Titolo
SENT. 1/91 A. PENSIONI - DISCIPLINA - TRATTAMENTI DIFFERENZIATI NEL TEMPO - POTERE DISCREZIONALE DEL LEGISLATORE - LIMITI.
Testo
La disciplina della materia delle pensioni e' affidata alla discrezionalita' del legislatore, il quale puo' anche adottare trattamenti differenziati in relazione al fattore tempo ma deve esercitare il potere attribuitogli secondo i canoni di razionalita' e ragionevolezza. ____________ N.B.: Riguardo alla sentenza n. 1 del 1991 v. la ordinanza, di rigetto di istanza di correzione, n. 154 del 1991.
Titolo
SENT. 1/91 B. PENSIONI - DIRIGENTI CIVILI E MILITARI DELLO STATO - COLLOCAMENTO A RIPOSO ANTERIORMENTE AL 1 GENNAIO 1979 - RILIQUIDAZIONE DEL TRATTAMENTO - MANCATA PREVISIONE - IRRAZIONALITA' DELLA DATA LIMITE - PRETESA, MA ORA SICURAMENTE INSUSSISTENTE, PROVVISORIETA' DELLA DISCIPLINA DEI TRATTAMENTI PENSIONISTICI RILIQUIDATI - CONSEGUENTE IRRAGIONEVOLE DISCRIMINAZIONE TRA PENSIONATI DI MEDESIMA CATEGORIA - ILLEGITTIMITA' COSTITUZIONALE PARZIALE.
Testo
Il legislatore ha creato un'irrazionale discriminazione quando ha diviso in due gruppi i dirigenti civili e militari dello Stato, quelli collocati a riposo prima del 1 gennaio 1979 e quelli in data posteriore, nonostante le loro appartenenze alla stessa categoria con svolgimento di identico lavoro, concedendo solo ai secondi la riliquidazione della pensione e attribuendo agli altri la mera perequazione alla stregua di tutti altri dipendenti pubblici. Non costituisce, infatti, valida giustificazione, per la scelta dela data - limite, la presunta provvisorieta' dei trattamenti pensionistici dei solo collocati a riposo dal 1 gennaio 1979, perche' l'intento riequilibratore tra pensioni e retribuzioni, perseguito dal legislatore non puo' attuarsi solo a favore di quei dirigenti che godevano gia' di trattamenti migliori rispetto all'altro gruppo (ante 1-1-1979). Nella specie, peraltro, il fluire del tempo non puo' valere a giustificare la diversita' dei trattamenti pensionistici in relazione alla data del collocamento a riposo, visto che esso non ha operato per i pensionati post 1 gennaio 1979 i quali hanno usufruito di trattamenti pensionistici calcolati sulla base di aumenti di stipendio intervenuti alcuni anni dopo i loro collocamenti a riposo. Cosicche' a partire dal 1 marzo 1990 (data alla quale fa riferimento il decreto - legge n. 413 del 1989, convertito con modificazioni in legge n. 37 del 1990) realizzandosi il voluto intento perequativo, si e' verificata la irrazionale discriminazione denunciata, con la sopravvenienza, al la stessa data, della illegittimita' costituzionale della norma in questione. E' dunque costituzionalmente illegittimo l'art. 3, primo comma del d.l. 16 settembre 1987 n. 379, convertito, con modificazioni, in legge 14 novembre 1987, n. 468, nella parte in cui non dispone a favore dei dirigenti collocati a riposo anteriormente al 1 gennaio 1979 la riliquidazione, a cura delle amministrazioni competenti, della pensione sulla base degli stipendi derivanti dall'applicazione del decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681, convertito con modificazioni, in legge 20 novembre 1982, n. 869; della legge 17 aprile 1984, n. 79; del decreto-legge 11 gennaio 1985, n. 2, convertito con modificazioni, in legge 8 marzo 1985, n. 72; del decreto-legge 10 maggio 1986 n. 154, convertito, con modificazioni, in legge 11 luglio 1986 n. 341, a decorrere dal 1 marzo 1990. ____________ N.B.: Riguardo alla sentenza n. 1 del 1991 v. la ordinanza, di rigetto di istanza di correzione, n. 154 del 1991.
Parametri costituzionali
Costituzione
art. 3
Costituzione
art. 36
Costituzione
art. 38
Riferimenti normativi
decreto-legge
16/09/1987
n. 379
art. 3
co. 1
legge
14/11/1987
n. 468
art. 0
co. 0
N. 1
SENTENZA 8-9 GENNAIO 1991
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: prof. Giovanni CONSO;
Giudici: prof. Ettore GALLO, dott. Aldo CORASANITI, prof. Giuseppe
BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv.
Ugo SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio
BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA;
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 3, primo
comma, legge 14 novembre 1987, n. 468, di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379 (rectius,
art. 3, primo comma, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379,
recante "Misure urgenti per la concessione di miglioramenti economici
al personale militare e per la riliquidazione delle pensioni dei
dirigenti civili e militari dello Stato e del personale ad essi
collegato ed equiparato", convertito, con modificazioni, nella legge
14 novembre 1987, n. 468); 3, primo comma, della legge 17 aprile
1985, n. 141 (Perequazione dei trattamenti pensionistici in atto dei
pubblici dipendenti); 15, legge 29 aprile 1976, n. 177 (Collegamento
delle pensioni del settore pubblico alla dinamica delle retribuzioni.
Miglioramento del trattamento di quiescenza del personale statale e
degli iscritti alle casse pensioni degli istituti di previdenza);
165, legge 11 luglio 1980, n. 312 (Nuovo assetto
retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato),
promossi con le seguenti ordinanze:
1) ordinanza emessa il 1° luglio 1989 dalla Corte dei conti sui
ricorsi riuniti proposti da Ricciardi Enzo ed altri contro Ministero
del Tesoro ed altri, iscritta al n. 539 del registro ordinanze 1989 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima
serie speciale, dell'anno 1989;
2) ordinanza emessa il 25 settembre 1989 dalla Corte dei conti
sui ricorsi riuniti proposti da Sensi Federico ed altri contro
Ministero Affari Esteri ed altri, iscritta al n. 80 del registro
ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1990;
3) ordinanza emessa il 21 febbraio 1990 dalla Corte dei conti -
Sezione giurisdizionale per la Regione Sicilia, sul ricorso proposto
da Rivarola Augusto contro Ministero della Pubblica Istruzione,
iscritta al n. 486 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale,
dell'anno 1990;
Visti gli atti di costituzione di Petraccone Dario, Mazzantini
Giuliano ed altri, Ricciardi Enzo ed altri, Sensi Federico ed altri,
Colaci Vincenzo ed altri, Dusi Bruno, nonché gli atti di intervento
del Presidente del Consiglio dei ministri;
Udito nell'udienza pubblica del 13 novembre 1990 il Giudice
relatore Greco;
Uditi gli avvocati Walter Prosperetti per Sensi Federico ed altri,
Michelangelo Pascasio per Mazzantini Giuliano ed altri, Filippo de
Iorio ed Evandro De Petris per Dusi Bruno, e l'Avvocato dello Stato
Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
RITENUTO IN FATTO
1. - Alcuni alti dirigenti dello Stato, appartenenti a varie
amministrazioni, collocati a riposo in data anteriore al 1° gennaio
1979, proponevano ricorso alla Corte dei conti per ottenere il
riconoscimento del loro diritto al permanente adeguamento della
pensione alla retribuzione corrisposta ai dirigenti in attività di
servizio, con pari qualifiche di anzianità, e, comunque, un
trattamento pari a quello dei loro colleghi collocati in pensione in
data posteriore al 1° gennaio 1979, nonché la riliquidazione della
pensione per effetto di miglioramenti retributivi disposti dalla
legge 14 novembre 1987, n. 468.
Proponevano alcune questioni di legittimità costituzionale delle
norme che regolano i trattamenti pensionistici dei dirigenti statali.
2. - La Corte dei conti, con ordinanza del 1° luglio 1989 (R.O. n.
539 del 1989), sollevava, in via principale, in riferimento agli
artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge n. 468 del 1987,
nella parte in cui non dispone che la prevista riliquidazione delle
pensioni si estenda anche al personale dirigente statale collocato in
pensione anteriormente al 1° gennaio 1979.
Ed in via subordinata, in riferimento agli artt. 36 e 38 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 3,
primo comma, della legge 17 aprile 1985, n. 141, nella parte in cui
stabilisce per le pensioni dei dirigenti dello Stato percentuali
fisse di adeguamento anziché istituire un meccanismo permanente di
perequazione alla dinamica retributiva.
2.1 - Riteneva che l'art. 3 della legge n. 468 del 1987, pur
introducendo il criterio dell'allineamento delle pensioni alla
retribuzione del personale di pari qualifica in attività di
servizio, mediante la riliquidazione delle stesse e pur garantendo,
così, la proporzionalità delle pensioni, quali retribuzioni
differite, alla quantità e qualità del lavoro, per avere escluso il
personale collocato in pensione in data anteriore al 1° gennaio 1979,
aveva prodotto una irrazionale ed ingiustificata discriminazione tra
soggetti che si trovavano in identica posizione funzionale, avendo
prestato la medesima attività lavorativa di pari qualità onde la
palese violazione dell'art. 3 della Costituzione. Tanto più grave,
nella specie, in quanto i pensionati di data anteriore al 1° gennaio
1979 hanno avuto aumenti di pensione tra il 13% e il 18%, mentre
quelli di data posteriore aumenti del 123%.
Rilevava anche una ulteriore violazione dell'art. 3 della
Costituzione in quanto si era verificata una contraddittoria ed
irrazionale coesistenza, nel medesimo arco di tempo, di un duplice
ordinamento pensionistico: l'uno per il personale collocato a riposo
in data anteriore al 1° gennaio 1979 e l'altro, invece, dopo la detta
data. Così operando, il legislatore aveva esercitato il suo potere
discrezionale in modo palesemente irrazionale non sussistendo alcuna
valida ragione giustificatrice.
Escludeva la possibilità di applicare il principio del fluire del
tempo in quanto valido solo per la liquidazione originaria della
pensione.
2.2 - A parere della Corte remittente sussisterebbe anche la
violazione degli artt. 36 e 38 della Costituzione perché la pensione
erogata, quale retribuzione differita, non risulta proporzionata alla
quantità e qualità del lavoro prestato ed al pensionato ed alla sua
famiglia non sono assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita, in relazione al mutato potere di acquisto della moneta.
2.3 - Per quanto riguarda la questione sollevata in via
subordinata, la Corte rilevava che l'art. 3 della legge 17 aprile
1985, n. 141, stabilendo percentuali fisse di adeguamento anziché un
meccanismo permanente di perequazione delle pensioni alla dinamica
retributiva, violerebbe gli artt. 36 e 38 della Costituzione perché
la pensione erogata non risulta proporzionata alla qualità del
lavoro prestato anche perché le leggi di perequazione, di natura
finanziaria, hanno operato per un solo anno.
3. - Le questioni sollevate sono state ritenute rilevanti e non
manifestamente infondate.
3.1 - L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
4. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituiti alcuni
dei ricorrenti i quali, riportandosi alle argomentazioni svolte dalla
Corte remittente, hanno concluso per la declaratoria di fondatezza
delle questioni sollevate.
4.1 - È intervenuta, altresì, l'Avvocatura Generale dello Stato
in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, la quale
ha concluso per l'infondatezza della questione.
Ha osservato che l'art. 36 della Costituzione non esclude che i
diversi ordinamenti pensionistici possano essere disciplinati in modo
diverso per essere meglio adeguati in concreto alle particolari
situazioni, sopratutto in relazione ai mezzi finanziari all'uopo
necessari, e che parimenti l'art. 3 della Costituzione non impedisce
di regolare diversamente situazioni considerate per vari aspetti
differenti. Ha rilevato, inoltre, la validità del principio del
fluire del tempo come elemento di differenziazione delle situazioni
dei pensionati e la inesistenza di un principio costituzionale di
coincidenza della pensione al trattamento goduto in attività di
servizio anche se il legislatore ha uniformato la sua linea di
tendenza al conseguimento di tale obiettivo.
5. - Alcuni ambasciatori e direttori generali di vari ministeri,
collocati in pensione anteriormente al 1° gennaio 1979, hanno adito
anch'essi la Corte dei conti perché fosse loro riconosciuto il
diritto al permanente adeguamento della pensione alla retribuzione
corrisposta ai loro colleghi in servizio in applicazione dell'art. 3
della legge n. 468 del 1987 e hanno sollevato le stesse questioni di
legittimità costituzionale di cui innanzi, in riferimento sempre
agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, con identiche
argomentazioni.
5.1 - La Corte dei conti, con ordinanza del 25 settembre 1989
(R.O. n. 80 del 1990), ha sollevato le stesse questioni di
legittimità costituzionale di cui alla precedente ordinanza del 1°
luglio 1989 con identiche motivazioni.
Ha rilevato, inoltre, la diversità della questione decisa con
l'ordinanza della Corte costituzionale n. 441 del 1989 con quella ora
sollevata.
5.2 - L'ordinanza è stata regolarmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
5.3 - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite le
parti private le quali hanno richiamato i principi affermati nella
sentenza della Corte costituzionale n. 501 del 1988 e in varie altre
sentenze precedenti.
5.4 - Anche in questo giudizio è intervenuta l'Avvocatura
Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio
dei ministri, la quale ha svolto argomentazioni sostanzialmente
identiche a quelle formulate nell'altro giudizio.
6. - I due ricorsi (R.O. nn. 539 del 1989 e 90 del 1990) sono
stati trattati insieme alla udienza pubblica del 3 aprile 1990.
6.1 - Con ordinanza del 3/23 aprile 1990, la Corte ha richiesto
alla Presidenza del Consiglio dei ministri informazioni in ordine:
a) alle ragioni che hanno determinato la limitazione dei
benefici di cui alla legge n. 468 del 1987 ai soli pensionati
collocati a riposo in data successiva al 1° gennaio 1979;
b) all'onere finanziario che sarebbe derivato dalla eventuale
estensione dei detti benefici anche ai pensionati di data anteriore
al 1° gennaio 1979;
c) ai provvedimenti precedenti di riliquidazione di pensioni
con effetto retroattivo.
La Presidenza del Consiglio, sentite anche le amministrazioni
competenti, ha fornito i richiesti chiarimenti.
7. - La Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la
Sicilia, adita da Augusto Rivarola, dirigente superiore della
pubblica istruzione, collocato a riposo il 16 gennaio 1973, ad
istanza del ricorrente, con ordinanza del 21 febbraio 1990 (R. O. n.
486 del 1990), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 15 della legge 29 aprile 1976, n. 177 nella parte
in cui limita l'aumento del 18% della retribuzione ai fini della
determinazione della base pensionabile per le cessazioni dal servizio
non anteriori al 1° gennaio 1976;
b) dell'art. 165 della legge 11 luglio 1980, n. 312, nella
parte in cui limita alle cessazioni dal servizio successive al 1°
gennaio 1977, l'integrazione mensile di L. 40.000 riducendola a L.
20.000 per le cessazioni dal servizio anteriori a tale data fino al
1° gennaio 1976 ed escludendola per le cessazioni dal servizio
anteriori a quest'ultima data (1° gennaio 1976);
c) dell'art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468, nella
parte in cui limita la riliquidazione delle pensioni in base agli
stipendi derivanti dall'applicazione delle norme richiamate nello
stesso art. 3, al personale cessato dal servizio in data successiva
al 1° gennaio 1979.
7.1 - La Corte remittente ha osservato che è conforme ad equità
il criterio che attribuisce un più alto indice di perequazione alle
pensioni di data più remota e che, invece, è irrazionale quello
della legge n. 177 del 1976, che perequa nella misura del 12%, con
frazionamento del 6,9% dal 1° gennaio 1986 e dall'ulteriore 5,1% dal
1° gennaio 1976, le pensioni anteriori al 1° gennaio 1976 mentre
incrementa le pensioni sucessive al 1° gennaio 1976 del 14,40%; che
è egualmente irrazionale la disposizione dell'art. 165 della legge
11 luglio 1980, n. 312 che ha escluso da ogni beneficio le pensioni
dei dipendenti cessati dal servizio anteriormente al 1° gennaio 1976
ed ha concesso alle pensioni di data successiva al 1° gennaio 1976
una integrazione mensile lorda di L. 20.000 e a quelle successive al
1° gennaio 1977 di L. 40.000; che è irrazionale il criterio previsto
dall'art. 3 della legge n. 468 del 1987 che prevede solo la
riliquidazione delle pensioni di data successiva al 1° gennaio 1979
sulla base delle retribuzioni aumentate per effetto delle varie leggi
intervenute in materia.
7.1 - Risulterebbero violati gli artt. 36 e 3 della Costituzione.
Ha motivato con argomenti identici a quelli delle precedenti
ordinanze insistendo sul divario, accentuatosi sempre di più, tra le
pensioni più remote e quelle più recenti.
7.2 - L'ordinanza è stata ritualmente notificata, comunicata e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
7.3 - Nel giudizio avanti a questa Corte è intervenuta
l'Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Presidente
del Consiglio dei ministri, che ha svolto argomentazioni pressocché
identiche a quelle di cui ai precedenti giudizi.
8. - Nella imminenza dell'udienza alcune parti private hanno
presentato memorie, insistendo sulle deduzioni già formulate.
La difesa di Dusi Bruno ha rilevato anche che la modestia degli
oneri finanziari derivanti dall'estensione ai pensionati ante 1°
gennaio 1979 dei benefici di cui alla disposizione censurata non può
legittimare la compressione di diritti costituzionalmente garantiti.
Le difese di Colaci Vincenzo ed altri, di Mazzantino Giuliano ed
altri, di Ricciardi Enzo ed altri, di Sensi Federico ed altri, hanno
rilevato che le informazioni fornite dalla Presidenza del Consiglio
dei ministri non contengono valide ragioni giustificatrici della
limitazione della perequazione dei trattamenti pensionistici al
personale cessato dal servizio successivamente al 1° gennaio 1979.
La difesa di Ricciardi Enzo ha insistito sulla inattendibilità
dell'ammontare dell'onere finanziario che lo Stato sopporterebbe in
caso di soppressione della contestata limitazione del beneficio
suddetto, anche perché il numero degli interessati è notevolmente
inferiore alle stime del Ministero del Tesoro, per cui il detto onere
non può superare i 270 miliardi di lire.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. - Le tre ordinanze (R.O. n. 539 del 1989; n. 80 del 1990; 486
del 1990), per evidenti ragioni di connessione, possono essere
riunite e decise con un'unica sentenza.
A) La Corte dei conti (R.O. n. 539 del 1989 e n. 80 del 1990) ha
sollevato, in linea principale, questione di legittimità
costituzionale dell'art. 3, primo comma, della legge 14 novembre
1987, n. 468, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n.
379 del 1987 (rectius, art. 3, primo comma, del decreto-legge 16
settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, nella legge 14
novembre 1987, n. 468), nella parte in cui esclude dalla
riliquidazione le pensioni, ivi disposte, i dirigenti collocati a
riposo ante 1° gennaio 1979. Risulterebbero violati:
1) l'art. 3 della Costituzione: a) per la irrazionale ed
ingiusta discriminazione che agli effetti del trattamento di
quiescenza si determina tra soggetti in identica posizione funzionale
per avere prestato la medesima attività lavorativa; b) per
l'irrazionale e non corretto esercizio, da parte del legislatore, del
suo potere discrezionale, attese le macroscopiche diversità delle
misure dei miglioramenti economici attribuiti a soggetti di pari
qualifiche dirigenziali;
c) per la contraddittoria ed irrazionale coesistenza, nel medesimo
arco di tempo, di due diversi sistemi pensionistici per i dirigenti,
non potendo trovare applicazione il principio giustificativo del
fluire del tempo del collocamento a riposo, perché esso vige solo al
momento della liquidazione della pensione e non anche per i vari
momenti storici successivi;
2) gli artt. 36 e 38 della Costituzione per violazione del
criterio di proporzionalità della pensione, quale retribuzione
differita, alla qualità del lavoro prestato durante il servizio
attivo e per la mancata assicurazione ai pensionati ante 1° gennaio
1979 e alle loro famiglie di mezzi adeguati alle loro esigenze di
vita per una esistenza libera e dignitosa, attesa la possibile
esiguità della stessa a seguito e per effetto dei mutamenti del
potere di acquisto della moneta.
B) In linea subordinata, le stesse due ordinanze hanno sollevato
questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma,
della legge 17 aprile 1985, n. 141, nella parte in cui stabilisce
delle percentuali fisse di adeguamento delle pensioni dei dirigenti
dello Stato anziché istituire un meccanismo permanente di
perequazione alla dinamica retributiva, per violazione degli artt. 3
e 36 della Costituzione, in quanto irragionevolmente le pensioni
liquidate ante 1° gennaio 1979 non risulterebbero proporzionate alla
qualità e quantità di lavoro prestato e non sarebbero assicurati a
detta categoria di pensionati ed alle loro famiglie mezzi adeguati
per una esistenza libera e dignitosa, anche mediante correlazione con
i mutamenti del potere di acquisto della moneta.
C) La Sezione giurisdizionale della Corte dei conti della Sicilia
dubita della legittimità costituzionale:
1) dell'art. 15 della legge 29 aprile 1976, n. 177, nella parte
in cui limita l'aumento del 18% della retribuzione, ai fini della
determinazione della base imponibile, alle cessazioni dal servizio
non anteriori al 1° gennaio 1979;
2) dell'art. 165 della legge 11 luglio 1980, n. 312, nella parte
in cui limita alle cessazioni dal servizio successive al 1° gennaio
1977 la integrazione mensile di L. 40.000 riducendole a L. 20.000 per
quelle anteriori a tale data e fino al 1° gennaio 1976 ed
escludendola per quelle anteriori a tale ultima data;
3) dell'art. 3 del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379,
convertito, con modificazioni, in legge 14 novembre 1987, n. 468,
nella parte in cui limita la riliquidazione delle pensioni in base
agli stipendi derivanti dall'applicazione delle norme richiamate
nello stesso articolo, a quelle del personale cessato dal servizio
dal 1° gennaio 1979.
Sarebbero violati gli artt. 3 e 36 della Costituzione in quanto,
estendendo irrazionalmente ai dirigenti dello Stato indici di
riferimento alla dinamica salariale propri di altri settori di lavoro
e discriminando arbitrariamente tra i dirigenti in base alla sola
data del collocamento a riposo, le norme denunciate spezzano
qualsiasi collegamento del trattamento di quiescenza con quello delle
omologhe categorie del personale in servizio e determinano la
progressiva insufficienza della pensione rispetto ai bisogni
personali e familiari del pensionato.
2. - Le questioni sub A e C//3 sono fondate. L'art. 3, primo
comma, del decreto-legge n. 379 del 1987, convertito, con
modificazioni, in legge n. 468 del 1987, ha disposto la
riliquidazione delle pensioni dei dirigenti, civili e militari, dello
Stato e del personale ad esso collegato sulla base degli stipendi
risultati dall'applicazione delle leggi che dal 1982 al 1986 ne hanno
disposto gli aumenti (legge n. 869 del 1982, di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge n. 681 del 1982; legge n. 79 del
1984; legge n. 72 del 1985, di conversione, con modificazioni, del
decreto-legge n. 2 del 1985; legge n. 341 del 1986, di conversione,
con modificazioni, del decreto-legge n. 154 del 1986). La
riliquidazione ha riguardato i dirigenti collocati in pensione dal 1°
gennaio 1979 e non anche quelli ante 1° gennaio 1979. Sicché, mentre
gli uni hanno avuto un incremento della pensione del 123%, anche
perché la base stipendiale pensionabile è stata variata, gli altri,
le cui pensioni sono state solamente perequate, hanno avuto un
incremento oscillante tra il 13% e il 18%.
2.1 - Dai lavori preparatori della legge in esame e dalla risposta
data dal Governo all'ordinanza istruttoria emanata da questa Corte il
3-23 aprile 1990 risulta che la scelta della data del 1° gennaio
1979, come limite dell'effettuata riliquidazione, è stata
determinata dal carattere di provvisorietà dei trattamenti
pensionistici dei collocati a riposo da quella data, per i quali era
previsto il ricalcolo da effettuarsi in collegamento con gli aumenti
di stipendio, una volta intervenuto l'assetto definitivo della
materia. Esso sarebbe stato effettuato con la legge in esame. Sicché
la riliquidazione sarebbe addirittura un atto dovuto. Invece, i
trattamenti dei pensionati ante 1° gennaio 1979 sarebbero stati
considerati definitivi, tanto da essere assoggettati alla
perequazione di cui alla legge n. 141 del 1985, dalla quale sarebbero
stati esclusi gli altri.
Ma, dall'esame della legge si evince che essa ha avuto un chiaro
intento perequativo con l'adozione del criterio dell'aggancio delle
pensioni alle retribuzioni secondo la linea di tendenza enunciata fin
dal 1976 (legge 29 aprile 1976, n. 177; sentenza Corte costituzionale
n. 501 del 1988).
Dividendo nettamente i dirigenti pensionati in due gruppi,
nonostante che essi appartenessero alla stessa categoria ed avessero
svolto identico lavoro, concedendo agli uni la riliquidazione della
pensione nei suddetti termini ed agli altri la mera perequazione alla
stregua di tutti gli altri dipendenti statali, si è creata una
discriminazione irrazionale, non costituendo valida giustificazione
né le ragioni addotte a fondamento della scelta della data-limite
dell'applicabilità della norma censurata né i principi richiamati
dall'Avvocatura Generale dello Stato, donde la violazione dell'art. 3
della Costituzione.
3. - Non si disconosce che la disciplina della materia è affidata
alla discrezionalità del legislatore, il quale può anche adottare
trattamenti differenziati in relazione al fattore tempo ma, come più
volte è stato affermato da questa Corte, non può non esercitare il
potere attribuitogli secondo i canoni di razionalità e
ragionevolezza.
Nella specie, peraltro, il fluire del tempo non può valere a
giustificare la diversità dei trattamenti pensionistici in relazione
alla data del collocamento a riposo, visto che esso non ha operato
per i pensionati post 1° gennaio 1979 i quali hanno usufruito di
trattamenti pensionistici calcolati sulla base di aumenti di
stipendio intervenuti alcuni anni dopo i loro collocamenti a riposo.
Questi hanno avuto inizio dal 1° gennaio 1979, mentre gli aumenti di
stipendio sono intervenuti dal 1982 al 1986.
Va, inoltre, rilevato, che la stessa provvisorietà addotta come
ratio fondamentale della disposizione in esame è stata posta a base
anche degli aumenti di stipendio erogati, con decorrenza 1° marzo
1990, dall'art. 1 del decreto-legge n. 413 del 1989 (Disposizioni
urgenti in materia di trattamenti dei dirigenti dello Stato e delle
categorie ad essi equiparate nonché in materia di pubblico impiego),
convertito, con modificazioni, in legge n. 37 del 1990, essendosi
specificato che essi erano concessi in attesa del riordino della
dirigenza pubblica.
Successivamente, l'art. 4 del decreto-legge 24 novembre 1990, n.
344 (Corresponsione ai pubblici dipendenti di acconti sui
miglioramenti relativi al periodo contrattuale 1988-1990 nonché
disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego), in corso di
conversione, ha concesso ai dirigenti un ulteriore aumento di
stipendio del 15% a decorrere dal 1° luglio 1990.
4. - D'altronde, nemmeno per i trattamenti dei pensionati ante 1°
gennaio 1979 potrebbe negarsi il carattere di provvisorietà. Si è
già rilevato (sentenza Corte costituzionale n. 501 del 1988) che sin
dal 1976 si sarebbe dovuto attuare il collegamento delle pensioni con
la dinamica salariale, ma che in via provvisoria, e comunque non
oltre il 1978, in attesa della determinazione dell'indice di
incremento delle retribuzioni del settore pubblico, si sarebbe
applicato l'indice valevole per l'aggancio alla dinamica salariale
del settore privato. Ma, successivamente, non solo per il 1976 e 1977
bensì anche per il 1979 sono stati concessi soltanto incrementi
percentuali. L'intento riequilibratore, con l'adozione del criterio
dell'aggancio delle pensioni alle retribuzioni, è stato attuato
proprio con il decreto-legge in esame (n. 379 del 1987) e continuato
con il decreto-legge n. 413 del 1989, convertito, con modificazioni,
in legge n. 37 del 1990, per tacere del successivo decreto-legge n.
344 del 1990, non ancora convertito.
Il detto intento, quindi, non si può limitare solo ad un gruppo
di dirigenti, che, peraltro, godevano già di trattamenti migliori
rispetto all'altro gruppo (ante 1° gennaio 1979), e deve certamente
escludersi che si possa attuare un riequilibrio di pensioni solo a
favore di coloro le cui esigenze sono meno pressanti.
5. - La Corte, quindi, atteso il venir meno della giustificazione
basata sulla provvisorietà dei trattamenti erogati, non può
esimersi dal riscontrare che, a partire dal 1° marzo 1990, data alla
quale fa riferimento il decreto-legge n. 413 del 1989, convertito con
modificazioni, in legge n. 37 del 1990, realizzandosi il voluto
intento perequativo, si è verificata la irrazionale discriminazione
denunciata, con la sopravvenienza, alla stessa data, della
illegittimità costituzionale della norma censurata.
6. - La violazione degli altri precetti costituzionali (artt. 36 e
38 della Costituzione) e le altre questioni sollevate risultano
assorbite.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 3, primo comma,
del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, (Misure urgenti per la
concessione di miglioramenti economici al personale militare e per la
riliquidazione delle pensioni di dirigenti civili e militari dello
Stato e del personale ad essi collegato ed equiparato), convertito,
con modificazioni, in legge 14 novembre 1987, n. 468, nella parte in
cui non dispone a favore dei dirigenti collocati a riposo
anteriormente al 1° gennaio 1979 la riliquidazione, a cura delle
amministrazioni competenti, della pensione sulla base degli stipendi
derivanti dall'applicazione del decreto-legge 27 settembre 1982, n.
681, convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 1982, n.
869; della legge 17 aprile 1984, n. 79; del decreto-legge 11 gennaio
1985, n. 2, convertito, con modificazioni, in legge 8 marzo 1985, n.
72; del decreto-legge 10 maggio 1986 n. 154, convertito, con
modificazioni, in legge 11 luglio 1986, n. 341, a decorrere dal 1°
marzo 1990.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 1991.
Il Presidente: CONSO
Il redattore: GRECO
Il cancelliere: MINELLI
Depositata in cancelleria il 9 gennaio 1991.
Il direttore della cancelleria: MINELLI