Ritenuto in fatto
1. - Il Tribunale per i minorenni di Palermo, investito di un
reclamo avverso la concessione ad un condannato minorenne di un
permesso premio - che, stante l'avvenuta revoca, a carico del
detenuto, dell'affidamento in prova al servizio sociale, si assumeva
concesso in violazione dell'art. 58-quater, commi 2 e 3, della legge
26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà),
ai cui sensi non può fruire di assegnazione al lavoro all'esterno,
di permessi premio e di affidamento in prova il condannato a cui sia
stata revocata una misura alternativa (affidamento in prova,
detenzione domiciliare, semilibertà), per la durata di tre anni
dalla revoca medesima - ha sollevato, con ordinanza emessa il 6
aprile 1998, pervenuta a questa Corte il 4 gennaio 1999, questione di
legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 27 e 31
della Costituzione, di detto art. 58-quater, nella parte in cui esso
si applica ai condannati di età minore.
Il remittente, dopo aver ricordato che ai sensi dell'art. 79
dell'ordinamento penitenziario le norme di quest'ultimo si applicano,
fino a quando non si sia provveduto con apposita legge, anche nei
confronti dei condannati minorenni, rileva che il divieto in
questione, se applicato ai minori, confligge con i principi -
garantiti dagli artt. 27 e 31 della Costituzione e tutelati dalla
dichiarazione dell'ONU del 20 novembre 1959 e dall'art. 40 della
convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 - che
ispirano il diritto minorile, volto al recupero e alla
risocializzazione dei minori devianti, esigenze che comporterebbero
la necessità di differenziare il trattamento dei medesimi rispetto
ai detenuti adulti, ed escluderebbero che si possa applicare ai
medesimi un rigido automatismo.
Il giudice a quo invoca in proposito quanto statuito da questa
Corte, in relazione ad analoghe questioni, nelle sentenze n. 125 del
1992 e n. 109 del 1997, secondo cui l'assoluta parificazione tra
adulti e minori in questa materia può confliggere con le esigenze di
specifica individualizzazione e di flessibilità del trattamento dei
detenuti minorenni: esigenze compromesse da un rigido automatismo che
non consenta al giudice alcuna valutazione in concreto della condotta
del minore ed una prognosi individualizzata circa l'efficacia
risocializzante, in concreto, della misura proposta.
2. - Non vi è stata costituzione di parti né intervento del
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Considerato in diritto
1. - La questione sollevata investe l'art. 58-quater della legge 26
luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà),
e specificamente - ancorché ciò non risulti in modo espresso dal
dispositivo dell'ordinanza, ma dalla sua motivazione - il disposto
dei commi 2 e 3 di detto articolo, ai cui sensi al detenuto al quale
sia stata revocata una misura alternativa (affidamento in prova ai
servizi sociali, detenzione domiciliare, semilibertà) non possono
essere concessi, per un periodo di tre anni dalla emissione del
provvedimento di revoca, l'assegnazione al lavoro all'esterno, i
permessi premio, l'affidamento in prova "ordinario" (di cui all'art.
47 dell'ordinamento penitenziario), la detenzione domiciliare e la
semilibertà. Più precisamente, la questione proposta investe la
statuizione del comma 2, che sancisce la predetta preclusione, mentre
il comma 3, che determina solo la durata della preclusione medesima,
non è oggetto di autonome censure. Il dubbio di legittimità
costituzionale riguarda tale norma nella parte in cui si applica ai
condannati minorenni.
Il Tribunale remittente ritiene che il divieto, applicato ai
minori, sia in contrasto con i principi di rieducatività della pena
e di protezione dei minori, di cui agli articoli 27, terzo comma, e
31, secondo comma, della Costituzione, in quanto introduce un rigido
automatismo, impedendo una valutazione in concreto in ordine alla
concedibilità della misura, e così compromettendo le esigenze di
individualizzazione e di flessibilità che, secondo la giurisprudenza
di questa Corte, e anche alla luce della dichiarazione ONU dei
diritti del fanciullo in data 20 novembre 1959 e della convenzione in
data 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, resa esecutiva in
Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176 (art. 40), devono
caratterizzare la disciplina dell'esecuzione della pena nei riguardi
del minore.
2. - L'art. 58-quater dell'ordinamento penitenziario - introdotto
dall'art. 1 del decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successivamente
integrato dall'art. 14 del decreto legge 8 giugno 1992, n. 306 -
dispone al comma 1 il divieto di concessione di una serie di benefici
penitenziari (assegnazione al lavoro all'esterno, permessi premio,
affidamento in prova al servizio sociale nei casi previsti dall'art.
47, detenzione domiciliare, semilibertà) al condannato per delitti
previsti dall'art. 4-bis, comma 1, dello stesso ordinamento, che
abbia posto in essere una condotta punibile a norma dell'art. 385
cod. pen., concernente il reato di evasione. Il comma 2 a sua volta
prevede che la disposizione del comma 1 "si applica anche al
condannato nei cui confronti è stata disposta la revoca di una
misura alternativa ai sensi dell'art. 47, comma 11, dell'art. 47-ter,
comma 6, o dell'art. 51, primo comma": le ipotesi di revoca sono
relative all'affidamento in prova al servizio sociale e alla
detenzione domiciliare, quando il comportamento del soggetto appaia
"incompatibile con la prosecuzione" della prova o della misura; alla
semilibertà, quando "il soggetto non si appalesi idoneo al
trattamento". Il comma 3, relativo ad entrambe le ipotesi dei primi
due commi, stabilisce che il divieto opera per un periodo di tre anni
dal momento in cui è ripresa l'esecuzione della custodia o della
pena o è stato emesso il provvedimento di revoca di cui al comma 2.
Il Tribunale remittente non si sofferma a precisare la portata del
comma 2, ma, date le caratteristiche del caso ad esso sottoposto, si
deve supporre che esso abbia aderito all'interpretazione, sostenuta
in giurisprudenza e discussa in dottrina, secondo cui il divieto ivi
stabilito concerne tutti i condannati, e non solo i condannati per
delitti di cui all'art. 4-bis, comma 1, dell'ordinamento
penitenziario, cui si riferisce invece il comma 1. In ogni caso, e
quale che sia la portata della norma, la questione proposta,
concernente l'applicabilità della stessa ai minori, deve essere
affrontata nel merito, stante la non implausibilità della
interpretazione accennata.
Benché poi, nella specie, il divieto fosse invocato per
contrastare la concessione di un permesso premio ad un detenuto cui
era stato revocato l'affidamento in prova, la questione è sollevata
dal giudice a quo con riguardo al disposto dei commi 2 e 3 dell'art.
58-quater nel suo complesso (sempre limitatamente alla sua
applicabilità ai condannati minorenni): e d'altra parte si tratta di
una previsione che considera congiuntamente, senza distinzioni di
sorta, da un lato le tre misure alternative la cui revoca fa scattare
la preclusione triennale, dall'altro l'insieme dei benefici
penitenziari la cui concessione resta temporaneamente preclusa. Onde
la pronuncia di questa Corte deve aver riguardo al contenuto
normativo citato, nella sua portata complessiva: il che non esclude
che eventuali divieti più puntuali - come ad esempio quello che
riguardasse solo una nuova concessione della stessa misura revocata,
prima che sia trascorso un certo tempo - ove ipoteticamente disposti
dal legislatore, possano essere oggetto di diversa considerazione.
3. - La questione è fondata.
Più volte questa Corte ha dovuto censurare, nella parte in cui si
applicavano indiscriminatamente anche ai detenuti minorenni, norme
dell'ordinamento penitenziario, o di altre leggi, che stabilivano
specifiche preclusioni alla concessione di benefici penitenziari o di
sanzioni alternative, in quanto, per detta parte, esse apparivano in
contrasto con i principi costituzionali in tema di applicazione e di
esecuzione delle pene e delle misure restrittive nei confronti dei
minori, che, nelle situazioni prese in esame, esigevano una
disciplina fondata su valutazioni flessibili e individualizzate circa
la idoneità e la opportunità delle diverse misure per perseguire i
fini di risocializzazione del condannato minore, nel rispetto delle
specifiche caratteristiche della sua personalità (cfr. sentenze n.
168 del 1994, n. 109 e n. 403 del 1997, n. 16, n. 324 e n. 450 del
1998).
Per quanto riguarda, in particolare, l'applicazione delle misure
alternative e degli altri benefici previsti dall'ordinamento
penitenziario, da tempo questa Corte ha avvertito come l'esigenza di
una disciplina speciale per i minori - solo occasionalmente
introdotta dal legislatore (cfr. ad esempio l'art. 30-ter, comma 2,
del medesimo ordinamento, in tema di durata dei permessi premio) -,
sia contraddetta dalla perdurante inerzia legislativa nel dar vita a
quella "apposita legge", nella cui attesa l'art. 79 della legge n.
354 del 1975, richiamato anche dal Tribunale remittente, prevede che
le norme della stessa legge si applichino anche nei confronti dei
minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali.
Di tale situazione, nata come transitoria in vista della legge
esplicitamente preannunciata, ma protratta nella sua attualità in
forza dell'omissione legislativa, questa Corte ha già anni or sono
denunciato la disarmonia rispetto ai principi costituzionali
(sentenza n. 125 del 1992; e cfr. anche sentenze n. 168 del 1994, n.
107 del 1997). Poiché peraltro l'applicabilità ai minori
dell'ordinamento penitenziario "generale" discende, normativamente,
non tanto dalla clausola citata della legge n. 354 del 1975, quanto
dall'assenza di una legislazione ad hoc nella cui mancanza si espande
naturalmente la portata generale delle norme di quell'ordinamento, e
poiché non può questa Corte ovviare all'assenza dell'"apposita
legge", operando le scelte necessarie per dar vita ad un organico
ordinamento penitenziario minorile, non resta - fino a quando il
legislatore non adempia all'obbligo di emanare la legge preannunciata
ormai da venti anni - che continuare ad intervenire sulle singole
disposizioni dell'ordinamento penitenziario comune incompatibili con
le esigenze costituzionali del diritto penale minorile.
4. - Siffatta incompatibilità sussiste anche a riguardo della
norma oggi denunciata.
Un divieto generalizzato e automatico, di durata triennale, di
concessione di tutti i benefici penitenziari elencati, in conseguenza
della revoca di una qualunque delle misure alternative
dell'affidamento in prova, della detenzione domiciliare e della
semilibertà, contrasta in effetti con il criterio,
costituzionalmente vincolante, che esclude siffatti rigidi
automatismi, e richiede sia resa possibile invece una valutazione
individualizzata e caso per caso, in presenza delle condizioni
generali costituenti i presupposti per l'applicazione della misura,
della idoneità di questa a conseguire le preminenti finalità di
risocializzazione che debbono presiedere all'esecuzione penale
minorile. Può bene essere infatti che, nonostante la revoca della
misura alternativa, intervenuta in quanto il comportamento del
soggetto sia apparso "incompatibile con la prosecuzione della prova"
(art. 47, comma 11) o "incompatibile con la prosecuzione delle
misure" (art. 47-ter, comma 6), ovvero in quanto il soggetto non si
sia palesato "idoneo al trattamento" di semilibertà (art. 51, primo
comma) - a seguito dunque di valutazioni inerenti solo alla
compatibilità della singola misura revocata -, la situazione
concreta del giovane condannato faccia ritenere utile ed adatta
l'applicazione di una od altra delle misure previste dall'ordinamento
al fine di favorire il reinserimento sociale dei detenuti, che
sarebbero invece precluse, per un lungo periodo, dall'operare della
norma censurata in questa sede. Ciò, ben s'intende, ove sussistano i
presupposti e le condizioni richiesti in via generale dalla legge per
l'applicazione di tale misura, e sempre che l'autorità giudiziaria
competente pervenga ad un apprezzamento positivo nell'ambito delle
valutazioni discrezionali ad essa demandate.
5. - Deve pertanto essere dichiarata la illegittimità
costituzionale del comma 2 dell'art. 58-quater dell'ordinamento
penitenziario - da cui discende il divieto di concessione delle
misure di cui al comma 1 ai condannati nei cui confronti sia stata
revocata una delle misure alternative previste dal comma 2, per il
periodo triennale stabilito dal comma 3 -, nella parte in cui si
riferisce ai minorenni. Una volta caduto, in parte qua, il comma 2,
il successivo comma 3, pure compreso nell'oggetto della questione, ma
che si limita a fissare la durata della preclusione prevista dai
commi 1 e 2, sopravvive con un contenuto non più riferibile alla
preclusione di cui al comma 2 nei confronti dei minori, espunta
dall'ordinamento in forza della presente pronuncia di illegittimità
costituzionale.