
alcune delle suddette ordinanze (esattamente le nn. 631, 740 e 741
del 1999) - anche il comma 5 del suddetto art. 26.
18. - Con le ordinanze n. 378 e 379 r.o. del 2000 il tribunale
amministrativo regionale del Lazio - nel corso di giudizi instaurati
da taluni dipendenti del Ministero dei beni culturali ed ambientali
per ottenere la corresponsione di interessi e rivalutazione monetaria
sulle somme già liquidate dopo il reinquadramento nelle qualifiche
funzionali ex art. 4 della legge n. 312 del 1980, e talora la stessa
corresponsione dei relativi importi in conto capitale oltre che dei
suddetti accessori - ha sollevato questione di legittimità
costituzionale dell'art. 26, comma 4, della legge 23 dicembre 1998,
n. 448 [erroneamente citata con il n. 449]. Anche tali ordinanze
richiamano genericamente la giurisprudenza che ha fatto decorrere il
diritto agli accessori dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della deliberazione della Commissione paritetica ex art. 10 della
legge n. 312 del 1980, e ritengono l'illegittimità costituzionale
della norma impugnata per violazione dell'art. 3, primo comma, e 36,
primo comma, della Costituzione.
L'art. 3 sarebbe violato, in quanto i crediti per le differenze
retributive derivanti dall'inquadramento ex legge n. 312 del 1980,
costituenti crediti di lavoro, avrebbero illogicamente un trattamento
differenziato da quello di tutti gli altri crediti per tardivo
pagamento di retribuzioni, relativi a rapporto di lavoro pubblico e
privato. L'art. 36 sarebbe violato perché i suddetti crediti
retributivi non sarebbero più proporzionati "alla quantità e
qualità del lavoro svolto stante la impossibilità di una attuale
rivalorizzazione dello stesso credito al momento del pagamento delle
spettanze arretrate".
19. - Con le ordinanze nn. 423 e 424 r.o. del 2000, il tribunale
amministrativo regionale della Lombardia - nel corso di giudizi
intentati da numerosi dipendenti, rispettivamente contro il Ministero
del tesoro e contro il Ministero del lavoro, per ottenere
l'accertamento e la conseguente condanna delle amministrazioni
resistenti al pagamento degli interessi e della rivalutazione
monetaria sulle somme loro corrisposte, a seguito dell'inquadramento
nelle qualifiche funzionali introdotte dalla legge n. 312 del 1980 -
dopo avere evocato l'orientamento giurisprudenziale secondo cui, su
dette somme, gli interessi e la rivalutazione monetaria sarebbero
spettati dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
già citata deliberazione della Commissione paritetica, ed avere
rilevato che, per effetto della sopravvenienza dell'art. 26, comma 4,
della legge n. 448 del 1998, i ricorsi dovrebbero essere rigettati -
ha reputato rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale di tale norma, in riferimento agli
artt. 3 e 36 della Costituzione. Peraltro, la motivazione sulla non
manifesta infondatezza è in concreto enunciata solo con riguardo
alla prima norma (sotto il profilo dell'ingiustificata disparità di
trattamento), in quanto i crediti di cui trattasi verrebbero
sottoposti ad un trattamento deteriore rispetto a quello previsto per
gli altri crediti di lavoro; ed in quanto la norma produrrebbe
evidenti ed irragionevoli discriminazioni in danno dei dipendenti le
cui pretese siano oggetto di giudizi pendenti all'atto della sua
entrata in vigore ed a beneficio dei dipendenti che abbiano ottenuto
in precedenza un giudicato favorevole.
20. - Con l'ordinanza n. 542 del 2000, il tribunale
amministrativo regionale del Piemonte - nel corso di un giudizio
intentato da un dipendente contro il Ministero delle finanze e del
tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per il
riconoscimento di interessi e rivalutazione monetaria sulle somme
corrispostegli in tre soluzioni tra il 1990 ed il 1993, a titolo
di maggiorazioni per l'inquadramento ai sensi dell'art. 4 della legge
n. 312 del 1980 - dopo avere dato atto dell'orientamento
giurisprudenziale in ordine alla decorrenza degli accessori ed
enunciato che l'accoglimento del ricorso è tuttavia impedito
dall'art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998, che, al di là
della sua qualificazione formale, non sarebbe interpretativa ed
opererebbe per tutte le situazioni non oggetto di decisioni alla data
della sua entrata in vigore - ne ha lamentato l'illegittimità
costituzionale con riferimento agli artt. 3, 24, 36, 97, 102, 103 e
113 della Costituzione. L'art. 3 è invocato con considerazioni
analoghe a quelle delle ordinanze di rimessione nn. 423 e 424.
L'art. 36 sarebbe violato per la lesione del "diritto alla giusta
retribuzione, mediante la sostanziale preclusione della operatività
dei sistemi di garanzia della realità della retribuzione stessa, dal
momento che, senza il riconoscimento della rivalutazione, si
determina un ingiustificato depauperamento del contenuto economico
dello stesso trattamento retributivo, a fronte del ritardo con cui il
medesimo viene materialmente corrisposto". Gli artt. 24, 102, 103 e
113 sarebbero, invece, violati, in quanto la norma - applicabile
anche ai giudizi pendenti - comporterebbe la vanificazione del
diritto di difesa, con un'illegittima interferenza nella sfera del
potere giurisdizionale, in particolare del giudice amministrativo. La
norma denunciata violerebbe infine l'art. 97, in quanto lederebbe il
principio del buon andamento e di imparzialità dell'azione della
pubblica amministrazione, sotto il profilo dell'introduzione di "una
ingiustificata deroga a favore dello Stato al principio fondamentale
di liquidazione dei debiti liquidi ed esigibili".
21. - Con l'ordinanza n. 717 r.o. del 2000, il tribunale
amministrativo regionale del Lazio - in tre giudizi riuniti, con i
quali alcuni dipendenti del Ministero della giustizia e del Ministero
delle finanze avevano chiesto il riconoscimento degli interessi e
della rivalutazione sulle somme loro corrisposte per effetto del
reinquadramento ex legge n. 312 del 1980 - ha sollevato,
richiamandone espressamente la motivazione, la medesima questione di
legittimità costituzionale dell'art. 26, commi 4 e 5, della legge
n. 448 del 1998, già proposta dall'ordinanza n. 631 del 1999.
22. - Nei giudizi di cui alle ordinanze nn. 378, 379, 423, 424,
542 e 717 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
tramite l'Avvocatura generale dello Stato, depositando memorie che
hanno rinviato alle difese svolte nei giudizi già in precedenza
fissati a ruolo, in particolare a quelli introdotti dalle ordinanze
nn. 410 e 631 del 1999.
23. - Con riferimento ai giudizi già chiamati a ruolo
all'udienza pubblica del 23 maggio 2000 ed alla camera di consiglio
del 24 maggio 2000, in esito alle citate ordinanze istruttorie, il
Presidente del Consiglio dei ministri ha fatto pervenire
documentazione e all'esito tutti i giudizi sono stati chiamati a
ruolo.
24. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, la parte privata del
giudizio di cui all'ordinanza n. 631 del 1999, ha depositato una
memoria, nella quale ha commentato e contestato le emergenze della
documentazione fatta pervenire in risposta alle richieste formulate
con l'ordinanza istruttoria. Ha, inoltre, richiamato la sentenza
n. 459 del 2000 di questa Corte a sostegno dell'invocata natura
retributiva degli interessi e della rivalutazione monetaria, per
desumerne che le somme cui si riferisce il giudizio a quo sarebbero
assistite "da una esplicita previsione costituzionale" sostenendo,
altresì, che non ricorrerebbe, del resto, alcuna condizione che ne
giustifichi un seppur parziale sacrificio (attraverso, ad esempio,
particolari modalità di pagamento) non essendo credibile che
dall'applicazione di un principio generalissimo, che riguarda tutti i
lavoratori pubblici e privati, possa derivare danno per la
collettività.
Considerato in diritto
1. - Tutte le ordinanze in epigrafe propongono la questione di
legittimità costituzionale dell'art. 26, comma 4, della legge
23 dicembre 1998, n. 448, secondo cui "Le somme corrisposte al
personale del comparto ministeri per effetto dell'inquadramento
definitivo nelle qualifiche funzionali ai sensi dell'art. 4, ottavo
comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, e le somme liquidate sui
trattamenti pensionistici in conseguenza dell'applicazione della
sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1991 non danno luogo ad
interessi né a rivalutazione monetaria".
La questione è proposta da taluni giudici in relazione alle
somme corrisposte al personale del "comparto ministeri" e da altri in
relazione a quelle liquidate in base alla sentenza citata.
Fra le ordinanze del primo gruppo, alcune (nn. 631, 740 e 741 del
1999, 6 e 717 del 2000) impugnano anche il comma 5 dell'art. 26,
secondo cui "Fatta salva l'esecuzione dei giudicati alla data di
entrata in vigore della presente legge, le somme corrisposte in
difformità da quanto disposto dal comma 4 sono considerate a titolo
di acconto sui trattamenti economici e pensionistici in essere e
recuperate con i futuri miglioramenti comunque spettanti sui
trattamenti stessi".
2. - Le ordinanze relative al "comparto ministeri" sono state
rese in giudizi intentati da dipendenti per ottenere interessi e
rivalutazione su somme tardivamente percepite per inquadramento
definitivo, ai sensi della legge n. 312 del 1980. Nei giudizi di cui
alle ordinanze nn. 378 e 379 del 2000 si chiedeva anche il pagamento
del capitale.
Quanto ai parametri, l'ordinanza n. 631 del 1999 invoca gli
artt. 3, 36 e 97 Cost.; altrettanto fa la n. 717 del 2000, con
espressa limitazione al primo comma per gli artt. 36 e 97; le nn. 740
e 741 del 1999 enunciano soltanto l'art. 3; le nn. 440 e 747 del
1999, 378 e 379 del 2000 si riferiscono agli artt. 3, primo comma, e
36, primo comma; le nn. 650 del 1999, 423 e 424 del 2000 ritengono
violati gli artt. 3 e 36; la n. 6 del 2000 evoca gli artt. 3, 35 e
36; tutte le altre deducono la congiunta violazione degli artt. 3,
24, 36, 97, 102, 103 e 113.
Le motivazioni delle censure - fra le quali quella relativa
all'art. 35 della Costituzione è priva di motivazione - possono
così riassumersi:
a) l'art. 3 della Costituzione è violato per irragionevole
disparità di trattamento in danno dei dipendenti del "comparto
ministeri" ravvisata: a1) da tutte le ordinanze, rispetto ad ogni
altro creditore per causa di lavoro, cui interessi e rivalutazione
competono come conseguenza normale dell'inadempimento; a2) da alcune
ordinanze, anche rispetto agli altri dipendenti pubblici, che non
subiscono la privazione degli accessori del credito; a3) da altre
ordinanze, anche in base alla comparazione fra dipendenti
genericamente interessati all'inquadramento e dipendenti che abbiano
già ottenuto, prima della norma impugnata, un giudicato sul diritto
agli accessori, fatto salvo dal comma 5;
b) l'art. 36 è violato perché il diniego degli accessori,
aventi natura retributiva, lede l'integrità e l'effettività della
retribuzione;
c) gli artt. 24, 102, 103 e 113 sono violati perché la norma
impugnata, applicabile ai giudizi in corso, vanifica il diritto alla
tutela giurisdizionale e interferisce nelle attribuzioni dei giudici;
d) l'art. 97 è violato perché la norma contrasta con il
principio di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione,
consentendo di eludere i normali effetti del ritardo nella
corresponsione di emolumenti.
3. - La questione relativa ai trattamenti pensionistici
riliquidati a seguito della sentenza di questa Corte n. 1 del 1991 è
stata proposta - in riferimento al solo comma 4 del citato art. 26 -
da diverse ordinanze, per violazione degli artt. 3 e 24 della
Costituzione (nn. 327 e 328 del 1999, 22 del 2000), o degli artt. 3 e
36 (n. 399 del 1999), o soltanto dell'art. 3, primo comma (n. 397 del
1999).
Le motivazioni possono così riassumersi:
a) l'art. 3 della Costituzione è violato:
a1) secondo alcune ordinanze, per irragionevole
discriminazione fra coloro che hanno chiesto in giudizio gli
accessori su somme tardivamente corrisposte, a seconda che un
giudicato sia o no intervenuto; e anche per irragionevolezza
intrinseca, non contribuendo la norma alla "stabilizzazione ed allo
sviluppo del paese"; a2) secondo altre, per l'irragionevole
discriminazione di una categoria di crediti pensionistici rispetto a
tutti gli altri; a3) secondo un'ordinanza, anche per la
discriminazione fra collocati a riposo prima o dopo il 1 gennaio
1979, poiché, in caso di ritardo, interessi e rivalutazione sono
negati solo ai primi;
b) l'art. 24 è violato per il sacrificio della tutela
giurisdizionale, in riferimento a giudizi in corso.
4. - Sulla rilevanza della questione concernente il comma 4, le
ordinanze assumono - con motivazione non implausibile - la necessità
della sua applicazione, dato che nei giudizi si chiedono gli
interessi e la rivalutazione che la norma nega.
La questione inerente al comma 5 è ammissibile soltanto con
riguardo all'ordinanza n. 6 del 2000, poiché in essa si enuncia che
le somme dovute per interessi e rivalutazione sono state corrisposte
in ottemperanza alla decisione di primo grado appellata avanti al
rimettente.
5. - Poiché tutte le ordinanze impugnano il comma 4
dell'art. 26, i giudizi possono essere riuniti.
nel merito è opportuno distinguere le questioni, relative alle due
diverse norme contenute nella disposizione censurata.
6. - La norma relativa alle "somme corrisposte al personale del
comparto ministeri" si ricollega alla legge n. 312 del 1980, che ha
dato ai dipendenti civili e militari dello Stato (salvo specifiche
eccezioni) un nuovo assetto, sostituendo al sistema delle carriere
quello delle qualifiche funzionali.
A tal fine essi sono stati prima inquadrati provvisoriamente,
dalla stessa legge, nelle nuove qualifiche; e poi - dopo che
un'apposita commissione ha individuato i profili professionali
compresi in ciascuna qualifica e valutato la corrispondenza fra
vecchie carriere e nuovi profili - definitivamente inquadrati,
mediante provvedimenti individuali, nelle qualifiche funzionali col
corrispondente livello retributivo.
I rimettenti ritengono, in conformità a giurisprudenza
amministrativa consolidata, costituente quindi "diritto vivente": a)
che in tema di inquadramento del "comparto ministeri" il potere
discrezionale dell'amministrazione si è esaurito l'8 novembre 1988,
con la pubblicazione della delibera dell'indicata Commissione, onde
la natura sostanzialmente ricognitiva dei successivi provvedimenti
individuali; b) che in tale data, quindi, sarebbe sorto il credito
dei dipendenti per la parte di retribuzione, commisurata a mansioni
effettivamente svolte, non percepita per l'inadeguatezza
dell'inquadramento provvisorio rivelata da quello definitivo; c) che
su tali somme sarebbero dovuti, dalla stessa data al pagamento,
interessi e rivalutazione monetaria.
L'applicazione di questi principi è però impedita, ad avviso
dei rimettenti, dalla norma del citato comma 4 dell'art. 26, secondo
cui le somme in esame "non danno luogo ad interessi né a
rivalutazione monetaria".
7. - La questione concernente tale norma è fondata.
Alcune ordinanze prospettano la violazione dell'art. 3 Cost.,
dubitando che la norma possa qualificarsi (come vorrebbe la rubrica
dell'art. 26) in termini di interpretazione autentica, con efficacia
per ciò solo retroattiva, e la ritengono invece innovativa e
retroattiva.
La Corte ha però affermato (per tutte, sentenza n. 229 del 1999)
che - ai fini del controllo di legittimità costituzionale sotto il
profilo della ragionevolezza - non assume valore decisivo verificare
se una norma abbia efficacia retroattiva in quanto di natura
realmente interpretativa, ovvero si connoti come innovativa con
efficacia retroattiva. E - sulla premessa che il divieto di
retroattività della legge, pur costituendo fondamentale valore di
civiltà giuridica e principio generale dell'ordinamento, non è
stato tuttavia elevato a dignità costituzionale, salva la previsione
dell'art. 25 della Costituzione in materia penale - ha precisato che,
nel rispetto di tale limite, ben può il legislatore porre norme
retroattive (interpretative o innovative che siano), purché la
retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza e non contrasti con altri valori e interessi
costituzionalmente protetti.
Orbene, la norma del comma 4 - che, in caso di inadempimento di
particolari obbligazioni, nega interessi e rivalutazione - è
palesemente retroattiva, alla stregua del comma 5: questo infatti -
disponendo che, fatti salvi i giudicati, le somme corrisposte
(evidentemente prima del sopraggiungere del divieto) sono recuperate
sui futuri miglioramenti - assoggetta a ripetizione pagamenti
anteriori all'entrata in vigore della nuova disciplina ed esclude
così che il comma 4 possa negare gli accessori solo a partire dalla
sua entrata in vigore.
7.1. - Di questa disciplina (retroattiva) occorre valutare la
conformità al principio di ragionevolezza, posto dall'art. 3 Cost.,
verificando l'effettività delle denunciate discriminazioni.
Dal confronto fra la situazione degli appartenenti al "comparto
ministeri" e quella degli altri dipendenti delle pubbliche
amministrazioni, o (in una prospettiva più ampia) dei lavoratori in
genere, emerge come la norma impugnata ponga i primi in una posizione
sicuramente deteriore.
Infatti il "personale del comparto ministeri" quanto ai crediti
per differenze retributive da inquadramento definitivo, è totalmente
sottratto alla regola che garantisce a tutti i lavoratori, dipendenti
da privati o da pubbliche amministrazioni, in caso di inadempimento
di obbligazioni retributive, gli interessi e la rivalutazione
monetaria, nella misura più ampia di cui all'art. 429 cod. proc.
civ. o, per i crediti maturati dopo il 31 dicembre 1994, in quella
più ristretta prevista dall'art. 22, comma 36, della legge n. 724
del 1994. Ed è indifferente che non sempre risulti dalle ordinanze
se i crediti fatti valere abbiano subito questa successione di
disciplina, poiché la norma impugnata esclude radicalmente
l'operatività di quella regola.
Ma, più in generale, il diniego di interessi e rivalutazione
comporta per il personale in esame una posizione deteriore rispetto a
qualsiasi altro creditore di somma di danaro, tenuto conto che
l'art. 1224 cod. civ. collega all'inadempimento delle obbligazioni
pecuniarie l'effetto normale della corresponsione degli interessi e
quello eventuale del risarcimento del maggior danno, nel quale
rientra il pregiudizio da perdita di valore della moneta.
Questo trattamento sfavorevole è ancor più rilevante alla luce
della giurisprudenza della Corte, secondo cui il particolare risalto
accordato dalla Costituzione al diritto del lavoratore alla
retribuzione (art. 36, comma 1) esige che al credito retributivo si
appresti "una effettiva specialità di tutela rispetto alla
generalità degli altri crediti" ed in particolare una disciplina
privilegiata delle conseguenze dell'inadempimento dell'obbligazione
retributiva, con la previsione di "un meccanismo di riequilibrio del
vantaggio patrimoniale indebitamente conseguito dal datore di lavoro
attraverso l'inadempimento" (sentenza n. 459 del 2000), in funzione
di "remora a pratiche ritardatrici del pagamento" possibili anche da
parte del datore di lavoro pubblico (cfr. sentenza n. 207 del 1994).
7.2. - L'Avvocatura dello Stato sostiene che la norma denunciata
non sarebbe irragionevolmente discriminatoria, perché determinata da
esigenze di contenimento della spesa pubblica.
Tale allegazione è del tutto generica, riducendosi in sostanza a
richiamare l'esigenza di tener conto della giurisprudenza
amministrativa che, per l'inadempimento dell'obbligazione retributiva
da inquadramento, faceva decorrere gli accessori dalla data della
deliberazione dell'indicata Commissione e non dai provvedimenti
individuali. Non viene minimamente spiegato come siffatto
orientamento possa avere giustificato la sottrazione radicale di
taluni crediti retributivi - in quanto tali meritevoli, ex art. 36
Cost., di trattamento privilegiato - alla disciplina generale
dell'inadempimento prevista non solo per le retribuzioni degli altri
dipendenti pubblici e dei lavoratori in genere, ma addirittura per i
comuni crediti pecuniari di ogni altro cittadino.
Alla rilevata totale genericità del riferimento alle esigenze di
bilancio, consegue che la Corte non debba soffermarsi sul se e in
quali limiti esse possano eventualmente incidere sui crediti
retributivi del settore del lavoro pubblico.
7.3. - Conseguentemente, l'art. 26, comma 4, della legge n. 448
del 1998 - in quanto prevede che le somme corrisposte al personale
del "comparto ministeri" per effetto dell'inquadramento definitivo ex
art. 4, ottavo comma, della legge n. 312 del 1980, non danno luogo
né ad interessi né a rivalutazione monetaria - deve essere
dichiarato costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli
artt. 3 e 36 della Costituzione Resta assorbito ogni altro profilo di
censura.
La dichiarazione di illegittimità della norma non incide,
naturalmente, sulla determinazione del dies a quo della decorrenza
degli accessori, individuato dal "diritto vivente" nell'8 novembre
1988.
7.4. - L'accertata illegittimità dell'art. 26, comma 4, della
legge n. 448 del 1998, con riferimento alle somme corrisposte al
personale del comparto ministeri, comporta anche l'accoglimento della
questione relativa al comma 5, la cui applicazione presuppone la
vigenza del comma 4.
8. - La seconda questione riguarda la norma - di contenuto
identico rispetto a quella finora esaminata - dettata dalla
disposizione impugnata per i crediti relativi alle somme liquidate
sui trattamenti pensionistici, in applicazione della sentenza di
questa Corte n. 1 del 1991.
Tale sentenza - ritenuto che l'art. 3, primo comma, del d.-l.
16 settembre 1987, n. 379, convertito in legge 14 novembre 1987,
n. 468, aveva irrazionalmente discriminato fra dirigenti dello Stato,
concedendo la riliquidazione della pensione solo a quelli collocati a
riposo dopo il 1 gennaio 1979 - lo ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo, nella parte in cui non disponeva che ai dirigenti
collocati a riposo prima di tale data la pensione, a cura
dell'amministrazione, fosse riliquidata in base agli stipendi dovuti
per effetto di norme sopravvenute.
Le ordinanze rilevano che i crediti nascenti da questa decisione
hanno natura previdenziale, per cui - senza la soppressione di
qualsiasi accessorio disposta dalla norma impugnata, avente efficacia
retroattiva - il loro ritardato adempimento sarebbe stato regolato
prima dall'art. 429 cod. proc. civ. (applicabile ai crediti
previdenziali per effetto della sentenza n. 156 del 1991 di questa
Corte), e poi dall'art. 16, comma 6, della legge n. 412 del 1991.
8.1. - La questione è fondata, pur se per ragioni in parte
distinte da quelle indicate in precedenza.
I crediti in questione infatti - essendo di natura previdenziale
e non retributiva - ricadono sotto la tutela dell'art. 38 della
Costituzione e, rispetto ad essi, le esigenze del bilancio pubblico
(a carico del quale il sistema previdenziale è in buona parte
finanziato) potrebbero, in via di principio, spiegare rilevanza
(sentenze numeri 327 del 1999, 417 del 1998, 211, 138 del 1997, 361
del 1996, 320 del 1995).
Peraltro, ed è argomento decisivo, la norma in esame non mira
affatto a contemperare esigenze di bilancio e tutela di crediti
previdenziali, ma si limita ad escludere totalmente, per
l'inadempimento di alcuni di essi, ogni prestazione accessoria.
8.2. - La sottrazione dei crediti pensionistici nascenti dalla
sentenza n. 1 del 1991 al regime generale delle conseguenze
dell'inadempimento si risolve in un trattamento palesemente
differenziato rispetto a quello di tutti gli altri crediti,
previdenziali e non previdenziali.
Tale differenza - una volta esclusa la rilevanza delle esigenze
di bilancio - è priva di ragionevolezza
La Corte ha altre volte esaminato, in materia previdenziale,
norme analoghe a quella di cui si discute. E, quando ne ha escluso
l'incostituzionalità, ha posto in luce le peculiarità della
fattispecie, sottolineando (sentenza n. 138 del 1997) come si
trattasse di intervento legislativo di carattere costitutivo, imposto
da precedente pronuncia che aveva riconosciuto a taluni soggetti la
titolarità di un diritto, lasciando però all'apprezzamento
discrezionale del legislatore di fissare "la misura, i modi e i
tempi" della sua realizzazione.
Per contro, nella specie - pur se gli accessori negati dalla
norma impugnata riguardano crediti previdenziali nascenti dalla
citata sentenza della Corte - mancava uno spazio di discrezionalità
che consentisse nuove disposizioni legislative a carattere
costitutivo, necessaria e sufficiente essendo l'applicazione in via
amministrativa di quelle vigenti, come emendate dalla sentenza.
Né a salvare la norma può valere il precedente - invocato
dall'Avvocatura generale dello Stato - della sentenza n. 320 del
1995, che non riguardava crediti per prestazioni previdenziali,
bensì pretese creditorie di restituzione di indebito.
Infine, nemmeno ricorre la situazione che, di recente, ha indotto
la Corte a ritenere infondata (sentenza n. 310 del 2000) la questione
di costituzionalità della disciplina (contenuta peraltro
nell'art. 36, comma 1, della stessa legge di cui fa parte la norma
impugnata) con cui il legislatore, intervenendo a seguito di
precedenti sentenze, ha regolato in ben diverso modo gli accessori
sul trattamento pensionistico corrisposto in ritardo, riconoscendo
interessi in misura forfettariamente determinata.
9. - E, quindi, l'art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998
deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione
dell'art. 3 Cost., (anche) in quanto prevede che le somme liquidate
sui trattamenti pensionistici in applicazione della sentenza della
Corte n. 1 del 1991 non danno luogo ad interessi e a rivalutazione
monetaria.
Restano assorbiti gli altri profili di censura.
10. - Pertanto, entrambe le categorie di crediti considerate dal
comma 4 del citato art. 26 rimangono assoggettate - per le
conseguenze dell'inadempimento o del ritardato adempimento - alla
disciplina normale, correlata alla loro natura (rispettivamente
retributiva e previdenziale) anche per quanto riguarda le
modificazioni legislative al riguardo intervenute, ove in concreto
idonee a regolarle.
11. - La dichiarazione di illegittimità costituzionale
dell'art. 26, comma 4, della legge n. 448 del 1998, per gli interessi
e la rivalutazione sulle somme liquidate in esecuzione della sentenza
di questa Corte n. 1 del 1991, comporta - ai sensi dell'art. 27 della
legge 11 marzo 1953, n. 87 - la consequenziale dichiarazione di
illegittimità costituzionale del successivo comma 5, non impugnato
da alcuna ordinanza relativamente a quanto dispone circa i suddetti
accessori. Il comma 5, infatti, concerne le somme corrisposte a
titolo di interessi e rivalutazione in difformità dal comma 4 e,
come tale, concorre a integrare la disciplina da questo introdotta e
non può trovare autonoma applicazione, per cui partecipa dei vizi
che di quello hanno determinato la caducazione e ne resta travolto.