N. 143
SENTENZA 19-23 MAGGIO 1997
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: dott. Renato GRANATA;
Giudici: prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.
Cesare MIRABELLI, dott. Cesare RUPERTO, dott. Riccardo CHIEPPA, prof.
Gustavo ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA, avv. Fernanda CONTRI, Guido
NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
ha pronunciato la seguente
Sentenza
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo e
quarto comma, della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di
enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), promosso con ordinanza
emessa il 26 settembre 1995 dal pretore di Salerno nel procedimento
civile vertente tra Francesco Calenda ed altro e Parrocchia di
Brignano ed altro, iscritta al n. 32 del registro ordinanze 1996 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima
serie speciale, dell'anno 1996.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
Ministri;
Udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 1997 il giudice
relatore Cesare Mirabelli.
Ritenuto in fatto
1. - Con ordinanza emessa il 26 settembre 1995 nel corso di un
giudizio promosso per la determinazione del capitale di affrancazione
di un'enfiteusi, costituita anteriormente al 28 ottobre 1941, il
pretore di Salerno ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 42,
secondo e terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità
costituzionale dell'art. 1, primo e quarto comma, della legge 22
luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e prestazioni
fondiarie perpetue), nella parte in cui non prevede che ai fini della
determinazione del capitale di affrancazione il canone enfiteutico
sia aggiornato, al momento della sua determinazione in giudizio,
mediante l'applicazione di coefficienti idonei a mantenerne adeguata,
con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con
l'effettiva realtà economica.
La disposizione denunciata trova applicazione, per effetto
dell'art. 18, primo comma, della stessa legge n. 607 del 1966, alle
enfiteusi costituite anteriormente all'entrata in vigore del nuovo
libro separato del codice civile della proprietà (28 ottobre 1941) e
prevede che l'affrancazione si opera mediante il pagamento di una
somma corrispondente a quindici volte il valore del canone
enfiteutico, il quale non può superare il reddito dominicale del
fondo sul quale grava, determinato a norma del regio decreto-legge 4
aprile 1939, n. 589 (convertito nella legge 29 giugno 1939, n. 976),
rivalutato con il decreto legislativo del Capo provvisorio dello
Stato 12 maggio 1947, n. 356.
Seguendo questo criterio di calcolo il giudice rimettente dovrebbe
determinare il capitale di affrancazione in una misura che considera
irrisoria, tale da far dubitare che l'art. 1, primo e quarto comma,
della legge n. 607 del 1966 possa violare il principio di eguaglianza
e la tutela costituzionale della proprietà. Difatti, non sarebbe
giustificata la disparità di trattamento delle enfiteusi costituite
prima del 28 ottobre 1941, disciplinate da tale disposizione,
rispetto a quelle costituite successivamente, per le quali opera un
meccanismo di aggiornamento, per effetto della dichiarata
illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 14 giugno 1974,
n. 270, nella parte in cui non prevedeva un periodico aggiornamento
mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a
mantenere adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
corrispondenza del valore di riferimento per la determinazione del
canone enfiteutico con l'effettiva realtà economica (sentenza n. 406
del 1988). Per le enfiteusi anteriori al 28 ottobre 1941 il
meccanismo di determinazione del corrispettivo di affrancazione non
consentirebbe un analogo adeguamento, mediante l'aggiornamento del
canone sul quale deve essere calcolato, fondandosi su parametri
fissi, ancorati ai valori catastali del 1939 che, per quanto
rivalutati nel 1947, sarebbero del tutto remoti dalla realtà
economica odierna ed in contrasto con l'ordinamento vigente persino
ai limitati fini fiscali. Ad avviso del giudice rimettente,
continuare ad ancorare il capitale di affrancazione ai valori
catastali del 1939, trasformerebbe l'affrancazione stessa in una
sostanziale ablazione del diritto del concedente, senza alcun reale o
idoneo corrispettivo.
Il pretore di Salerno ricorda la sentenza n. 441 del 1991, con la
quale è stata dichiarata inammissibile una questione di legittimità
costituzionale - che era stata sollevata in riferimento agli artt. 3
e 42, terzo comma, della Costituzione - relativa all'art. 1 della
legge n. 607 del 1966, nella parte in cui, per le enfiteusi
costituite anteriormente al 28 ottobre 1941, non prevede la
rivalutazione del capitale di affrancazione del fondo. Lo stesso
giudice considera, tuttavia, che la dichiarazione di inammissibilità
della questione si riferiva alla automatica rivalutazione monetaria
del capitale di affrancazione, che era stata richiesta, in base alla
motivazione che non rientra nei poteri della Corte la introduzione di
limiti all'applicazione del principio nominalistico per i debiti di
valuta.
La questione verrebbe ora prospettata in modo nuovo e diverso,
giacché si chiede non già l'automatica rivalutazione monetaria, ma
l'introduzione di un meccanismo che, ai fini della determinazione del
capitale di affrancazione, consenta di aggiornare il canone
enfiteutico mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione
idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
corrispondenza con l'effettiva realtà economica.
2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte è intervenuto il Presidente
del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata
inammissibile o infondata.
L'Avvocatura ricorda che la Corte, con la sentenza n. 37 del 1969,
ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma denunciata,
limitatamente alla parte in cui comprende anche i rapporti sorti
successivamente al 28 ottobre 1941. Quella data, con l'entrata in
vigore del libro della proprietà del nuovo codice civile, segnerebbe
una importante demarcazione, non solo per l'accadimento di importanti
fatti storici ed economici, ma anche perché solo i rapporti
costituiti dopo quella data hanno risentito della strutturazione in
parte nuova che la legge civile ha loro assegnato, prevedendo il
diritto alla revisione del canone.
L'Avvocatura ricorda che, per i rapporti sorti in epoca anteriore,
la sentenza n. 441 del 1991 ha precisato che la legge n. 607 del 1966
ha abrogato l'art. 144 disp. att. cod. civ., ripristinando il
principio di immutabilità del canone, cui erano soggette le
enfiteusi costituite anteriormente al 28 ottobre 1941, ferma la
rivalutazione concessa dal decreto legislativo del Capo provvisorio
dello Stato n. 356 del 1947. Una volta determinato con questo
sistema, il canone enfiteutico sarebbe divenuto un debito di valuta
che, in base al principio nominalistico (art. 1277 cod. civ.),
esclude la possibilità di rivalutazione monetaria della somma
dovuta.
Considerato in diritto
1. - La questione di legittimità costituzionale investe l'art. 1
della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di enfiteusi e
prestazioni fondiarie perpetue), là dove prevede che l'affrancazione
dei canoni enfiteutici si opera mediante il pagamento di una somma
corrispondente a quindici volte il loro valore (quarto comma),
comunque non superiore all'ammontare corrispondente al reddito
dominicale del fondo sul quale gravano, determinato a norma del regio
decreto-legge 4 aprile 1939, n. 589, convertito nella legge 29 giugno
1939, n. 976, rivalutato con il decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 12 maggio 1947, n. 356 (primo comma).
Il pretore di Salerno ritiene che questo criterio di determinazione
del capitale di affrancazione possa essere in contrasto con la
Costituzione, nella parte in cui non prevede che il canone
enfiteutico rilevante ai fini della quantificazione del capitale di
affrancazione sia aggiornato, al momento della determinazione in
giudizio, mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione
idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
corrispondenza con l'effettiva realtà economica.
Il contrasto con la Costituzione viene prospettato in riferimento
al principio di eguaglianza ed alla tutela della proprietà privata
(artt. 3 e 42, secondo e terzo comma, Cost.), giacché per le
enfiteusi costituite dopo il 28 ottobre 1941 (data di entrata in
vigore del libro della proprietà del codice civile) operano, a
seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della
norma che non li prevedeva (sentenza n. 406 del 1988), idonei
coefficienti di maggiorazione, mentre non sarebbe giustificata la
diversità di trattamento delle enfiteusi costituite prima di quella
data. Inoltre, ad avviso del giudice rimettente, il capitale di
affrancazione, rimanendo ancorato ai dati catastali del 1939,
considerati inadeguati anche ai fini fiscali, verrebbe determinato in
un ammontare talmente esiguo da trasformare l'affrancazione in una
sostanziale ablazione della proprietà senza idoneo corrispettivo per
il concedente.
2. - La medesima disposizione denunciata dal pretore di Salerno è
stata in precedenza sottoposta a verifica di legittimità
costituzionale, sotto il profilo della mancata rivalutazione, in
rapporto al mutato potere di acquisto della moneta, della somma per
l'affrancazione determinata in base al canone enfiteutico. Veniva
allora denunciata la violazione sia dell'art. 3 della Costituzione
per disparità di trattamento tra concedente ed enfiteuta e tra
concedenti, in relazione all'epoca in cui fosse esercitato il diritto
di affrancazione, sia dell'art. 42, terzo comma, della Costituzione
perché la irrisorietà del capitale di affrancazione avrebbe
determinato una espropriazione, di fatto senza indennizzo, del
diritto del concedente.
La questione, nei termini in cui era stata proposta, venne
dichiarata inammissibile. Non essendo contestata la legittimità del
sistema di determinazione del canone, la richiesta di rivalutazione
monetaria del capitale di affrancazione avrebbe portato ad introdurre
un limite all'applicazione del principio nominalistico per i debiti
di valuta, che esula dai poteri della Corte (sentenza n. 441 del
1991).
Il pretore di Salerno prospetta ora la questione in termini diversi
da quelli in precedenza esaminati. Non chiede la rivalutazione del
capitale di affrancazione in base al mutato valore della moneta ed
indica un diverso elemento di comparazione in relazione al principio
di eguaglianza. La disparità di trattamento si verificherebbe
perché, senza ragioni che giustifichino la diversità di disciplina,
alle enfiteusi costituite prima del 28 ottobre 1941 non si
applicherebbe alcun coefficiente di maggiorazione del canone, ai fini
della determinazione del capitale di affrancazione, tale da
mantenerne ragionevolmente adeguata la corrispondenza con la realtà
economica, a differenza di quanto è ora previsto per le enfiteusi
costituite dopo quella data.
3. - La questione è fondata.
La giurisprudenza costituzionale ha preso in considerazione i
criteri di determinazione del canone enfiteutico in correlazione
all'ammontare del capitale di affranco ed ha ritenuto che il ricorso
al reddito imponibile quale risulta dai dati catastali, considerati
un mezzo possibile per conseguire il riferimento ad un reddito su
base orientativa, non sia di per sé illegittimo (sentenza n. 145 del
1973). Ma ha anche attribuito rilievo, per l'affrancazione del fondo,
alla dissociazione tra il momento a cui va riferito il calcolo del
valore del diritto, ancorato a valori catastali talvolta remoti nel
tempo, ed il momento in cui il diritto da indennizzare viene colpito.
In questa prospettiva è stato ritenuto in contrasto con la
Costituzione il congegno determinato dalla legge che, per quanto
riguarda la misura dei canoni e correlativamente i capitali di
affranco, operava una dissociazione profonda ed incolmabile tra
questi due momenti, tale da far scendere il capitale di affranco al
di sotto del livello dell'equa valutazione richiesta dall'art. 42,
terzo comma, della Costituzione (sentenza n. 37 del 1969).
Queste enunciazioni erano riferite ai rapporti enfiteutici sorti
successivamente all'entrata in vigore del libro della proprietà del
codice civile (28 ottobre 1941), che si è ritenuto segnasse una
importante linea di demarcazione, non solo per il mutamento dei
valori economici ma anche per la introduzione del diritto alla
revisione del canone, previsto dall'art. 962 cod. civ., che aveva
così innovato nella tradizione, recepita dal codice civile del 1865,
della inalterabilità del canone (sentenza n. 37 del 1969).
Esaminando la disciplina che il legislatore ha adottato per
regolamentare i canoni enfiteutici nei rapporti sorti successivamente
al 28 ottobre 1941, a seguito della dichiarata illegittimità
costituzionale delle norme ad essi relative, la giurisprudenza
costituzionale ha individuato un ulteriore elemento di riferimento
per la determinazione dei capitali per l'affrancazione dei fondi
rustici. Pur tenendo conto che l'affrancazione determina la sola
acquisizione del dominio diretto e che i concedenti hanno goduto dei
canoni, si è ritenuto che un limite, al di sotto del quale la regola
che determina il capitale per l'affrancazione non contrasta con la
Costituzione, sia costituito dal criterio che fissi un valore non
inferiore a quello che allo stesso terreno sarebbe stato attribuito
nel caso di espropriazione, attuata in applicazione delle leggi di
riforma agraria (sentenza n. 145 del 1973).
Questi criteri non sono stati enunciati attribuendo loro un
carattere statico. Difatti, esaminando le disposizioni legislative
che ne recepiscono il contenuto per disciplinare i canoni delle
enfiteusi sorte successivamente al 28 ottobre 1941, la giurisprudenza
costituzionale ha affermato che il riferimento al reddito imponibile
risultante dai dati catastali non è illegittimo, a condizione che
sia tenuta distinta la funzione generica del ricorso ai dati
catastali dalla misura della loro operatività in concreto, affinché
ne sia mantenuta adeguata, nei limiti di una ragionevole
approssimazione, la corrispondenza con la effettiva realtà economica
(sentenza n. 145 del 1973). La Corte ha quindi ribadito che il valore
di riferimento prescelto, ancorato ai dati catastali, per la
determinazione del canone, in base al quale è calcolato il capitale
per l'affrancazione, deve essere periodicamente aggiornato mediante
l'applicazione di coefficienti di maggiorazione idonei a mantenerne
adeguata, con una ragionevole approssimazione, la corrispondenza con
la effettiva realtà economica (sentenza n. 406 del 1988).
L'affermazione di questo principio, enunciato nel dichiarare la
illegittimità costituzionale delle norme in materia di enfiteusi per
i rapporti costituiti successivamente al 28 ottobre 1941 (art. 1
della legge 14 giugno 1974, n. 270), non può che venire estesa anche
ai rapporti costituiti prima di tale data, in quanto, come rende
evidente l'ordinanza di rimessione, il capitale di affranco sia
divenuto irrisorio o comunque inferiore al livello di una equa
valutazione, quale potrebbe in ipotesi risultare, tra l'altro, anche
dall'aggiornamento del valore dei fondi disposto dal legislatore per
calcolare le imposte sui redditi (da ultimo: art. 3, comma 50, della
legge 23 dicembre 1996, n. 662; art. 31, comma 1, della legge 23
dicembre 1994, n. 724; art. 4 del d.-l. 4 agosto 1987, n. 326).
La diversità di trattamento che risulta nelle regole di
determinazione del capitale di affranco per le enfiteusi anteriori al
28 ottobre 1941, per le quali non è previsto alcun meccanismo di
adeguamento del calcolo in base ai valori catastali del 1939,
rivalutati nel 1947, rispetto alle enfiteusi costituite
successivamente alla data che segna il discrimine, e per le quali
opera a seguito della sentenza n. 406 del 1988 il principio
dell'applicazione di un coefficiente di maggiorazione, non trova
ragionevole giustificazione.
Difatti la regola della revisione periodica del canone,
originariamente prevista dall'art. 962 cod. civ. solo per le nuove
enfiteusi, è stata soppressa anche per queste ultime (art. 18,
secondo comma, della legge n. 607 del 1966), mentre comune a tutti i
rapporti enfiteutici, anzi più accentuato per quelli costituiti in
epoca remota, è il divario tra il capitale di affrancazione e la
realtà economica.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, primo e
quarto comma, della legge 22 luglio 1966, n. 607 (Norme in materia di
enfiteusi e prestazioni fondiarie perpetue), nella parte in cui, per
le enfiteusi fondiarie costituite anteriormente al 28 ottobre 1941,
non prevede che il valore di riferimento per la determinazione del
capitale per l'affrancazione delle stesse sia periodicamente
aggiornato mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione
idonei a mantenerne adeguata, con una ragionevole approssimazione, la
corrispondenza con la effettiva realtà economica.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta il 19 maggio 1997.
Il Presidente: Granata
Il redattore: Mirabelli
Il cancelliere: Di Paola
Depositata in cancelleria il 23 maggio 1997.
Il direttore della cancelleria: Di Paola