Sentenza 59/2013 (ECLI:IT:COST:2013:59)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: GALLO - Redattore: CRISCUOLO
Udienza Pubblica del 26/02/2013;    Decisione  del 25/03/2013
Deposito del 29/03/2013;   Pubblicazione in G. U. 03/04/2013  n. 14
Norme impugnate: Art. 7, c. 4°, del decreto legge 31/12/2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 28/02/2008, n. 31.
Massime:  36994  36995 
Massime:  36994  36995 
Atti decisi: ord. 232 e 240/2011

Massima n. 36994 Massima successiva
Titolo
Ordinanza dibattimentale - Intervento in giudizio - Soggetti che non sono stati parti nei giudizi a quibus , titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale - Necessaria titolarità di un interesse qualificato - Mancanza - Inammissibilità.

Testo
Sono inammissibili gli interventi spiegati dalla Confederazione Cooperative Italiane e dalla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue e dalla Confederazione Cooperative Italiane, dalla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, nonché dalla Associazione Generale Cooperative Italiane nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale relativi alle questioni di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all'art. 39 Cost., dell'art. 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, in quanto, con norma solo apparentemente transitoria, attribuisce efficacia erga omnes a contratti collettivi di tipo "normativo" e non semplicemente "gestionale" (vedi Corte cost., n. 268 del 1994), escludendo la possibilità di valutare se il diverso contratto collettivo applicato sia o meno conforme ai precetti dell'art. 36 Cost. Infatti: 1) le suddette intervenienti (ad opponendum) non risultano essere parti nei giudizi a quibus e, per costante giurisprudenza di questa Corte sono ammessi ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale), le sole parti del giudizio principale; 2) l'intervento di soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all'udienza del 23 ottobre 2012, confermata con la sentenza n. 272 del 2012; ordinanza letta all'udienza del 23 marzo 2010, confermata con la sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all'udienza del 31 marzo 2009, confermata con la sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del 2009, n. 96 del 2008 e n. 245 del 2007); 3) nei giudizi da cui traggono origine le questioni di legittimità costituzionale in esame le posizioni sostanziali dedotte in causa concernono profili attinenti a contributi previdenziali richiesti alle società cooperative, ricorrenti in opposizione avverso le relative cartelle esattoriali, e dunque riguardano rapporti tra l'ente previdenziale e le dette società ricorrenti, ma non toccano in modo diretto ed immediato le posizioni soggettive e le prerogative delle associazioni intervenienti; 4) sotto altro profilo, l'ammissibilità d'interventi ad opera di terzi, titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l'accesso delle parti al detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo.
Massima n. 36995 Massima precedente
Titolo
Previdenza - Determinazione della retribuzione da assumere quale base di calcolo dei contributi previdenziali, nel caso di pluralità di contratti intervenuti per la medesima categoria - Questione concernente il rapporto previdenziale tra il datore di lavoro, società cooperativa e l'ente previdenziale - Censura di norma concernente il rapporto di lavoro tra società e socio lavoratore - Erronea individuazione della norma denunciata (aberratio ictus) - Inammissibilità della questione - Assorbimento di ulteriori profili.

Testo

Dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge 28 febbraio 2008, n. 31, sollevata dal Tribunale di Lucca, in funzioni di giudice del lavoro. Infatti, il giudice remittente è incorso in errore nell'individuazione della norma denunciata (cosiddetta aberratio ictus), avendo sottoposto a scrutinio una disposizione non pertinente rispetto all'oggetto delle censure e non conferente rispetto al thema decidendi demandato al suo esame (ex plurimis: sentenze n. 241 del 2012 e n. 47 del 2008; ordinanze n. 180 e n. 120 del 2011 e n. 92 del 2009). Invero, i giudizi a quibus concernono opposizioni a cartelle esattoriali aventi ad oggetto i (maggiori) contributi previdenziali richiesti dall'INPS alle società cooperative opponenti, in relazione a rapporti lavorativi da tali società instaurati con propri soci lavoratori, in essi sono, dunque, in discussione i rapporti giuridici previdenziali tra le cooperative opponenti e l'INPS, ancorché l'imponibile contributivo risulti determinato nel quantum con riferimento all'ammontare retributivo spettante ai lavoratori, nel quadro dei rapporti di lavoro correnti tra questi ultimi e le società. La finalità, perseguita sia dall'impugnato art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007 - e dall'art. 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142 che esso richiama - è quella di garantire l'estensione dei minimi di trattamento economico (cosiddetto minimale retributivo) agli appartenenti ad una determinata categoria, assicurando la parità di trattamento tra i datori di lavoro e tra i lavoratori. Invece, la normativa pertinente alla determinazione della retribuzione da assumere quale base di calcolo dei contributi previdenziali (e, quindi, nel quadro del rapporto previdenziale) si rinviene non già nella norma censurata, ma nell'art. 1, comma 1, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 1989, n. 389, nonché nell'art. 2, comma 25, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 e nell'art. 3, comma 4, del decreto legislativo 6 novembre 2001, n. 423 (Disposizioni in materia di contribuzione previdenziale ed assistenziale per i soci di cooperative, a norma dell'articolo 4, comma 3, della legge 3 aprile 2001, n. 142). Come il testuale tenore di tali ultime norme pone in luce, i rapporti previdenziali oggetto dei giudizi di cui alle ordinanze di rimessione trovano una disciplina specifica e distinta rispetto a quella dettata dall'art. 7, comma 4, qui censurata. In particolare, l'art. 2, comma 25, della legge n. 549 del 1995 (norma di interpretazione autentica dell'art. 1 del d.l. n. 338 del 1989) detta una regolamentazione parallela a quella recata dall'art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, in questa sede censurata. Tuttavia, gli ambiti di operatività delle due norme sono diversi. Infatti, la prima norma - nell'individuare la retribuzione imponibile a fini previdenziali o assistenziali, nel caso di pluralità di contratti intervenuti per la medesima categoria - attiene al rapporto previdenziale tra il datore di lavoro (società cooperativa) e l'ente previdenziale, cioè al rapporto oggetto dei giudizi a quibus, mentre il denunziato art. 7, comma 4, concerne il rapporto di lavoro tra società e socio lavoratore, con il relativo profilo retributivo, rapporto che non risulta in discussione nei detti giudizi. Ne consegue che data l'estraneità della norma censurata rispetto al thema decidendi demandato all'esame del remittente - soggetto invece alle disposizioni normative dianzi indicate - l'eventuale declaratoria d'illegittimità della disposizione impugnata non avrebbe alcuna incidenza sulla disciplina applicabile nei giudizi a quibus.

Atti oggetto del giudizio
decreto-legge  31/12/2007  n. 248  art. 7  co. 4
legge  28/02/2008  n. 31

Parametri costituzionali
Costituzione  art. 39


Pronuncia

SENTENZA N. 59

ANNO 2013


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 28 febbraio 2008, n. 31, promossi dal Tribunale di Lucca con due ordinanze del 14 aprile 2011, iscritte ai numeri 232 e 240 del registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47 e n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2011.

Visti gli atti di costituzione dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), in proprio e quale mandatario della Società di cartolarizzazione dei crediti INPS-S.C.C.I. s.p.a., nonché gli atti di intervento della Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, della Confederazione Cooperative Italiane, della Associazione Generale Cooperative Italiane e del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2013 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

uditi gli avvocati Livia Salvini e Angelo Pandolfo per la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, per la Confederazione Cooperative Italiane e per la Associazione Generale Cooperative Italiane, Antonino Sgroi per l’INPS in proprio e quale mandatario della Società di cartolarizzazione dei crediti INPS-S.C.C.I. s.p.a e l’avvocato dello Stato Vittorio Cesaroni per il Presidente del Consiglio dei ministri.


Ritenuto in fatto

1.— Il Tribunale di Lucca, in funzione di giudice del lavoro, con due ordinanze emesse il 14 aprile 2011 (r.o. n. 232 del 2011 e r.o. n. 240 del 2011), ha sollevato, in riferimento all’articolo 39 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria) convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 28 febbraio 2008, n. 31.

2.— Nell’ordinanza r.o. n. 232 del 2011, il rimettente premette di essere chiamato a pronunciarsi su un ricorso in opposizione ad iscrizione a ruolo di credito previdenziale, ai sensi dell’art. 24 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337), proposto da una società cooperativa nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e della s.p.a. Società di cartolarizzazione dei crediti INPS-S.C.C.I.

Il Tribunale espone che la cartella esattoriale opposta ha come oggetto i contributi previdenziali richiesti dall’INPS alla società cooperativa ricorrente, in relazione al maggior imponibile retributivo e contributivo determinato ai sensi dell’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008. Infatti, ad avviso del detto Istituto, l’opponente avrebbe dovuto fare applicazione, quanto al trattamento retributivo e normativo (e, quindi, previdenziale), del contratto collettivo nazionale di lavoro AGCI, ANST-LEGACOOP, CONFCOOPERATIVE (parte datoriale) – FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL TRASPORTI (parte dei lavoratori), anziché del diverso contratto collettivo nazionale di lavoro UNCI (parte datoriale) – CONFSAL (parte dei lavoratori), come da verbale di accertamento.

Il giudice a quo riporta il contenuto del citato art. 7, comma 4, ai sensi del quale: «Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria».

2.1.— In punto di rilevanza, il rimettente osserva che la pretesa contributiva dell’ente previdenziale, oggetto del giudizio principale, si fonda sull’applicazione dell’art. 7, comma 4, ora trascritto, sicché «dall’eventuale accoglimento della questione di costituzionalità discenderebbe un mutamento nel quadro normativo di riferimento».

2.2.— In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale della disposizione censurata, in riferimento all’art. 39 Cost.

Ad avviso del rimettente, detta disposizione attribuirebbe efficacia erga omnes a contratti collettivi di tipo “normativo” e non semplicemente ad “accordi gestionali” (è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 268 del 1994). È, altresì, citata la sentenza n. 106 del 1962 della medesima Corte, secondo cui «L’art. 39 pone due principi, che possono intitolarsi alla libertà sindacale e alla autonomia collettiva professionale. Col primo si garantiscono la libertà dei cittadini di organizzarsi in sindacati e la libertà delle associazioni che ne derivano; con l’altro si garantisce alle associazioni sindacali di regolare i conflitti di interessi che sorgono tra le contrapposte categorie mediante il contratto, al quale poi si riconosce efficacia obbligatoria erga omnes, una volta che sia stipulato in conformità di una determinata procedura e da soggetti forniti di determinati requisiti. Una legge, la quale cercasse di conseguire questo medesimo risultato della dilatazione ed estensione, che è una tendenza propria della natura del contratto collettivo, a tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto si riferisce, in maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale, sarebbe palesemente illegittima».

Inoltre – prosegue il giudicante – l’attribuzione di tale efficacia obbligatoria erga omnes, al di fuori delle condizioni previste dall’art. 39 Cost., prescinderebbe da qualsiasi valutazione in ordine al rispetto o meno, da parte del diverso contratto collettivo nazionale di lavoro applicato, dei precetti di cui all’art. 36 Cost. Infine, la disposizione, pur avendo carattere apparentemente transitorio, non individuerebbe, in realtà, alcun limite temporale preciso di efficacia.

In questo quadro, è sollevata la questione di legittimità costituzionale in esame.

3.— Nell’ordinanza r.o. n. 240 del 2011, il Tribunale premette di essere investito di un ricorso in opposizione ad iscrizione a ruolo di credito previdenziale, ai sensi dell’art. 24 del d.lgs. n. 46 del 1999, proposto da una società cooperativa a r.l. nei confronti dell’INPS e della s.p.a. Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS-S.C.C.I.

Il rimettente espone che la cartella esattoriale opposta ha ad oggetto i contributi previdenziali richiesti dall’INPS alla società cooperativa ricorrente, in relazione al maggior imponibile retributivo e contributivo determinato, ai sensi dell’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, convertito dalla legge n. 31 del 2008; che, ad avviso dell’ente previdenziale, la società cooperativa opponente avrebbe dovuto fare applicazione, quanto al trattamento retributivo e normativo (e, per conseguenza, previdenziale), del contratto collettivo nazionale di lavoro AGCI, ANST-LEGACOOP, CONFCOOPERATIVE (parte datoriale) – FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL TRASPORTI (parte dei lavoratori), anziché del diverso contratto collettivo nazionale di lavoro UNCI (parte datoriale) – CONFSAL (parte dei lavoratori).

3.1.— In punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza, il giudice a quo svolge le stesse argomentazioni di cui alla ordinanza di rimessione r.o. n. 232 del 2011.

4.— Nel giudizio di cui all’ordinanza di rimessione r.o. n. 232 del 2011, con memoria depositata in data 29 novembre 2011, si è costituito in giudizio l’INPS, in proprio e nella qualità di mandatario della s.p.a. Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS-S.C.C.I., chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile e, comunque, non fondata.

Preliminarmente, l’Istituto deduce l’inammissibilità della questione, non avendo il rimettente verificato – nonostante la contestazione della stessa società ricorrente in opposizione – se, in considerazione della concreta attività svolta dalla società cooperativa, fosse possibile una concorrente applicazione di contratti collettivi con riferimento ai contratti di lavoro subordinato stipulati con i propri soci, disciplinanti la medesima attività, come affermato dall’INPS, ovvero fosse applicabile soltanto uno dei contratti, senza alcuna predicabile concorrenza di disciplina pattizia, come ritenuto dalla cooperativa stessa. In particolare, ad avviso dell’INPS, la prospettata questione di legittimità costituzionale potrebbe essere logicamente e giuridicamente rilevante solo dopo avere chiarito l’esistenza o meno di una disciplina concorrente.

Altro motivo di inammissibilità della questione, sarebbe costituito dalla non pertinenza dell’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, convertito dalla legge n. 31 del 2008, rispetto ai vizi denunciati dal rimettente.

Al riguardo, la controversia sarebbe incentrata sull’individuazione della disciplina legislativa applicabile per l’accertamento della misura della contribuzione previdenziale obbligatoria che la società cooperativa deve versare all’INPS in favore dei propri soci lavoratori, con i quali ha stipulato un contratto di lavoro subordinato. Tale disciplina, in virtù del richiamo operato dall’art. 4, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore) alle normative vigenti, con riferimento alla contribuzione previdenziale e assicurativa, sarebbe, nell’ipotesi di stipula di rapporti di lavoro subordinato, l’art. 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389.

Nel merito, l’ente previdenziale deduce la non fondatezza della questione sulla base delle seguenti argomentazioni.

In primo luogo, esso sottolinea come il legislatore abbia implicitamente previsto un’efficacia temporalmente limitata della disposizione censurata, pur senza l’individuazione di un termine certo. Inoltre, lo stesso legislatore non avrebbe previsto alcuna efficacia erga omnes di una contrattazione collettiva rispetto ad un’altra, essendosi limitato a prevedere – con riferimento ai soli aspetti retributivi e al fine di garantire il diritto inviolabile del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del proprio lavoro ed, in ogni caso, sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa – che, a parità di attività lavorativa esercitata, la contrattazione collettiva, che assicura una retribuzione più elevata, sottoscritta dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria economica dove opera il datore di lavoro, costituisca parametro retributivo non derogabile verso il basso.

5.— Nel giudizio di cui all’ordinanza di rimessione r.o. n. 240 del 2011, con memoria depositata in data 12 dicembre 2011, si è costituito l’INPS, in proprio e nella qualità di mandatario della s.p.a. Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS-S.C.C.I., chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata, sulla base delle medesime argomentazioni di cui alla memoria di costituzione depositata dall’Istituto, in proprio e nella qualità, in data 29 novembre 2011, nel giudizio r.o. n. 232 del 2011, cui si fa rinvio.

6.— In quest’ultimo giudizio, con atto depositato in data 29 novembre 2011, è intervenuta (ad opponendum) la Confederazione Cooperative italiane (“Confcooperative” o “L’Associazione”), in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

7.— In data 5 febbraio 2013, la detta Confederazione ha depositato memoria illustrativa nella quale ribadisce le conclusioni di cui all’atto di intervento del 29 novembre 2011.

8.— Nel giudizio r.o. n. 240 del 2011, con atto depositato in data 13 dicembre 2011 è intervenuta (ad opponendum) la Confederazione Cooperative italiane (“Confcooperative” o “L’Associazione”), in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata sulla base delle medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento depositato in data 29 novembre 2011, nel giudizio r.o. n. 232 del 2011.

9.— In data 5 febbraio 2013, la Confederazione Cooperative italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha depositato memoria illustrativa nella quale ribadisce le conclusioni di cui all’atto di intervento del 13 dicembre 2011.

10.— Nel giudizio r.o. n. 232 del 2011, con atto depositato in data 29 novembre 2011, è intervenuta in giudizio (ad opponendum) la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue (Legacoop o “L’Associazione”), in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata, sulla base delle medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento della Confederazione Cooperative italiane del 29 novembre 2011.

11.— In data 5 febbraio 2013, la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha depositato memoria illustrativa nella quale ribadisce le conclusioni di cui all’atto di intervento del 29 novembre 2011.

12.— Nel giudizio r.o. n. 240 del 2011, con atto depositato in data 13 dicembre 2011, è intervenuta in giudizio (ad opponendum) la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue (Legacoop o “L’Associazione”), in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata, sulla base delle medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento depositato dalla Confederazione Cooperative italiane in data 29 novembre 2011, nel giudizio r.o. n. 232 del 2011.

13.— In data 5 febbraio 2013 la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha depositato memoria illustrativa nella quale ribadisce le conclusioni di cui all’atto di intervento del 13 dicembre 2011.

14.— Nel giudizio r.o. n. 240 del 2011, con atto depositato in data 13 dicembre 2011, è intervenuta in giudizio (ad opponendum) la Associazione Generale Cooperative Italiane (“A.G.C.I.” o “L’Associazione”), in persona del legale rappresentante pro tempore, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata, sulla base delle medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento depositato dalla Confederazione Cooperative italiane in data 29 novembre 2011, nel giudizio r.o. n. 232 del 2015.

15.— In data 5 febbraio 2013 la Associazione Generale Cooperative Italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore, ha depositato memoria illustrativa nella quale ribadisce le conclusioni di cui all’atto di intervento del 13 dicembre 2011.

16.— Nel giudizio r.o. n. 232 del 2011, con atto depositato in data 29 novembre 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

In primo luogo, la difesa erariale pone in evidenza come, ai fini della determinazione degli imponibili contributivi, la norma da applicare sia l’art. 1, comma 1, del d.l. n. 338 del 1989, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 389 del 1989 (nonché la successiva norma interpretativa dettata dall’art. 2, comma 25, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 recante: «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica»). In base a tale normativa, la retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali ed assistenziali sarebbe quella stabilita dai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative su base nazionale di categoria.

Il Presidente del Consiglio rileva come tale previsione risponda alla necessità di garantire una minore disparità nell’assolvimento degli obblighi contributivi tra datori di lavoro nonché la sostenibilità finanziaria dell’Ente previdenziale.

Diversamente, la norma censurata – attinente al profilo dell’obbligazione retributiva e non a quello della contribuzione previdenziale dovuta – prevede, nel solo settore della cooperazione e per un periodo transitorio, una specifica e più incisiva tutela dei lavoratori della categoria sotto il profilo retributivo.

La difesa dello Stato osserva come l’art. 3 della legge n. 142 del 2001 abbia introdotto nell’ordinamento cooperativistico il principio dell’equa retribuzione del lavoro svolto in relazione alla quantità e qualità del lavoro stesso. Risulterebbe evidente, dunque, il collegamento della norma richiamata con il disposto dell’art. 36 Cost., relativo ad una retribuzione sufficiente e proporzionata.

La difesa erariale ritiene che, diversamente da quanto prospettato nell’ordinanza di rimessione, la norma denunciata non contrasti con l’art. 39 Cost.

Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva come, in una fattispecie analoga a quella in esame, la Corte costituzionale, dopo avere evidenziato la mancata attuazione dell’art. 39 Cost. – e la mancata applicabilità del procedimento e delle forme dallo stesso previsti – ha escluso la illegittimità di quelle leggi transitorie, provvisorie ed eccezionali che, al fine di «tutelare l’interesse pubblico alla parità di trattamento dei lavoratori», collegano il regime dei contratti di diritto comune a quello dei contratti ad efficacia generale (sentenza n. 106 del 1962).

Ad avviso dell’interveniente, la questione di legittimità costituzionale sarebbe non fondata in quanto il censurato art. 7, comma 4, avrebbe: 1) lo scopo di garantire la “invarianza” del trattamento economico complessivo minimo dei lavoratori mediante l’adozione di un medesimo parametro di riferimento; 2) natura dichiaratamente transitoria, in vista di una completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative (solo in ragione della complessità della fattispecie giuridica da ultimo menzionata, non sarebbe stato possibile specificare alcun limite temporale preciso di efficacia della disposizione in oggetto).

Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che non possa essere condivisa la tesi, sostenuta nell’ordinanza di rimessione, secondo cui la disposizione censurata avrebbe attribuito efficacia erga omnes ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria, in quanto la norma in questione avrebbe soltanto assunto il contenuto economico dei contratti in questione quale parametro di congruità del trattamento economico, in conformità con i principi sanciti dall’art. 36 Cost.

17.— In data 5 febbraio 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa nella quale ribadisce le conclusioni di cui all’atto di intervento del 29 novembre 2011.

18.— Nel giudizio r.o. n. 240 del 2011, con atto depositato in data 13 dicembre 2011, è intervenuto il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.

In primo luogo, la difesa erariale sottolinea l’esistenza di un limite temporale di efficacia della norma censurata, indicato nella «completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative».

In secondo luogo, essa osserva come la sentenza n. 268 del 1994, richiamata nella ordinanza di rimessione, si riferisca ad un’ipotesi opposta a quella oggetto del giudizio a quo e, cioè, all’ipotesi in cui la stessa legge prevedeva che un accordo sindacale potesse derogare alla legge, nella specie in materia di licenziamenti.

Nel merito, la difesa erariale evidenzia come la norma della cui legittimità si dubita non abbia attribuito efficacia erga omnes ai contratti collettivi in essa indicati. Invece, avrebbe previsto, in via transitoria ed in attesa di una più specifica regolamentazione, una disciplina del rapporto di lavoro dei soci lavoratori delle società cooperative richiamando, sotto il profilo retributivo, una regolamentazione già prevista in contratti collettivi per categorie analoghe, espressamente specificando che i trattamenti economici non possono essere inferiori a quelli previsti da tali contratti. Sarebbe, dunque, evidente che i contratti collettivi richiamati nella norma censurata costituiscono solo un parametro di riferimento per commisurare una retribuzione – la cui fonte è normativa e discende dal citato art. 7 – che, nelle more di una regolamentazione organica ed uniforme, potrebbe non essere adeguata per il lavoratore.

La difesa erariale eccepisce, altresì, l’inammissibilità della prospettata questione di legittimità costituzionale, in quanto il rimettente, nel rilevare che l’applicabilità di un sistema retributivo piuttosto che un altro incide sugli obblighi previdenziali gravanti sul datore di lavoro, non avrebbe valutato se il sistema retributivo applicato in concreto fosse il più favorevole per il lavoratore. Ciò in aperto contrasto con la evidente finalità della normativa che, facendo riferimento, nei limiti indicati, alla contrattazione collettiva relativa ad attività analoghe a quelle poste in essere dai soci lavoratori di società cooperative, avrebbe inteso effettuare una equiparazione dei vari sistemi retributivi proprio in attuazione degli artt. 3 e 36 Cost.

19.— In data 1°ottobre 2012, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa nella quale svolge ulteriori argomentazioni, di tenore identico a quelle di cui all’atto di intervento depositato dallo stesso Presidente del Consiglio dei ministri in data 29 novembre 2011, nel giudizio r.o. n. 232 del 2011.


Considerato in diritto

1.— Il Tribunale di Lucca, in funzione di giudice del lavoro, con le due ordinanze indicate in epigrafe, dubita – in riferimento all’articolo 39 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 28 febbraio 2008, n. 31.

2.— In entrambe le ordinanze di rimessione, il Tribunale premette che, nei giudizi principali, due società cooperative, opponenti avverso iscrizioni a ruolo di crediti previdenziali ai sensi dell’articolo 24 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 18 settembre 1998, n. 337), contestano la pretesa contributiva dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) «in relazione al maggior imponibile retributivo e contributivo determinato ai sensi dell’art 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 28 febbraio 2008, n. 31».

3.— Ad avviso del rimettente, considerato che, come già chiarito da questa Corte nella sentenza n. 106 del 1962, una legge che cercasse di conseguire il risultato della efficacia obbligatoria erga omnes per tutti gli appartenenti alla categoria alla quale il contratto collettivo si riferisce in maniera diversa da quella stabilita dall’art. 39 Cost. sarebbe palesemente illegittima, la norma censurata violerebbe il parametro costituzionale sopra indicato, in quanto:

a) attribuirebbe efficacia “erga omnes” a contratti collettivi di tipo “normativo” e non semplicemente ad “accordi gestionali” (è citata, al riguardo, la sentenza n. 268 del 1994);

b) l’attribuzione di tale efficacia obbligatoria erga omnes, al di fuori dei requisiti – soggettivi e procedurali – stabiliti dall’art. 39 Cost., prescinderebbe totalmente da qualsiasi valutazione in ordine al rispetto o meno, da parte del diverso contratto collettivo nazionale di lavoro applicato, dei precetti di cui all’art. 36 Cost.;

c) avrebbe carattere solo apparentemente transitorio, non individuando alcun limite temporale preciso di efficacia.

4.— Le due ordinanze indicate in epigrafe censurano la medesima disposizione di legge con argomentazioni identiche o analoghe. Pertanto, i relativi giudizi di legittimità costituzionale vanno riuniti per essere definiti con unica decisione.

5.— Gli interventi, di cui in narrativa, spiegati, nel giudizio r.o. n. 232 del 2011, dalla Confederazione Cooperative Italiane e dalla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, e nel giudizio r.o. n. 240 del 2011, dalla Confederazione Cooperative Italiane, dalla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, nonché dalla Associazione Generale Cooperative Italiane, sono inammissibili, dovendosi al riguardo confermare le considerazioni esposte nell’ordinanza letta nella pubblica udienza del 26 febbraio 2013.

Invero, premesso che le suddette intervenienti (ad opponendum) non risultano essere parti nei giudizi a quibus, per costante giurisprudenza di questa Corte sono ammessi ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale), le sole parti del giudizio principale. L’intervento di soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all’udienza del 23 ottobre 2012, confermata con la sentenza n. 272 del 2012; ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata con la sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31 marzo 2009, confermata con la sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del 2009, n. 96 del 2008 e n. 245 del 2007).

Nei giudizi, da cui traggono origine le questioni di legittimità costituzionale in esame, le posizioni sostanziali dedotte in causa concernono profili attinenti a contributi previdenziali richiesti alle società cooperative, ricorrenti in opposizione avverso le relative cartelle esattoriali, e dunque riguardano rapporti tra l’ente previdenziale e le dette società ricorrenti, ma non toccano in modo diretto ed immediato le posizioni soggettive e le prerogative delle associazioni intervenienti.

Sotto altro profilo, l’ammissibilità d’interventi ad opera di terzi, titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale, contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l’accesso delle parti al detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo.

Da quanto esposto consegue l’inammissibilità degli interventi sopra indicati.

6.— La questione di legittimità costituzionale, sollevata in entrambe le ordinanze di rimessione, è inammissibile.

In primo luogo, il ricorrente è incorso in errore nell’individuazione della norma denunciata (cosiddetta aberratio ictus), avendo sottoposto a scrutinio una disposizione non pertinente rispetto all’oggetto delle censure.

Al riguardo, si deve premettere che, come risulta dalle due ordinanze di rimessione, i giudizi a quibus concernono opposizioni a cartelle esattoriali aventi ad oggetto i (maggiori) contributi previdenziali richiesti dall’INPS alle società cooperative opponenti, in relazione a rapporti lavorativi da tali società instaurati con propri soci lavoratori. Nelle due cause di cui alle ordinanze, dunque, sono in discussione i rapporti giuridici previdenziali tra le due cooperative e l’INPS, ancorché l’imponibile contributivo risulti determinato nel quantum con riferimento all’ammontare retributivo spettante ai lavoratori, nel quadro dei rapporti di lavoro correnti tra questi ultimi e le società.

Orbene, l’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 31 del 2008, così dispone: «Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria».

A sua volta il richiamato art. 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), sotto la rubrica “Trattamento economico del socio lavoratore”, stabilisce quanto segue: «Fermo restando quanto previsto dall’art. 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla qualità e quantità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo».

La finalità, perseguita da entrambe le norme, è quella di garantire l’estensione dei minimi di trattamento economico (cosiddetto minimale retributivo) agli appartenenti ad una determinata categoria, assicurando la parità di trattamento tra i datori di lavoro e tra i lavoratori.

Invece, la normativa pertinente alla determinazione della retribuzione da assumere quale base di calcolo dei contributi previdenziali (e, quindi, nel quadro del rapporto previdenziale) si rinviene non già nella norma censurata, ma nell’art. 1, comma 1, del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338 (Disposizioni urgenti in materia di evasione contributiva, di fiscalizzazione degli oneri sociali, di sgravi contributivi nel Mezzogiorno e di finanziamento dei patronati), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 dicembre 1989, n. 389, nonché nell’art. 2, comma 25, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), e nell’art. 3, comma 4, del decreto legislativo 6 novembre 2001, n. 423 (Disposizioni in materia di contribuzione previdenziale ed assistenziale per i soci di cooperative, a norma dell’articolo 4, comma 3, della legge 3 aprile 2001, n. 142).

La prima norma così dispone: «La retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi di previdenza e di assistenza sociale non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi, stipulati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, ovvero da accordi collettivi o contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo».

L’art. 2, comma 25, della legge n. 549 del 1995 stabilisce: «L’articolo 1 del decreto-legge 9 ottobre 1989, n. 338, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 1989, n. 389, si interpreta nel senso che, in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base dei contributi previdenziali e assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria».

Infine, l’art. 3, comma 4, del d.lgs. n. 403 del 2001, con riferimento alla misura della contribuzione previdenziale per i soci lavoratori di cooperative, stabilisce che: «A decorrere dal 1°gennaio 2007, per la determinazione della retribuzione imponibile, ai fini del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, trova applicazione l’art. 1, comma 1, del citato decreto-legge n. 338 del 1989».

Come il testuale tenore delle norme ora richiamate pone in luce, i rapporti previdenziali oggetto dei giudizi di cui alle ordinanze di rimessione trovano una disciplina specifica e distinta rispetto a quella dettata dall’art. 7, comma 4, qui censurata.

In particolare, l’art. 2, comma 25, della legge n. 549 del 1995 (norma di interpretazione autentica dell’art. 1 del d.l. n. 338 del 1989) detta una regolamentazione parallela a quella recata dall’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, in questa sede censurata. Tuttavia, gli ambiti di operatività delle due norme sono diversi.

Infatti, la prima norma – nell’individuare la retribuzione imponibile a fini previdenziali o assistenziali, nel caso di pluralità di contratti intervenuti per la medesima categoria – attiene al rapporto previdenziale tra il datore di lavoro (società cooperativa) e l’ente previdenziale, cioè al rapporto oggetto dei giudizi a quibus, mentre il denunziato art. 7, comma 4, concerne il rapporto di lavoro tra società e socio lavoratore, con il relativo profilo retributivo, rapporto che non risulta in discussione nei detti giudizi.

Ne deriva che il Tribunale di Lucca ha sottoposto allo scrutinio di legittimità costituzionale una norma non conferente rispetto al thema decidendi demandato al suo esame (ex plurimis: sentenze n. 241 del 2012 e n. 47 del 2008; ordinanze n. 180 e n. 120 del 2011 e n. 92 del 2009), soggetto invece alle disposizioni normative dianzi indicate, sulle quali l’eventuale declaratoria d’illegittimità non avrebbe incidenza.

Di qui l’inammissibilità della questione.

Ogni altro profilo rimane assorbito.


per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 28 febbraio 2008, n. 31, sollevata dal Tribunale di Lucca, in funzioni di giudice del lavoro, in riferimento all’articolo 39 della Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 marzo 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 29 marzo 2013.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

Allegato:

ordinanza letta all’udienza del 26 febbraio 2013

ORDINANZA

Visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale promosso, con ordinanza del Tribunale di Lucca, in funzione di giudice del lavoro, depositata il 14 aprile 2011 (r.o. n. 232 del 2011);

visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale promosso, con ordinanza del Tribunale di Lucca, in funzione di giudice del lavoro, depositata il 14 aprile 2011 (r.o. n. 240 del 2011);

rilevato che nel primo dei detti giudizi (r.o. n. 232 del 2011) sono intervenute la Confederazione Cooperative Italiane e la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore;

che nel secondo dei detti giudizi (r.o. n. 240 del 2011) sono intervenute la Confederazione Cooperative Italiane, la Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue e l’Associazione Generale Cooperative Italiane, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore;

che i soggetti sopra indicati non sono stati parti nei giudizi a quibus;

che, per costante giurisprudenza di questa Corte, sono ammessi ad intervenire nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale (oltre al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale) le sole parti del giudizio principale, mentre l’intervento di soggetti estranei a questo è ammissibile soltanto per i terzi titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto ed immediato al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura (ex plurimis: ordinanza letta all’udienza del 23 ottobre 2012, confermata con la sentenza n. 272 del 2012; ordinanza letta all’udienza del 23 marzo 2010, confermata la con sentenza n. 138 del 2010; ordinanza letta all’udienza del 31 marzo 2009, confermata con la sentenza n. 151 del 2009; sentenze n. 94 del 2009, n. 96 del 2008, n. 245 del 2007);

che nei giudizi da cui traggono origine le questioni di costituzionalità in esame, le posizioni sostanziali dedotte in causa concernono profili attinenti ai rapporti previdenziali tra le società cooperative ricorrenti e l’ente previdenziale che non mettono in gioco le prerogative delle Associazioni intervenienti, né toccano in modo diretto e immediato le loro posizioni soggettive;

che, peraltro, l’ammissibilità di interventi ad opera di terzi titolari di interessi soltanto analoghi a quelli dedotti nel giudizio principale contrasterebbe con il carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, in quanto l’accesso delle parti a detto giudizio avverrebbe senza la previa verifica della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione da parte del giudice a quo;

che, pertanto, gli interventi spiegati nei giudizi di legittimità costituzionale sopra indicati dai soggetti di cui in motivazione devono essere dichiarati inammissibili.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibili gli interventi spiegati dai soggetti di cui in motivazione nei giudizi di legittimità costituzionale r.o. n. 232 del 2011 e n. 240 del 2011.

F.to: Franco GALLO, Presidente