ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 341 del codice
penale, promosso con ordinanza emessa il 7 febbraio 1985 dal Pretore
di Sampierdarena, iscritta al n. 429 del registro ordinanze 1985 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 287- bis
dell'anno 1985;
Udito nella Camera di consiglio del 10 febbraio 1988 il Giudice
Relatore Ettore Gallo;
Ritenuto che il Pretore di Sampierdarena, con ordinanza 7 febbraio
1985, sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art.
341 cod. pen. per contrasto con gli artt. 2, 3, 27 e XII disp. trans.
Costituzione;
che, nella diffusa e perspicua motivazione, tutta ispirata ad un
profondo sentimento di dedizione ai valori della Costituzione
democratica della Repubblica, sostiene il Pretore, in buona sostanza,
che la fattispecie impugnata tutela un bene giuridico tipicamente
fascista, quale l'obbedienza cieca e assoluta, la sottomissione, la
prona ossequiosità del suddito a fronte di colui che incarna il
potere, in guisa da ledere diritti fondamentali del cittadino (art.
2), e la stessa norma XII delle disp. transitorie;
che - sempre ad avviso dal Pretore - non vi sarebbe alcuna
razionalità nel tutelare così duramente il dipendente dello Stato o
di altri enti pubblici rispetto agli altri lavoratori, compresi i
dipendenti privati, perché in tal modo verrebbe violato il principio
di uguaglianza (art. 3);
che, infine, dovendosi escludere che colui che offende il
pubblico ufficiale intenda ledere altresì il prestigio dello Stato,
la sanzione comminata risulta assolutamente sproporzionata al
disvalore del fatto, e perciò del tutto inadeguata a raggiungere le
finalità di risocializzazione che l'art. 27 Cost. prevede;
che nessuno si è costituito nel giudizio innanzi a questa
Corte, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei
ministri;
Considerato che questa Corte, con sent. 19 luglio 1968 n. 109,
aveva già dichiarata infondata, sotto il profilo degli art.li 1 e 3
Cost., la questione ora risollevata;
che già in allora la Corte aveva riconosciuto che la disciplina
legislativa dell'oltraggio, così come delineata dal codice Rocco,
"troppo risente dell'ideologia del regime dal quale ebbe origine",
particolarmente quanto all'entità della pena: la quale, però, non
è tale da non riuscire sorretta da qualche giustificazione, in guisa
da incrinare i poteri discrezionali del legislatore nella valutazione
della congruenza fra reato e pena affidata a criteri di politica
legislativa;
che, infatti, non ha inteso il legislatore di tutelare una
categoria di lavoratori ritenuti superiori perché dipendenti dello
Stato, ma soltanto di proteggere quello speciale status che viene
conferito in considerazione delle attribuzioni e dei poteri ad essi
affidati: status che, peraltro, è poi anche fonte di aggravamento di
responsabilità ogniqualvolta la qualità in parola viene assunta ad
elemento costitutivo (reati propri) o a circostanza aggravante di
talune fattispecie;
che, pertanto, abbia o non il cittadino l'intento di offendere
il prestigio della pubblica amministrazione, è alla obbiettiva
lesione del prestigio che è nell'esercizio della pubblica funzione
che il legislatore ha riguardo, o alla causa dell'offesa, che proprio
in quella funzione ha trovato origine: e ciò al fine di evitare che,
nel diffondersi del dileggio o della irrisione, la funzione stessa
venga svilita al punto da favorire la generale inosservanza;
che, proprio per questo, è stata però ripristinata la
scriminante conosciuta dalla democrazia liberale prefascista, per la
quale la tutela vien meno ogniqualvolta il pubblico ufficiale stesso,
con il suo comportamento, tradisce le finalità che la pubblica
amministrazione intendeva perseguire attraverso la pubblica funzione,
talché oggi non può più affermarsi che la disciplina normativa sia
ancora completamente ispirata al principio autoritario del travolto
regime, al punto da contrastare con la XII Disposizione della
Costituzione, peraltro da definirsi "finale" e non "transitoria";
che, tuttavia, come bene ha rilevato il Pretore, rimane
sicuramente, specie in talune ipotesi di fatto, una effettiva
sproporzione fra sanzione comminata e disvalore del fatto, tanto che
lo stesso legislatore ha tentato di darsene carico, attraverso le due
successive commissioni ministeriali del 1945 e del 1956, fino a
proporre una lieve pena pecuniaria quando il fatto oltraggioso
risulti di lieve entità;
che, però, tutto ciò conferma che si tratta di prerogativa del
legislatore, anche se non può non osservarsi che, per rendere più
congrue le pene, non è necessario attendere la riforma generale del
codice penale, in ritardo di quarantatré anni;